Per capire con quale contesto arriva la Spagna a questo Mondiale prendo in prestito le parole di Andrés Iniesta: «Questo Mondiale è una sfida enorme perché veniamo da due delusioni: l’Europeo del 2016 e il Mondiale 2014. Il Mondiale 2014 è stato orribile, veramente. Siamo usciti quando nessuno se lo aspettava. Adesso la squadra sta molto bene, ha un ottimo mix di gioventù e esperienza. Io sono ottimista».
Lopetegui aveva raccolto una squadra mentalmente ferita e nelle 20 partite giocate come selezionatore della Spagna negli ultimi due anni ne ha vinte 14 e pareggiate 6. Arrivava al Mondiale, quindi, da imbattuto. Per quel poco che poteva valere un record simile, era comunque un punto di partenza per un ambiente scosso dall’ultimo Mondiale in Brasile e dall’Europeo in Francia.
La generazione d’oro spagnola è ancora presente nell’11 della Spagna, rappresentato da Iniesta, Busquets, David Silva, Sergio Ramos e Piqué; ma la paura di essere ormai al tramonto era stata spazzata via dal lavoro di Lopetegui, che era riuscito là dove Del Bosque aveva fallito: nel compiere un ricambio generazionale in grado di far tornare la Spagna competitiva anche dal punto di vista tattico, non solo per il talento dei giocatori.
Ci sono anche bei ricordi, non troppo lontani nel tempo in fondo.
Quanto contava Lopetegui
Lopetegui è stato scelto perché più di tutti conosce da vicino la generazione della Spagna ora nel picco: quella di Isco, Koke, Thiago, Carvajal, De Gea, Morata, Rodrigo Moreno, Nacho, Illarramendi, Bartra solo per fare alcuni nomi. La conosce bene perché l’ha allenata nell’ under 21 nell’Europeo dominato nel 2013. Quindi, indipendentemente dall’intrico di errori che ne ha sancito l’esonero, va detto che non c’era uomo più preparato per gestire un momento tanto delicato nella storia della nazionale spagnola.
Lopetegui, d’altra parte, si sente ancora uomo di campo. Dice di fare l’allenatore perché «è il modo più vicino a poter avere le stesse sensazioni in campo di quando si è calciatore» ed è da sempre a suo agio con i giovani, tanto da non fermarsi all’entrata della “sua” generazione, ma da aggiungere anche quella successiva: quella di Saúl, Asensio, Odriozola, Kepa, Yeray, Suso, Rodri e Vallejo. Nel percorso delle qualificazioni ha unito le tre generazioni: «Siamo arrivati con alle spalle due tornei in cui le cose non sono andate come si sperava. Però a volte il fatto di non superare un turno non significa che le cose stiano malissimo. Noi abbiamo trovato una squadra in buona salute, certo con i successi del passato ormai lontani, però con una buona nuova generazione. Be’, io dico sempre che in Spagna c’è sempre una buona generazione di calciatori. Però credo che non ci faccia bene compararci con l’unica generazione della storia del calcio spagnolo ad aver vinto un Mondiale e in generale una delle migliori generazioni della storia del calcio in generale».
Lopetegui sembrava nato per allenare la Nazionale. È uno di quegli allenatori attenti alla “famiglia dello spogliatoio”, come la chiama lui per indicare il molto tempo speso insieme. Attento alle dinamiche di un gruppo, un allenatore che pensa che per raggiungere un grande obiettivo «si deve avere alle spalle un gruppo unito. Che poi gruppo unito si dice tante volte ma è difficile da raggiungere».
Per questo aveva fatto pochi cambi in questi due anni, anche a costo di risultare conservativo nelle scelte. Lopetegui aveva in testa un gruppo chiuso di una trentina di giocatori, diffidando di quelli fuori, nonostante la forma in stagione: come Sergi Roberto o Oyarzabal. Chi era fuori dall’inizio per Lopetegui (come Bellerín, Cesc e Mata) non è mai stato veramente preso in considerazione e gli stessi Suso e Luis Alberto, che sono stati portati in Nazionale durante la stagione, sono stati scartati perché adatti a un calcio diverso. Nelle varie amichevoli ha aggiunto i giocatori più giovani che faranno parte della Spagna del futuro (come Rodri e Vallejo, che per la federazione saranno i futuri Busquets e Sergio Ramos): Lopetegui non ha avuto problemi ad integrarli da subito, ma sempre con la consapevolezza che salvo emergenze non avrebbero fatto parte dei 23. Il gruppo prima di tutto.
