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Il meglio dell'Europa League vol. 7
24 feb 2017
Gli spunti più luminosi dalla coppa continentale meno luminosa.
(articolo)
17 min
(copertina)
Foto di Vincenzo Pinto / Getty
(copertina) Foto di Vincenzo Pinto / Getty
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Fiorentina, un anno dopo

Sulla punizione con cui Lars Stindl e il Borussia Mönchengladbach di fatto hanno deciso la partita, battuta a ridosso dell’area di rigore sul lato destro del campo, la Fiorentina schierava dieci uomini in linea (di cui due in barriera) che coprivano longitudinalmente tutta l’area di rigore, un paio di metri all’interno della stessa.

Con un po’ di fortuna e un po’ di riflessi pronti, il tiro di Stindl, servito rasoterra al limite dell’area in posizione centrale, avrebbe potuto essere deviato, e invece la sua conclusione ha trovato un corridoio beffardo tra i tre o quattro uomini più vicini, depositandosi nell’angolino basso sul primo palo.

Con un po’ di esperienza e un po’ di solidità mentale in più, però, si poteva cercare di tenere d’occhio la posizione di Stindl anticipando lo schema del ‘Gladbach, quantomeno come forma di rispetto verso i due gol appena segnati dal suo capitano.

Con un po’ di consapevolezza in più, la Fiorentina avrebbe potuto capire che in quel preciso momento l’inerzia della partita stava scivolando fuori dal suo controllo.

La Fiorentina ha improvvisamente dimenticato come si difende tra la fine del primo tempo e l’inizio del secondo: in poco più di quindici minuti ha subìto 6 tiri in porta e 4 gol, nati da altrettanti calci piazzati.

54,6% è il dato di possesso medio nella partita di ieri, che scende però a 41,3% se ci limitiamo a considerare quel drammatico frangente. Non appena la squadra di Sousa ha perso il controllo del pallone, ha perso anche aggressività, compattezza, comunicazione, e ha iniziato ad abbassarsi, fino a portare Kalinic nella propria area di rigore; tanto che alla fine del primo tempo si vedono Christensen e Vestergaard, i difensori centrali del Gladbach, stazionare serenamente a sessanta metri dalla propria porta.

La partita, va detto, cambia con l’infortunio di Hazard e l’ingresso di Drmic, che trascina l’intensità su un piano insostenibile per la Fiorentina, una squadra poco intensa.

Paulo Sousa ha schierato l’undici titolare, praticamente lo stesso che un anno fa era stato schiantato 3-0 a White Hart Lane, con tre eccezioni, due delle quali particolarmente significative per rappresentare la mancata evoluzione del progetto: Carlos Sánchez e Maxi Olivera.

Sánchez e Olivera

Nella posizione di centrale destro di difesa ed esterno sinistro di centrocampo, l’anno scorso agivano Tomovic (che è sembrato inadatto a questi livelli) e Marcos Alonso, nel frattempo passato al Chelsea di Conte. Era lecito aspettarsi che il salto di qualità della Fiorentina partisse proprio dalle posizioni scoperte, per arrivare a strutturare una formazione globalmente competitiva, considerando anche la ricca cessione di Alonso che lasciava sperare in altrettanto ricchi investimenti.

E invece, nel doppio confronto che ha visto la Fiorentina uscire ai sedicesimi di Europa League, non solo Sánchez e Olivera non sono stati tecnicamente all’altezza dell’avversario, ma hanno addirittura palesato imbarazzo nel giocare il 3-4-2-1 di Sousa.

Probabilmente Sánchez non è abituato a concentrarsi sulla fase difensiva con la frequenza che gli è richiede Sousa, e quelli che dovrebbero essere automatismi - come controllare l’uomo e la linea contemporaneamente - a lui non riescono naturali. Nell’occasione del rigore, è evidente come fatichi a capire la posizione che deve coprire: un movimento ampio di Hofmann è sufficiente a mandarlo fuori equilibrio.

Olivera, invece, ha vissuto un impatto più complesso con il calcio europeo, e in fondo è alla prima esperienza fuori dall’Uruguay, ma ha sicuramente deluso sul piano della personalità: è raro vederlo arrivare sul fondo, o tentare la soluzione di passaggio più rischiosa. In più, ha pochissima consapevolezza dei tempi di uscita e dello spazio alle sue spalle. Dalla fascia destra del Gladbach, esattamente come nella gara di andata, sono arrivati i pericoli maggiori, tra cui i due calci d’angolo e la punizione che nel secondo tempo hanno piegato la resistenza della Fiorentina.

