Qatar 2022 si porta dietro questioni problematiche. In questo articolo abbiamo raccolto inchieste e report che riguardano le morti e le sofferenze ad esso connesse.
In mezzo alla sua dolorosa conferenza stampa post-eliminazione, Luis Enrique si è concesso un momento d’elogio per un giocatore del Marocco, non il più celebre e probabilmente nemmeno il migliore: «Mi ha sorpreso il numero 8, chiedo scusa ma non ne ricordo il nome. Da dove viene quel ragazzo? Gioca davvero bene».
Del resto era difficile non accorgersi di Azzedine Ounahi, che per 120 minuti ha corso, lottato, recuperato palloni per poi portarli con la sua corsa leggera e inflessibile nella metà campo opposta. Un eterno lavoro di lotta e di governo, di strappi e ricuciture, che è l’imperituro lavoro del centrocampista, e che Ounahi in questo Mondiale ha nobilitato grazie al suo stile, semplice ed elegante come un abito classico dal taglio raffinato, una macchina sportiva sobria ed essenziale. Ounahi era ovunque. Contro la Spagna è stato il primo per chilometri percorsi (14,71), il primo per duelli vinti (7), il primo per palle recuperate (9).
Era difficile non accorgersi di lui, la presenza di Ounahi a questi Mondiali si è imposta ai nostri occhi; e tuttavia l’osservazione di Luis Enrique è sembrata stonata, o comunque un piccolo sintomo forse che la Spagna aveva sottovalutato il Marocco. Erano gli ottavi di finale di un campionato del mondo, come faceva il ct di una squadra a non conoscere uno dei titolari dell’altra?
Quello di Luis Enrique è sembrato un momento di leggerezza di un uomo molto sicuro di sé, che per un attimo si è sentito di poter parlare come una persona comune, che invece è abbastanza normale che non conosca Ounahi. In fondo fino a due anni fa era ancora nei bassifondi delle leghe francesi, nell’Avranches. Un club che mentre Ounahi sta giocando i Mondiali prosegue il suo campionato di terza serie, dove affronta squadre come il Nancy-Lorraine o il Concarneau. Lì Ounahi ci era finito dopo essere stato scartato dallo Strasburgo. Di quel momento che con gli occhi di oggi ci appare delittuoso, su L’Equipe si leggono poche righe che suonano come un freddo resoconto di un delitto efferato sulla cronaca locale: «Trattenuto tre volte nel gruppo di Thierry Laurey l’ultima stagione, senza giocare, Azzedine Ounahi non è stato ritenuto all’altezza di passare tra i professionisti a Strasburgo, quest’estate. Il centrocampista marocchino di vent’anni ha dunque dovuto trovare un club dove sistemarsi, e dovrebbe firmare un biennale con l’Avranches (National)».
Il campionato National è, parliamoci chiaro, un campionato semi-professionistico. Verrebbe facile pensare a quanto può essere ancora magico e misterioso il calcio, e le dinamiche che lo governano, se un calciatore può passare da un campionato semi-professionistico ai Mondiali nel giro di due anni. È il tipo di storia fiabesca che ci fa pensare che all’interno della struttura iperprofessionalizzata che oggi ingabbia il calcio ci sia ancora spazio per qualche irregolarità, per qualche zona grigia del sistema, che il Mondiale può ancora portare alla luce.
In ogni caso in terza serie ci si accorge subito dell’errore, perché Ounahi è troppo superiore a quel contesto e nel giro di un anno viene riportato subito in Ligue 1. La sua formazione è quella dei migliori talenti marocchini. Nato a Casablanca, è cresciuto nel Raja, e poi nell’accademia Mohammed VI, un centro di formazione da cui sono venuti fuori anche En-Nesyri e Aguerd. Era arrivato in Europa accompagnato da grandi aspettative, prima di venire scaricato a Strasburgo. Quando è arrivato all’Avranches era così magro che sembrava, più che altro, denutrito.
A prenderlo, più o meno un anno e mezzo fa, è l’Angers. Un mese dopo segna il suo primo gol nel massimo campionato, nel 3-0 rifilato al Lione. È un debutto francamente scintillante. Entra a un quarto d’ora dalla fine al posto di Sofiane Boufal e alla prima palla toccata, da quasi trenta metri, coglie il palo con un tiro violento di mezzo esterno. Al secondo tentativo segna. Mentre porta palla e il compagno gli corre a fianco, suggerendogli il passaggio, per un momento Ounahi sembra dovergliela passare, poi però sterza sul suo destro con la leggerezza che abbiamo imparato a riconoscere in queste settimane, e segna con un appoggio di piatto che pare quasi semplice.
