Story of Speed è una rubrica realizzata in collaborazione con NIKE in cui celebriamo il diciottesimo anniversario di Mercurial, la scarpa che più di ogni altra ha innovato l’idea di design applicata al calcio, scarpa da sempre associata alla velocità. Per questo la rubrica è dedicata ad alcuni giocatori che hanno fatto della rapidità uno dei principali punti di forza.
Se aveste di fronte il Ronaldo tredicenne che, si dice, ha segnato 166 gol in una stagione e non ha idea di cosa lo aspetta nella vita, come descrivereste la sua carriera futura?
Lo mettereste in guardia dal dolore? Gli direste una cosa tipo: "Diventerai incredibile e i tuoi allenatori si metteranno le mani tra i capelli guardandoti segnare, poi, però, prima di maturare completamente ti infortunerai al ginocchio e non tornerai mai più quello di prima"?
Oppure provereste a mettere in evidenza l’aspetto positivo della cosa? "Avrai pochi anni per esprimerti al massimo, ma avrai una carriera lunga e soddisfacente e in quei pochi anni in cui sarai nel pieno delle tue capacità riuscirai a cambiare il calcio per sempre".
Mh. Entrambe le versioni sarebbero difficili da capire per un ragazzo così piccolo. Pensandoci, forse sarebbe meglio non dirgli niente, perché qualsiasi cosa gli dicessimo rischieremmo di cambiare il corso degli eventi. E rischieremmo di perdere anche quello che abbiamo avuto la fortuna di vedere.
Che Ronaldo ha cambiato il calcio contemporaneo è un’informazione che abbiamo registrato negli strati più profondi della nostra memoria anche se, per forza di cose, è difficile rendersi conto che la storia sta cambiando nel momento stesso in cui cambia. Ma, adesso che sono passati quasi vent’anni, in che momento Ronaldo ha cominciato a cambiare la storia?
Questa è forse la domanda più difficile di tutte a cui rispondere quando si parla di Ronaldo. Guardando indietro, alle stagioni precedenti a quelle interiste (nella prima era già pienamente maturo, nella seconda si è infortunato), si vede bene che Ronaldo era “fenomenale” praticamente dall’inizio.
Ecco delle prove.
Ronaldo è la macchia blu che sfreccia in mezzo alle tre macchie bianche (di cui almeno due tentano di fermarlo con le cattive maniere) e aggira il portiere mettendo poi la palla nella porta vuota. Era il 6 aprile del 1994 e Ronaldo non aveva ancora compiuto diciotto anni (né aveva ancora vinto un Mondiale sedendo in panchina), ma attraversava la difesa del Boca Juniors esattamente come gli vedremo fare negli anni a seguire con tre quarti delle difese spagnole e italiane (anche quelle tedesche hanno avutola loro dose di Ronaldo, va detto).
L’avvento
I particolari che descrivono la vita di Ronaldo prima di diventare Ronaldo fanno tenerezza sapendo quanto velocemente sarebbe cambiata la sua storia. Il fatto che non si è potuto allenare con il Flamengo perché era troppo lontano e il biglietto dell’autobus costava troppo, il padre che per vivere in qualche modo il suo esordio con il Cruzeiro è dovuto andare su una collina di Rio con una radio, per ricevere una stazione di Belo Horizonte. Il solo fatto di essere Ronaldo ci sembra superiore a qualsiasi difficoltà possa aver vissuto. D’accordo, pensiamo, ma era Ronaldo! . Prima o poi qualcuno si sarebbe reso conto comunque che era Ronaldo! In casi come il suo non è questione di venire scoperti, ma riconosciuti.
E guardando le immagini di quando Ronaldo ha diciassette/diciotto anni è facile riconoscere il prodigio di tecnica e atletismo che sarebbe diventato poi. Non c’è niente da scoprire, anche l’immaginazione più povera avrebbe visto il talento del Ronaldo del Cruzeiro, senza dubbio il Ronaldo più leggero della storia, un centravanti velocissimo e con un dribbling già pieno di finte (che quando salta di testa arriva sorprendentemente in alto). Quello del PSV sembra il fratello maggiore, con le gambe più grosse e un ritmo frenetico.
Un’intensità da tarantolato e un gioco di gambe che gli permettono di passare letteralmente attraverso gli avversari.
