Fabio Fognini è sul campo centrale del torneo di Montecarlo, si giocano i trentaduesimi del torneo contro Andrej Rublëv, in svantaggio nel punteggio per 6-4 4-1. Dietro l’angolo c’è la quinta sconfitta al primo turno consecutiva, eppure Fognini non si agita, non cerca a tutti i costi un punto di rottura. Fognini per certi versi non sembra voler esercitare controllo sulla propria mente: lascia che siano singoli episodi o fattori esterni a determinare il suo slancio emotivo del momento.
Fognini serve sotto 4-1, con un break di svantaggio, e deve fronteggiare una palla del doppio break, una specie di match point quindi. Serve però un ace di seconda che accende l'entusiasmo del pubblico di Montecarlo, il suo stadio di casa. In quel momento Rublëv si spaventa: conosce la propensione del suo avversario ad accendersi e spegnersi in poco tempo nella partita. Nel game successivo il russo cala subito la sua intensità nell'anticipo e la sua precisione nei tentativi di conclusione con il dritto, concedendo il contro-break che fa girare la partita.
La svolta precoce al suo torneo Fognini l'ha trovata in un evento casuale. Quell'ace di seconda sulla riga, quella naturalezza che non si preoccupa delle conseguenze avrebbe dovuto rivelare la sua fragilità mentale ma ha finito per diventare la sua forza. Per anni si è discusso sulla necessità di un “salto di qualità” a livello mentale che secondo quasi tutti, giustamente fino a un certo punto, Fognini avrebbe dovuto compiere. Forse, però, si è sottovalutato anche quanto il suo temperamento squilibrato possa funzionare in determinati contesti, imprevedibilmente. Forse la mentalità comune ci ha fatto dimenticare che non esiste un solo modo di vincere mentalmente una partita di tennis.
La fragilità di Fognini ha una sua efficacia
Poco prima di mettere a segno quell'ace di seconda contro Rublëv che gli ha cambiato il torneo, Fognini aveva scagliato in tribuna una palla in preda alla frustrazione. Sono stati proprio questi tipi di momenti in cui perde il controllo a definire la narrativa principale di Fognini, sua incompiutezza. Il suo tennis facile e decontratto ha rappresentato il pretesto per evidenziare lo scollamento con l’intensità mentale. Non si è invece presa in considerazione l'ipotesi che ne fosse parte integrante.
Il tennis di Fognini è creativo e imprevedibile, e non avrebbe forse la stessa brillantezza se fosse ingabbiato in schemi più rigidi. Del suo aspetto psicologico si sono evidenziati i lati negativi: l'incapacità di concentrarsi, di trovare continuità, che sarebbero un indice della sua scarsa mentalità vincente. Il suo atteggiamento andrebbe però per una volta interpretato in senso pragmatico: Fognini è così perché non riesce ad essere altro, e il suo atteggiamento è espressione di un'identità profonda. Un'identità che è forse alla base della sua vittoria a Montecarlo, oltre che della sua assidua presenza nella top-20.
La fluidità e la decontrazione del tennis di Fognini sono lo specchio del suo carattere. Prendiamo il suo talento più evidente, quello del senso del tempo sulla palla. Un talento che un maestro come Nikolaj Davydenko esprimeva con grande rigidità, continuità e precisione nei continui aggiustamenti dei piedi nella ricerca della palla; il “timing” di Fognini deriva invece dal suo fiuto naturale nell'esecuzione dei gesti tecnici. Fognini in realtà ha molte lacune nella ricerca della palla: la sua pigrizia gli impedisce spesso di compiere quei piccoli passetti di aggiustamento quando non tutto nella prima preparazione al colpo è andato per il verso giusto, causando imprecisioni o stecche. Non è chiaro se sia una questione di semplice pigrizia, di scarsa attenzione al lavoro. Fognini in un certo senso sembra aver paura che una maggiore dedizione ai piccoli dettagli, a una micro-gestione del suo tennis, possa farne perdere la sua espressione più naturale.
Contro Nadal nella semifinale di sabato scorso. L'indolenza nell'uso delle gambe è direttamente proporzionale alla facilità del gesto tecnico, oltre che alla decisione nel colpire la palla e alla facilità nel cambio di ritmo e nell'esecuzione di smorzata e pallonetto. Tutte qualità fondamentali per togliere certezze al re della terra battuta.
Nonostante un'eccezionale capacità di anticipo e tempo sulla palla, Fognini ha iniziato troppo tardi a essere competitivo sul cemento, forse in seguito a una posizione più avanzata sul campo acquisita grazie al doppio. Una maggiore cura nei movimenti laterali e nella ricerca della palla lo avrebbe aiutato a ottenere anche sui campi duri gli stessi risultati che ha ottenuto sulla terra. Ne avrebbe però forzato una maggiore rigidità di esecuzione che - forse - avrebbe posto un freno al suo estro. La stessa mancanza di sostanziali progressi al servizio negli anni - un colpo forse più semplice degli altri da migliorare in virtù del fatto che si ha la palla in mano - contribuisce alla sua immagine di giocare pigro e scostante.
