«Era il 1976, si giocava Irlanda del Nord - Olanda. Giocavo contro Johan Cruyff, uno dei più forti di tutti i tempi. Al 5° minuto prendo la palla, salto un uomo, ne salto un altro, ma non punto la porta, punto il centro del campo: punto Cruyff. Gli arrivo davanti gli faccio una finta di corpo e poi un tunnel, poi calcio via il pallone, lui si gira e io gli dico: ‘Tu sei il più forte di tutti ma solo perché io non ho tempo”.»
Attribuita a George Best
Sulla copertina dell’ultimo numero di FourFourTwo, quello dedicato agli Europei di Francia, ci sono i giocatori più rappresentativi del torneo. Pogba domina la scena con uno dei suoi sguardi soddisfatti ma tutto intorno ce ne sono altri: Ronaldo, Bale, Ibrahimovic, Neuer. Esattamente sotto il campione francese della Juventus c’è però una figura più piccola che a un primo sguardo è meno riconoscibile degli altri. È un numero 10 in maglia verde che con la mano destra indica la coppa Delaunay, esattamente al centro della copertina.
Sembra una scelta hipster, un vezzo da intellettuali, se non fosse che quella figura si ripropone anche sulla copertina della guida ufficiale della UEFA ad Euro2016. Qui c’è Rooney al centro, ai lati Ibrahimovic, Bale e Pogba, e sopra nuovamente la stessa figura, questa volta più grande, sempre in maglia verde. Sotto la scritta: “THE GAME CHANGERS: Bale, Pogba, Sterling, Lafferty”.
Kyle Lafferty è un giocatore che al momento, secondo Transfermarkt, vale due milioni di euro. L’ultima apparizione in un campionato europeo di prima divisione l’ha fatta registrare il 3 ottobre dell’anno scorso col Norwich, appena 13 minuti di gioco nella sconfitta contro il Leicester. Per trovare un suo gol in uno dei principali campionati europei, invece, bisogna tornare ancora più indietro, al 13 maggio del 2015, quando fece vincere il Caykur Rizespor segnando il gol del 2-1 al Gaziantepspor, in Turchia.
Il motivo per cui Lafferty si ritrovi su quelle copertine insieme a Pogba, Ibrahimovic e Cristiano Ronaldo è ciò che mi ha spinto a scrivere questo pezzo.
Gli inizi
Kyle Lafferty nasce ad Enniskillen, un comune di nemmeno 15mila anime a circa 100 chilometri ad ovest di Belfast, da una famiglia a quanto pare molto rispettata. Il suo è quindi un background provinciale, da piccolo centro, e probabilmente anche borghese. Calcisticamente, però, Lafferty cresce nel Burnley, in Serie B inglese, dove si trasferisce all’età di 16 anni. E qui che si afferma come uno dei migliori talenti del suo paese, forse il migliore, giocando regolarmente prima per la nazionale nordirlandese Under17 e poi per quella Under19.
Sono dettagli da tenere a mente perché, nonostante per noi consumatori internazionali di calcio sia un giocatore quasi insignificante, in un contesto come questo Lafferty diventa quasi subito il miglior calciatore nato in Irlanda del Nord da un sacco di tempo. Una Nazionale che vivrà per sempre il rimpianto di aver buttato all’aria l’opportunità di avere in squadra uno dei più forti calciatori di tutti i tempi. Forse se fosse nato in Brasile o in Italia o in Spagna, Lafferty avrebbe avuto un percorso di crescita convenzionale, ma questo ovviamente non lo sapremo mai.
Lafferty già da giovane è un giocatore atipico, che potrebbe diventare un attaccante moderno, perché è alto e molto forte nel gioco aereo, com’è nella migliore tradizione britannica, ma anche molto veloce e discretamente tecnico. Sembra l’evoluzione di Peter Crouch, e forse lo è ancora.
