Nella storia della boxe, soltanto due sono i pugili imbattuti che bisognerebbe conoscere e aver visto in azione. Non due semplici mai-sconfitti, ma degli autentici indistruttibili.
Il primo, ma solo in ordine temporale, è Rocky Marciano: ritirato senza mai cadere, senza mai perdere ai punti, senza mai dare a nessuno la cintura di campione, per sei volte. Rocky è stato un pugile di potenza grezza, mai in pericolo; un mostro talmente barbaro che è stato dato un soprannome al suo pugno destro: “The Brockton Blockbuster”. Altri tempi.
Il secondo è Floyd Mayweather Junior. Più leggero del Golem del Massachusetts, più moderno, anche lui si è ritirato da vincente assoluto, ma ha fatto qualcosa di più: è ritornato sul ring dopo il ritiro, continuando a vincere sempre. Floyd in più rispetto a Rocky ha avuto anche due cognomi e due tra i soprannomi più ambiti in questo sport: “Money” e “Pretty Boy”. Floyd non soltanto a ogni incontro percepisce una media di 30 milioni di dollari, ma l’unico avversario al mondo che forse può metterlo in difficoltà sembra essere un codardo che ha paura di affrontarlo.
Floyd Joy Sinclair nasce a Grand Rapids, nel Michigan il 24 febbraio 1977. È figlio di Deborah Sinclair e di Floyd Mayweather Senior. Nei primi anni dell'infanzia la vita per Floyd è difficile. Non ha ancora compiuto un anno, quando lo zio materno, in una resa dei conti, spara al padre ferendolo a una gamba. La sua famiglia sembra essere venuta dall’inferno: se la madre è un’eroinomane, il padre «non lo portava mai al cinema o al parco. Lo portava in palestra e lo allenava. I suoi allenamenti erano estenuanti e quando si fermava, erano frustate». Il suo unico modello positivo era la nonna: «Penso che lei abbia visto prima di tutti il mio talento. Quando ero un ragazzino, le dicevo che mi sarei dovuto cercare un lavoro vero da grande, ma lei mi diceva di no e che avrei dovuto continuare a boxare».
Il padre di Floyd è un ex pugile, come i suoi zii Jeff e Roger. Nel suo periodo di attività Mayweather Senior era soprannominato “il poeta laureato della Boxe”, perché prima di ogni match durante la conferenza stampa amava declamare le sue poesie offensive agli avversari.
Come allenatore era ossessionato dalla tecnica difensiva. Per quanto fosse stato evidentemente un cattivo padre che «non portava il figlio al cinema» è sua gran parte del merito d’aver reso Floyd un alieno della “tecnica di guardia”.
Spaventosamente efficace e rigoroso, il suo metodo si chiama “Shoulder-roll”, e consiste in un movimento perpetuo e rapido delle spalle che, in posizione ravvicinata con l’avversario, permette di schivare e ammortizzare la maggior parte dei colpi, anche i più pesanti. Si ruota di quasi 180° il tronco e si mette un guantone a difesa del viso con il gomito stretto e l’altro braccio si lascia libero per acciuffare il pugno dell’avversario al corpo come se fosse un’innocua palla da baseball. Una manovra straordinaria che se svolta correttamente permette al lottatore di non subire mai danni gravi né al viso né al tronco.
Floyd comincia a fidarsi del vecchio e sceglie di prendere il suo cognome. Ma la situazione peggiorerà presto: il padre, nel 1993, viene arrestato per traffico illegale di droga e il giovane pugile decide che il suo allenatore sarà lo zio. Roger “Black Mamba” Mayweather.
Cinque anni dopo, il padre di Floyd esce dal carcere e può ritornare a essere l’allenatore del figlio. Altri due anni d’affetto e allenamenti e poi, nel 2000, Floyd Junior litiga con lui dopo un incontro e lo licenzia. Si riprende lo zio “Black Mamba” e Floyd Senior va ad allenare un pugile dopato soprannominato “Piccolo Tyson”.
Lo zio Roger nel 2006 è squalificato per un anno per essere salito sul ring con i suoi amici per giustiziare Zab Judah, colpevole di una grave scorrettezza commessa ai danni di Floyd durante un loro incontro. Al decimo round Zab, irritatissimo dalla supremazia di Floyd gli sferra un montante sinistro alle palle. Come se non bastasse quando Floyd si piega in due dal dolore, riceve un altro pugno, stavolta dietro la nuca. È lì che Roger perde la calma. Solo i poliziotti sono riusciti a fermarlo.