E forse è proprio questo il paradosso irrisolvibile di Fognini: un talento che ha bisogno di nutrirsi della sua indolenza per non comprometterne la leggerezza. Un equilibrio immodificabile in uno sport che ci mette poco a rispedire nella mediocrità chi perde anche solo una minima parte della propria armonia interiore. In un certo senso Fognini ha bisogno anche delle sue espressioni più maleducate per dare sfogo ai suoi istinti e mantenere alta la propria facilità di gioco.
La vittoria più importante
Il successo di Montecarlo ha risolto positivamente il suo paradosso, ma anche in questo torneo Fognini ha rischiato l'eliminazione al primo turno per pochi centimetri su quella seconda di servizio. Anche a Montecarlo ha danzato in quel confine labile che separa i due lati della sua identità, abbracciando poi la sua parte più luminosa nel successo in semifinale contro Rafael Nadal. Una vittoria sorprendente per come è arrivata, nonostante le diverse vittorie di Fognini su Nadal mostrino come le caratteristiche tecniche e mentali di Fognini siano perfette per spezzare il ritmo e le certezze del grande dominatore della terra battuta.
All’inizio Fognini non ha voluto abbandonare la sua identità neanche nella finale contro Dusan Lajovic, un giocatore inferiore sotto tutti i punti di vista. Fognini ha preparato la partita provando le uscite lungolinea in allenamento - come sottolineato in telecronaca su Sky da Elena Pero - per non prolungare gli scambi e non diminuire il margine di rischio dei suoi colpi, rendendo in quel caso la partita più importante della sua carriera un esercizio cerebrale di tattica che non gli appartiene, e che gli avrebbe frenato la facilità di esecuzione.
A fine partita Fognini ha avuto una superiorità abbastanza marcata sia nei punti a media lunghezza (21-17 negli scambi tra 5 e 9 colpi compresi) sia in quelli brevi (34-26 negli scambi da 1 a 4 colpi), ma ha invece registrato una sostanziale parità negli scambi da 10 colpi in su, chiudendo con un attivo di 14-13. Fognini ha cercato il rovescio lungolinea soprattutto nel primo set, forse temendo anche la maggiore rotazione del rovescio a una mano di Lajovic su quella diagonale, un colpo che ormai negli ultimi anni sta diventando sempre più efficace sulla terra rispetto alle altre superfici.
Fognini non subisce la parabola arrotata e profonda del rovescio in top di Lajovic e gioca un lungolinea micidiale, chiudendo poi con successo a rete con una naturalezza disarmante e senza un'accurata ricerca dei passi e della posizione.
La situazione si è in parte ribaltata nel secondo set, quando è stato Lajovic a cambiare più spesso giocando i rovesci lungolinea, forse perché temeva che - bloccando il gioco sulla diagonale sinistra - Fognini avrebbe preso il sopravvento girandosi sul dritto a sventaglio, un colpo che Lajovic ha sofferto per tutta la partita quando giocato sul suo rovescio. Nel secondo set Fognini ha forse iniziato a sentire davvero la pressione del successo e in suo soccorso sono arrivati alcuni errori di Lajovic nei momenti chiave: forse contro un giocatore più esperto Fognini non avrebbe passato indenne il suo calo di intensità nel secondo set.
Fabio Fognini diventa così il primo italiano ad avere successo in un Master 1000 dal 1990, da quando esistono cioè gli "ATP Championship Series" - i nove tornei più importanti dopo Slam e Master di fine anno - e per la prima volta eguaglia la miglior classifica di uno degli esponenti dell'epoca d'oro degli anni Settanta, cioè Paolo Bertolucci al numero 12 del ranking. Il successo di Fognini si incastra in un'epoca dove è sempre più evidente il calo della solidità dei grandi del tennis. Forse era questo a mancare alla prospettiva di Fognini: la capacità di rendersi un candidato credibile ai successi nei tornei più importanti alle spalle dei grandi, di diventare un outsider fisso, un regolare quartofinalista o semifinalista.
È difficile che il successo a Montecarlo modifichi il carattere di Fognini rendendolo più attento ai dettagli del suo gioco. Forse, però, essersi tolto di dosso la pressione di dover dimostrare di essere un potenziale vincitore di un torneo importante, di mettere quindi almeno in parte a frutto il proprio talento, lo aiuterà a incanalare la sua indole creativa da guascone in una prospettiva più produttiva. Magari, a 31 anni, vedremo più spesso un Fognini simile a quello che abbiamo visto con Nadal, e sempre meno un giocatore puramente squilibrato, vittima perenne della propria collera e della propria insicurezza.
Fognini non risolverà mai il paradosso che tiene assieme la sua efficacia con la sua indolenza, e forse anche dopo questo prestigioso successo tornerà a subire qualche sconfitta deludente. Tuttavia, la vittoria a Montecarlo per la prima volta ha mostrato il potere del suo temperamento, della mancata forzatura della sua indole. Forse per la prima volta, andando oltre le sue qualità tecniche e fisiche, si è arrivati a comprendere il lato forte del carattere di Fabio Fognini.