Sul 2-2, la Fiorentina va in crisi di identità: attaccare per richiudere la partita o difendere il risultato? Ne esce fuori una squadra spezzata e schizofrenica.

Chiesa

L’ulteriore novità rispetto alla passata stagione è Federico Chiesa, che ha preso a destra il posto di Bernardeschi, ormai stabile sulla trequarti nella posizione che era di Ilicic (lo sloveno è entrato nell’ultima mezz’ora, proprio al posto di Bernardeschi, e ha fatto in tempo a prendere una traversa su punizione).

Chiesa ha giocato una partita solida, in linea con le sue caratteristiche da giocatore poco associativo, con la testa bassa e il pieno di energia nel serbatoio. Non ha i lampi del fuoriclasse, ma è sicuramente più a suo agio di Bernardeschi nell’interpretazione del ruolo di esterno a tutta fascia.

Ha tentato 7 dribbling (primo giocatore in campo, mentre il Gladbach, in tutto, ne ha tentati 10) e gliene sono riusciti 3, ma ha anche subito 3 falli. Ha tirato 4 volte verso la porta (primo della Fiorentina, secondo giocatore in campo) e l’ha centrata una volta sola.

In questo momento, Chiesa è un giocatore di volume, fa talmente tante cose che non è un problema se non le fa benissimo, anzi, in una squadra che impone la superiorità numerica centrale, una risorsa del genere sulle fasce è molto preziosa. Piuttosto, è paradossale che l’unico innesto funzionale al sistema sia stato pescato dalla Primavera.

Fine corsa?

Mancano esattamente tre mesi al termine della stagione regolare, il sesto posto in campionato sembra irraggiungibile, e la speranza di rimediare con una serie di grandi prestazioni in Europa è morta sul nascere.

Per la Fiorentina questo finale di stagione può rivelarsi l’occasione ideale per pianificare il futuro con le idee più chiare e un tempo più che sufficiente a disposizione. Per invitare Enzo Miccio in sede e iniziare a fare una cernita nel grande armadio degli asset societari: cosa buttare, cosa reinventare, cosa riciclare.

Fugaci momenti di bellezza: Bernardeschi è ormai in grado di spezzare una partita con un contrasto vinto a centrocampo, mentre Borja e Kalinic si muovono col pilota automatico

Al di là delle situazioni contrattuali incerte (G. Rodríguez, Ilicic), le priorità sul mercato sono le stesse di un’estate fa, un difensore centrale destro e un esterno sinistro, mentre come dimostra il quinquennale firmato a gennaio, Chiesa rappresenta sicuramente uno dei punti fermi da cui ripartire. Questo, al di là della permanenza (che francamente sembra sempre meno probabile a giudicare dalle motivazioni trasmesse alla squadra) di Paulo Sousa in panchina, e quindi dalla conferma di quel modulo fluido che appena un anno fa stupiva in positivo tutta la Serie A.

Il tempo è passato veloce per la Fiorentina, ma se l’ossatura della squadra dovesse restare anche per la prossima stagione il trio Bernardeschi-Borja Valero-Kalinic - e al momento non c’è motivo per pensare il contrario - probabilmente è proprio il 3-4-2-1 di Sousa il sistema migliore per farli coesistere. In questo senso, la società toscana si potrebbe trovare di fronte al paradosso di sostituire un allenatore cercandone uno che ne condivida le idee oppure si potrebbe pensare a una rivoluzione tecnica (tagliando magari anche qualche testa eccellente, ma quest’anno in calo, come Gonzalo) prima che tattica.

In ogni caso, non è mai stato chiaro come in quei 15’ contro il ‘Gladbach che la Fiorentina ‘16/’17 non è che il fantasma della squadra dello scorso anno. Sconfitte di questo tipo sono dure, ma sanno anche di punto basso da cui non si può che risalire, con le forze e le intuizioni giuste.

I 4 momenti più imbarazzanti della partita di Vermaelen

L’arrivo di Thomas Vermaelen alla Roma aveva generato più di un dubbio sull’integrità fisica del difensore. I tifosi della Roma erano sostanzialmente divisi tra chi si credeva molto furbo ad aver sfilato al Barcellona un difensore di livello per due spicci; e chi invece pensava di aver portato a casa il solito pacco di mattoni. Qualche mese, e 100 giorni saltati per infortunio dopo, Vermaelen ha giocato poco più di 500 minuti. Con lui in campo la Roma ha ottenuto 2 vittorie, 2 sconfitte e 1 pareggio (un terzo delle sconfitte stagionali sono arrivate con lui in campo) e la domanda non è più se Vermaelen può giocare, se è al 100%, ma se è davvero in pieno controllo del proprio corpo. I tifosi della Roma sono passati dall’augurarsi che guarisca all’augurarsi che non guarisca.

