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Il regno di Anderson Silva
05 lug 2017
La storia di uno dei più grandi fighter nella storia delle MMA.
(articolo)
31 min
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G.O.A.T è l’acronimo con cui nel mondo dello sport ci si riferisce al Greatest Of All Times, al più grande di tutti i tempi in una specifica disciplina. GOAT era Muhammed Alì; GOAT potrebbe essere Federer; GOAT possono essere Maradona, Pelé, Cruyff, e via dicendo. È una definizione piuttosto forte da usare, anche se circoscritta all’interno di uno sport relativamente giovane come quelle delle Arti Marziali Miste, difficile da manipolare con certezza. Eppure è quasi impossibile non parlare di questa categoria rarissima di atleti quando di parla di Anderson Silva.

Il suo nome entra per forza di cose nella discussione su chi debba essere considerato come il più grande fighter di MMA di sempre, ma essere il più grande di tutti i tempi è necessariamente legato anche ai risultati e - se si approfondisce il discorso - diventa un concetto in qualche misura fuorviante quando si parla di Anderson Silva, perché rischia di farci dimenticare la straordinaria bellezza del suo stile.

Anche se i paragoni tra sportivi di discipline diverse lasciano il tempo che trovano, per semplicità di esposizione possiamo dire che Anderson Silva è per le MMA quello che Roger Federer è per il tennis: persino nel suo periodo più di successo, quando i risultati sportivi hanno innalzato la sua carriera fino a vette in quel momento inesplorate, la bellezza del suo combattimento veniva comunque prima. Ed è paradossale associare ad uno sport a tratti brutale come l’MMA il concetto di estetica. È difficile essere, o anche solo apparire, rilassati e aggraziati, quando di fronte a te c’è qualcuno di veramente pericoloso, che vuole farti perdere i sensi il più velocemente possibile. In questo tipo di contesto, Anderson Silva riesce ad essere addirittura affascinante.

Farsi le ossa

Anderson Silva è stato cresciuto da degli zii a Curitiba, in ristrettezze economiche, pur senza drammatizzare. Ha iniziato a praticare brazilian jiu jitsu molto presto, ma non senza difficoltà: BJJ era ancora uno sport d’elite in Brasile e molte cose, come ha ammesso lui stesso, è stato costretto ad impararle da solo. A 12 anni, però, la sua famiglia ha trovato il denaro sufficiente per fargli imparare il Taekwondo, passando poi alla capoeira ed infine alla Muay Thai.

A dire il vero, la primissima passione sportiva di Silva non è il combattimento ma il calcio. Era così bravo che il Corinthians, il club per cui tifa, lo ha chiamato per un provino, a cui però è arrivato con un ritardo di quaranta minuti e per questo motivo è stato respinto. Lo stesso giorno, per un evidente segno del destino, lo hanno invitato ad allenarsi in una palestra di pugilato.

Silva esordisce come artista marziale misto nel 1997 al BFC - Brazilian Freestyle Circuit 1, ed inizia a combattere in giro per il mondo in diverse federazioni: prima al Meca (in Brasile) perdendo il primo match opposto a Luiz Azeredo ma vincendo i due incontri successivi; dopodiché combatte in Giappone allo Shooto vincendo un primo incontro abbastanza sofferto contro Tetsuji Kato, e più in scioltezza i tre successivi match: contro Israel Albuquerque al Meca, contro Hayato Sakurai per il titolo dei pesi medi Shooto e infine contro Roan Carneiro, di nuovo al Meca.

Silva chiude l’incontro con Carneiro dalla “montada”, dopo uno splendido scramble.

Nel Giugno del 2002 esordisce al Pride, federazione che all’epoca era ancora considerata la più importante nel mondo delle MMA. Le regole erano differenti rispetto a quelle odierne: con gli interminabili round da 10 minuti, la possibilità di utilizzare i soccer kick (calci alla testa quando l’avversario è a terra), e differenti parametri di giudizio. I match, come tutti quelli svolti finora da Silva, si disputavano ancora in un ring.

Al Pride vince i primi tre incontri contro Alex Stiebling, Alexander Otsuka e l’ultimo, particolarmente spettacolare, contro Carlos Newton. Durante quest’ultimo incontro Silva si è trovato in grande difficoltà nel ground game, con un passaggio di Newton in “full mount” dal quale ha inferto diversi colpi pesanti. Quando però l’arbitro li ha fatti rialzare Silva ha intercettato una cambio di livello di Newton e lo ha colpito con una ginocchiata saltata dal tempismo irreale.

