La Nazionale inglese è il luna park dell’hype. Quelli che sembrano giocatori talentuosi diventano pesi morti nell’arco di pochi anni in un meccanismo bulimico che trasforma periodicamente sconosciuti in salvatori della patria e viceversa.
Raheem Sterling è, oggi, alla fine della discesa delle montagne russe. Giusto due anni fa arrivava da debuttante al Mondiale brasiliano, dopo una stagione sontuosa con il Liverpool, rappresentando una delle poche note positive della squadra di Roy Hodgson in un torneo a dir poco disastroso. Oggi è già un capro espiatorio. Nella prima partita, contro la Russia, è stato molto criticato per la sua scarsa incisività in fase di definizione, mentre in quella successiva, contro il Galles, ha sbagliato un gol sotto porta ed è stato sostituito a fine primo tempo da Sturridge, che ha poi segnato il gol vittoria.
Money, money, money
Nei due anni che intercorrono tra il Mondiale del 2014 e l’Europeo del 2016, alla questione del valore prettamente tecnico del giocatore si è sovrapposta anche quella del valore economico, in un modo così tristemente tipico della nostra epoca. Anche in nazionale Sterling si porta dietro il peso dell’enorme price-tag da 63 milioni di euro pagati dal Manchester City per acquistarlo, e già solo per questo è un sopravvalutato: da una parte perché erroneamente si tende ad equiparare i due valori, dall’altra perché ripagare quella cifra in prestazioni a 22 anni sarebbe comunque obiettivamente impossibile.
La questione del denaro agisce molto sottilmente nell’intricato rapporto tra Sterling e l’opinione pubblica inglese. Il fatto, ad esempio, che la stampa e i tifosi abbiano voluto creare un dualismo con Vardy, uno che fino a pochi anni fa lavorava come operaio in fabbrica e adesso è il simbolo della squadra che secondo la vulgata ha sconfitto i milioni della Premier, è in qualche modo illuminante. Tecnicamente e tatticamente, infatti, il dualismo non esiste, dato che Hodgson ha spesso dimostrato di pensare all’attaccante del Leicester come un sostituto della prima punta, Harry Kane, e non come un’ala sinistra, ruolo che comunque gli toglierebbe gran parte della lucidità che lo rende così decisivo nell’area di rigore avversaria.
Vardy would have scored.
Un altro esempio è il Daily Mail che titola: “Com’è possibile che Sterling si sia trasformato nel Jesus Navas dell’Inghilterra? Doveva essere il nuovo Gareth Bale”. I due termini di paragone sono inconsciamente indicativi: il primo è un giocatore straniero generalmente considerato costoso e inutile (un hard-runner, secondo il politicamente corretto dell’articolo), mentre il secondo è il calciatore britannico più pagato nella storia del calcio.
Ma questa componente è forse ancora più chiara nell’iniziativa di un tifoso inglese che per farlo tornare a casa non ha aperto una petizione online come si fa ironicamente di solito, ma un’asta su JustGiving, che ha già raccolto oltre mille sterline. Nella descrizione si legge che le donazioni verranno donate ad un ospizio.
The hated one
La visione moralistica del denaro è insomma la linea rossa che lega l’odio per Sterling in Premier (dove, da quando è passato al City, viene spesso fischiato dalle tifoserie avversarie per il modo in cui si è svincolato dal Liverpool) all’odio per Sterling in nazionale, dove l’alone di sopravvalutazione viene ulteriormente amplificato dal fatto che Hodgson straveda per lui e che quindi lo impieghi quasi sempre.
Non ci si può stupire, quindi, che lo stesso Sterling abbia provato a promuovere sui suoi profili social ufficiali un atteggiamento me against the world. Finita la partita con la Russia, ad esempio, Sterling ha pubblicato una foto del Velodrome di Marsiglia su Instagram dove l’ultimo hashtag della didascalia era #TheHatedOne. Anche nella sua biografia, fino a pochi giorni fa, si poteva leggere #HatedTalent.
Quella di Sterling è una profezia che si auto-avvera, magari utile come strategia di marketing nel caso in cui volesse passare a Adidas (“There will be haters”), ma che per adesso non fa altro che farlo sembrare come i suoi hater lo dipingono e cioè un calciatore superficiale, infantile, alla continua ricerca di attenzioni.
D’altra parte, anche in nazionale Sterling continua ad essere trattato come una persona con problemi comportamentali. L’Inghilterra gli ha infatti affiancato lo psichiatra Steve Peters, che lo aveva già seguito a Liverpool. “Mi sta molto aiutando”, aveva detto Sterling prima dell’inizio dell’Europeo “Ti mette nella testa che la mentalità è la chiave e che devi lasciare alcune cose fuori concentrandoti solo sul tuo calcio”.
Ma la retorica del riscatto individuale ha ormai pervaso questo sport talmente tanto che Sterling non si è lasciato sfuggire l’occasione per attirare l’attenzione su di sé, in maniera del tutto autolesionistica se pensiamo a quello che è poi successo nella partita con il Galles.
La gabbia di Hodgson
Sia il giocatore che l’opinione pubblica sembrano dimenticare che il calcio rimane uno sport di squadra e che quindi le prestazioni individuali sono indissolubilmente legate a quelle collettive. E Sterling, dopo l’incredibile stagione 2013/2014 del Liverpool che lo portò alla ribalta, è inserito da almeno un anno in sistemi disfunzionali, ripiegati sulla ricerca ossessiva della giocata individuale, che non fanno altro che acuire i suoi limiti tecnici.