Prima della partita col Villarreal però Vermaelen aveva caricato la propria prestazione: «Ora voglio dimostrare chi sono». Si è presentato con una mano fasciata per motivi oscuri - alcune leggende di Trigoria narrano di lui come un “uomo farfalla”, affetto dalla rara malattia delle ossa di cristallo - e ha fatto di tutto per riaprire il discorso qualificazione.

Ecco i 4 momenti più imbarazzanti della partita di Vermaelen di ieri, quelli in cui ci siamo vergognati per lui.

Il momento in cui ha fatto un assist per l’attaccante avversario

Dopo 15’ Soldado crossa in mezzo. Vermaelen stava passeggiando verso la porta e la palla gli arriva sul sinistro, il proprio piede, per un bel disimpegno. Invece la sbuccia di piatto mettendola giusta giusta per il tiro di collo di Santos Borré.

Il momento in cui aveva deciso di andare a segnare nella propria porta

A un certo punto ha tentato due dribbling rischiosi contro gli attaccanti del Villareal, poi si è girato verso la propria porta come per andare a farsi autogol. Fermato da Bruno Peres appena in tempo.

Il secondo momento in cui stava per fare un assist per l’attaccante avversario

Vermaelen trasmette una tipica ansia da film horror, una sensazione paragonabile a quando vediamo una vittima ignara che non vede quello che vediamo noi: un mostro pronta a sbranarla alle sue spalle.

Il momento in cui gli è venuta in mente un’altra cosa proprio mentre doveva andare in chiusura

Capita a tutti. Con un po’ di attenzione è possibile visualizzare il momento preciso in cui Vermaelen si ferma, non seguendo nessuno, perché non è sicurissimo di aver chiuso la macchina.

Prima della partita Vermaelen aveva dichiarato: «Voglio giocare qui, dove sono ora, dimostrare quanto valgo ed essere in forma e restarci a lungo». Una minaccia bella e buona.

Le sorprese dei sedicesimi

Quando non tifiamo, ma guardiamo calcio, ci piace rimanere piacevolmente o spiacevolmente sorpresi. La sorpresa è parte del calcio, ci ricorda che niente è scritto e che ogni partita di Europa League deve essere preparata anche contro squadre di Cipro (tranne quando giochi contro il Siviglia, quando giochi contro il Siviglia non puoi vincere). Questi sedicesimi ci hanno regalato diverse sorprese, e noi ci andiamo a vedere le più sorprendenti.

Zenit San Pietroburgo che prima segna i tre gol necessari e poi si fa infinocchiare dall’Anderlecht

Lo Zenit era quasi riuscito nell’impresa di sorprendere la sorpresa. Dopo una partita di andata disastrosa, in cui aveva perso per due a zero grazie a due gol di Acheampong, uno che finora aveva segnato due reti in tutta la stagione, lo Zenit era chiamato all’impresa tra le mura amiche. I russi allenati da Lucescu, uno che non molla mai, ci hanno provato, eccome si ci hanno provato, chiudendo l’Anderlecht nella loro metà campo e chiudendo la rimonta al 78° minuto grazie al gol di Giuliano (che ha giocato una grande partita).

Ma quando sembrava che nessuna sorpresa potesse scuotere lo Zenit, tra i favoriti alla vittoria finale, è arrivato il terzo grado di sorpresa. L’Anderlecht dopo aver passato ottantacinque minuti in difesa si butta in avanti e trova il più classico dei gol di chi si butta in avanti: cross dalla destra, sponda di testa, gol di testa della punta Thelin, e la sorpresa è ripristinata.

Una foto di Lucescu ieri, pronto ad una nuova carriera di pescatore di granchi nei mari russi.

L’APOEL Nicosia che elimina l’Atletich Bilbao come se fosse normale

Se pensavate che una sconfitta onorevole al San Mames fosse la massima soddisfazione raggiungibile dal APOEL Nicosia in Europa League, forse non conoscete l’Apoel Nicosia. Bene, siete in buona compagnia. Quello che ha sorpreso è l’autorità con cui la squadra cipriota si è sbarazzata della più forte avversaria spagnola, partendo da un gol di svantaggio. La rete che spariglia l’incontro all’inizio del secondo tempo è poi un vero gioiello di Sotiriou, attaccante che sta mettendo a ferro e fuoco il campionato cipriota e che esulta ancora facendo la dab. La sua acrobazia zlatanesca merita di essere vista:

L’Athletic prova a rientrare producendo uno sforzo offensivo importante, saranno venti i tiri alla fine, ma si accorge di quanto è difficile segnare quando manca Aduriz, infortunato. Alla fine l’APOEL raggiunge per la prima volta nella sua storia gli ottavi di Europa League (auguri!) e non si può non essere contenti per una squadra che ha mostrato come compattezza, intensità e l’assenza del miglior giocatore degli avversari possono portare al rovesciamento più inaspettato di giornata.

