Tifare per un gregario è un'esperienza incomprensibile per chi non s'è mai veramente immerso nel ciclismo. Non intendo rimanere lì a galleggiare in mezzo al ciclismo, ma infilare la testa sott'acqua e annegarci dentro. È quanto di più illogico si possa fare.
Tifare per un gregario significa spingerlo ad andare avanti, con il gruppo attaccato alle ruote, e accompagnarlo fino al momento in cui si sposta per far volare il capitano di turno là dove le sue gambe non possono spingerlo.
Michele Scarponi era uno dei pochi gregari per cui veniva naturale - per quanto illogico e contro-intuitivo - fare il tifo.
Imparare a volare
Eppure Scarponi non nasce gregario, anzi. Al suo esordio fra i professionisti, era una delle grandi promesse del ciclismo italiano: un talento cristallino, adatto alle Classiche e ai Grandi Giri.
Alla sua prima partecipazione alla Liegi-Bastogne-Liegi, nel 2003, coglie un inaspettato quarto posto che lo proietta nelle alte sfere del ciclismo italiano e internazionale. E non lo fa in maniera banale, magari rimanendo lì fino all'ultimo ad aspettare una volata ristretta per cogliere un piazzamento anonimo.
Per darvi un'idea di quel che fu quella Liegi-Bastogne-Liegi: Lance Armstrong attaccò poco dopo la Redoute insieme a Michele Bartoli. Vennero ripresi sul Saint-Nicholas dove partì Michael Boogerd, a sua volta raggiunto in fondo alla discesa da un gruppettino di otto ciclisti con dentro tutti i principali favoriti più un giovane marchigiano in maglia Domina Vacanze.
Poi la “fagianata” di Hamilton, con Boogerd e Mayo che cercano di inseguirlo ma è troppo tardi. E dietro, Michele Scarponi che sorprende il gruppettino e conquista in solitaria la quarta posizione.
L'anno dopo è ancora lì a giocarsi le Classiche delle Ardenne con le più grandi stelle del panorama internazionale. Arriva quarto alla Freccia Vallone e poi settimo alla Liegi, domina la Settimana Ciclistica Lombarda e vince altre corse minori. Sembra essere solo questione di tempo.
Nel 2005 però, Michele Scarponi, che nel frattempo è diventato per tutti l'Aquila di Filottrano, fa l'errore più grave della sua carriera e si trasferisce in Spagna, alla Liberty Seguros. Di per sé non sarebbe un grande problema, la Liberty è una buona squadra con ottimi giovani in rampa di lancio e un manager esperto come Manolo Saiz. Uno che, per capirci, dal 1989 guida l'ammiraglia della Once, il più vincente team spagnolo nella storia del ciclismo fino a quel momento.
Si rivela però una scelta terribile, innanzitutto perché il 2005 sarà una stagione sfortunata. Dopo la Milano-Sanremo chiusa al 47° posto salta le Classiche e viene dirottato alla Vuelta di Spagna (12° posto finale). Una stagione a dir poco deludente non è che il preludio a una discesa rapida e dolorosa nell'inferno del doping.
In una storia più grande di lui
È il 2006 quando nello studio ginecologico del dottor Eufemiano Fuentes vengono trovate delle sacche di sangue e un elenco cifrato con dei nomi in codice. In Spagna però il doping non è ancora un reato e la Guardia Civile ha le mani legate. A indagare è solo la Wada (l'Agenzia Mondiale Antidoping) che associa immediatamente alla parola doping il ciclismo e inizia la sua personale caccia alle streghe. Il primo passo è immediato: controllare i tabulati telefonici di Fuentes. Viene fuori un polverone che si placherà soltanto dopo anni ma che ancora oggi fa sentire i suoi strascichi. Il primo a finire nella rete è proprio Manolo Saiz, il manager della Liberty Seguros, che con Fuentes aveva contatti molto stretti, e la squadra viene immediatamente sospesa dalle competizioni. Poi bisogna cercare i nomi decriptando i codici (spesso molto espliciti) sulle sacche di sangue. Birillo è Ivan Basso, Valv-Piti è Alejandro Valverde (che verrà però squalificato solo nel 2010 e dopo un iter burocratico che meriterebbe una storia a parte) e via così.