Nonostante ciò, già al Burnley c’è qualcosa di impercettibile che va storto, piccoli dettagli che solo col senno di poi ci rendiamo conto che non avremmo dovuto ignorare. Nel gennaio del 2008 a casa del Burnley arriva l’Arsenal per il terzo turno di FA Cup e Wenger schiera praticamente tutte le riserve. La piccola squadra di Championship lo mette in difficoltà fin da subito e al sesto minuto del primo tempo sulla testa di Lafferty, che allora faceva ancora l’ala, arriva la palla dell’1-0. Ma la sua conclusione, invece di finire alle spalle del portiere, si infrange sulla traversa. «Credo che quel colpo di testa avrebbe potuto avere un grosso peso sulla gara perché sarebbe stato molto difficile stare sull’1-0 con la performance che hanno messo in campo», dice Wenger dopo l’incontro, vinto ovviamente dall’Arsenal. Nel secondo tempo, Lafferty entra duro su Gilberto e viene espulso.
A fine stagione molte squadre di prima divisione inglese e scozzese si fanno avanti per acquistarlo, secondo Sky persino Liverpool e Manchester City. Alla fine, però, la bidding war diventa un derby di mercato tra Celtic e Rangers. Lui, che è tifoso dei Rangers, all’inizio tentenna, si dice onorato dell’interesse dei biancoverdi, ma alla fine cede alla scelta che ai sentimenti sembra la migliore: “Una volta che ho sentito dell’interesse dei Rangers ho cambiato idea immediatamente”. Non sa che sta facendo uno dei più grandi errori della sua vita professionale.
Perdersi in Scozia
Lafferty arriva a Glasgow con grandi promesse. Viene pagato tre milioni di sterline (una cifra molto alta per il campionato scozzese, soprattutto per un ragazzino di 21 anni) ed ha tutte le carte in regola per fare il titolare in quella stagione, a partire da un contratto da 15mila pound a settimana. Non è ancora una stella della squadra, ovviamente, ma lui inizia fin da subito a comportarsi come tale: si compra una Bentley e una Range Rover, affitta ville di lusso, vive per la prima volta la vita notturna di una grande città. In fin dei conti è un adolescente con un sacco di soldi, che gioca a calcio per la sua squadra del cuore ed ha un intero movimento sportivo alle spalle.
Calcisticamente, però, la sua prima stagione in Scozia è un mezzo flop, nonostante i Rangers vincano sia il campionato che la coppa nazionale. Lafferty viene fermato da diversi piccoli infortuni e diventa progressivamente meno importante agli occhi dell’allenatore, Walter Smith, che lo fa giocare sempre meno. A fine campionato il suo tabellino personale in tutte le competizioni segnerà la miseria di 7 gol e 3 assist.
Ma quella stagione sarà comunque importante per il proseguo dell’esperienza di Lafferty in Scozia. In negativo.
Nella penultima giornata di quel campionato i Rangers ospitano l’Aberdeen a Glasgow in una partita fondamentale per la vittoria del campionato. Il Celtic, infatti, è a soli a due punti e gli uomini di Walter Smith sono costretti a vincere. Al 18esimo del primo tempo, Lafferty si avventa in scivolata sul rinvio di un difensore dell’Aberdeen, Charlie Mulgrew, e forse lo colpisce da dietro. Mulgrew quindi si rialza con fare minaccioso e accenna un testa a testa col nordirlandese, che non appena sente il contatto si butta a terra come se avesse ricevuto una capocciata violentissima. L’arbitro ci casca ed espelle Mulgrew, i Rangers vincono 2-1 e una settimana dopo si portano a casa il campionato.
Questo video è periodicamente inserito in pezzi con titoli del tipo: «Le simulazioni più ridicole della storia del calcio».
Ma la simulazione teatrale di Lafferty non passa inosservata e fin dall’immediato dopo partita scatena una cascata di polemiche. L’arbitro, indignato, dichiara di essere stato “raggirato” mentre Micheal Paton, l’attaccante dell’Aberdeen che ha segnato il 2-1, arriva addirittura ad utilizzare il termine disgrace. Alla fine persino lo stesso Walter Smith si dice “deluso” dalla reazione del suo giocatore. Nella giornata successiva, l’ultima, contro il Dundee fuori casa, Lafferty, fischiato da tutto lo stadio, segna uno dei tre gol che consegnerà il titolo ai Rangers ma la cosa passa in secondo piano.