Il Tottenham che vuole diventare il nuovo Arsenal, ma un pochino peggio

Il Tottenham è una squadra molto giovane, che ha investito molto in strutture e stadio, che sta cercando una sua dimensione nel campionato più faticoso del mondo e che forse ha bisogno di tempo. Ecco, tutto questo non giustifica neanche un po’ l’essere usciti ai sedicesimi di Europa League, dopo essere arrivati terzi in un girone di Champions non impossibile. L’avversario degli inglesi, infatti, è ottava nel campionato belga e deve la sua fama ad un indiano nello stemma e al fatto che molto spesso la gente la confonde con la squadra del Genk (che affronterà negli ottavi di finale, pensa un po').

Dopo aver perso per uno a zero all’andata, si pensava che sul campo neutro ma neanche troppo di Wembley, il Tottenham avrebbe fatto valere tutte le categorie di differenza schierando la miglior formazione con Delle Alli e Eriksen dietro a Kane. Ad un vantaggio lampo, arrivato grazie ad uno stop così incredibilmente fortunoso da essere bellissimo del trequartista danese, non ha però corrisposto un totale controllo sulla gara. Il Gent rientra una prima volta grazie all’autogol di Kane, che di testa devia in porta una punizione, e rimane anche in superiorità numerica perché al 40° del primo tempo a Delle Alli, boh, gli è partita la brocca.

Entrataccia su tela.

Il secondo tempo è veramente molto - possiamo dirlo? - Tottenham. Con la squadra di Pochettino che anche con un uomo in meno riesce a sprecare occasioni su occasioni fino a raggiungere il gol che lo avvicina alla qualificazione con Wanyama, l’unico che non dovrebbe segnare lì in mezzo, che con un bel piatto destro sembra togliere gli spettri dall’armadio di Pochettino. Ma non hanno fatto i conti con il loro destino. Dopo aver mancato, sempre con l’uomo in meno, diverse occasioni per il 3 a 1 che li avrebbe qualificati, al minuto 82 vengono infilati come polli a causa del peggior posizionamento difensivo visto in questo turno di Europa League.

L’esatto momento che precede il passaggio che taglierà la difesa del Tottenham.

Perbet ringrazia e porta il Gent agli ottavi, così da permetterci di scrivere che anche quest’anno le squadre inglesi andranno come treni in patria, ma in Europa, molto male. E anche per dire che questo è l’anno del Belgio, almeno per altre due settimane.

Sorpresa nella sorpresa: nel Gent il portiere si chiama Kalinic, ma non è parente.

Antonio Cassano award

Inizia oggi la nostra meta-rubrica più malinconica, quella dedicata al gol più inutile del turno di Europa League. La rubrica è dedicata al gol di Antonio Cassano alla Bulgaria a Euro 2004: un gol tristemente inutile ai fini della qualificazione, coronato con un pianterello in panchina (unico momento di autentica sensibilità della carriera di Cassano).

Lo Zenit, dopo aver ceduto Hulk e Witsel in Cina, ha sicuramente perso nel talento dei singoli, ma ne ha guadagnato nel gioco. Sotto la guida tecnica di Lucescu, allenatore col marchio garanzia Europa League, i russi hanno disputato un girone ottimo vincendo le prime cinque partite e finendo come secondo miglior attacco dopo lo Shakhtar. Contro l’Anderlecht anche se sconfitti per 2 a 0 all’andata, dove avevano comunque avuto molte occasioni, non partivano del tutto battuti. Lasciato in panchina il tragicomico Ivanovic, lo Zenit ha bersagliato la trequarti dei belgi di bel gioco e occasioni alla ricerca dei gol qualificazione. Il gol del 2 a 0 è il manifesto di questa superiorità: 3 passaggi trasformano un tranquillo pallone a centrocampo in un gol facile facile di Dzyuba, la dimostrazione di quanto sia poi semplice il calcio se le distanze sono giuste e il pensiero rapido. Poco dopo arriverà anche il terzo gol per dare l’illusione ai russi. Abbiamo premiato un gol collettivo perché crediamo che sia questo il vero spirito della competizione: impegnarsi tutti insieme per novanta minuti per fare 3 gol e poi subire il gol che ti elimina nel recupero grazie all’unico tiro in porta degli avversari.