Come si ringiovanisce una squadra di talento
Il ricambio generazionale portato da Lopetegui è un’evoluzione del lavoro pregresso dello scorso Europeo, a cambiare è stato il paradigma di gioco più che gli uomini: il cuore della rosa è lo stesso di due anni fa con Del Bosque, ma quella era una Spagna figlia del Barça mentre questa che affronterà il Mondiale russo è figlia del Real Madrid, oggi la casa del talento spagnolo, sia negli uomini che nella filosofia di gioco (lì giocano ad esempio i due talenti più luminosi delle due nuove generazioni: Isco e Asensio).
In questo senso non è così strano, se non per ragioni tempistiche, che Lopetegui sia diventato l’allenatore del Real Madrid. Lopetegui in questi due anni sembra aver preparato la sua candidatura ad essere il successore del lavoro di Zidane a Madrid e l’ha fatto proprio prendendo quanto il Madrid ha creato in questi anni e trasferendolo nella Spagna (adattandolo alle misure dei vari Iniesta, Busquets, Piqué e Jordi Alba).
La Spagna costruita da Lopetegui, però, verrà allenata da un altro: l’ex bandiera della Nazionale e del Real Madrid, Fernando Hierro. Una scelta in continuità con la gestione precedente, visto che Hierro - che non ha mai allenato una grande squadra: è stato assistente al Real Madrid e allenatore per una sola stagione nell’Oviedo - dal novembre 2017 fa parte della Nazionale sotto forma di segretario tecnico, l’uomo che gestisce i giocatori convocati.
Hierro si trova quindi a dover allenare la Spagna che è arrivata in Russia con i giocatori scelti da Lopetegui, ma che anche lui ha seguito da vicino proprio negli ultimi mesi.
Per capire quanto in realtà sia stato armonioso l’ingresso della nuova generazione basta pensare che Lopetegui non ha toccato la difesa dello scorso Europeo. A proteggere De Gea ci sono ovviamente Gerard Piqué e Sergio Ramos, due giocatori con una storia di attriti alle spalle, entrambi molto carismatici e perfettamente complementari, una delle migliori coppie della competizione. Lopetegui si è fidato talmente tanto dei suoi due centrali e della loro capacità e abitudine a difendere con tanti metri alle spalle da scegliere come riserve giocatori più duttili come Nacho e Azpilicueta, invece che due controfigure dirette come Bartra e Iñigo Martínez, chiamati durante le qualificazioni ma fuori dai 23.
I due terzini sono gli stessi dell’Europeo e sono fondamentali perché devono dare ampiezza e profondità sempre. Perché servono per poter permettere agli esterni di entrare negli spazi di mezzo senza far chiudere la difesa avversaria. Jordi Alba a sinistra e, se non si fosse infortunato in finale di Champions League, sarebbe stato Dani Carvajal ad occupare la destra, e adesso al suo posto ci sarà probabilmente il giovane Odriozola, praticamente un’ala per velocità di corsa e risorse tecniche, provato nelle amichevoli pre mondiale (in attesa di capire se Carvajal tornerà in tempo per la terza o direttamente negli ottavi).
Certo, Odriozola non ha la forza fisica e la resistenza di Carvajal, non gli si può chiedere di tornare indietro su ogni singola azione con la stessa lucidità, ma sarebbe comunque in grado di dare profondità alla squadra. Sia a destra che a sinistra possono giocare il terzo e quarto centrale convocati, Azpilicueta e Nacho, forse meglio il secondo del primo nel caso in cui servisse un terzino destro bloccato d’emergenza.
Come gioca la Spagna 2018?
Per capire questa Spagna bisogna prendere come riferimento i concetti tattici messi in campo dal Real Madrid negli ultimi due anni.
Lopetegui non è mai stato un fine stratega, ma ha sempre dimostrato di sapersi muovere nella gestione di un gruppo e nella scelta della strategia di gioco. Un allenatore più di princìpi - ma anche un allenatore che ha costruito la propria squadra, non solo un gestore.