Nel Giugno del 2003 la sua ascesa viene temporaneamente interrotta da una Triangle Choke di Daiju Takase dopo otto minuti di combattimento.

Dopodichè, Silva combatte un match al CF 1 in Brasile dove sconfigge Waldir dos Anjos, fermato dal suo angolo a fine primo round, per poi aggiudicarsi ai punti un match in Corea del Sud (al Gladiator FC contro Jeremy Horn, fighter che all’epoca aveva già combattuto tantissimo e terminerà infatti la carriera con 113 incontri da professionista e 91 vittorie).

L’11 Settembre 2004 fa la sua prima apparizione alla prestigiosa federazione inglese Cage Rage, dove combatte direttamente per il titolo dei pesi medi: per la prima volta combatte in una gabbia, e si impone su Lee Murray per decisione unanime.

Torna al Pride per quello che sarà il suo ultimo match: mentre Silva scherza, letteralmente, con Ryo Chonan dallo striking, quest’ultimo esegue un meraviglioso “Flying Scissor Heel Hook” che costa a Silva la terza sconfitta in carriera, la seconda consecutiva per sottomissione.

Ecco cos’è una Flying Scissor Heel Hook, nel caso non lo sapeste già.

Archiviata la sua parentesi non così fortunata al Pride, torna a combattere in Inghilterra al Cage per difendere la cintura appena conquistata: sconfigge prima Jorge Rivera (fighter che chiuderà la carriera con 10 match in UFC), che viene demolito di ginocchiate dal clinch al secondo round, e poi, alla fine del 2005, Curtis Stout, per KO al termine della prima ripresa.

Nel Gennaio del 2006 sfida un grande combattente come Yushin Okami (al ROTR 8) e viene squalificato per un up kick irregolare: colpendo cioè il suo avversario con un calcio al volto mentre quest’ultimo teneva le ginocchia a terra.

Il 22 Aprile 2006, contro Tony Fryklund, disputa il suo ultimo match prima della chiamata in UFC, e si inventa una gomitata verticale dallo stand up, una sorta di montante eseguito con il gomito, un gesto tecnico che fino ad allora non si era mai visto. Un colpo che non richiede soltanto pulizia tecnica ma anche molta immaginazione, una mente rilassata, sgombra dai pensieri e sempre pronta ad accogliere un’ispirazione. Doti decisamente rare in un fighter.

Potremmo chiamarla “reverse elbow”, se proprio volessimo dargli una definizione tecnica.

Gli anni del dominio

Il 28 giugno 2006 è il giorno del suo esordio in UFC, che diventerà presto casa sua, anche se l’accoglienza che la Federazione gli riserva non è delle più accomodanti: il suo primo avversario, infatti, è Chris Leben: con un record di 15 vittorie, 1 sconfitta e una faccia da galera che tende ad incutere un certo timore.

Non sono, ovviamente, soltanto le apparenze a renderlo temibile. Leben è un fighter feroce ed estremamente aggressivo, il perfetto prototipo di brawler (letterlamente rissoso), termine che nelle MMA è usato per definire un picchiatore che fa dell’irruenza, più che della tecnica, la sua migliori qualità di striker. In realtà è il tipo cliente ideale per Silva, uno dei migliori counterstriker che siano mai entrati in un ottagono; ma Leben non lo sa: lo minaccia pesantemente prima dell’incontro e come consuetudine parte molto aggressivo cercando il mento di Silva, caricando molto i pugni, trovando soltanto una sequenza spaventosa di colpi d’incontro, che si conclude con un perfetto high kick sul quale “The Crippler” (lo storpiatore, il soprannome di Leben) va una prima volta knockdown.

Silva a quel punto si ferma per un attimo, quasi a chiedersi “ne vorrà ancora?”. La risposta è affermativa: Leben si rialza e Silva lo impatta con un montante, a cui fa seguire un suo marchio di fabbrica: il “thai clinch”, cioè una ginocchiata violentissima che manda definitivamente a dormire Leben.