Sterling è infatti un talento che per sua natura è scarsamente associativo e soffre la mancanza di profondità. L’ala sinistra del Manchester City ama prendere palla sui piedi sull’esterno sinistro e puntare nell’uno contro uno il terzino, che può minacciare sia andando lungo linea che rientrando sul destro. Non ha né la vena realizzativa né la visione di gioco nell’ultimo quarto per spezzare situazioni statiche e quindi, in assenza di meccanismi rodati che possano liberargli lo spazio, Sterling non può far altro che incaponirsi in dribbling complessi o tornare indietro. E dato il contesto me against the world che lui stesso ha contribuito a creare, Sterling cerca spesso di risolvere le cose da solo attraverso il dribbling complesso.
Questa situazione, che col Manchester City l’ha portato a partire da titolare solo una volta nelle ultime undici partite di Premier League (ironicamente al suo posto è stato preferito proprio Jesus Navas), è diventata sportivamente drammatica nella nazionale inglese con l’inizio dell’Europeo.
Il 4-3-3 disegnato da Hodgson, infatti, isola Sterling persino più di quanto il giocatore inglese non faccia già da solo. Dalla sua parte Rose sale sporadicamente, o comunque in maniera molto meno insistente rispetto a Walker, mentre la mezzala di riferimento, che sarebbe Rooney, si abbassa fino alla linea difensiva per gestire il primo possesso centralmente. Quando riceve palla esternamente, quindi, Sterling è il più delle volte isolato, costretto ad affrontare in dribbling due se non tre avversari per avvicinarsi all’area. Non è un caso che, tra i giocatori che hanno più dribbling riusciti all’Europeo, Sterling sia quello che ne debba tentare di più: i 3,44 dribbling riusciti ogni 90 minuti, infatti, rappresentano solo il 56% di quelli tentati (i 3,50 di Hazard, per dire, sono l’88% del totale).
La solitudine di Sterling sull’esterno sinistro: Rose rimane bloccato sulla linea difensiva, mentre Rooney è sceso centralmente davanti alla difesa per gestire il possesso. Nonostante ciò, Sterling si fa ingolosire dalla difesa particolarmente alta della Russia e punta il terzino. Il massimo che riuscirà ad ottenere sarà un calcio d’angolo dopo essere stato raddoppiato vicino alla linea del fallo laterale.
L’incapacità e l’impossibilità di interagire con i propri compagni è confermata anche dai dati sui passaggi completati e sui passaggi chiave ogni 90 minuti (rispettivamente 24,73 e 1,37), numeri mai così bassi da quando Sterling gioca ad alti livelli (stagione 2012/2013). E dire che le pochissime volte in cui il triangolo di sinistra ha funzionato, Sterling è sembrato molto efficace, soprattutto contro difese lente e macchinose come quella della Russia.
Oltre a ricevere palla sull’esterno, Sterling ha anche cercato di entrare dentro al campo per ricevere palla tra le linee. Ma per adesso anche questa soluzione ha avuto scarso successo, un po’ per la scarsa vena associativa già detta, un po’ per le stesse caratteristiche tecniche di Sterling, che non ha ancora né la forza fisica né la sufficiente pulizia nel controllo per gestire il pallone spalle alla porta.
Hodgson, che teoricamente dovrebbe essere il suo primo sostenitore, gli ha quindi di fatto costruito una gabbia in cui le scelte che a Sterling sembrano migliori per il suo riscatto individuale sono in realtà esattamente quelle che fanno così tanto spazientire i tifosi. E la cosa ironica è che in questa gabbia ci è finito anche lo stesso Hodgson, dato che l’Inghilterra non ha poi tantissime altre opzioni per attaccare a sinistra.
Già nel secondo tempo della partita col Galles, ad esempio, una volta uscito Sterling, la nazionale inglese ha quasi del tutto abbandonato la corsia sinistra, con Vardy che ha preso il posto in campo di Kane e Sturridge che ha agito prevalentemente sul centro-destra. Ad agire in quella zona doveva esserci Rooney, che però nell’anarchia tattica inglese agiva di fatto da regista basso. Le cose si sono poi leggermente riequilibrate con Rashford, tecnicamente una seconda punta, che al momento sembra essere l’unica reale alternativa all’ala del Manchester City.
L’Inghilterra si ritrova quindi per l’ennesima volta nella sua storia alla ricerca del nuovo salvatore della patria, capace da solo di scardinare difese schierate. I candidati questa volta sono Rashford e Vardy, due giocatori a loro volta scarsamente associativi che vivono di spazi aperti come Sterling senza avere però la sua propensione al dribbling (nell’ultima stagione i dribbling riusciti ogni 90 minuti dei due sono stati rispettivamente 0,95 e 1,12, contro i 1,92 di Sterling, comunque nella sua peggiore stagione di sempre per quanto riguarda questo dato).
Uscire dalle sabbie mobili
Sia Sterling che Hodgson sembrano quindi due uomini nelle sabbie mobili, illusi che più si muovano più abbiano possibilità di salvezza. Ma mentre l’avventura del ct della nazionale inglese sembra davvero senza via d’uscita, quella di Sterling può ancora contare su un ramo a cui aggrapparsi, almeno dopo questo Europeo.
Sulla panchina del City si è infatti seduto uno dei pochi uomini che può tornare a farlo crescere, insegnandogli a “fidarsi dei propri compagni”: quello che secondo Thierry Henry è uno dei pilastri su cui si fonda il gioco di Guardiola è ciò che in questo momento serve di più a Sterling per superare i propri limiti.
Perché, come si dice, nessuno si salva da solo, sia dentro che fuori dal campo, soprattutto se in questo momento sei il giocatore più odiato di Inghilterra.