Una delle frasi simbolo di Lopetegui, che gli piace ripetere spesso è che: “Tutti gli allenatori sono ladri di idee”. Non c’è nulla di nuovo in questa Spagna, che riporta in campo tanti concetti comuni a chi segue il calcio d’alto livello (anche perché i giocatori stessi sono quelli che fanno parte delle squadre d’alto livello). Dal ritiro della Spagna a Krasnodar, la stampa ha riportato un esercizio interessante praticato in allenamento: undici giocatori in uno spazio rettangolare di 15x20 metri, con quattro porte, una per lato. Si gioca cinque contro cinque, con un giocatore con un fratino di colore diverso che si colloca al centro e fa da sponda a tutti. Per due minuti un quintetto deve mantenere il possesso a massimo due tocchi e l’altro deve rubare palla e tirare subito ad una delle porte. Dopo due minuti si invertono le squadre.
Dice Diego Torres, che racconta l’aneddoto come inviato di El País, che da questo esercizio Lopetegui ha voluto acuire il senso di verticalità nei sui giocatori, oltre ad allenare il gioco in spazi ristretti. Quello che è a tutti gli effetti un esercizio basato sul torello (“rondo” come lo chiamano in Spagna) è servito a Lopetegui per trasmettere la sua filosofia di gioco per la Spagna, basata sull’associazione del talento e sul movimento continuo dei giocatori in campo.
Lo stesso Iago Aspas nella sua prima conferenza stampa di questo ha parlato: «Il mister ci ha inculcato dal primo giorno, o almeno da quando sono qui io, l’idea che a lui piace recuperare palla dopo la perdita e attaccare rapidamente negli spazi per far sì che la squadra avversaria non abbia il tempo di organizzarsi».
A questi principi generali (gegenpressing, gioco associativo ma verticale) si aggiungono alcuni accorgimenti specifici: l’ampiezza data dagli esterni è studiata a seconda degli interpreti, così come il ruolo del mediocentro è cucito su Busquets; mentre per il resto chiunque può giocare ovunque, tra centrocampo e attacco.
Il concetto base da tenere in mente quando si guarda la Spagna è che il sistema vuole manipolare l’ampiezza del campo di gioco attraverso il pallone e i movimenti continui: ci sono sempre 7 giocatori esterni e 3 interni, e a seconda di chi entra in mezzo al campo, qualcun altro prende l’ampiezza. Così si mantiene la fluidità totale e si avanza sul campo disordinando il sistema avversario, e così è stata dominata l’Italia di Ventura nelle qualificazioni.
Presentarsi contro la Spagna con un sistema rigido è molto rischioso perché viene piegato piano piano come una tortura cinese tra uomini che entrano e escono dal centro.
Qui nell’amichevole contro la Tunisia ecco un esempio di 7 fuori (rossi) e 3 dentro il campo (gialli). Addirittura in questo caso è Jordi Alba che nei vari movimenti è finito interno e Iniesta al suo posto sull’esterno. Quando la palla va sul lato opposto, possono scambiarsi nuovamente la posizione.
Se si può dire con certezza che in difesa posizionale il modulo della Spagna è un 4-1-4-1, per il motivo spiegato sopra, lo scaglionamento offensivo di questa Spagna è di difficile catalogazione.
Non perché è al passo con tempi dire che i moduli sono numeri del telefono, ma effettivamente perché i giocatori offensivi non si trovano mai in una posizione fissa, ma si muovono continuamente a seconda della posizione della palla, cambiando quindi il disegno tattico continuamente. Può capitare, ad esempio, che Iniesta finisca esterno sinistro e Isco mezzala sinistra, e che dopo pochi minuti Isco si trovi esterno destro e Silva esterno sinistro, con Iniesta mezzala sinistra.
L’unico punto di riferimento, come detto, è Busquets al centro (oltre a Piqué e Ramos sempre alla base), tutti gli altri si muovono continuamente in profondità e incontro per mantenere il 7+3 costante.