Mentre Floyd si ritrova nuovamente senza allenatore, il padre si propone al “Golden Boy” Óscar De La Hoya per allenarlo in vista del prossimo combattimento contro il proprio figlio. Per quella preparazione Floyd Senior chiede 2 milioni di dollari, il prezzo è alto ma si tratta pure sempre del sangue del suo sangue. L’incontro è in programma il 5 maggio 2007. De La Hoya ci pensa su ma poi rifiuta preferendo Freddie Roach, il trainer di Manny Pacquiao.
Dopo aver perso l’incontro, De La Hoya riceve una seconda visita del padre di Floyd che si ripropone per allenarlo nell’eventuale rivincita, ma non se ne farà più niente.
Quando Floyd ritorna sul ring nel 2009 dopo due anni di ritiro, preferisce ancora una volta lo zio al padre. A quel punto Floyd Senior è talmente disperato che rilascia un’intervista in cui dice: «Non ho bisogno di allenare mio figlio. Ho bisogno di una relazione con lui».
Il nomignolo “Pretty Boy” risale agli inizi della sua carriera pugilistica da professionista. Floyd sul ring incassa così pochi pugni che al suono dell’ultima campanella non ha neanche una ferita. Il suo viso dal primo match in assoluto non ha mai subito traumi evidenti e i guantoni che gli si sono anche solo avvicinati sono stati rari.
Il secondo soprannome “Money” nasce dai tempi degli incontri-evento, quelli audaci, ad esempio vs Óscar De La Hoya, quando Floyd guadagna 25 milioni di dollari per 12 round. Da quel momento in poi, molti si sono dimenticati di “Pretty Boy” e hanno cominciato a parlare soltanto di “Money” Mayweather. Sottovalutando ingiustamente quanto “Money” prima di diventare secondo Forbes l’atleta più pagato al mondo è stato e rimane uno degli sportivi più incredibili dei nostri tempi.
Per chi volesse cercare la caducità in Floyd l’unica cosa che può fare è andare a vedersi il suo score quando era ancora un dilettante. Per quanto notevolissimo, con 84 vittorie su 90 incontri, le 6 sconfitte rassicureranno gli invidiosi del fatto che anche Floyd per un breve momento della sua carriera sportiva ha conosciuto il fallimento.
L’ultima apparizione nel dilettantismo degna d’interesse è stata alle Olimpiadi di Atlanta del 1996. Floyd aveva diciannove anni e vinse la medaglia di bronzo dietro il thailandese Komsig Sambuck e il bulgaro Serafim Todorov. Poi sceglie il suo «lavoro da grande» e passa al professionismo.
Mayweather jr dal 1998 al 2013 vince la cintura di campione mondiale sei volte in cinque categorie differenti di peso. Diventerà campione superpiuma WBC, leggeri WBC, superleggeri WBC, welter IBF e WBC, superwelter WBC. È stato eletto “Fighter of The Year” due volte nel 1998 e nel 2007, rimanendo in testa alla classifica di Ring Magazine “Pound for Pound” dal luglio 2005 al giugno 2008. Anche al suo ritorno, nel 2009, è di nuovo primo in classifica. Al momento in cui questo articolo sarà pubblicato lo sarà da circa cento settimane di fila.
Il primo ottobre 1996 Mayweather, nel primo incontro da pro, distrugge Apodaca al secondo round. Durante la prima ripresa del match Floyd rifila uno jab e tre ganci al fianco che tolgono il fiato ad Apodaca tanto sono potenti. L’arbitro quando nel conto arriva all’otto gli chiede spassionatamente: “Ne vuoi ancora ragazzo?”
Prima di diventare campione nella categoria dei superpiuma contro Hernández nel 1998 è utile riportare una rapida cronaca dei primi incontri di Floyd che aiuti a comprendere di cosa parliamo quando parliamo di un superuomo.
Al tempo in cui i round da disputare sono ancora quattro a Floyd ne basta uno contro Cooper e due per Ayala. Quando i round diventano sei, lui si accontenta del primo per mettere giù Rodriguez, Giepert e Duran.
Poi stende Chávez al quinto e Leija al secondo. Floyd ha appena compiuto vent’anni. Quando gli incontri diventano di dieci round, lui in otto costringe Hernández, nel primo match più importante della sua carriera fino a quel momento, a dire «Basta!»
In quell’incontro “Pretty Boy” piange piegato in due mentre la mamma gli sussurra: «Alzati Baby», deve tirare su la cintura di campione.