Il 7 agosto la federazione scozzese ritira il rosso a Mulgrew e decreta due giornate di squalifica per Lafferty, da scontare nella stagione successiva. L’evento assume un valore simbolico perché rappresenta la prima volta in assoluto nel calcio scozzese in cui un giocatore viene squalificato dopo una partita per simulazione.
Nella stagione successiva Lafferty vorrebbe rimettere le cose a posto, affermarsi calcisticamente per zittire quelli che ancora non venivano chiamati hater. In un’intervista al Telegraph dice di non dover fare altro che accettare tutti i fischi che gli arriveranno: «Lo so che ciò che ho fatto è sbagliato, e so che ovunque andrò sarò fischiato e insultato; ma lo accetto e proverò a concetrarmi sul mio calcio». In realtà la situazione non fa che sfuggirgli di mano.
Lafferty salta le prime sei partite di campionato, complice anche un nuovo infortunio, e torna in campo in un Old Firm del 4 ottobre del 2009, vinto dai Rangers per 2-1. In campo mette la solita “intensità nel pressing”, si direbbe con un tecnicismo eufemistico, che nei fatti si traduce in alcune entrate molto pericolose, come questa. Quando torna a casa, dopo la partita, un gruppo di tifosi del Celtic gli danneggia la macchina.
Ma questo è solo l’antipasto per ciò che succederà nell’Old Firm del ritorno, il 3 gennaio del 2010. La partita finisce 0-0 e viene ricordata principalmente per la scivolata folle di Lafferty, che con i tacchetti finisce sullo stinco di Andreas Hinkel mentre questo ha appena poggiato la gamba a terra. In questo caso Lafferty viene solo ammonito ma finisce di nuovo nell’occhio del ciclone. La situazione diventa talmente critica da debordare anche fuori dal campo di calcio.
I primi 15 secondi di video riassumono tutto l’amore dei tifosi del Celtic per Lafferty.
Una settimana dopo quella partita, infatti, Lafferty concede una lunga intervista al tabloid Daily Record in cui vengono riportate tutte le voci e i pettegolezzi su di lui, come il fatto che avrebbe problemi di soldi a causa di un vizio patologico verso il gioco d’azzardo. Nel periodo della sua permanenza ai Rangers, infatti, gli hanno fatto causa per fatture non pagate prima i suoi avvocati, poi la sua dog-sitter infine addirittura il veterinario.
Ma al di là della difesa originale a queste illazioni (dice di essere sì appassionato di scommesse, ma non di scommesse online, che secondo lui sono il vero problema), ciò che davvero stupisce è la volontà di Lafferty di esasperare la situazione. Forse illuso che il suo talento possa difenderlo da qualunque cosa dica o faccia. Più in particolare se la prende con Charlie Nicolas, un ex giocatore del Celtic, adesso commentatore di Sky Sport, che l’aveva criticato per il tackle.
«Non so molto di lui, a parte che ha giocato per la Scozia», dice di lui Lafferty «“Penso che abbia segnato cinque gol in Nazionale e questo dice quasi tutto. Io ho 22 anni e ho già superato quella cifra. Conosco quasi tutti i calciatori più importanti e all’inizio pensavo fosse un giocatore di cricket». Un mese e mezzo dopo la sua Bentley viene ricoperta di liquido sospetto, forse acido da batteria.
Ma il vero problema è che la seconda stagione finisce com’era finita la prima: appena 7 gol e 4 assist all’attivo, nonostante Lafferty giochi oltre 2300 minuti in tutte le competizioni. Sono passati due anni da quando è arrivato a Glasgow e ancora non si è capito se è davvero un talento ancora acerbo o solo uno sbruffone che vuole attirare l’attenzione su di sé. E questo nonostante siano arrivate rassicurazioni sul suo valore praticamente da tutti, dall’allenatore Walter Smith al capitano David Weir (a quanto pare, in Scozia persino un acquisto da tre milioni di sterline deve essere giustificato da grandi prestazioni).
Alcuni dei suoi gol migliori ai Rangers.