Ma magari a posteriori è più facile. C’è uno di quegli aneddoti che aggiungono alla figura austera di Van Gaal una sfumatura buffa e un po’ pazza, che vede l’allenatore dell’Ajax commentare l’arrivo di Ronaldo al PSV dicendo “Noi abbiamo Kluivert”. Una frase che, con tutto il rispetto per Kluivert, non suona benissimo e conferma il gusto di Van Gaal per quei talenti da educare quasi da zero.
In effetti il talento di Ronaldo già a questo stadio sembra difficilmente sovrascrivibile con programmi che lo razionalizzino, è puro istinto e improvvisazione, non tiene conto davvero di niente: degli avversari che sono solo un ostacolo da superare, dei compagni di cui non ha bisogno, e neanche dell’esatta posizione della porta in cui fare gol, visto che le strade con cui può arrivarci sono pressoché infinite.
La cosa incredibile di Ronaldo e che di solito presupposti di questo tipo sono perfetti perché un talento anche splendido si riveli poco costante o poco determinante. E invece Ronaldo, con tutto che sembra davvero un cavallo scosso (Jorge Valdano lo paragonerà a una mandria di cavalli) o un toro liberato in mezzo al campo, ha segnato 44 gol in 47 partite in Olanda (con un’efficacia e una precisione, tra l’altro, che gli tornerà utile quando non potrà più contare su un vantaggio fisico così grande). Molti dei quali puntando l’area, con la difesa che preferisce indietreggiare e lasciargli il tiro di destro o di sinistro (per lui è uguale) dal limite dell’area. Tiro che a volte finisce fuori o tra le braccia del portiere, ma abbastanza spesso chirurgicamente in un angolo o in un altro. Non c’è ancora il senso di pericolo costante del Ronaldo maturo, in qualsiasi situazione, in qualsiasi punto del campo prenda palla, ma proprio per questo si apprezzano meglio i suoi movimenti senza palla e le volte in cui in area di rigore spunta davanti o alle spalle dei difensori (ha anche segnato di tacco tagliando sul primo palo, due volte). Ah già, ho pensato io riguardando quei gol, sapeva fare anche questo.
Fermo restando che quando può puntare gli avversari da fermo, o cambiare direzione in corsa, il talento di Ronaldo è semplicemente ridicolo.
Ronaldo non è un genio indisciplinato per dei limiti mentali, sembra piuttosto che per portare il proprio corpo al massimo delle proprie prestazioni calcistiche abbia bisogno del massimo della propria concentrazione. Il rapporto tra Ronaldo e il proprio corpo è più o meno quello che c’è tra un giovane pilota di talento e una moto da corsa su cui è salito solo un paio di volte, ed è comprensibile che provi a capire dove sono i suoi limiti visto che in alcuni casi sembra non averne.
Il secondo anno con il PSV, però, è anche quello in cui ha avuto i primi infortuni al ginocchio, dovuti a una sindrome da stress che svanisce proprio intorno ai vent’anni. “Se non posso giocare sono finito”, ha detto Ronaldo in quel periodo. “Il calcio è la mia vita”.
E ti credo.
Pelé
Prima di parlare del vero punto di svolta di Ronaldo, è bene affrontare l’inevitabile parallelo con Pelé. Va fatto ora perché il punto sono proprio quella naturalezza quell’istintività purissima con cui, a un'età in cui quasi non potevano rendersene conto, entrambi hanno cambiato il calcio della loro epoca. Se liberiamo la mente da qualsiasi tipo di giudizio è impossibile non pensare che il Ronaldo diciottenne sembra una versione aggiornata del Pelé diciottenne. Nei quasi quarant’anni che li separano il calcio ha continuato ad evolversi ma la sensazione di arretratezza degli avversari rispetto al loro gioco è lo stesso. Quello della precocità è un tratto comune anche ad altrigeni istintivi, ma Pelé e Ronaldo sono accomunati da un senso di superiorità fisica (e tecnica, certo, ma sopratutto fisica) quasi ingiusto, che implicitamente costringe il contesto in cui si inseriscono ad adattarsi alla loro novità.
Per giocare a calcio contro Pelé e contro Ronaldo sarebbe stato necessario avere un rapporto con la palla e con il proprio corpo, con l’equilibrio e con l’intensità, che i loro avversari non avevano. In poche parole: andava ripensata l’idea di calcio. Se Maradona incarna l’idea di talento unico e irripetibile, Pelé e Ronaldo sono l’incarnazione dell’idea di progresso.
E se restiamo ancora a bocca di fronte alla capacità di coordinazione di Ronaldo, immaginate come si devono essere sentiti gli spettatori dell’epoca di Pelé di fronte a questa cosa qui sotto.