Alcuni si dicono totalmente estranei (prima di essere inchiodati dalle analisi del Dna), tanti non possono negare l'evidenza e confessano, fra questi Michele Scarponi.
Probabilmente vittima di un sistema diffuso, pressato dalla responsabilità di dover mantenere le aspettative, o più semplicemente spinto dalla sua stessa squadra, Scarponi si era ritrovato invischiato in una storia molto più grande di lui. Ne uscirà con una squalifica di 18 mesi e tornerà a correre solo nel novembre 2008 con l'Androni Giocattoli di Gianni Savio, una piccola squadra italiana che ha come unico obiettivo quello di farsi invitare al Giro d'Italia.
Quando torna, torna alla grande. Alla Tirreno-Adriatico vola letteralmente e vince una tappa e la classifica generale. Il problema però in questi casi di lunga assenza è riuscire a tenere una buona condizione a lungo, e infatti nelle Classiche va in difficoltà e al Giro non riesce a restare in classifica ma conquista due splendide tappe andando in fuga dalla lunga distanza che gli fanno guadagnare la convocazione per i Mondiali di Mendrisio.
Con la Nazionale Azzurra guidata da Franco Ballerini fa il gregario a tempo pieno. Entra nella fuga del mattino, si sacrifica e una volta ripreso si mette ancora a disposizione dei compagni di squadra.
Il volo
Il 2010 segna la sua definitiva rinascita. Vince ancora una volta la Settimana Ciclistica Lombarda, una corsa minore ma significativa per il fatto che è anche la sua prima vittoria da professionista. Poi vince ancora una tappa alla Tirreno-Adriatico.
Purtroppo la sua squadra non viene invitata alla Liegi-Bastogne-Liegi, forse nell'anno in cui Scarponi andava più forte che mai.
Al Giro d'Italia non si presenta nel lotto dei favoriti della vigilia. È il Giro delle grandi star straniere, degli Evans e dei Vinokourov, del ritorno di Basso e del suo giovane gregario, Vincenzo Nibali. Alla partenza si presentano anche il vincitore del Tour 2008, Carlos Sastre, e Bradley Wiggins. Ma lungo la strada si sgonfiano uno per uno. Si sgretolano sotto la pioggia, si bloccano nel fango, e quando c'è da recuperare le forze per affrontare le Alpi, esplodono.
La tappa decisiva si corre il 28 maggio, da Brescia all'Aprica passando per il Mortirolo. David Arroyo è in maglia Rosa dopo la tappa dell'Aquila, in cui grazie a una grande fuga-bidone aveva guadagnato più di 12 minuti. Alle sue spalle, Ivan Basso deve recuperare ancora 2'27” in classifica generale.
La Liquigas scatena l'inferno ai piedi del Mortirolo, Nibali va davanti e impone un ritmo insostenibile per buona parte del gruppo. Uno dopo l'altro si staccano tutti e rimangono in tre, da soli al comando: Nibali, Basso e Scarponi.
La picchiata giù dal Mortirolo è spaventosa, Scarponi disegna le curve con agilità, fa scorrere la bicicletta come una piuma su un foglio bianco. Alle sue spalle Basso scende con anche troppa prudenza, aspettato da Nibali. Ancora più indietro, Arroyo sfida le leggi della fisica per rimanere aggrappato al sogno di portare la maglia Rosa fino alla fine.
Sul traguardo dell'Aprica i tre di testa arrivano insieme ma è Michele Scarponi ad alzare le braccia al cielo secondo quell'antica legge non scritta del ciclismo che prevede che chi conquista la maglia Rosa lasci la tappa al compagno di fuga.
Nell'intervista dopo il traguardo Scarponi non riesce a esprimere come vorrebbe la sua felicità. È stanco, distrutto dopo una tappa difficile fatta a un ritmo forsennato. Risponde al giornalista con un tono che dev'essere sembrato un po' freddo anche a lui che immediatamente cerca di riparare con un goffo occhiolino.
È il volo più bello dell'Aquila di Filottrano, nel giorno in cui il ciclismo italiano festeggia il ritorno di Ivan Basso e saluta l'ascesa di Vincenzo Nibali. Scarponi chiude quel Giro al 4° posto in classifica generale, comunque il suo miglior risultato fino a quel momento. E torna al via l'anno dopo puntando con decisione alla vittoria.