La stagione successiva, la 2010/2011, sembra aprirsi come si era chiusa la precedente, in un eterno ritorno dell’incoscienza. Alla seconda giornata di campionato, in una partita contro l’Hiberian, Lafferty viene espulso dopo essere venuto alle mani con Kevin McBride, che gli aveva provocatoriamente tirato il pallone addosso mentre era a terra. A ottobre, invece, dopo un Old Firm vinto 3-1, ha la pessima idea di ridicolizzare l’allenatore del Celtic su Twitter scrivendo: «Lennon, Lennon What's the Score? Haha» (cioè: Lennon, Lennon qual è il risultato?). Nella partita di ritorno, vinta dal Celtic per 2-0, Neil Lennon si rifiuterà di stringergli la mano.
Il suo tratto distintivo sembra essere l’indifferenza verso le conseguenze delle sue azioni. Ma la stagione 2010/2011 si rivelerà la migliore stagione di Lafferty a livello di club, mandando in frantumi la nostra convinzione che i due binari, quello del campo e quello extra-campo, vadano necessariamente in parallelo. La punta nordirlandese accumula 15 gol e 10 assist in tutte le competizioni, finendo addirittura la stagione in crescendo: segna sette gol nelle ultime sei partite, di cui ancora una volta quello decisivo per il titolo, curiosamente ancora contro il Dundee.
Da notare la completezza tecnica di Lafferty, dalla sponda al movimento senza palla fino ad arrivare al tiro in porta.
L’anno successivo dovrebbe essere quindi quello della definitiva affermazione, della maturazione del talento in certezze, ma ovviamente non lo è. Dai Rangers, infatti, se ne va Walter Smith, l’allenatore che lo aveva sempre difeso nonostante tutto, mentre il club si avvia lentamente e sanguinosamente al fallimento. Sulla panchina della squadra arriva Ally McCoist, che al contrario del suo predecessore non sopporta l’atteggiamento infantile e irriverente della punta nordirlandese. A fine aprile, quando è ormai chiaro che sarà il Celtic a vincere il campionato, McCoist lo esclude dalla rosa per due settimane. Se ciò non bastasse, Lafferty viene anche martoriato dagli infortuni: nel 2012 gioca appena quattro partite da subentrato.
A fine anno i Rangers falliscono e Lafferty coglie la palla al balzo per fuggire da Glasgow. Si svincola dalla nuova società (l’ultimo, disperato, tentativo per evitare la retrocessione) ed accetta l’offerta del Sion, in Svizzera. Nell’estate di quell’anno, in un patetico tentativo di salvare la propria legacy, Lafferty dichiarerà di essersene andato per salvare suo figlio dalle faide calcistiche di Glasgow: «Molto spesso sono stato stupido, adesso lo so. Ma chi mi conosce si renderà conto che lo sono stato perché ce la stavo mettendo tutta».
Perdersi in Europa
Andandosene da Glasgow, Lafferty risolve il suo problema con la competizione, che con i Rangers era diventato morboso, ma diventa ancora più insignificante agli occhi del calcio internazionale. Al Sion non lascia praticamente traccia e quindi nell’estate del 2013 accetta la chiamata del Palermo, in Serie B, per provare a ricominciare, di nuovo. Ma, come si dice, bisogna toccare il fondo per risalire e Lafferty il punto più basso della sua carriera non l’ha ancora raggiunto.
Il 6 settembre al Windsor Park di Belfast arriva il Portogallo di Cristiano Ronaldo per le qualificazioni ai Mondiali del 2014. L’Irlanda ha raccolto la miseria di 6 punti nelle precedenti 6 partite e quello è forse l’ultimo treno disponibile per qualificarsi. L’Irlanda del Nord non si qualifica ad un Mondiale dal 1986.
La partita è incredibilmente equilibrata, visto lo squilibrio tecnico tra le due squadre. Quando Lafferty entra in campo, al 67esimo del secondo tempo, il risultato è addirittura sul 2-1 per i padroni di casa. Proprio in quel momento, però, Ronaldo si ricorda di essere Ronaldo e segna una doppietta. Lafferty, tre minuti dopo il 2-3 del fuoriclasse del Real Madrid, cerca di reagire a suo modo, in una delle sue ormai iconiche scivolate in pressing. Quando la palla è già lontana dal piede di Pereira, lui lo colpisce col piede alto e l’arbitro lo espelle. Tre minuti dopo Ronaldo chiude la tripletta e la partita finisce 2-4.
