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Il Napoli ci ha provato, il Milan ci è riuscito
19 apr 2023
Una sfida che è stata molto più del confronto tra Leao e Kvaratskhelia.
(articolo)
9 min
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IMAGO / Gruppo LiveMedia
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Sarebbe fin troppo facile prendere Rafael Leao e Khvicha Kvaratskhelia e farne i simboli delle proprie squadre. Dire che ha vinto la leggerezza di quel sorriso con cui Leao, poco dopo il quarantesimo del primo tempo, ha approfittato di un controllo sbagliato di Ndombelé a trequarti di campo per partire palla al piede tra i giocatori del Napoli come un motorino che gira intorno alle macchine ferme nel traffico. Passando tra Di Lorenzo e Rrhamani come fossero state bandierine di uno slalom gigante, prima di servire l’assist a Giroud praticamente a porta vuota. Troppo facile per Leao e troppo facile per noi confrontarlo con il rigore fallito da Kvaratskhelia, che avrebbe potuto riaprire la partita a dieci minuti dal termine. Con il suo volto grigio, lo sguardo scavato e perso nel vuoto da personaggio dostoevskiano, schiacciato sotto il peso delle pressioni.

Certo sarebbe ingiusto limitarsi a Leao e Kvaratskhelia, ma c’è qualcosa di significativo nelle loro partite, l’una l’opposto dell’altra. Se a Leao, all’interno di una partita ordinata, è bastato poco per essere decisivo - un paio di giocate che non sembra neanche essersi andato a cercare, che sono semplicemente arrivate (quel sorriso è la forma che prende la sua bocca nello sforzo, o Leao ci trova davvero qualcosa di divertente, nella facilità del suo calcio?) - Kvaratskhelia ha fatto e disfatto per novanta minuti, con un volume di gioco e un’intensità febbrile, senza però riuscire a incidere sul risultato.

Al di là del rigore sbagliato, il georgiano non si è certo tirato indietro in un contesto in cui era spesso lasciato solo. Ha dribblato (18 tentati, 10 riusciti), ha iniziato la partita con un tunnel su Krunic dopo trenta secondi, ha tirato per la prima volta in porta dopo otto minuti. Si è costruito le due occasioni migliori della partita, a inizio secondo tempo, forzando la fenomenale applicazione di Calabria in marcatura (il giocatore con più contrasti riusciti in partita, 8 su 14 tentati), spezzando il costante raddoppio milanista con forza di volontà e forza nelle gambe. Ha crossato sulla testa di Oliveira (due volte, da angolo) e di Ostigard palloni che avrebbero potuto avere miglior sorte.

Difficile chiedergli di più. Difficile chiedere di più al Napoli. Cosa avrebbe dovuto fare? Più sovrapposizioni di Di Lorenzo? Più Zielinski e Ndombelé a ridosso o dentro l'area di rigore, anche a costo di sbilanciarsi? Più cross per Osimhen? Più attenzione e cattiveria su Leao (sembra facile eh, dal divano di casa)? Difficile, difficile, difficile.

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Gli sforzi di Kvara rappresentano bene quelli del Napoli. La squadra di Spalletti ha giocato i primi venti minuti con il fuoco sotto ai piedi, sovraccaricando la fascia destra di Politano con le sovrapposizioni (Di Lorenzo, Ndombelé), inondando di cross l’area di Osimhen, aggredendo ogni palla vagante con grande attenzione nelle marcature preventive per evitare le ripartenze del Milan. Per un po’ ci sono riusciti, eppure, proprio quando la pressione del Napoli, spinto dal calore del Maradona, sembrava dover sfociare in un gol, ha rischiato di ritrovarsi già sotto di un gol - se Giroud non avesse sbagliato il suo primo rigore in quasi undici anni (l’ultimo lo aveva sbagliato a settembre 2012).

Una partita così ricca - di avvenimenti, di problemi tattici, di duelli - si gioca sui dettagli. E lo sapevano i giocatori del Napoli, come lo sapevamo anche noi, che al Milan sarebbe bastato aprire il gas un paio di volte, fare un giro veloce con le gomme calde, per raddoppiare il vantaggio dell’andata e complicare le cose in modo forse irrimediabile. È stato forse un eccesso di aggressività, combinato con la solita fluidità del Milan, la capacità con cui i giocatori di Pioli si smarcano e si trovano, si scambiano di posizione e si connettono anche con distanze lunghe, a creare i presupposti per il primo momento decisivo della partita.