Quando hanno chiesto a Lopetegui dei diversi moduli con cui ha affrontato le qualificazioni lui ha risposto: «Abbiamo cambiato i moduli, ma lo stile di gioco della Spagna durante la fase di qualificazione è stato riconoscibile dall’inizio alla fine. Questa è la cosa importante. Lo stile di gioco è prioritario rispetto al modulo. La cosa decisiva è il comportamento della squadra, che nel caso della Spagna è stato lo stesso tanto con la palla che senza». E difficilmente questo concetto verrà modificato da Fernando Hierro che l’ha seguito da vicino in questi mesi.
I giocatori che partono mezzala o da esterno non cambiano la strategia: che siano Isco, Silva, Iniesta, Thiago e Koke o Asensio, Lucas Vázquez e Aspas. Tutti si muovono pensando in modo associativo e tutti contribuiscono con le loro qualità tecniche alla manovra della squadra.
Isco è il gioiello più luminoso del sistema e si può dire abbia raccolto il testimone da Iniesta (o meglio, se fosse davvero una staffetta saremmo in quel momento in cui il testimone è ancora in entrambe le mani). Se Isco parte mezzala, allora la scelta migliore è associargli un giocatore devastante in progressione come Asensio sul suo lato, e uno più di possesso come Silva sul lato opposto. Se invece Isco parte più in alto, da esterno in un teorico 4-3-3, allora Iniesta gioca mezzala sul suo lato. L’idea è comunque quella di partire da Isco per poi scegliere gli altri 4.
Un breve riassunto grafico di un esempio dello scaglionamento della Spagna.
Come si dice gegenpressing in spagnolo?
Il sistema scelto da subito ha permesso alla squadra di tornare a recuperare palla alta. Lopetegui l’ha inserito come concetto non negoziabile. Se non si recupera palla in alto allora la Spagna si ripiega totalmente nella propria trequarti, diventa una squadra corta raccolta su tre linee che in verticale si spaziano sui 30 metri.
Il baricentro della squadra quindi cambia totalmente dall’attacco posizionale in cui è alto, alla difesa posizionale in cui è basso. L’unica cosa che rimane costante è la voglia di mantenere la squadra corta in ogni fase di gioco.
Secondo un lavoro di Mark Thompson su Football Whispers la Spagna è risultata la squadra che ha pressato più alto durante le qualificazioni: ha recuperato il possesso 7.4 volte a partita nella trequarti avversaria, la seconda è l’Inghilterra con 5.7. In termini di percentuale di palloni recuperati, il 14.3% del totale dei palloni spagnoli sono stati recuperati proprio nella metà campo offensiva, rispetto al 10.2% dell’Inghilterra e al 9% della Germania.
La Spagna quindi è tornata ad essere la squadra che recupera il pallone immediatamente dopo la perdita e lo fa proprio nella trequarti avversaria perché lì gioca. Avendo sempre una formazione stretta e un lato forte con molti giocatori vicini, perdere il pallone significa farlo comunque in zone dove il recupero è più facile. Una ricetta semplice che però per funzionare ha bisogno di giocatori di grande tecnica perché in grado di giocare in spazi ristretti passandola ad alta velocità la palla.
In questo senso ricorda quello che faceva il Barça di Guardiola e che fa oggi, anche se con movimenti diversi, il Real Madrid. Un modo di recuperare palla adatto ad una nazionale che ha poco tempo per preparare sistemi complessi perché fatto più di letture immediate. Così facendo anche Isco e Silva possono essere i primi a lanciarsi nel recupero del pallone, ed è facile giocare la transizione offensiva visto che chi recupera palla poi ha la tecnica e le letture per giocare subito la palla.
Può succedere, come nel caso dell’amichevole contro l’Argentina, che la Spagna finisca per essere anche più pericolosa dopo il recupero della palla che durante la manovra ragionata. Questa capacità di sfruttare le transizioni offensive a proprio vantaggio non solo per passare all’attacco posizionale è un ritorno alla Spagna pre Del Bosque. Un gioco che non disdegna verticalizzazioni sia corte che lunghe e che per questo ha bisogno di giocatori in grado di sfruttarle dando la profondità come Asensio, che tanto ha giocato in questi due anni.
I due dubbi con cui affronta il Mondiale
Come ha ricordato Lopetegui dopo il deludente pareggio in amichevole contro la Svizzera: «La cosa più complicata nel calcio è generare occasioni da gol». Per Lopetegui quindi tutto il volume di gioco creato in modo naturale dalla Spagna con i suoi scambi e il suo talento, serviva per poter disordinare il rivale e dotare la squadra di occasioni da gol. Il suo carattere era offensivo e non difensivo, come nel caso invece di Del Bosque.