Dopo due anni alla corte di Gianni Savio è passato alla Lampre, una squadra più attrezzata ma nella quale deve condividere la leadership con Damiano Cunego. Ma lungo la strada è chiaro chi sarà il capitano al Giro d'Italia.
Il percorso d'avvicinamento di Scarponi è perfetto: vince il Giro di Catalogna, una tappa alla Tirreno-Adriatico e la classifica generale del Giro del Trentino. Ma è alla Milano-Sanremo che si consuma una delle azioni più spettacolari della sua carriera.
Quella del 2011 è una Sanremo particolare, sotto una pioggia battente e con la salita delle Manie ancora nel percorso. È proprio nella discesa delle Manie che il gruppo si spezza in due tronconi: davanti sono circa una quarantina di avventurieri; dietro, il resto del gruppo tenta di ricucire lo strappo.
Ai piedi della Cipressa il gruppo mantiene però un ritardo superiore al minuto e le energie, dopo più di 260 km di su e giù sotto la pioggia, cominciano a scarseggiare. È il momento perfetto per Scarponi, che proprio sulla Cipressa si lancia in una caccia solitaria, a tratti anche folle e insensata. Davanti vanno a tutta velocità per prendere il Poggio con un buon margine di vantaggio sul gruppo inseguitore, collaborano tutti e sono in tanti. Scarponi rimane a metà strada, insegue a “pancia a terra”, maltrattato da un temporale primaverile. Dà l’impressione che una volta arrivato sul Poggio non avrà più le gambe neanche per tenersi in piedi.
Sul Poggio partono tutti a ripetizione, e lui è sempre lì. In fondo alla discesa è un susseguirsi di scatti, e lui rimane artigliato alle ruote dei suoi avversari. Rimangono in otto a giocarsi la volata sul Lungomare Italo Calvino. A vincere è l'unico velocista sopravvissuto alla tormenta, Matthew Goss. Alle sue spalle, nell'ordine, Fabian Cancellara, Philippe Gilbert, Alessandro Ballan, Filippo Pozzato e Michele Scarponi.
Ho mantenuto il commento originale; trovo che sentire persone così pacate che parlano in un idioma incomprensibile sia molto rilassante. Quasi quanto guardare Scarponi togliersi di ruota Kolobnev sulla Cipressa.
È il miglior piazzamento di Scarponi alla Milano-Sanremo di tutta la sua carriera. Un piccolo capolavoro dimenticato. Un mese e mezzo dopo è tempo di Giro d'Italia. Il favorito d'obbligo è Alberto Contador, che uccide la corsa già alla nona tappa, staccando tutti sull'Etna e poi ipoteca la sua maglia Rosa nella tredicesima tappa facendo ancora una volta il vuoto in salita.
Alle sue spalle si scatena la battaglia per il secondo posto. Nibali le prova tutte, attacca da lontano, in salita e in discesa, in ogni momento, pensabile e impensabile. Scarponi soffre, sfrutta ogni brandello di esperienza e conquista un secondo posto che vale oro.
Pochi mesi dopo Alberto Contador viene squalificato dopo un'assurda vicenda che ancora fa discutere. Tutti i suoi risultati ottenuti dall'agosto 2010 all'agosto 2012 vengono cancellati e sull'albo d'oro del Giro d'Italia accanto alla voce “maglia Rosa 2011” compare il nome di Michele Scarponi. È la sua vittoria più importante, anche se quella invece più bella arriverà diversi anni dopo.
Il Gregario più forte del Mondo
A quella vittoria fanno seguito due anni avari di trionfi ma densi di buoni risultati.
Al Giro d'Italia del 2012 chiude quarto dopo una crisi imprevista che lo toglie di mezzo per la vittoria finale. L'anno dopo coglie un ottimo piazzamento alla Liegi-Bastogne-Liegi e si presenta al via del Giro d'Italia con grandi ambizioni, anche se non riesce a migliorare il piazzamento dell'anno precedente. Ma se nel 2012 solo una crisi l'aveva fermato costringendolo fuori dal podio finale, nel 2013 il quarto posto ha il sapore di una mezza vittoria. L'età avanza, le gambe non sono più quelle di una volta. Gli manca il cambio di ritmo di qualche anno prima e anche quando Nibali parte con le sue progressioni gli è impossibile riuscire a tenere il passo.
