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Il Mondiale in cui Hamilton ha mostrato tutto il suo talento
30 ott 2018
Lewis Hamilton ha vinto un Mondiale piloti che sembrava non poter vincere.
(articolo)
11 min
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Nel Gran Premio di Germania a Hockenheim, lo scorso luglio, Lewis Hamilton partiva in quattordicesima posizione. Un suo errore, uscito troppo largo dalla prima curva in Q1, aveva probabilmente causato il blocco del cambio in quarta marcia impedendogli di proseguire le qualifiche. In quel momento la storia del Mondiale sembrava aver preso una decisa inerzia dalla parte di Sebastian Vettel e della Ferrari.

Nella gara del giorno dopo non fu soltanto l'errore dello stesso Vettel, a muro con l'asfalto scivoloso, a invertire la tendenza sui rapporti di forza nel campionato. La rimonta di Hamilton dalle retrovie fu un vero capolavoro di ritmo e di gestione. Un momento decisivo anche in termini psicologici, che ha messo ansia e tolto lucidità a Vettel.

Kimi Raikkonen si era fermato al giro 14 per montare le soft nuove, ma con le stesse mescole - che Hamilton aveva però da inizio gara, quindi più usurate - il finlandese ha guadagnato solamente 1.4 secondi complessivamente sull'inglese in 26 giri, prima della sosta proprio di Hamilton. Dopo il suo pit stop, con l'ultrasoft nuova il pilota Mercedes ha oltretutto recuperato 11.5 secondi a Vettel - che aveva la soft - in soli 8 giri, 1.4 secondi al giro di media. Al momento del suo incidente il tedesco aveva 12 secondi di vantaggio sul suo rivale, ma oltre che per il distacco che era sensibilmente in calo le sue preoccupazioni venivano soprattutto dalla pioggia, che avrebbe ulteriormente favorito le più morbide ultrasoft di Hamilton e probabilmente mandato in crisi di temperatura le sue soft. Da lì nasce la pressione di dover comunque spingere per tamponare la risalita dell'inglese, con la conseguenza che il margine di rischio si è praticamente azzerato, in modo fatale per il pilota della Ferrari.

Nella definizione complessiva della grandezza e dell'impatto di un grande campione molto spesso prevale l'accento sui trionfi più roboanti, dal maggiore carico sensazionalistico. I momenti del lavoro sporco, della lotta contro i limiti del proprio mezzo e contro le circostanze sfavorevoli, creano tuttavia una rappresentazione ancora più efficace della forza, solida e costante, di una leggenda. Il Mondiale 2018 verrà ricordato forse soprattutto per gli episodi nei quali Hamilton ha potuto mostrare in modo evidente il suo straordinario talento, come nel giro della pole position a Singapore o nel sorpasso su Vettel alla lunga parabolica di Sochi. Tuttavia la lucidità e la costanza nel ritmo che ha messo in pista nelle fasi centrali di gara a Hockenheim, forse nel momento in cui sembrava davvero spacciato nella lotta al titolo, insieme ad altri episodi aggiungono una dimensione ulteriore alla grandezza di un pilota per il quale non basta citare l'effimero talento di guida, oltre ai numeri sempre più leggendari, per poterne cogliere la grandezza.

Il bellissimo sorpasso su Vettel a Sochi in curva 3.

La vittoria dell'uomo

Il successo nel Mondiale di Lewis Hamilton, soprattutto fino al Gran Premio di Singapore che lo ha lanciato a ben 50 punti di vantaggio su Sebastian Vettel, sembrava fino a quel momento il trionfo del fattore umano sullo strapotere dell'incidenza tecnologica nella Formula 1. Nella storia forse l'ultimo titolo mondiale di un pilota che non disponeva della vettura migliore è quello di Michael Schumacher nel 1994, che comunque ha approfittato delle iniziali titubanze della Williams - e della morte del suo pilota di punta, Ayrton Senna - per avvantaggiarsi immediatamente sulla concorrenza con quattro vittorie consecutive nei primi quattro Gran Premi.

Nel 2018 la Ferrari, a partire dal secondo Gran Premio in Bahrain, per lunghe fasi del campionato è stata indiscutibilmente la vettura più completa. La Red Bull si è espressa meglio di tutti solo a Montecarlo - per la manovrabilità e la trazione nelle curve strette e la scarsa importanza del propulsore - e nell'ultimo Gran Premio in Messico, per il carico aerodinamico generato dalla vettura in un circuito reso difficile in quel senso dalla forte altitudine. La Mercedes, fino all'estate, era sembrata l'auto dominante solamente in Spagna e Francia, tracciati con molti curvoni veloci e dove soprattutto la Pirelli ha portato le gomme speciali con il battistrada ridotto che evitava i frequenti surriscaldamenti degli pneumatici posteriori delle "Frecce d'argento".