Con questo presupposto, che non dovrebbe cambiare con Hierro, si spiega anche il motivo per cui si è insistito tanto per inserire nel gruppo una punta come Diego Costa.
Lopetegui voleva un piano B diretto in campo, un giocatore su cui poter verticalizzare immediatamente dopo aver disorganizzato il sistema avversario. Diego Costa è convinto che rispetto al Mondiale del 2014, in cui il suo inserimento è sembrato rigettato immediatamente dal sistema della squadra, oggi sappia cosa può fare per aiutare la squadra: «Con il tempo conosco meglio i compagni, sono a mio agio e so che posso aiutare». Più sponde, quindi, e meno cavalcate solitarie come nell’Atlético. Una cosa che però si vede ancora poco in campo.
Il suo è un profilo veramente unico all’interno dei 23 e a volte sembra un pesce fuori dall’acqua, perché anche i due altri attaccanti, Rodrigo Moreno e Iago Aspas, per caratteristiche (seppur diverse tra loro) sono integrati perfettamente nel calcio della Spagna. Diego Costa, invece, deve misurarsi con limiti tecnici evidenti negli scambi ristretti e con pregi del proprio gioco poco utili alla squadra. Lopetegui parlando di Costa ha detto che: «è un ragazzo che va accettato perché non si può cambiare» e la sua idea è stata quella di chiedere a Diego Costa compiti specifici e sfruttarne però proprio la diversità.
Diego Costa si è perso 5 delle 10 partite della qualificazione, ma il suo posto nei 23 era in dubbio solo in rapporto alla presenza di Morata, un giocatore forse in teoria più a suo agio nel calcio di questa Spagna, ma che nel suo passaggio in Inghilterra ha perso alcune abitudini associative, in favore di un gioco molto più verticale.
Durante le qualificazioni, quando non ha giocato Diego Costa la Spagna ha alternato partite con Morata a quelle senza centravanti (neanche con il falso 9, ma proprio con la posizione presa a turno da chi si trovava in zona). Contro l’Italia, nella vittoria che ha significato l’approdo ai Mondiali, la Spagna ha giocato con Silva, Isco e Asensio che a turno facevano da vertice alto.
L’idea di giocare senza centravanti non è così assurda, perché se la Spagna gioca al proprio meglio l’assenza di punta rende la rende quasi indifendibile. Ma può anche affogare la manovra, se non funziona, e la possibilità di poter avere in campo un piano B permanente alla fine aveva convinto Lopetegui a non fare a meno di Diego Costa, e anzi a convocare due alternative.
In Spagna è in atto un dibattito su chi deve partire titolare in attacco. L’opinione pubblica è apertamente schierata con Iago Aspas, il giocatore che meglio ha fatto nelle amichevoli pre-Mondiale e che meglio sembra potersi integrare con l’idea di questa Spagna dai movimenti continui e dalle letture offensive: «Gli esterni della Spagna vengono dentro il campo. Questo fa sì che devi saper aspettare il tuo momento. A volte il miglior movimento è rimanere fermo, per liberare lo spazio per far sì che un compagno faccia il movimento». Questo non è Lopetegui che spiega cosa deve fare un attaccante nel suo sistema, ma Iago Aspas stesso.
In quanto a comprensione del ruolo nella squadra però anche Rodrigo Moreno non è da meno: «Il nostro lavoro è molto importante, perché oltre ad essere quelli che devono mettere la palla in rete, dobbiamo offrire soluzioni negli smarcamenti per liberare la squadra. Non solo andando nello spazio, ma anche verso la palla».
Rodri è meno tecnico e abile nelle letture di Aspas, ma più rapido e quindi facilitato nell’allungare la difesa avversaria. La Spagna vive attraverso i suoi tanti giocatori tecnici a centrocampo, ma ha bisogno di una punta che sappia sia creargli spazio di manovra, che sfruttarne il volume di gioco creato, esattamente quello che ha fatto Rodri in questa stagione con il Valencia.
