Ieri pomeriggio ad Atene si è chiusa ufficialmente l’era Platini per la UEFA, che durava dal 2007. La confederazione europea di calcio ha eletto il suo nuovo presidente, dopo aver dato la possibilità a Platini di fare un un ultimo discorso all’organizzazione che ha diretto negli ultimi otto anni, “come gesto d’umanità”. L’ex fuoriclasse della Juventus se n’è andato in maniera teatrale, dichiarando di avere “la coscienza pulita” e di non aver commesso nemmeno “il più piccolo errore”. Infine ha chiuso il discorso con: “Amici del calcio, addio”.
L’UEFA ha voltato pagina e su quella successiva ha scritto il nome di Aleksander Ceferin, semisconosciuto presidente della federazione slovena, appassionato di karate e viaggi avventurosi (nella conferenza stampa post-elezione ha dichiarato di aver attraversato il Sahara ben cinque volte). Se del passato e del background di Ceferin sappiamo comunque poco al di là degli aneddoti, qualcosa di più possiamo sapere dei suoi programmi futuri.
Ad esempio, sappiamo che nei giorni precedenti all’elezione Ceferin si era scagliato contro l’accordo raggiunto ad agosto tra l’UEFA e l’ECA (European Club Association, organizzazione che racchiude i principali club europei) per la riforma della Champions League a partire dalla stagione 2018-19.
Uno degli aspetti sportivamente più importanti della riforma è l’eliminazione dei preliminari per le quattro leghe europee principali (Liga, Bundesliga, Premier League e Serie A), che avranno così quattro posti assicurati ognuna, per un totale di sedici (contro gli undici attuali) sui 32 complessivi. Secondo alcuni, la riforma è frutto dello spauracchio agitato più volte dai top club europei della cosiddetta Superlega, da cui trae vantaggio soprattutto il campionato italiano, che in un colpo solo raddoppierebbe il numero delle proprie squadre sicure di un posto in Champions League. A pagarne le maggiori conseguenze, invece, sarebbero i campionati medio-piccoli, alcuni dei quali perderebbero i preliminari come ultima possibilità di accedere alla fase a gironi della Champions League (e ai suoi diritti TV).
Ceferin, in un’intervista all’Associated Press, si è detto contrario a questa riforma, definendo la formula attuale come “il modello ideale”. Secondo quello che dopo poco sarebbe diventato il nuovo presidente della UEFA, la minaccia dei top club di formare una Superlega a sé stante sarebbe un bluff, privo di consistenza reale: «Sarebbe noioso giocare in una sorta di lega chiusa, e significherebbe anche fare guerra alla UEFA».
Per quanto Ceferin non abbia specificato come vorrebbe tornare alla situazione precedente, concentrandosi esclusivamente sulla mancanza di trasparenza e democraticità del processo che ha portato a questa riforma, la sua promessa elettorale ha fatto breccia nei cuori delle piccole e medie federazioni (come è quella da cui proviene lo stesso Ceferin, quella slovena) che costituiscono la stragrande maggioranza dei 55 membri della UEFA, come l’Armenia, la Svezia, la Norvegia e il Portogallo. Anche grazie al loro ha ottenuto ben 42 voti (ne erano necessari 28) contro i 13 del suo principale sfidante, Michael Van Praag.
Van Praag ha probabilmente pagato proprio il suo ruolo nelle negoziazioni che hanno portato alla riforma della Champions League. Vice presidente della UEFA dal 30 giugno dell’anno scorso e membro del comitato esecutivo della confederazione europea, Van Praag ha capito troppo tardi che la partita per la riforma della Champions League era quella principale.
Solo il giorno prima della votazione, infatti, ha cercato di smarcarsi dal suo ruolo, in maniera anche un po’ patetica, promettendo di riaprire le negoziazioni se fosse stato eletto presidente della UEFA e dichiarando di non esser stato presente alla riunione del comitato esecutivo in cui si è presa la decisione finale sulla riforma della principale competizione europea. Con un’iperbole eccessiva, Van Praag aveva chiuso dicendo che i club avrebbero dovuto passare sul suo cadavere se avessero voluto riunirsi in una Superlega…
In questo modo il dirigente olandese non ha fatto altro che smentire le sue stesse idee, perdendo del tutto la propria credibilità come candidato. In un’intervista pubblicata da ESPN nello stesso giorno, Van Praag dichiarava che la UEFA «aveva preso la giusta decisione» riguardo la riforma della Champions League, e si dimostrava addirittura aperto all’eventuale formazione di una Superlega in futuro.
Ceferin ha avuto vita facile e ha ottenuto la stragrande maggioranza dei voti, tra cui quello clamoroso e inspiegabile della federazione italiana (o meglio, comprensibile solo in parte tenendo conto dell’elezione in cambio dell’italiana Evelina Christillin a membro europeo del Consiglio della FIFA). Non solo, il supporto della FIGC è stato addirittura decisivo, perché arrivato da una grande federazione in un momento in cui non si erano ancora consolidati gli equilibri tra i due candidati, al punto che lo stesso Ceferin si è sentito in obbligo di dover ringraziare l’Italia nella conferenza stampa post-elezione.
Non conosciamo ancora il senso del supporto italiano (è importante sottolineare che alla fine abbiano appoggiato Ceferin anche altre grandi federazioni, come la Francia e la Germania) né se Ceferin darà effettivamente seguito alle sue parole. Ma se il presidente della UEFA prenderà la questione della riforma della Champions League seriamente, come sembra al momento, allora potrebbe riproporsi una situazione di muro contro muro tra club e federazioni, simile a quello che sta spaccando negli ultimi anni il mondo del basket europeo. E per amore di questo sport, e della Champions League che in ogni caso, anche senza riforma, ne rappresenta la massima spettacolarizzazione, speriamo vivamente di no.