Le maglie che ci mancheranno (e che dovreste comprare)

Quando pensate alle squadre eliminate dall’Europa League, cosa vi manca veramente? I giovani talenti? Nì, molti ne rimangono, molti altri giocano altre competizioni. Gli allenatori bravi? No, se erano così bravi avrebbero guidato la squadra al passaggio del turno. Il Siviglia? Fatevene una ragione: quest’anno la squadra andalusa non vincerà l’ambita coppa. Quello che ci mancherà sono le maglie. L’Europa League è una competizione piena di maglie incredibilmente Europa League, abbiamo scelto le 5 più Europa League tra quelle delle squadre appena eliminate.

Athletic Bilbao

Grande classico della lotta identitaria, anche la maglia dell’Atleti non ha resistito alla modernità e quest’anno ha stretto le righe. Eppure non ha perso neanche un grammo del suo fascino, confermandosi una delle maglie più belle di un torneo che fa dell’identità il motivo quasi unico della sua esistenza. Particolarmente azzeccato l’abbinamento bianco e rosso col pantaloncino nero, che sicuramente sarebbe piaciuta ai Neoplasticisti olandesi.

Perché comprarla: è la maglia preferita di Jack White.

Perché non comprarla: le righe strette non vanno bene se avete la pancia.

Zenit San Pietroburgo

Dove la trovate un’altra sfumatura dal blu all’azzurro così ben fatta? Il cielo sopra San Pietroburgo potrebbe non essere così splendete dopo l’eliminazione beffa con l’Anderlecht, ma sicuramente rimane bellissimo sulle loro maglie e sull’Europa League. Il gioco con cui le varie tonalità di blu e azzurro si incrociano per dare l’effetto sfumato colpisce l’occhio, in più con lo sponsor Gazprom potrete rompere il ghiaccio con le russe, se questo è quello che vi aspettate da una maglia di calcio. Tra l’altro non ci sarebbe da stupirsi se entro il 2020 il nome ufficiale della competizione dovesse diventare Gazprom Europa League Siviglia.

Perché comprarla: abitate in un posto in cui il cielo non si vede mai.

Perché non comprarla: siete diffidenti verso le politiche di Putin.

Legia Varsavia

Total verde bottiglia, striscia diagonale nera, bandiera polacca sul petto, adesivo ovale per la targa del Lussemburgo: io non lo so cosa volete di più da questa competizione. È il tipo di maglietta sobria che puoi usare anche ad una cena informale con i colleghi di lavoro senza sembrare eccessivamente scemo. I giocatori del Legia la indossano con grande eleganza, particolarmente azzeccata è la scelta di indossare una sotto maglia di un verde leggermente più scuro per spezzare un po’, ma senza perdere quel effetto bottiglia di birra che tanto piace ai tifosi.

Perché comprarla: vi piacciono le bottiglie.

Perché non comprarla: essere scambiati per tifosi del Legia Varsavia potrebbe non migliorare la vostra vita.

Sparta Praga

Abbiamo calcolato che se state leggendo un pezzo sull’Europa League di venerdì pomeriggio ci sono un 53% di possibilità che siete – o siete stati – comunisti. Ecco, la storia dello Sparta non è così amica con la cortina di ferro, però che ne sappiamo noi gente semplice dell’Europa League? Rosso bruno molto elegante, stemma che arriva dritto dall’Est Europa e sponsor tecnico Nike: una maglia che vive di contraddizioni, così come l’Europa e l’Europa League. Piace particolarmente perché è perfetta da regalare alla vostra ragazza comunista.

Perché comprarla:

Perché non comprarla:

Osmalispor

Inaspettatamente, mentre nessuno si occupava di lei, l’Osmalispor brillava di luce propria con questa maglia bellissima. E cosa c’è più Europa League di questo? Con una maglia completamente nera aggraziata da un grosso intarsio dorato all’altezza del fianco sinistro che richiama le tradizioni tessili ottomane, l’Osmalispor vince di diritto la classifica delle maglie delle squadre eliminate. Purtroppo non è molto facile acquistarle online e potremmo scegliere uno fra tutti i lettori dell’Ultimo Uomo che si accolli il viaggio fino ad Ankara per comprarne il più possibile, se siamo fortunati vendono ancora a prezzi scontati le due maglie dello scorso anno, che anche se non vi sembra possibile sono ancora più belle (le trovate qui e qui).

Perché comprarla: vi piace essere fichi?

Perché non comprarla: già la possedete.

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