Detto questo, Pelé era un giocatore migliore. Ed era un giocatore migliore proprio perché veniva da un’epoca diversa e il progresso che rappresentava era meno scioccante di quello di Ronaldo. Ma se Ronaldo fosse stato un giocatore migliore sarebbe stato meno eccezionale. Se avesse alzato la testa più spesso, se avesse usato tutte le marce anziché solo la prima e la quinta, non avrebbe sviluppato quel gioco precipitoso e violento che ha reso il suo passaggio sui campi da calcio irripetibile.
Barcellona
Il momento in cui Ronaldo è diventato davvero un evento traumatico per i suoi contemporanei è la stagione 1996-97, quella passata a Barcellona. Luis Enrique qualche anno fa ha detto: “Oggi siamo abituati a Messi che dribbla sei giocatori, ma non a quei tempi. Era forte, era una bestia. E anche un ragazzino. Il tipico brasiliano che nello spogliatoio ballava la samba”.
L’impressione bruciante data da Ronaldo quella stagione dipende dal numero straordinario di gol segnati (47 in 49 partite) ma anche dalla sensazione che quelle siano le prime scosse di un terremoto ancora più grande in arrivo. Il primo gol lo segna alla terza giornata, saltando il portiere a sinistra a pochi metri dalla linea di fondo, anziché calciare con il destro a incrociare come spesso faceva. Adesso Ronaldo controlla la propria velocità, e la palla, anche negli ultimi tre o quattro metri di campo.
Su assist di Amor segna il suo terzo gol saltando il portiere con una microfinta a sinistra e un controllo di esterno a destra che sono l’icona in movimento del talento di Ronaldo.
Quel Barcellona è una squadra offensiva e piena di talento, a volte Ronaldo non deve fare altro che farsi trovare pronto e mettere a frutto le giocate di Giovanni e Figo, e forse proprio per questo concentra tutta la forza espressiva del suo talento in alcune giocate che a questo punto sono semplicemente mostruose.
Thierry Henry ha detto a The Blizzard che “Ronaldo faceva cose che nessuno aveva fatto prima”; e il gol contro il Compostela da solo sarebbe valso, probabilmente, il FIFA World Player of The Year che Ronaldo ha vinto a metà di quella stagione, proprio perché nessun altro calciatore era mai riuscito a trasformare il campo da calcio in un inseguimento su pista. È fin troppo evidente la difficoltà dei suoi avversari anche solo a fargli fallo, Ronaldo cambia direzione a una velocità per cui per loro è persino impossibile fermarsi senza cadere. Il difensore che gli tira la maglia aumenta l’effetto elastico: sembra un sasso che esce da una fionda e brucia un metro con ogni passo ai difensori.
La resistenza ad alta velocità di Ronaldo in quella stagione è incredibile. Nel terzo gol contro il Valencia, quando passa in mezzo a due difensori, uno dei due (quello a destra) prova a caricarlo con tutta la sua forza ma Ronaldo non perde minimamente l’equilibrio, alza la testa per vedere dov’è il portiere e calcia. E se si prova a non fargli arrivare la palla, aggredendo i suoi compagni con la difesa alta, diventa un vero e proprio suicidio. Anche i portieri non hanno veramente scelta: se escono li dribbla, se restano in porta Ronaldo calcia angolato su uno dei due pali. E se non calcia di più da fuori area è solo perché non ne ha bisogno, abbasserebbe le sue probabilità di segnare.
Era ancora un calciatore acerbo tatticamente, ma noi adesso sappiamo che non sarebbe mai stato meglio di così. Gli si potevano dare più responsabilità o confrontarlo con difese più solide (come è successo con l’Inter) ma quello di Barcellona è la cosa più vicina all’idea astratta che possiamo avere del Ronaldo prima dell’infortunio.
Scioccante
A metà di questa stagione, come detto, Ronaldo fu premiato come Fifa Player of The Year, votato da allenatori e capitani. Il Pallone d’Oro, invece, votato da una selezione di giornalisti, lo vinse Matthias Sammer. E con un solo “punto” in più. Ok, con Sammer hanno premiato tutto il Borussia Dortmund di Ottmar Hitzfeld, che aveva vinto due Bundesliga consecutive arrivando lontano anche in Europa (quella stesso 1996 erano stati eliminati ai quarti di Champions League, e pochi mesi dopo l’avrebbero vinta battendo la Juventus in finale). E con il sistema di voto a punti è difficile affermare che i giornalisti abbiano scelto Sammer per una ragione più o meno specifica. Ma se volessimo dargli un valore simbolico o culturale potremmo dire che i giornalisti che hanno votato Sammer (mettendo magari Ronaldo in seconda posizione) hanno premiato il calcio che erano abituati a vedere invece di quello futuro, un libero invece di un attaccante che non avevano mai visto. Un voto preventivamente nostalgico (ah, se solo avessero saputo la nostalgia che avremmo provato noi per quel Ronaldo…).