Il “thai clinch”, o se preferite “double collar tie”, è una tecnica che - ovviamente - proviene dalla Muay Thai: con le mani si fa pressione sulla nuca (non sul collo) dell’avversario, che prendono così il controllo della testa spingendola verso il basso in modo da arrivare a colpirla con le ginocchiate. Nessuno riuscirà mai ad elevare questa tecnica ai livelli di efficienza di Silva.

L’ingresso di Anderson Silva in UFC è così eclatante che lo proietta direttamente al titolo. Il campione in carica è Rich Franklin, detto “Ace”, professore universitario di matematica, ma anche un fighter straordinario e molto completo. Ha un record di 21-1 e in carriera ha perso soltanto contro Lyoto Machida. Il match si disputa a Las Vegas il 14 Ottobre 2006 a UFC 64. Silva, dopo un minuto e mezzo di combattimento, colpisce con il suo micidiale “thai clinch” ed è incredibile vedere Franklin sballottato per l’ottagono che cerca invano di sottrarsi.

Le prime ginocchiate di Silva sono al corpo, poi addirittura al volto. Silva va altissimo con le ginocchia e Franklin è totalmente inerme. I colpi sono così violenti che quando Anderson molla per la seconda volta la presa Franklin barcolla stordito. High kick seguito da un’altra ginocchiata dal clinch, l’ennesima. Franklin crolla al tappeto.

Silva diventa così, a 31 anni, campione del mondo UFC. Tutto l’universo delle MMA è sotto shock.

A quel punto ad Anderson Silva non resta che difendere la propria cintura il più a lungo possibile. E vale la pena dire subito che Silva resterà campione fino al 2013 (dal 2007: sono 2457 giorni), vincendo i successivi 10 incontri: la striscia più lunga della storia dei campioni UFC.

Comincia incontrando Travis Lutter, un fighter statunitense esperto di brazilian jiu Jitsu che fa soffrire Silva più del previsto ma cede a un perfetto “triangle choke” di Silva che gli immobilizza la testa e chiude l’incontro con una serie di gomitate.

Poi si trova di fronte un grande ground fighter come Nate Marquardt, uno che di soprannome fa “The Great”. Si inizia subito con un montante di Silva sul quale Marquardt perde quasi l’equilibrio, poi una “flying knee”. Quando The Great riesce a trovare l’atterramento, Silva lo limita così tanto dalla sua full guard che l’arbitro si vede costretto a farli rialzare. Una volta in piedi, Silva lo manda knockdown con un missile destro. Poi, da posizione dominante, mette fine all’incontro.

Rich Franklin nel frattempo ha sconfitto Jason MacDonald e Yushin Okami, meritandosi così la rivincita contro Anderson Silva che dodici mesi prima gli aveva strappato la cintura. La prima ripresa è molto più equilibrata rispetto al loro primo incontro, lo sfidante trova anche il takedown (seppur poco fruttuoso). Franklin si fa rispettare nelle fasi di striking e quando arriva con una buona combinazione Silva capisce che è giunto il momento di cambiare ritmo: schivate di corpo con la solita guardia abbassata e poi una serie impressionante di colpi che mostrano la sua grande creatività (spinning back fist, flying knee, di nuovo il thai clinch con ginocchiata, high kick) che si chiude con un destro sulla sirena che manda Franklin knockdown. Inizia il secondo round ma Franklin sembra ancora stordito, Silva si fa predatore e con una lunghissima sequenza di pugni e ginocchiate lo manda KO.

Passano soltanto quattro mesi e stavolta a sfidare Anderson Silva a UFC 82 è un fighter fra i più temibili in circolazione: Dan Henderson. Stella del Pride (dove qualche mese più tardi infliggerà la prima sconfitta al leggendario, anche lui nella discussione intorno al GOAT, Fedor Emelianenko). Non è un fighter particolarmente complesso dal punto di vista tecnico: buon wrestler, sa difendersi bene sia in piedi che a terra: ma ha una bomba a mano al posto della mano destra, tanto che il suo micidiale “overhand” è stato ribattezzato H-Bomb.