Fin lì, fino al ventesimo, il Napoli aveva lasciato che il Milan impostasse in superiorità con Maignan e i due centrali difensivi contro Osimhen e Zielinski, con Krunic schermato su cui eventualmente era pronto ad andare Lobotka, come Kvaratskhelia era pronto ad andare su Calabria. E il Milan aveva cercato direttamente la palla lunga per Giroud o Leao, senza grande fortuna a dire il vero. Al ventesimo, invece, Kvaratskhelia aggredisce Krunic sul centro destra, chiamando Lobotka a una scalata orizzontale più complicata su Calabria, che ha il tempo di controllare e giocare con la fronte rivolta alla metà campo. Calabria trova Brahim Diaz in diagonale, verso il centro del campo, e Brahim Diaz vince il duello tecnico con Mario Rui, con un po’ di fortuna la palla arriva a Bennacer in posizione centrale.

A quel punto diventa impossibile recuperare il ritardo di Ndombelé (salito su Tonali) e quello di Politano (semplicemente in ritardo) su Theo. Le difficoltà difensive del Napoli si moltiplicano, non si sommano, mentre Leao porta palla fino al limite dell’area, e le scelte individuali e di reparto si complicano fino a generare l’episodio del rigore. Politano, anche una volta rientrato, non conclude la corsa seguendo la traccia di Leao, che anche Ndombelé si lascia sfilare alle spalle senza interessarsene. Rrahmani tiene la posizione in maniera un po’ teorica anziché leggere il pericolo ed è Mario Rui ad andare incontro all’esterno portoghese, dopo che il terzino francese ha chiuso il triangolo.

I dettagli, dicevamo. Il controllo sbagliato di Ndombelé - come la pallaccia di Meret qualche minuto prima per Juan Jesus, con il Milan in pressione che ha avuto un’altra occasione con Giroud - il possibile rigore per il fallo di Leao in ripiegamento difensivo, quel tiro un po’ fiacco di Zielinski sullo scarico di Di Lorenzo (sicuramente serve di più contro Maignan), quel liscio di testa di Ostigard, la bomba di Kvaratskhelia dopo aver sradicato il pallone dal piede di Calabria quasi sulla linea di fondo (avesse preso la porta sarebbe stato troppo persino per Maignan) e poi quei due colpi di testa di Oliveira, il primo non facilissimo, sul secondo palo con Theo che gli salta a vuoto davanti, ma il secondo finito incredibilmente fuori da posizione centrale.

E poi l’infortunio di Politano dopo mezz’ora. L’unica scelta non forzata di Spalletti rispetto all’andata era stata proprio quella dell’esterno destro: Lozano è un giocatore più verticale - un destro a destra - più da profondità, che Theo Hernandez non aveva faticato a controllare all’andata, mentre Politano con le sue conduzioni e i rientri sul sinistro aveva aumentato la pressione nella trequarti, alleggerendo Kvaratskhelia di qualche responsabilità in fase di rifinitura. Farne a meno dopo neanche un tempo ha costretto il Napoli a tornare alla situazione sbilanciata, asimmetrica, dell’andata.

A posteriori, riguardando il gol di Osimhen arrivato troppo tardi da un cross di Raspadori di sinistro, da destra, viene da chiedersi se Spalletti non avrebbe potuto essere più creativo e rischiare qualcosina in più al momento della sostituzione di Politano. Scegliendo un giocatore come Raspadori che sì, viene da un infortunio, sarebbe stato fuori ruolo e chiamato a un lavoro difensivo inedito contro un purosangue come Theo (d'altra parte il Napoli doveva già recuperare un gol), ma che per caratteristiche tecniche è più vicino a Politano e avrebbe garantito, almeno con la palla, una qualità di livello comparabile. Ma, come si dice, le partite non si fanno con i “se” e con i “ma”.