Il 20 gennaio 2001 Floyd difende il primato dei superpiuma contro Diego Corrales: è un incontro commovente. Anche il suo avversario, proprio come Floyd, si presenta al match da imbattuto. L’incontro si disputa fino al decimo round, non soltanto grazie a “Pretty Boy”.
Floyd è il pugile venuto dallo spazio e fino al decimo ha vinto non solo tutte le riprese, ma ha messo al tappeto Diego cinque volte: con un gancio sinistro, con un gancio destro, con un gancio sinistro, con un gancio destro e con un gancio sinistro. Sei sono le volte che Diego va giù se si conta anche uno spintone irregolare di Floyd con entrambi i guantoni.
Per quanto l’incontro fosse compromesso Diego Corrales non si è mai arreso e si è sempre rialzato. Al decimo round, alla sesta caduta, il padre di Diego getta la spugna, mentre il figlio sul ring si rialza diligentemente ancora una volta e si appresta a ricominciare.
Quando Diego è pronto a ricominciare, suo padre ferma l’incontro. Diego vede la scena e si scaglia contro di lui: «No, no, no, no!” È furioso, devono trattenerlo. Arriva Floyd a fare da paciere e abbraccia il rivale.
E poi davanti ai microfoni Diego non riesce a trattenere le lacrime quando dice: «Mi sono sempre rialzato, ogni volta, mi sono sempre tirato su. Nessuno avrebbe dovuto fermare l’incontro. Ho lavorato e mi sono preparato moltissimo e nessuno avrebbe dovuto dire “stop”, se non io. Non lo so perché è stato fatto, c’erano altri due round, potevo combatterne altri due. Così non è giusto, non è giusto».
Prima di cambiare categoria e passare ai pesi leggeri, “Pretty Boy” si prende un gran pugno in faccia. Nell’incontro del 26 maggio 2001 contro Carlos “Famoso” Hernández al sesto round, dopo una combinazione destro-sinistro, Floyd si rompe la mano mancina. Il dolore è talmente forte che costringe “Pretty Boy” ad accasciarsi alle corde e in quel momento Carlos gli tira un colpo al viso, piazzato. Floyd perde due punti in quel round, ma è ancora in vantaggio netto. A fine match dice: «Non ci sono mai scuse, bisogna salire sul ring e mettere su sempre un grandissimo spettacolo».
Che cosa intendesse Floyd per «grandissimo spettacolo» si può vedere chiaramente in un incontro successivo del 2003.
Floyd gioca in casa a Gran Rapids. Davanti si trova l’imbattuto sudafricano Phillip “Time Bomb” N’dou che fino a quell’incontro su 31 vittorie 30 le aveva terminate con KO. Durante la conferenza stampa il giovane talento N’dou aveva tuonato: «Voglio rendere il mio Paese orgoglioso di me e vorrei tornarci con la cintura WBC!» Floyd gli aveva risposto: «Mandela è un grande, ma non potrà salire sul ring a difenderti».
A due minuti e quaranta secondi del quarto round, la schiena di Floyd Mayweather è quasi parallela al pavimento del ring, le sue gambe lo tengono su in una posizione impossibile. In quella situazione innaturale Floyd piegato a novanta e con i gomiti stretti, torce il collo verso l’alto e guarda Phillip N’dou che in piedi davanti a lui carica un cross. Poi riesce a rimettersi dritto e nella risalita il colpo se lo prende sulla nuca; il gancio sinistro successivo di N’dou, a corpi avvinghiati, va a vuoto perché “Pretty Boy” gli sguscia sotto l’avambraccio. Se il primo gancio di “Time Bomb” fa cilecca il secondo, stavolta sinistro e appena appena sbilanciato in avanti, va a segno. Floyd fa un movimento in uscita con poco spazio di manovra, ma è sicuro: esce dall’apnea con un passetto indietro e può prevedere il montante stretto di N’dou con rapido anticipo. Se lo vede passare davanti, rimane impassibile e lo evita; il destro seguente di un Phillip stanco dalla combinazione però se lo prende tra zigomo sinistro e spalla in copertura che attutisce il colpo: la difesa tecnicamente perfetta insegnatagli dal padre; tanto perfetta che a tredici secondi dalla fine del round, si rende conto di quello che ha appena fatto e ride. Vantaggio “Pretty Boy”: 39-37.
A metà del quinto Floyd stampa in faccia due diretti distesi e profondi. Phil li incassa e rimane in piedi coi gomiti stretti lungo l’addome. Floyd è un fulmine e i due montanti bassi detonano sull’avversario appoggiato alle corde. “Pretty boy” però non chiude la combinazione come dovrebbe e Phil ne approfitta per liberarsi: si accentra sul quadrato e recupera ossigeno. Mayweather si rende conto della sua distrazione e ride.