Probabilmente tutte queste considerazioni devono essere passate anche nella sua testa quando decide, a fine 2013, di andare all'Astana per iniziare una nuova carriera da gregario. Dopo una caduta che lo costringe al ritiro dal Giro d'Italia, la squadra lo porta in Francia con Vincenzo Nibali. È qui che Scarponi scopre di essere il gregario perfetto. Sul passo in salita non lo batte nessuno, in discesa va giù che è una meraviglia e i più di dieci anni di esperienza lasciata alle spalle si rivelano una risorsa fondamentale per tenere Nibali fuori dai guai per tutto il Tour de France e guidarlo verso il trionfo di Parigi.
L'anno dopo Nibali lo vuole ancora al suo fianco al Tour de France e ancora una volta Scarponi si dedica anima e corpo al suo capitano. Lo trascina, letteralmente, nelle sue giornate di crisi e lo accompagna verso una rimonta che si compie solo a metà.
Nibali e Scarponi sono ormai una cosa sola. Nelle giornate tranquille sempre nella pancia del gruppo ad evitare guai, quando la strada sale uno a ruota dell'altro a spianare le montagne. Se il Giro d'Italia 2011 è ufficialmente assegnato a Michele Scarponi ma tutti riconoscono come vincitore Alberto Contador, il Giro 2016 è ufficialmente di Vincenzo Nibali ma una parte sostanziosa è di Michele Scarponi, il suo capolavoro.
La 19° tappa del Giro d'Italia 2016 misura 163 km, lungo un percorso che da Pinerolo a Risoul passa per il Colle dell'Agnello, la Cima Coppi di quell'edizione della Corsa Rosa.
Michele Scarponi è in fuga da solo, transita per primo in cima al Colle dell'Agnello mentre dietro un ritrovato Vincenzo Nibali attacca la maglia Rosa di Steven Kruijswijk che riesce a scollinare insieme a Nibali e Chaves ma cade in discesa e manda a schiantare le sue speranze contro un muro di neve a bordo strada.
Scarponi mantiene un bel vantaggio anche in fondo alla discesa, ma nel falsopiano successivo si ferma e aspetta il suo capitano. Una decisione che dà l’idea della sua assoluta dedizione alla causa. Scarponi accompagna Nibali finché può, lo tira via dalla pianura per lanciarlo più in alto possibile, a ricongiungersi con gli eroi del ciclismo.
Il video è lungo, ma se avete il tempo di guardarlo non ve ne pentirete. Una delle tappe più belle degli ultimi anni.
L'aquila e il pappagallo
L'inverno per un appassionato di ciclismo è una lunga pausa fra il Giro di Lombardia e la Milano-Sanremo. Per un capitano è il periodo in cui si va in luoghi esotici a preparare la stagione successiva. Per un gregario è il momento per tornare a casa e allenarsi da solo per le strade del paese.
Dopo la Vuelta 2016, iniziata da gregario e conclusa da capitano al settimo posto, Michele Scarponi torna al suo nido e si allena da solo intorno a Filottrano. Succede però che a un certo punto un pappagallo giallo e azzurro si mette a volare accanto a lui e lo accompagna lungo la strada. Il giorno dopo è ancora lì e così anche il giorno seguente, finché lui e il pappagallo non diventano amici - se si può definire amicizia quella fra un uomo e un pappagallo. Come prima cosa gli dà un nome, Frankie. Poi inizia a farlo salire sul manubrio o sulla schiena, mentre pedala per le strade di Filottrano.
Pochi giorni fa, il 17 aprile al Tour of the Alps (l'ex Giro del Trentino), Scarponi ha conquistato la sua vittoria più bella. Di forza, di rabbia, di esperienza e grinta. L'ha dedicata ai suoi figli che sono troppo giovani per averlo visto correre quando il suo lavoro era vincere sempre. L'ha dedicata alla sua squadra, con la quale ancora non aveva mai vinto. Poi è tornato a casa, ad allenarsi per un Giro d'Italia a cui avrebbe partecipato coi gradi di capitano.