Forse Sammer rappresentava una versione più umana di calciatore, rispetto a Ronaldo. Basta guardare le foto di Ronaldo al momento della premiazione, sembra un alieno con gli occhi a mandorla, le orecchie a punta e un buco tra i denti. Quindi, la discrepanza tra il voto di allenatori e giocatori, intellettualmente meno coinvolti, e quello dei giornalisti, più critico, potrebbe rappresentare la nostra generale difficoltà ad accettare le novità e i cambiamenti, specie i cambiamenti epocali, come in questo caso. Sto dicendo che qualche allenatore avrebbe potuto preferire Sammer a Ronaldo perché Ronaldo lo spaventava. E in campo in effetti Ronaldo era spaventoso.
Per questo anche la pubblicità in cui Ronaldo gioca in aeroporto con il resto del Brasile, talmente riuscita che ormai fa parte della nostra memoria collettiva, non coglieva comunque pienamente l’essenza stessa di Ronaldo. Era al tempo stesso il giocatore più divertente e un evento traumatico, la gioia di giocare a calcio incarnata ma anche uno degli esempi più violenti di superiorità fisica e tecnica di un uomo su quasi tutti gli altri. Era il ventenne brasiliano con il sorriso infantile di un bambino di dieci (che ha conservato ancora oggi che ne ha quaranta) ma anche una specie di alieno che avrebbe potuto distruggerci con lo sguardo laser da un momento all’altro. E se Ronaldo avesse giocato davvero in un aeroporto, lo avrebbe distrutto.
La famosa pubblicità del 1998, anno in cui R9 ha indossato per la prima volta le Mercurial
Il resto della stagione
Quella stagione il Barcellona è arrivato secondo in Liga dietro il Real Madrid di Fabio Capello. Si indica nella sconfitta contro l’Hercules la partita in cui il Barça ha perso il campionato, e in quella partita Ronaldo non c’era. Anche se oggi ci sembra assurdo, Ronaldo ha saltato le ultime tre partite e la finale di Coppa del Re per giocare con il Brasile prima il Tournoi de France e poi la Copa América. Almeno a noi restano i video di Ronaldo contro la difesa dell'Italia (Ronaldo ha segnato due gol ma anche la difesa dell’Italia ha vissuto grandi momenti, vedere per credere la forbice di Maldini e Cannavaro o la grande scivolata di Costacurta) e un esempio concreto dei raddoppi di marcature della Francia contro un Ronaldo in forma (e cioè quello che non abbiamo visto nel ’98) e del cinismo inglese (Ronaldo rimpiange di non aver mai giocato in Premier League, ma forse è stato meglio così…).
Anche in Copa América, vinta dal Brasile, Ronaldo ne ha approfittato per ingrandire la sua collezione di slalom e finte brutali, che si aggiungono a quella capacità di essere decisivo che ci dimentichiamo spesso ma che, ad esempio, gli ha fatto segnare il gol del vantaggio in finale con la Bolivia a meno di un quarto d’ora dalla fine.
Un esempio contemporaneo a Ronaldo
Tra il febbraio del 1996 e il maggio del 1997 si sono svolti due incontri (composti ognuno da una serie di sei partite) tra il campione del mondo di scacchi russo Garri Kasparov e un computer dell'IBM, Deep Blue. Oggi è ricordato come lo scontro Uomo contro Macchina e nel ’97 la sfida aveva assunto significati che forse andavano al di là di quello che davvero la vittoria dell’uno o dell’altro poteva dimostrare, perché gli scacchi sono anche una questione di creatività. La prima serie di partite la vinse Kasparov, la seconda Deep Blue, che gli ingegneri avevano migliorato nel frattempo.