A un minuto e cinquanta secondi inizia l’overture di N’dou. È una furia: scarica un gancio sinistro a distanza breve e Floyd in copertura si oppone col braccio. Il secondo gancio, destro e rapido in chiusura, costringe Floyd ad abbassare il baricentro per disinnescarlo; la serie termina con un affondo sinistro che “Pretty boy” si prende tutto, ancora flesso sulle ginocchia. È in risalita, evita un montante prevedibile e attende in guardia, prima che un uppercut sinistro si infranga su di lui.
Colpi mai singoli, sempre in sequenza, imprevedibili quelli di N’dou. Floyd in difesa alta si piega e sposta il peso ora sul piede sinistro ora sull’altro e sente i pugni dell’avversario sibilare intorno. Due hook a vuoto di N’dou troppo distante permettono a “Pretty Boy” di indietreggiare con passo e fiato corto.
Floyd sente la tensione delle quattro corde del ring sulla schiena e davanti a lui il nemico è contratto e pronto a colpire come una frusta: carico e scarico veloce. È N’dou a dettare i tempi del round.
A poco più di un metro da Floyd il pubblico gode. Manca un minuto scarso al suono della campana e Mayweather si distende sulle corde. L’uscita a destra è ardua, è troppo vicino all’angolo: se Floyd facesse un passo lungo per portarsi sul lato perpendicolare, a N’dou basterebbe solo una piccola rotazione di 90° per trovarsi di nuovo a tu per tu con la preda. A sinistra lo spazio di Floyd è maggiore ma servirebbe potenza nello scatto in uscita; il movimento dovrebbe essere fulmineo e lucido: N’dou impiegherebbe comunque pochi istanti a trattenere “Pretty Boy” dalla fuga, e lo affonderebbe con un diretto lungo mentre è poco stabile sulle gambe in ritirata. Il furore di Phil in quel momento avrebbe punito qualunque movimento non gradito. Phil lo tiene a distanza di sicurezza, così che Floyd non possa avvicinarsi neanche per un clinch rigenerante. N’dou si assicura che tutte le uscite di sicurezza siano barricate prima di far brillare un destro alto e largo: il segnale dello starter per i 48x18. 48 colpi in 18 secondi e Floyd li para praticamente tutti.
Nonostante sia un pugile indistruttibile, Floyd una volta ha rosicato. Durante una fase caotica del match con Ortiz del 7 giugno 2011, l’avversario di Floyd un po’ per sbaglio e un po’ no, in un corpo a corpo gli rifila una capocciata che gli apre il labbro. L’arbitro chiama subito il fallo e allontana i due pugili. Ortiz si scusa molto dopo quella sciocchezza, lo abbraccia. Floyd non sembra gradire. È immobile. Quando il match riprende, Ortiz in segno di pace gli allunga il guantone prima di ricominciare, ma Floyd gli tira una stecca mentre l’arbitro è distratto. A quel punto Ortiz non ha neanche il tempo di richiamare l’attenzione del giudice di gara ché Floyd gli rifila un altro colpo tremendo che lo butta giù. A fine incontro, il vincitore “Pretty Boy” rilascia l’intervista in cui pontifica: «Sul ring devi sempre proteggerti, sempre».
L’unico che possa affrontare Floyd Mayweather e provare a metterlo in difficoltà è il pugile filippino Manny Pacquiao. “Pac Man” è un grandissimo combattente e vincitore - record assoluto - di dieci titoli mondiali in otto categorie differenti di peso. Il suo score non è perfetto come quello di Floyd, Manny conta 5 sconfitte di cui 2 per KO, ma sembra essere il solo che possa arrestare la ubris di Floyd.
Alla fine del 2009 per un compenso di 50 milioni di dollari, Manny Pacquiao secondo alcune indiscrezioni affermò di voler affrontare “Pretty Boy”. È uno dei momenti in cui i due pugili sono più vicini alla programmazione di un incontro. Il match si sarebbe tenuto nei primi mesi dell’anno successivo.
La condizione di Floyd è una soltanto: vuole fare il test del sangue a sorpresa prima del match, e non semplicemente quello delle urine (questo non darebbe piena garanzia di assenza di doping). Manny non vuole. L’entourage di Floyd lo sfotte insinuando che non vuole fare il test per oscuri motivi scaramantici. Floyd cerca di convincerlo altrimenti l’incontro rischia di saltare.