Silva non ha mai affrontato un fighter di questo livello. Dopo un paio di minuti dall’inizio “Hendo” trova il takedown e riesce a tenere la posizione dominante fino alla fine della prima ripresa, portando a segno anche qualche buon colpo. A metà del secondo round, dopo una situazione di generale equilibrio, si apre uno scambio dove è Henderson a colpire per primo, ma è costretto a subire l’immediata reazione di Silva che prima mette il sinistro, poi due ginocchiate al volto pesantissime. Henderson accusa i colpi e va in panic mode: cerca disperatamente le gambe di Silva per portarlo a terra ma finisce per subire subito una gomitata pesante e finisce sottomesso a terra.

Nel giro di un mese l’UFC gli organizza un incontro nei pesi Massimi Leggeri contro James Irvin (un fighter con le mani molto pesanti), perchè Silva sembra aver già fatto piazza pulita dei contendenti più credibili nei pesi Medi. Forse è una mossa strategica della UFC, che vuole togliere spettatori ad Affliction (un’altra azienda di promozione dell’MMA, il cui principale azionista era Donald Trump), che la stessa notte ospita un match attesissimo come Fedor Emelianenko contro Tim Sylvia. L’incontro dura meno di un minuto: Anderson Silva intercetta un leg kick, fa partire un missile con il destro che manda a terra Irving, finito poi con una manciata di colpi dal ground and pound.

Dopo il canadese Patrick Cote (fermato alla terza ripresa per infortunio, nonostante si stesse comportando abbastanza bene) Silva si trova di fronte un Thales Leites timidissimo e apertamente rinunciatario, che non fa che scappare e buttarsi ripetutamente schiena a terra, sperando nella clemenza di Silva di accettare la sua full guard. Silva domina con la sua boxe, e la sua superiorità è talmente netta che finisce per impigrirlo. Il pubblico, forse annoiato, inizia a invocare il nome di George Saint-Pierre, scandendo le parole “GSP, GSP, GSP”, sempre per rimanere in quel discorso su chi debba essere considerato il GOAT delle MMA.

L’8 agosto del 2009 Silva se la deve vedere con Forrest Griffin in un match che non è titolato perché si disputa al limite delle 205 libbre (ossia nei massimi leggeri). È una delle prestazioni più incredibili di ogni epoca, perché il brasiliano gioca letteralmente con il suo sfidante: lo invita a colpire per poi eludere i colpi di Griffin con la guardia abbassata, i piedi immobili e i movimenti della schiena così fluidi da sembrare una danza.

La superiorità di Silva è imbarazzante e fa sembrare Griffin un dilettante. Ma sono momenti magici anche per la discrepanza irreale fra l’apparente leggerezza dei colpi di Silva e il loro impatto devastante. In un’intervista successiva all’incontro, Griffin dirà: «Provavo a colpirlo ma lui toglieva letteralmente la testa e mi guardava con degli occhi che sembravano dirmi: “Perché hai fatto una cosa così stupida?”»

Gli incontri epici

Per vedere di nuovo Silva nell’ottagono bisogna attendere l’Aprile del 2010. Combatte contro Demian Maia (subentrato all’infortunato Vitor Belfort), e la sua prestazione verrà aspramente criticata.

Maia è un fighter monodimensionale ma anche il migliore di sempre, probabilmente, nell’applicare il brazilian jiu jitsu alle MMA: 5 delle sue 6 vittorie UFC fino a quel momento sono arrivate per sottomissione.

Va tenuto conto del fatto che, all’epoca dell’incontro con Silva, Maia non possedeva ancora un wrestling così qualitativo da imporre il suo ground game, e che nella fase di striking è ancora oggi molto scolastico. Insomma, erano davvero poche le armi che poteva usare contro Anderson Silva, che però gli mostra pochissimo rispetto, non smettendo di irriderlo per tutto il match. Silva lo provoca, lo invita ad avanzare e lo colpisce nei modi più umilianti, senza però mai mettere il piede sull’acceleratore.

È un match che, nonostante la solita superiorità, mette in evidenza un limite importante di Anderson Silva: è poco a suo agio contro fighter molto guardinghi, come se il suo ritmo dipendesse in qualche misura da quello avversario.

Dana White, il presidente della UFC, alla fine dell’incontro è talmente infuriato che dopo un battibecco con il manager di Silva lancia la cintura del campione e abbandona l’arena durante la quarta ripresa. Nella conferenza successiva al match, alla domanda se pensa di aver dato al pubblico quello per cui aveva pagato, Silva risponderà che Maia gli aveva mancato di rispetto “non come persona, ma come fighter”.