È agosto, il campionato è appena iniziato e Ounahi fa presto a prendersi un posto da titolare, o quasi. Gioca una stagione da più di 30 presenze, con 2 gol e 2 assist. Soprattutto viene adattato a centrocampista, dopo una carriera giovanile passata da giocare offensivo, da creatore di gioco sulla trequarti. Allo Strasburgo giocava ala destra a piede invertito e che rientra sul suo piede per tirare o fare l’ultimo passaggio. All’Avranches gli allenatori gli sottraggono la sua zona di comfort. Gli ritagliano un ruolo da seconda punta, più vicino al centravanti, e comunque lo costringono a pensare il calcio in modo più complesso, fuori dal binario. Il suo allenatore dell’epoca usa un’espressione da arredamento d’interni per parlare del suo sviluppo: «Abbiamo lavorato sulla diversificazione del suo gioco e della sua palette offensiva». La trequarti diventa riduttiva per lui, soprattutto perché c’è un aspetto, di cui all’Angers ci si accorge presto, e cioè che Ounahi corre molto.
In questo profilo di So Foot si racconta come già all’accademia Mohammed VI fosse sempre il primo nei test atletici. «I suoi risultati erano impressionanti, i migliori tra tutti i ragazzi». Naturalmente si parla di resistenza, di capacità di correre sotto sforzo per tempi prolungati. Non si parla di capacità fisiche, visto che Ounahi non ha solo le capacità del maratoneta ma anche il fisico. È così magro che la maglia del Marocco gli sta addosso come appesa a uno stendino. Ogni tanto, mentre corre, gli vediamo spuntare dei muscoletti sulle cosce che hanno qualcosa di infantile. Ounahi sa di non poter competere nei duelli corpo a corpo con gli altri giocatori, così ha sviluppato uno stile di gioco elusivo, che evita il contatto: «Ci sono troppi giocatori più grossi di me. Provo a giocare veloce, di uscire dalla pressione grazie alla mia conduzione palla » e lo abbiamo visto tante volte, in questi Mondiali, Ounahi, uscire all’improvviso da zone di campo congestionate di corpi palla al piede, come un’improvviso sbuffo d’aria, l’ultimo refolo di vento che sfugge appena prima che chiudiamo la finestra mentre fuori c’è la bufera.
Durante i tempi supplementari, mentre le gambe dei giocatori normali si sciolgono, quelle di Ounahi rimangono fresche, e così le sue doti eccezionali vengono fuori più chiaramente. Nel primo tempo supplementare contro la Spagna ha servito un filtrante splendido per Cheddira. Splendido soprattutto per l’intelligenza con cui Ounahi ha scartato tutte le opzioni precedenti, per aspettare la sovrapposizione del compagno, continuando ad avanzare a tenere palla con grande tecnica.
Sull’azione successiva ha coperto tutti i metri in transizione all’indietro con assoluta calma, senza nemmeno sforzarsi più di tanto, per intercettare palla e guadagnare rimessa laterale.
Il suo dinamismo è una risorsa essenziale per il Marocco e mi rendo conto di dire una cosa davvero poco originale - per chi non lo sarebbe? Ma se la squadra di Regragui ha subito un solo gol in questo Mondiale è perché l’incessante lavoro di schermatura dei centrocampisti ha protetto la linea difensiva, togliendole pressione. E anche perché ha avuto la qualità per portare su palla, risalire il campo, allontanare il pericolo. Difendersi anche col pallone, e al contempo trovare associazioni sempre preziose e impreviste fra i suoi giocatori più tecnici per infiltrare il dubbio fra gli avversari. Gli altri dominavano il pallone, e il territorio, ma il Marocco dava sempre l’impressione di poter portare qualche attacco velenoso in un momento qualsiasi.
Il Mondiale del Marocco ha avuto tutto a che fare con la gestione della pressione offensiva avversaria. Ogni partita è stato scalare l’Everest, e in queste scalate i compagni potevano guardare Ounahi - il più giovane, il più inesperto - e non vederlo mai stanco. Accanto a lui il lavoro disciplinato nelle marcature di Amallah e il dinamismo debordante di Amrabat, che da libero ha riassorbito tutti gli avversari che provavano a transitare nella trequarti centrale - e prendere il centro del campo, col Marocco, è stato quasi impossibile. Amrabat e Ounahi sono fenomenali nella disciplina difensiva nelle marcature a uomo, nel pressing in avanti, nel recuperare palle. Sono fra i primi in tutte le classifiche che riguardano la fase difensiva in questi Mondiali (i numeri di Amrabat sono ridicoli). Poi però sono bravi a portare su il pallone in conduzione, lo allontanano dalla propria porta, lo tengono e lo scaricano sempre con i tempi giusti. Non potrebbero essere più diversi Ounahi e Amrabat, uno esile e teso come un ramo d’ulivo, l’altro tutto gonfio e solido. Uno che esce dalla lotta a centrocampo sempre in punta di fioretto, e l'altro per cui sembra tutto uno scontro a mani nude.
