Ogni anno un terzino arriva all’Inter sperando di togliere il posto a Danilo D’Ambrosio, e ogni anno quel terzino farà la muffa in panchina, da dove vedrà Danilo D’Ambrosio inanellare le sue solite prestazioni solide e oneste.
Ogni anno Danilo D’Ambrosio non sembra abbastanza buono per giocare con la maglia nerazzurra, e ogni anno si rivela uno dei migliori della squadra, uno degli ultimi a cedere nei momenti di difficoltà, uno dei più brillanti quando l’Inter gira bene. Eppure in questi anni in pochi hanno riconosciuto a D’Ambrosio il suo valore: la sua costante presenza nell’undici titolare dell’Inter aveva l’aria di una maledizione, una specie di condanna alla mediocrità, un sintomo del momento storico difficile dei nerazzurri che sarebbe stato lavato via con l’arrivo di momenti migliori.
E invece l’Inter che negli ultimi due anni sta lentamente trovando una dimensione migliore, se non altro europea, vede ancora D’Ambrosio saldamente al suo posto, terzino destro umile e sottovalutato. Terzino onesto come tutti i terzini dovrebbero essere nella nostra immagine più classica, quella che avevamo prima dei terzini-registi, dei terzini-ali. D’Ambrosio fa tutto più o meno bene senza eccellere in niente, ma con un livello medio più alto di quanto si dica, con una presenza fisica e tecnica nelle due aree di rigore non banale. Guardiamo qualche numero che racconti un po’ meglio la stagione di Danilo D’Ambrosio.
Fra i terzini, D’Ambrosio è quello con più palle recuperate, quello con più assist. È fra i primi dieci in quasi tutte le statistiche: tackles, passaggi chiave, dribbling. D’Ambrosio non ha certo le capacità tecniche ed associative di terzini rifinitori come Joao Cancelo o Kolarov, ma il modo in cui tocca la palla è all’altezza della maglia nerazzurra. Una clip riassuntiva di fine stagione dei social dell’Inter si apre con un tunnel di suola di D’Ambrosio, che si gira al suo marcatore con una giocata da terzino sudamericano.
Ma potete trovare anche un doppio tunnel eseguito sui difensori della Fiorentina. Gli account lo rilanciano per il ‘lol’, e intanto D’Ambrosio continua a regalare magie sul serio.
Ma in questo pezzo non voglio convincervi che D’Ambrosio sia una specie di Carlos Alberto, ma solo che è molto meno mediocre di quanto si dica. È arrivato invece il momento di parlare della sua generosità, visto che comunque lo stiamo celebrando come il calciatore più umile del campionato. Cominciamo provando una definizione: il calciatore più umile della Serie A è quello che gioca in una squadra di livello nonostante tutti dicano che non dovrebbe giocarci, e fa la giocata decisiva nella partita più importante ed emotiva della stagione.
A pochi minuti dalla fine del derby di Milano, col risultato sul 3-2 per i nerazzurri, D’Ambrosio si butta in scivolata per salvare un gol sicuro di Patrick Cutrone. È un salvataggio che tutti abbiamo in mente e che rappresenta la capacità di D’Ambrosio di stare in tanti dei bivi decisivi dell’Inter in questa stagione. Il modo in cui lo commenta rende l’idea dell’ethos un po’ penitente di D’Ambrosio: «La fortuna aiuta gli audaci e chi ci aiuta e ci crede. Se non soffri non vinci, tutte le partite, non solo il derby. Quando non vinciamo è perché non soffriamo e viceversa».
Ma non è stato l’unico salvataggio decisivo di D’Ambrosio. Contro l’Empoli, all’ultima giornata che poteva condannare l’Inter allo psicodramma di una mancata qualificazione in Champions, una partita in cui D’Ambrosio dice di aver perso 10 anni di vita, si è gettato sopra una palla che Traoré stava per spingere in porta. Ci è arrivato di corsa, con la porta davanti e due avversari a mettere pressione dietro e il piede sinistro. Non è chiaro per quale legge della fisica D’Ambrosio sia riuscito a non farsi autogol, mandando la palla sulla traversa, cadendo come si fa dopo un’esplosione nei film.
Eppure qualcuno è riuscito a definire questo salvataggio come un “quasi autogol”: «Ho trovato imbarazzante questa definizione per un intervento di sinistro, quasi sulla linea, anticipando due avversari che si trovavano alle sue spalle» ha detto D’Ambrosio.
Poi ci sono anche i gol, sempre pesanti: quello del 2-1 contro la Fiorentina, che ha regalato all’Inter i tre punti, quello che ha sbloccato il risultato contro la Sampdoria. Nei momenti decisivi della stagione, D’Ambrosio è sempre stato decisivo, nonostante questo gli venga poco riconosciuto. Secondo il suo agente «È sottovalutato da alcuni giornalisti, ma allenatori e direttori lo hanno sempre tenuto in considerazione ed è questo che conta».
Lui, come si dice in questi casi, non ha mai detto una parola fuori posto e ha fatto invece di tutto per costruirsi l’immagine del calciatore che bacia per terra ogni giorno che può vestire la maglia dell’Internazionale Milano. Quando parla dei tifosi è in perfetta continuità col loro sistema di valori: «La Curva va rispettata, il tifoso va rispettato. Ci hanno chiesto di tirare fuori gli attributi e lo abbiamo fatto».
Quando parla dei suoi canali social ci tiene a scansare qualsiasi motivazione narcisista: «Li ho aperti perché in questo mondo è importante informare i tifosi, si affezionano ed è giusto farlo. Anche per iniziative benefiche». Vive al nord da anni, ma non dimentica le proprie origini napoletane: «Su Twitter avevo fatto una campagna appena mi ero iscritto. Alcuni ragazzi hanno fatto dei corsi che li ha aiutati a entrare nel mondo del lavoro. Non è un mondo facile. Ho girato Milano, Torino e le strutture sono differenti. Al Nord c’è più possibilità».
I suoi riferimenti culturali sono semplici e umili: «Ho imparato Perfect di Ed Sheeran perché quando ho mio figlio in braccio con questa canzone si addormenta. Non so bene l’inglese ma mi sono ripromesso di impararla per lui». Ripete sempre che «conta il gruppo. Il Noi e non l’io». Da giovanissimo ha avuto la possibilità di andare al Chelsea ma non se l’è sentita di dividersi dalla tua famiglia: «Sarei dovuto andare da solo, senza mio fratello e doveva venire o mio padre o mia madre. Lavoravano tutti, non volevo dividere la famiglia. Mi davano dei soldi. Non bisogna inseguire i soldi ma i sogni, mi ha sempre detto la mia famiglia». Si concede il lusso dei dolci, ma non finisce neanche quelli che gli piacciono di più, forse perché li rispetta troppo: «Se vedo un tiramisù fatto bene lo mangio quasi tutto».
Non pensa di essere il miglior terzino italiano, «ma uno dei migliori sì». Il suo agente dice che se si fosse chiamato D’Ambrosinho avrebbe avuto un’attenzione diversa dalla stampa, ma la verità è che al di là del suo valore calcistico - forse davvero sottovalutato - è la perfetta normalità di D’Ambrosio, la sua umiltà, a renderlo la perfetta protesi in campo del sentimento dei tifosi italiani, che amano solo le persone perfettamente senza umiltà, oppure quelle perfettamente umili.