Se lo scopo di Anderson Silva era spronare i prossimi contendenti al titolo verso un atteggiamento più coraggioso, Chael Sonnen soddisferà la sua richiesta: Sonnen è uno dei più grandi trashtalker della storia UFC e non si risparmia nelle dichiarazioni prima del match. Una settimana prima del match, inoltre, Silva si infortuna a una costola in allenamento (durante uno sparring con Lyoto Machida) ed è costretto a restare a letto una settimana: senza antidolorifici, naturalmente, essendo considerati sostanza dopante.

Nonostante il parere fortemente contrario dei medici, Anderson Silva decide di combattere lo stesso dando vita ad uno degli incontri più epici, non solo della carriera di Silva, ma della storia di questo sport.

Sonnen domina soprattutto con il suo fenomenale wrestling, ma anche dallo stand up appare perfettamente a suo agio e un suo diretto sinistro piega le gambe di Silva alla prima ripresa.

Il dominio di Sonnen cresce con il passare dei round e Silva sembra non riuscire a trovare alcuna contromisura. Fa estrema fatica anche a difendere i takedown dello statunitense. L’incontro è saldamente nelle mani dell”American Gangster” quando mancano soltanto due minuti alla fine del match, ma il brasiliano sfrutta un istante di distrazione per mettere un triangolo di gambe e immediatamente dopo un sublime Triangle Armbar. Una magia con cui Silva ribalta una situazione che pareva ormai compromessa.

Una magia che viene da una parte dal suo sublime BJJ, ma dall’altra da quella fiducia incrollabile che non lo abbandona mai dentro l’ottagono, neanche quando è in difficoltà. Non è determinazione, è piuttosto una sensazione che lo porta a credere in ogni istante del combattimento che alla fine, nonostante tutto, in un modo o nell’altro, sarà lui ad avere la meglio.

A questo punto della sua carriera il livello dei contendenti non può che salire e lo sfidante successivo è Vitor Belfort (che ha appena sconfitto con una finalizzazione terrificante Rich Franklin). Un pioniere di questo sport, soprannominato “The Phenom”, dotato di un’esplosività pazzesca e di un pugilato molto potente e aggressivo, caratteristiche che lo rendono temibilissimo nelle fasi di striking, considerando anche le mani pesantissime (14 KO/TKO su 18 vittorie ottenute in carriera, fra le quali spiccano i nomi di Wanderlei Silva e Randy Couture).

Al momento del peso il clima è tesissimo a causa delle reciproche provocazioni, ma nell’ottagono non succede praticamente niente di significativo fino a quando Silva inventa un incredibile front kick che impatta alla perfezione la testa di Belfort e lo manda KO.

È ancora una volta un’invenzione di Anderson Silva a fare la differenza, un colpo di tale bellezza, e violenza distruttiva, in un momento così importante dell’incontro che diventerà il simbolo della meraviglia che può sprigionare un combattimento.

Il mondo delle MMA contemporanee è un flusso continuo e nessun gesto è abbastanza eclatante da allontanare la minaccia, sempre presente, di un possibile fallimento. I campioni devono provare il proprio lavoro continuamente.

Così, a UFC 134, Silva concede la rivincita a Yushin Okami, in Brasile. Il primo round impostato totalmente sullo striking è piuttosto chiuso e Silva si accende solo sulla sirena con un high kick pesante. Ma nella seconda ripresa accelera improvvisamente e con il destro manda due volte knockdown Okami, prima di finalizzarlo in ground and pound, scegliendo come al solito i colpi con estrema lucidità.

Allo stesso modo, l’incontro successivo (siamo al 7 luglio 2012) è di nuovo contro Chael Sonnen, che nel frattempo ha sconfitto Brian Stann e Michael Bisping riguadagnandosi così la chance di vincere il titolo. Lo “staredown” stavolta è più divertente che teso, Sonnen gli propone di dargli direttamente la cintura perché stavolta non se la farà scappare, Silva rende il clima più tirato dopo la cerimonia del peso appoggiandogli la spalla sul petto e costringendo lo staff di Dana White a separarli.