Manny è deciso: «Farmi prelevare il sangue m’indebolirebbe mentalmente: io non barerei mai davanti a Dio!» L’incontro è vicino all’annullamento e così interviene Freddie Roach, il trainer di Pacquiao, che rassicura: «Va bene il test ematico, ma non alla vigilia del match».
Il match viene cancellato quando subentra nella questione il promoter del pugile filippino, Bob Arum, che stizzito dalla faccenda dell’antidoping chiude il discorso: «Procedere ai test sul sangue è qualcosa che non ha precedenti nella storia dei combattimenti di boxe professionistica a Las Vegas. Per questo, non ci sarà alcun combattimento».
Frequenti nella rivalità tra i due pugili sono stati questi episodi surreali. Entrambi ritenuti i due più forti fighter in circolazione la loro rivalità si è finora espressa soltanto con insulti a distanza.
Floyd in un’intervista disse di Pacquiao che l’avrebbe distrutto e costretto «a cucinargli del riso con qualche gatto o cane, come li cucinano i musi gialli». Poi dopo aver capito che aveva esagerato, ha chiesto scusa.
Pacquiao ha definito Floyd più volte un “cazzaro”. Durante un’intervista di pochi mesi fa ha rivelato che lui l’offerta a Floyd gliel’aveva già fatta, concedendogli per un incontro il 60 % degli introiti totali, ma Floyd non gli aveva fatto sapere nulla.
Ormai sembra certo che Manny si ritirerà a breve senza combattere contro Mayweather, continuando ancora per poco a illudere tutti gli amanti della boxe che il megaincontro si farà; ingannando soprattutto i più fomentati che sembrano credere davvero all’avvento di quel match, non accorgendosi che quei due li stanno fregando da un bel pezzo.
Come spesso accade nei ritratti dei pugili arriva il paragrafo sulla violenza domestica. Accusato nel 2002 di aggressione Floyd è costretto agli arresti domiciliari per 2 giorni e 48 ore di lavoro socialmente utile. Nel 2004 deve pagare una multa per la stessa accusa e nel 2012 viene proprio arrestato. In carcere non gli hanno permesso di vedere l’incontro di Pacquiao in TV perché le proiezioni avvenivano in una sala comune e c’era il forte rischio che la presenza di Floyd potesse mettere in pericolo l’ordine pubblico del penitenziario. La notizia l’ha riportata ai giornalisti un grande amico di “Money”: 50 Cent.
Anche se quest’anno Forbes l’ha declassato al 14° posto tra gli sportivi più ricchi, addirittura sotto Manny Pacquiao, Floyd resta il pugile che per ogni incontro guadagna più milioni di dollari.
Il ritorno sul ring nel 2009 nel match contro Marquez gliene ha fruttati 25. Non poco per uno che è stato lontano dalla boxe venti mesi.
Il record assoluto di vendite PPV, prima dell’avvento di Floyd sulla scena mondiale, apparteneva al famosissimo match dei pesi massimi Tyson vs Holyfield con 1,95 milioni di acquisti.
Nell’incontro tra Mayweather e De La Hoya le PPV vendute sono state 2,4 milioni. In questo match “Money” ha ricevuto da solo 25 milioni, mentre l’avversario, stabilendo il record assoluto, ne ha presi 60 milioni. Per capire l’abisso tra i due match basti pensare che il premio per Tyson e Holyfield insieme nel 1997 era di 35 milioni di dollari.
Il secondo più alto guadagno per un incontro non di pesi massimi di tutti i tempi spetta ancora a Floyd; al terzo posto c’è sempre lui.
Il passatempo preferito di “Money” tra un allenamento e l’altro, è far vedere quanto è ricco. Sul canale YouTube “The Money Team” ad esempio si possono guardare video educativi di Floyd che passa in rassegna davanti la telecamera tutti i suoi gioielli e che vola sul suo jet personale con una borsa contenente un milione di dollari, borsa dalla quale non si separa mai. Adora contare i suoi soldi.
In alcuni video mostra il suo garage di lusso, in altri la donazione alla sua palestra di un assegno gigante da 100.000 $. La casa di Floyd in Nevada è grande più di due ettari.
Quando qualcuno gli ha fatto presente: «Non credi di essere un cattivo esempio per i tanti bambini che fanno il tifo per te?» Floyd ha risposto candidamente: «Il contrario! Io vorrei far capire ai fan più giovani che se tutto questo è riuscito a me, vuol dire che tutti possono farcela.»