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Un’espulsione che comunque sembra eccessiva.
Dopo la partita Lafferty viene sommerso di critiche dagli unici tifosi che gli erano rimasti fedeli. A 27 anni pensa di ritirarsi dalla nazionale: «Ho letto i giornali, i tifosi dicevano che non avrei più dovuto indossare la maglietta dell’Irlanda del Nord, e stavo male».
L’annata col Palermo
L’espulsione con il Portogallo sembra essere davvero l’epifania in grado di riportare la carriera di Lafferty ad un livello anche solo lontanamente in linea con le sue potenzialità. La stagione con il Palermo, infatti, va benissimo: Lafferty diventa uno degli uomini chiave della promozione in Serie A segnando 12 gol in tutte le competizioni (Dybala, per intenderci, ne segnerà 5), alcuni fortunati, molti altri bellissimi, due addirittura su calcio di punizione.
In un altro video Lafferty viene definito “Dylan Dog” per via della sua incredibile somiglianza con l’eroe dei fumetti, addirittura certificata dalla Sergio Bonelli Editore.
La stagione 2014/2015 (quella in cui, è bene ricordarlo, il Palermo finirà 11esimo a pari merito col Sassuolo e ad appena tre punti dal Milan) dovrebbe essere quindi quella della rampa di lancio, in un ambiente perfetto come la Serie A, che è ormai la palestra dei campionati più ricchi. Ma le cose a volte sanno davvero andargli storte senza che lui faccia (quasi) niente. Zamparini, infatti, in uno dei suoi deliri di onnipotenza, lo vende al Norwich, ancora una volta in un campionato di seconda divisione.
La giustificazione è che Lafferty è un “irlandese senza regole” e un “donnaiolo ingestibile”: «È uno che sparisce una settimana e va a donne a Milano, ha due famiglie con sei figli, non fa allenamento, è uno scoordinato». È una situazione a metà tra il paradossale e il grottesco perché Zamparini è il primo ad ammettere che la cessione non ha nulla a che vedere con le sue prestazioni: «Sul campo è un grande giocatore perché dà tutto quello che ha e anche di più». Il tutto si riduce a una questione meramente comportamentale.
Fatto sta che il Norwich lo tratta come un dono poco gradito. Dopo sei mesi in cui fa quasi sempre la riserva, Lafferty viene girato in prestito al Rizespor, in Turchia, per il resto della stagione. L’anno successivo, tornato al Norwich, i campi della Premier League Lafferty non li vede quasi mai. A gennaio, quindi, decide di nuovo di trasferirsi in prestito, e di nuovo in Championship, questa volta al Brighton. L’obiettivo, paradossale in un calcio sempre più sfiancante a causa degli impegni di club, è trovare minutaggio per allenarsi in vista di Euro2016, il primo Europeo nella storia dell’Irlanda del Nord.
L’esercito verde e bianco
L’uomo che nel 2013 convince Lafferty a non ritirarsi dalla Nazionale si chiama Michael O’Neill, l’allenatore che è seduto sulla panchina dell’Irlanda del Nord dal 2011.
Negli anni ’80 O’Neill era uno dei più grandi talenti dell’Irlanda del Nord. Esordisce a 15 anni nel campionato Nazionale e a 18 viene acquistato dal Newcastle. Il primo anno ha un grosso impatto sul campionato inglese, segna 13 gol in 22 presenze e a volte riesce persino a mettere in ombra un certo Paul Gascoigne. La stagione successiva Gazza viene venduto al Tottenham e lui dovrebbe affermarsi come giocatore più importante della squadra ma gli infortuni si mettono di traverso. O’Neill non riesce a ripetersi e a fine anno il Newcastle addirittura retrocede. Pian piano il suo futuro, che sembrava luminosissimo, si spegne nella periferia del calcio europeo: prima il Dundee, poi l’Hibernian, poi il Conventry, e così via.