Lopetegui ha ripartito i minuti in modo equo durante le amichevoli e non possiamo sapere chi sarà la punta titolare all’esordio perché non sappiamo che idea si è fatto Hierro dalle amichevoli. Il fatto di affrontare un Mondiale con il ruolo di punta ancora non è per forze di cose uno svantaggio, diciamo che è meno grave di affrontarlo con un allenatore che non ha fatto il ritiro e le convocazioni.
Un altro dubbio di formazione è quello che riguarda la mezzala destra, dove tra Thiago e Koke si dovrà capire chi prenderà il ruolo che per anni è stato di Xavi. Le amichevoli hanno mostrato come Koke sia il miglior compagno di Busquets a disposizione, anche se è meno creativo di Thiago è più sicuro dal punto di vista tattico, Koke è l’unico in grado di non lasciare Busquets da solo con un prateria da difendere attorno in caso di transizione negativa.
Con l’assenza di Carvajal e la scelta di un terzino offensivo come Odriozola nelle amichevoli, è stata ancora più evidente la differenza tra Thiago e Koke. Ogni perdita è un invito ai rivali a lanciare alle spalle di Odriozola e attaccare lì. Koke (e volendo Saúl) sono in grado di coprire quella zona di campo per motivi atletici e per l’ottimo senso della posizione. Thiago no, o si trova già lì o semplicemente quella è terra di nessuno dove Busquets deve provare a teletrasportarsi in tempo.
Dall’amichevole contro la Tunisia, Thiago sale in pressione ma sbaglia il tempo dell’anticipo e basta un tocco di prima alla Tunisia per avere un suo giocatore che si trova quindi con la palla e la possibilità di verticalizzare subito per un compagno nella zona di campo accanto al povero Busquets.
Certo, Thiago ha il vantaggio di essere un altro giocatore dalla tecnica divina e in grado da qualunque posizione di trovare chiunque in campo. Però il trade-off tra quello che può dare in più con la palla e i rischi senza non sappiamo se verranno accolti tanto da assicurargli la titolarità.
Può vincere o fallire, difficilmente una via di mezzo
Le aspettative in Spagna sono altissime per questa squadra, ancora di più visto il melodramma consumatosi a poche ore dall’esordio. Gli si chiede comunque di essere una delle contendenti alla vittoria finale: la voglia di rivincita e soprattutto le scottature dal Mondiale brasiliano hanno però portato alla strana situazione di trovarsi comunque a correggere il tutto prima dell’esordio fondamentale contro il Portogallo, la partita che verosimilmente deciderà il cammino della Spagna ai Mondiali. Il compito per Hierro è gestire prima di tutto la partita con il Portogallo e resistere alle pressioni nel caso in cui non dovesse andar bene.
“Per me il successo è essere protagonisti di questo Mondiale, vogliamo essere protagonisti. Vogliamo far vedere come sentiamo il calcio, cos’è il nostro calcio. Ovviamente con la prospettiva e l’obiettivo di vincere le partite”. Queste sono state le parole di Lopetegui prima di partire per la Russia. Non ha parlato di risultato minimo, ma è chiaro che anche se questa squadra sa essere fragile quando non in giornata, ha dei picchi di gioco che nessun’altra ha in questo Mondiale.
Alla partenza si respirava un clima decisamente diverso rispetto a quello dimesso dell’Europeo scorso, ma quanto successo con Lopetegui sembra aver gelato gli animi (Sergio Ramos in conferenza ha parlato di un’atmosfera “funerea”).
In questi due anni Lopetegui ha costruito un gruppo che si fida dei nuovi entrati, delle nuove idee di gioco e del sistema. Difficilmente ci saranno vie di mezzo, dovesse funzionare il tutto la Spagna può arrivare ad alzare la coppa. Nel caso in cui tutto quanto il trambusto destabilizasse il gruppo o una delle le stelle su cui si fonda il sistema, come Isco e Iniesta dovessero fallire, allora si rivelerebbe tutto troppo ambizioso e fragile per stare in piedi. E la Spagna potrebbe uscire anche contro una squadra sulla carta inferiore.
Le doti di leader che Hierro ha sempre mostrato in campo ora gli serviranno per la sfida più difficile della sua carriera, più che un allenatore dovrà essere il capitano aggiunto, quasi il dodicesimo giocatore di una squadra che dovrà giocare da sola.