Il Napoli ha molti rammarichi, ma in una partita così ricca - di emozioni, di gesti tecnici, di giocatori in grado di rompere l’inerzia - la differenza l’ha fatta anche l’applicazione difensiva del Milan, la solidità di una squadra che per molti mesi (senza il miglior portiere al mondo) è stata tutto il contrario di quella vista ieri, al punto da costringere Pioli a tamponare il sanguinamento aggiungendo un difensore e passando a una linea a 5. Proprio contro il Napoli, in campionato, Pioli è tornato a difendere a 4, aggiungendo un centrocampista per fare densità al centro e ostacolare la circolazione avversaria.

Ha spezzato le connessioni del Napoli e poi, nella partita del Maradona, si è presentato in campo (forte anche dell’1-0 dell’andata) con un atteggiamento prudente, un blocco medio-basso che chiamava a difendere anche Leao su Di Lorenzo o Ndombelé e persino Giroud nella zona centrale a ridosso dell’area di rigore. Ha abbassato Tomori e Kjaer (meno aggressivi di Thiaw e Kalulu, più abili nella difesa dell’area di rigore) per negare profondità a Osimhen e isolarlo nell’uno contro due, allungando il campo per le corse di Theo, Leao, Brahim. A fine partita, Leao ha scritto sui social che quella di ieri è stata la vittoria “dell’umiltà”: un modo come un altro per sottolineare la straordinaria applicazione collettiva del Milan di Pioli. Lo stesso tecnico ha definito la prestazione della squadra "di sacrificio".

Questa è l’occasione del gol annullato a Osimhen. Tomori lo marca stretto ma, nonostante ciò, riesce a controllare con il petto il cross di Oliveira. A differenza della partita di andata contro la Roma in campionato (in cui al controllo di petto è seguito il tiro al volo) qui Osimhen perde l’appoggio e scivola a terra. Un attimo dopo è comunque addosso a Kjaer che aveva coperto le spalle di Tomori e, al momento di spazzare, aveva avuto una piccola esitazione. Un altro esempio di quanto poco sarebbe bastato al Napoli, e a Osimhen che di occasioni ne ha avute pochissime, per ribaltare l’inerzia della gara.

Sei gol subiti e uno solo fatto in tre partite - due sconfitte e un pareggio - sono un risultato duro da mandar giù, troppo severo soprattutto considerando le due prestazioni del Napoli in Champions League. La facilità con cui il Milan ha gestito l’andamento delle due gare è in parte merito della grande preparazione di Pioli e delle sue scelte (anche nei cambi), ma in parte è illusoria e dice di più, forse, del momento non brillantissimo di forma, fisica e psicologica, della squadra di Spalletti.

Chissà, magari anche aver subito 4 gol in casa nella partita di campionato può aver influito sul piano mentale, facendo partire il Napoli con un metro di svantaggio che poi non è riuscito a recuperare.

Non è bastato giocare centottanta minuti di grande intensità e ritrovare, al ritorno, il miglior centravanti del campionato per spezzare l’equilibrio. Il Napoli può recriminare su alcuni episodi (tecnici e regolamentari), sulle assenze, sulle scelte di Spalletti (quella di Elmas falso nove all’andata, soprattutto), sulle prestazioni buone ma non eccezionali di alcuni singoli (Zielinski, Anguissa/Ndombelé, Lobotka all’andata Kvaratskhelia, forse anche Meret considerando andata e ritorno) ma a posteriori resterà il contrasto tra la naturalezza con cui il Milan ha raggiunto una semifinale insperata e la fatica con cui il Napoli ha provato a cambiare le cose senza riuscirci.

E vissero tutti felici e contenti… il Napoli, che sarebbe stato più felice passando il turno, certo, può dedicarsi pienamente a festeggiare uno Scudetto storico, bellissimo e meritatissimo, mentre il Milan può riscattare quel mese terribile in cui sembrava aver buttato quanto di buono fatto negli ultimi tre anni (si parlava addirittura di esonero per Pioli) con la possibilità di giocare una semifinale di Champions League dopo 16 anni dall’ultima volta. Un bel premio anche a questo lungo ciclo felice di Pioli.

Per il Milan, anzi, la doppia sfida con il Napoli potrebbe essere l’inizio della favola. C’era una volta… e il resto della storia lo devono ancora scrivere.

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