«Ho sempre avuto l’impressione di aver reso al di sotto delle mie capacità come calciatore, le cose hanno tramato contro di me un pochino», ha dichiarato al Belfast Telegraph «E questo è qualcosa che non ti lascia mai. Non lo superi, sarà sempre lì con te. Mi sveglierò a 60 anni e continuerò a provarlo. Questo è ciò che mi guida come allenatore, aiutare i giocatori dell’Irlanda del Nord a ottenere il massimo possibile dalle proprie carriere».
Il suo incontro con Kyle Lafferty è una di quelle cose che ti illude che ci sia davvero una forza onnisciente a guidare il destino. O’Neill è l’unico che può motivarlo perché è l’unico che può capirlo davvero: «Quello che Michael mi dice ad ogni partita prima del riscaldamento mi fa sentire come se volessi correre attraverso un muro di mattoni per lui. La convinzione di poter entrare in campo e segnare contro chiunque che mi dà è incredibile».
E in effetti quello che succede una volta chiuso il deludente girone di qualificazione ai Mondiali del 2014 è veramente qualcosa di quasi irripetibile nel calcio moderno. L’Irlanda del Nord si qualifica per la prima volta nella sua storia ad un Europeo, e lo fa da prima del girone.
Nelle prime tre partite del girone, l’Irlanda del Nord inanella addirittura tre vittorie di fila. Nella più clamorosa, quella fuori casa contro la Grecia di Ranieri, Lafferty fa impazzire Manolas, affermandosi come uno dei pochi giocatori nel panorama mondiale a farlo soffrire nella copertura della profondità.
Lafferty chiuderà le qualificazioni con 7 gol (alcuni dei quali bellissimi), quanto Rooney e Bale, ma con dei compagni infinitamente inferiori sotto il profilo tecnico e senza avere la possibilità (fondamentale, da un punto di vista fisico) di giocare regolarmente con un club.
Come da tradizione, Lafferty segnerà anche il gol decisivo per il raggiungimento dell’obiettivo, l’1-1 contro l’Ungheria, al 93esimo. È il 7 settembre del 2015, esattamente a due anni dall’espulsione col Portogallo.
La storia.
A 28 anni, quando la sua carriera è ormai definitivamente fallita, Lafferty trova il suggello definitivo che lo trasforma in eroe nazionale. Con i suoi 17 gol in 51 presenze è il secondo miglior marcatore nella storia della nazionale nordirlandese.
The best feeling ever
Ci sono tanti motivi per cui i calciatori dedicano la propria vita professionale al pallone. Dagli aforismi di George Best si evince ad esempio quasi un piacere fisico nel giocare a calcio, una soddisfazione materiale e psicologica simile all’alcol o al sesso: «Qualche anno fa dissi che se mi avessero dato la possibilità di scegliere tra segnare un gol al Liverpool da ventisette metri, dopo aver saltato quattro uomini, e andare a letto con Miss Mondo, sarebbe stata una scelta difficile».
E questo è anche uno dei motivi per cui lo amiamo. Best rappresenta un calcio romantico in cui si può sopravvivere alla competizione con il solo talento innato e la sola gioia di giocare, da soli capaci di farti superare, almeno a tratti, i tuoi demoni personali. Un calcio in cui di fronte all’ossessione per diventare “il più forte di tutti” si calcia il pallone in tribuna perché si ha qualcosa di più importante da fare.
Lafferty non ha la metà del talento di Best, e nemmeno un quarto della sua finezza intellettuale. È sostanzialmente un truzzo, un coatto (o come si dice dalle vostre parti). Ma soprattutto è nato in un’epoca in cui la concorrenza è decuplicata, in un contesto che disprezza qualunque comportamento che non sia diretto strettamente alla vittoria, alla gloria personale, al superamento di un record.
Una delle poche cose che accomuna Lafferty e Best è il piacere di giocare a calcio per giocare a calcio, la competizione allo stato puro, la ricerca della bellezza infantile che ti regala un gol davanti a migliaia di persone. Scoring a goal for them is the best feeling ever, dice Lafferty al sito della UEFA.
Il fatto che sia riuscito nel 2016 a sopravvivere professionalmente arrivando da protagonista ad un Europeo è una cosa che trovo, sinceramente, straordinaria. E anche se dubito che questo sia il motivo per cui è finito sulle copertine di riviste specializzate, sicuramente è il motivo per cui io gli voglio profondamente bene.