Il Mondiale 2018, rispetto a quello dell'anno precedente, ha presentato scenari simili nella cronologia dell'andamento in classifica e nel feroce duello Ferrari-Mercedes tra Vettel e Hamilton, ma l'equilibrio nei rapporti di forza dal punto di vista tecnologico si è sviluppato con dinamiche differenti. Nel 2017 la lotta ha seguito una traiettoria lineare, dove le diverse filosofie tecniche tra le due vetture erano molto più evidenti e con esse la supremazia in diversi tracciati dalle rispettive caratteristiche favorevoli. In questa stagione, invece, molti fattori tecnici hanno contribuito a un continuo aggiornamento della classifica virtuale e platonica delle migliori vetture.

In questa incertezza, aumentata oltretutto da molte variabili aleatorie che si sono disseminate nel corso più o meno di tutti i Gran Premi fino all'estate, Lewis Hamilton ha dato prova di una maggiore solidità rispetto al suo rivale. Ha sovvertito un antico luogo comune - realizzato nel 2016 e nella sconfitta contro Nico Rosberg - secondo il quale non riuscirebbe a esprimere il proprio talento, rimanendo vittima delle difficoltà, nel momento in cui dovrebbe uscire fuori da situazioni ambigue dal punto di vista dell'equilibrio tecnico e soprattutto ingegneristico. Dalle circostanze più anguste e imprevedibili, come dal Gran Premio di Germania visto in precedenza, Hamilton ha invece attinto a piene mani dal proprio talento e ha avuto la capacità di sfruttarlo per tamponare le emorragie, lottando contro i limiti della propria vettura per rimanere saldo in classifica mondiale nonostante l'inferiorità del mezzo meccanico, almeno fino a settembre.

La sua capacità di galleggiare in superficie è tornata ancora più utile quando la Mercedes, a partire dalla gara di Monza, è tornata ad essere la migliore vettura, permettendogli un filotto di quattro vittorie consecutive che ha ucciso il campionato. In particolare un paio di soluzioni tecniche hanno avvantaggiato la "Freccia d'argento" e hanno rappresentato la principale polemica di questa ultima fase di stagione: se - come ricostruito su Autosprint da Paolo Filisetti - in Ungheria a fine luglio è arrivata la difficile modifica agli angoli dei cinematismi e del tirante delle sospensioni posteriori, nella gara successiva in Belgio a fine agosto la Mercedes ha rivoluzionato i cerchi delle ruote, dotandoli di molte "soffiature" e soprattutto dei controversi fori sui mozzi dove, all'incirca, per intenderci vengono fissate le ruote con le pistole.

Entrambe le modifiche avevano l'obiettivo di ridurre sia il tendenziale sovrasterzo del retrotreno della Mercedes, che di evitare i frequenti surriscaldamenti delle gomme posteriori. Ma se sulle modifiche alle sospensioni nessuno ha avuto da obiettare, i fori sui mozzi sono una soluzione irregolare se produce vantaggi aerodinamici, mentre la Federazione ha deciso di non bandirli perché ha ritenuto che il vantaggio in quel caso fosse esclusivamente termico sulle ruote, non accertando quello aerodinamico. Il caso ha suscitato perplessità tra i tecnici e anche dalle immagini televisive si poteva notare come, mentre a Sochi in qualifica Hamilton in uscita di curva riusciva comunque ad accelerare violentemente senza spostamenti del posteriore - la Ferrari ha incassato 3 decimi di ritardo nel terzo settore, quello con più trazione -, ad Austin la Mercedes ha dovuto chiudere i fori nei mozzi per un ordine (sottobanco) della FIA e improvvisamente è tornata ad essere più lenta della Rossa anche in uscita di curva sul giro secco. Sostanzialmente il vantaggio aerodinamico dato dai fori nei mozzi non può essere accertato al 100%, ma il sospetto che ci sia stato è molto forte.

Qualifica ad Austin, curva 11: Hamilton e Vettel arrivano appaiati al cordolo interno, ma in uscita di curva Vettel ha più trazione come a inizio stagione e arriva in vantaggio sulla linea del DRS. Il guadagno si vede anche dalle vetture stilizzate al centro: quella grigia di Hamilton perde molto terreno su quella rossa di Vettel.

Le difficoltà di gestione delle gomme dopo la chiusura dei fori nei mozzi, sia ad Austin che soprattutto in Messico, hanno certamente aumentato i dubbi sull'eventuale successo di Hamilton nel Mondiale qualora questa soluzione fosse stata immediatamente bocciata, ma non modificano nulla sul significato e sulla legittimità del suo successo in una prospettiva più umana. Senza dubbio Hamilton, a differenza di Vettel, ha massimizzato i risultati nel breve lasso di tempo in cui si è trovato in mano la migliore vettura, per circa quattro Gran Premi, mentre ha invece limitato i danni nelle gare più sfavorevoli e non ha commesso errori gravi come quelli del tedesco soprattutto in Azerbaijan, Francia e Germania.