Una lettura difensiva di Ounahi, che è in marcatura su Kovacic. Appena si accorge che Gvardiol vuole andare su Kramaric si stacca dalla marcatura per sporcare la linea di passaggio.
Il mito di Ounahi è Iniesta, di cui indossa il numero 8 e da cui ha cercato certo di copiare lo stile elusivo, di chi si infila nei rivoli di centrocampo per sfuggire agli avversari in dribbling. Ma Ounahi dribbla solo quando necessario, e di Iniesta vuole copiare l’arrosto dietro il fumo. Dello spagnolo Ounahi dice: «La sua qualità tecnica è impressionante, nonostante ciò gioca semplice». In effetti è difficile dire che sia nato come esterno offensivo, visto che tutto il suo gioco è sobrio, i suoi tempi di gioco sono da centrocampista.
Tuttavia Ounahi sembra avere le potenzialità per fare un gioco più appariscente, ma che si limiti per seguire uno stile più asciutto e misurato sulle circostanze. In questo è per certi versi il contrario stilistico di compagni come Ziyech e Boufal, che si esaltano nel tenere tanto il pallone, o nel cercare la giocata più fiorita di volta in volta. Allora il suo equilibrio è ideale per fare da punto di congiunzione tra le corse spregiudicate senza palla di Hakimi e il playmaking statico di Ziyech, sulla catena destra del Marocco. All'Angers Ounahi è comunque nono in Ligue 1 per dribbling tentati e settimo per dribbling completati (dati Whoscored).
Contro il Portogallo, in una partita di minore sofferenza, forse anche caricato dalla grande prestazione con la Spagna, Ounahi ha giocato più libero. In quest’azione, dopo un quarto d’ora, per esempio attira la pressione con grande coraggio, in una zona rischiosa di campo, per aspettare che Hakimi completi il suo movimento, per poi servirlo con un filtrante altrettanto rischioso.
In questo caso invece la pressione se la trova subito sui piedi, e se ne libera toccando appena il pallone, saltellando con assoluta leggerezza per cambiare appoggi e direzioni di corsa.
È strano pensare che il suo ruolo non sarebbe stato questo se Amine Harit non si fosse infortunato.
Insomma, Ounahi fa veramente molte cose nelle sue partite. È un centrocampista generoso, capace di coprire tanto campo ad alta intensità, e di giocare in modo tecnicamente preciso. Un profilo che sarebbe prezioso in qualsiasi contesto. Fino a qualche anno fa era più comune che le nazionali con una tradizione minore usassero i Mondiali per mettere in mostra giocatori sfuggiti dalle reti di scouting internazionali. O anche giocatori di grandi campionati che però giocavano in squadre di seconda fascia, prima di consacrarsi ai Mondiali. Nel 2002, ai Mondiali di Corea e Giappone, abbiamo conosciuto l’onnipotenza di El Hadji Diouf; nel 2010 ci siamo accorti di Mesut Ozil, che giocava nel Werder Brema e che in estate sarebbe passato al Real Madrid; nel 2014 James Rodriguez ha messo in mostra il suo sofisticatissimo piede mancino. Nei Mondiali precedenti abbiamo conosciuto Carlos Gamarra, Hide Nakata, Franck Ribery, Hasan Sas, Ilhan Mansiz, Lee-Young Pyo. Oggi non sembra esserci un giocatore in grado di sfuggire ai tentacoli dello scouting internazionale, dei video su Wyscout, delle compilation su YouTube che lo consacrano come la Next Big Thing. Tutti i giovani conosciuti in questo Mondiale - Enzo Fernandez, Jamal Musiala, Mohammed Kudus - si erano già messi in mostra nei loro club. Conosciamo tutti, e i club hanno cominciato a sviluppare una certa diffidenza nei confronti di chi usa le poche partite del Mondiale per mettersi in mostra. Si tratta di un torneo peculiare, con un contesto tattico e psicologico unico, non offre un’idea affidabile di quello che può rendere un giocatore nelle normali condizioni del calcio per club. Mai fidarsi dei Mondiali, è il mantra dello scouting dei club.
Eppure è difficile oggi non entusiasmarsi per Ounahi, per il modo in cui porta palla, sfugge alla pressione avversaria, tesse il gioco a piccoli tocchi, corre per tutta la partita. La scorsa estate il Lille aveva già provato a prenderlo dall’Angers, che però aveva resistito. In questi giorni il presidente della squadra francese ha detto che sarà difficile trattenere lui, o anche Boufal. Chissà se questo strano Mondiale invernale lo ricorderemo come l'inizio della sua ascesa o come un momento romantico in cui, per qualche settimana, ci era sembrato uno dei migliori centrocampisti al mondo.