Dopo aver abbandonato la seconda partita della seconda serie, Kasparov disse che era successo qualcosa di strano e al giornalista che chiese se gli sembrava fosse intervenuto qualcosa di “umano” nelle decisioni di Deep Blue, rispose che il computer aveva barato (usando, tra l’altro l’analogia calcistica con la Mano di Dio di Maradona contro l’Inghilterra).“Forse dovresti accettare che Deep Blue ha fatto cose che non pensavi fossero possibili”, gli disse a quel punto un programmatore IBM. Poi, analizzando quella partita è venuto fuori non solo che Kasparov facendo le mosse giuste avrebbe potuto ancora pareggiarla, che aveva abbandonato troppo presto, ma anche che Deep Blue aveva sbagliato la penultima mossa.
Nella sesta partita, decisiva per la vittoria, Kasparov ha abbandonato dopo solo 19 mosse, giocando meno bene del solito, e dopo quella seconda serie l’IBM non ha voluto dargli la rivincita (le loro azioni erano aumentate di 18 bilioni di dollari e non ne avevano motivo). I computer di oggi sono molto più potenti di Deep Blue e non avrebbe senso una sfida del genere, ma quell’incontro è considerato come il punto di svolta a livello concettuale. Kasparov non è riuscito ad accettare una sconfitta che, come ha scritto James Somers su The Atlantic, è stata più una questione di forza bruta che di astuzia o creatività: “Poteva calcolare fino a 300 milioni di posizioni al secondo, mentre Kasparov ne valutava qualche dozzina prima che gli scadesse il tempo”.
Archetipo
Un centravanti come Ronaldo rappresenta per il mondo del calcio un tipo di svolta epocale dello stesso tipo nell’incontro tra Kasparov e Deep Blue (e forse questo aspetto lo aveva colto un'altra pubblicità, in cui Ronaldo veniva presentato come lo spartiacque tra un periodo prima Ronaldo e uno dopo Ronaldo). Non è spuntato completamente dal nulla, ma non c’era neanche stato qualcuno davvero come lui. L’esempio migliore di questa prossimità che però è ancora una distanza tra Ronaldo e quelli che sono venuti prima di lui lo possiamo vedere nel fatto che il Pallone d’Oro del 1995 lo aveva vinto Weah (non era giovane come Ronaldo, non era altrettanto brusco e imprevedibile, non era altrettanto spaventoso).
Anche se oggi il suo standard di superiorità e costanza è stato raggiunto da Messi, Cristiano e più o meno occasionalmente anche da calciatori come Luis Suarez (che in comune con il talento di Ronaldo ha solo la capacità di finalizzazione e l’intensità, e che ha battuto il suo record di 47 gol stagionali segnandone 49) la paura che doveva incutere Ronaldo nei colleghi coetanei che lo dovevano affrontare è difficile da immaginare. Come Kasparov aveva meno tempo per pensare rispetto a Deep Blue e veniva preso dall’ansia, così i difensori che affrontavano Ronaldo non potevano sostenere il suo ritmo. Ronaldo non era un pensatore, ma soprattutto non faceva pensare i suoi avversari.
Alessandro Nesta ha detto che giocarci contro nel ’98 ‘ stata la “sua esperienza peggiore” ma ha anche aggiunto di aver riguardato i video di quella partita per provare a migliorarsi. Ronaldo era l’apoteosi di un calcio fisico su uno cerebrale, ma era anche del tutto naturale. E sulla sua natura sono stati ricalibrati gli standard del calcio contemporaneo.
Emanuele Atturo ha evidenziato come il significato della parola “fenomeno” si adattasse bene a Ronaldo: “Il termine Fenomeno deriva dal greco fainòmenon, participio sostantivo di “fàinomai”, ovvero mostrarsi, apparire. La comparsa di Ronaldo a metà anni ’90 deve avere avuto realmente il senso di un’apparizione”.
Per il mio discorso, però, è più utile guardare ai significati della parola Archètipo (anche se si sarebbe prestato infinitamente meno bene a fargli da soprannome): 1. primo esemplare, modello; 2. in filosofia, spec. nella tradizione platonica, l’essenza sostanziale delle cose sensibili; 3. nel pensiero dello psichiatra e psicologo svizz. C. G. Jung (1875-1961), immagine primordiale contenuta nell’inconscio collettivo.
L’epoca di Messi e di Cristiano è ancora l’epoca di Ronaldo perché il nostro immaginario non è cambiato, ed è soprattutto questo il modo in cui Ronaldo ha cambiato la storia del calcio, entrando nelle nostre teste come il ricordo di quello che il calciatore moderno ideale potrebbe essere.
In questo senso è persino inutile pensare a quello che sarebbe potuto diventare Ronaldo senza infortuni: più di questo cosa avrebbe potuto fare?