In una prospettiva più generale il successo di Hamilton restituisce alla Formula 1 quell'antico sapore romantico della battaglia tra piloti risolta per mezzo di gesti tecnici umani, una concezione della rivalità che in altre discipline prive di mezzi a motore si genera con più facilità e che in Formula 1 presenta la condizione necessaria di un equilibrio tra le varie vetture. Mai come quest'anno, tuttavia, l'incertezza negli equilibri tecnici ha fatto emergere in maniera chiara i maggiori meriti di un pilota sull'altro nell'andamento della stagione.

La forza mostrata da Hamilton non si è limitata all'utilizzo del suo talento di guida, ma anzi è stata proprio la sua altissima consapevolezza di padronanza della vettura ad avergli tolto pressione in tutte le fasi decisive della stagione, azzeccando ad esempio il corridoio su Vettel a Monza e realizzando una pole position a Singapore che, come detto dal capo del team Toto Wolff, «è stato un giro migliore delle simulazioni ideali». Mentre, nello stesso momento, Vettel compiva errori e imprecisioni - in qualifica a Singapore e Suzuka, o sempre a Monza nel contatto con Hamilton - che nascevano da una guida nervosa e non centrata come in altre occasioni più favorevoli. In un certo senso il Mondiale 2018 ha anche visto semplificate le motivazioni per le quali un pilota sia uscito vincitore e l'altro sconfitto, rendendo la sfida ancora più proiettata sul piano umano e più percepibile dagli appassionati.

La vittoria del personaggio

Il quinto titolo mondiale di Lewis Hamilton, oltre che per la portata storica del suo ingresso nel ristretto club di tre penta-campioni del Mondo - insieme a Michael Schumacher e Juan Manuel Fangio - è anche l'ennesima consacrazione del suo personaggio, forse il più forte nella Formula 1 a livello comunicativo. Hamilton non è necessariamente il pilota più amato ma non si può discutere sul fatto che sia forse il più carismatico.

Hamilton ha un grande senso dello spettacolo, allineato alle esigenze dell’opinione pubblica statunitense, che la proprietà americana di Liberty Media ha tutto l'obiettivo di catturare per rinnovare l'interesse attorno alla Formula 1. Hamilton possiede anche una misurata dote di trash-talker che riesce tuttavia ad elevare in una prospettiva più raffinata e meno sanguigna, rendendolo spesso più sottile da percepire nelle sue dichiarazioni d'intenti e per questo anche più fastidioso per gli avversari.

Il nervosismo mostrato da Vettel in alcuni momenti chiave della stagione nasce in parte anche dalla sofferenza di questo confronto di personalità. È impossibile sganciare completamente l'influsso di Hamilton dai condizionamenti psicologici subiti da Vettel, che nascono prima di tutto dalla pressione della possibilità di vincere un titolo mondiale con la Ferrari o, in alternativa, di registrare un fallimento abbastanza clamoroso, come poi avvenuto.

Sebastian Vettel ha detto di essere uscito “svuotato” dal durissimo confronto nel campionato. La stessa sensazione la provò Nico Rosberg nel 2016, quando decise il ritiro dalle corse una volta aggiudicato il titolo mondiale all’ultima, soffertissima gara. Non è solo il talento di guida di Hamilton a mettere pressione a tutti i suoi avversari, ma anche i piccoli e fastidiosi trucchi comunicativi che utilizza con uno studio premeditato. La pomposa autocelebrazione nei momenti di successo, l'esagerata sopravvalutazione delle circostanze sfavorevoli, le insinuazioni promosse per sminuire o addirittura mettere in dubbio la legalità dei successi altrui, sono tutte situazioni che Hamilton programma e calibra in modo misurato per offrire un'immagine più possibile solida di se stesso, forzandola volutamente, scevra da quell'arroganza radicale e indiscriminata, forse più spontanea, di altri piloti come Max Verstappen o Kevin Magnussen.

Questa sua capacità di bilanciare attentamente il trash-talking e il rispetto per gli avversari - soprattutto quelli sconfitti - lo pone in una condizione di superiorità comunicativa, di difficile lettura. Rispetto ad altri piloti più spontanei come Kimi Raikkonen e Fernando Alonso, di Hamilton buona parte del pubblico ne coglie la saltuaria ipocrisia, ma forse proprio questa sua forza comunicativa è un ulteriore elemento più o meno invisibile che si va ad aggiungere al suo immenso talento e ormai anche alla gestione matura delle gare e di qualsiasi situazione, aumentando la pressione degli avversari e portandoli all'esasperazione agonistica.

Per cogliere la portata del suo quinto titolo mondiale non serve però alcun tipo di celebrazione mediatica. Lui, come al solito, ha reagito comunque alla sua maniera, ricordando per l'ennesima volta l'importanza di suo padre nella costruzione della sua carriera. Hamilton ha così voluto nuovamente sottolineare la difficoltà del suo percorso e le qualità e la determinazione che sono state per lui necessarie per emergere. In questo senso ha provato anche ad avvantaggiarsi psicologicamente già per il 2019, dove tutto sembra apparecchiato per una nuova sfida contro Vettel e la Ferrari, in quella che resterà nella storia come una delle rivalità più affascinanti degli ultimi decenni in Formula 1.

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