Dopo soltanto cinque secondi dall’inizio del match Sonnen trova un double leg takedown. Diventa asfissiante con il suo ground game e colpisce con gomitate pesanti Silva, che è costretto ad un grande sforzo per riuscire a contenerlo. Quando il brasiliano gli si avvinghia impedendogli di alzare la postura, “The American Gangster” lo colpisce in modo anomalo con il corpo. Silva sopravvive fino alla fine del round e quando inizia la seconda ripresa si fa portare a parete impedendo però un nuovo atterramento di Sonnen.

È un buon segnale e Silva sembra svegliarsi. Sonnen cerca ancora disperatamente di portarlo a terra ma lui si difende e poi lo provoca invitandolo a colpire. Quando Sonnen prova uno spinning back first, Silva si sposta lateralmente e Sonnen perde l’equilibrio, finendo seduto contro la gabbia. Anderson a quel punto lo colpisce con una violentissima ginocchiata al corpo, poi colpi dal ground and pound. Con la mano sinistra appoggiata sulla testa tiene Sonnen a distanza e poi opta per un gancio mancino che arriva preciso: ancora un paio di colpi e l’arbitro decreta la fine.

Il match successivo è contro Stephan Bonnar a UFC 153e si disputa nei pesi massimi leggeri. Silva sembra quasi annoiarsi dalla piattezza tecnica del suo sfidante e con grande freddezza e perfetto tempismo lo manda KO con una ginocchiata.

Quanto conta lo stile?

Prima di parlare dell’ultimo tratto, declinante, della carriera di Anderson Silva, vale la pena chiedersi cosa lo ha reso davvero unico tra tutti gli uomini di talento entrati nell’ottagono. Dobbiamo chiederci, cioè, dopo averlo visto nel suo picco qualitativo più alto, se è veramente il più grande di tutti i tempi.

Anzitutto va detto che il bagliore quasi accecante che lo ha accompagnato all’esordio derivava anche dal contrasto con i fighter che gli stavano attorno, un contesto meno tecnico e competitivo rispetto a quello odierno. Silva non è stato uno straordinario innovatore del mondo delle MMA, proprio perché troppo più talentuoso dei suoi avversari, una superiorità manifesta che ha avuto come conseguenza il fatto che il suo stile di combattimento non ha avuto bisogno di svilupparsi assecondando il suo estro. Silva è inimitabile, in un modo però che testimonia anche di come il talento non ha trovato sostegno in una strategia o in una sapienza tattica, che di solito accompagna sempre la crescita dei grandi fighter.

Tecnicamente, Silva può contare su colpi d’incontro inimitabili, sia per la velocità con cui schiva - in arretramento o spostandosi lateralmente - sia per le qualità con cui colpisce. Anche le sue provocazioni servono a spingere l’avversario ad aumentare la propria aggressività, così da essere facile preda del suo counterstriking. Nessuno nella storia di questo sport ha avuto un’elusività, se così si può dire, pari a quella di Silva. Le sue schivate possono essere devastanti anche dal punto di vista psicologico: fighter come Griffin oppure Franklin ne sono usciti quasi ridicolizzati ed era possibile scorgere nel loro linguaggio del corpo persino un certo imbarazzo.

La qualità dei colpi di Silva, poi, deriva dalla precisione - simboleggiata dal front kick rifilato a Vitor Belfort - ed è questo che spiega perché i suoi colpi vengano accusati così tanto. A questo va aggiunto che Silva è anche cintura nera di BJJ: si è allenato con il Team Nogueira (dei fratelli Minotauro e Minotoro Nogueira) e le sue qualità si notano nelle sottomissioni inflitte a Lutter, Henderson e Sonnen.

Ma la cosa più stupefacente di Silva è la leggerezza dei suoi movimenti, la sua intelligenza risiede nella spontaneità e nell’istintualità dei suoi gesti. È tutta naturalezza. Se, ad esempio, Georges St-Pierre ha sempre ammesso di pensare molto durante il match, la mente di Silva sembra sempre sgombra. Veder combattere Silva dà una sensazione di libertà. Forse la qualità più rara riscontrabile in qualsiasi attività umana, compresi tutti gli sport, di combattimento e non.

La caduta più rumorosa

Siamo arrivati al luglio del 2013: sette anni di dominio incrollabile. All’orizzonte c'è il ventinovenne Chris Weidman, imbattuto con 9 vittorie da professionista, wrestler clamoroso (ha vinto due volte il titolo di All-American), dotato di grande fisicità e colpi pesanti.

A Las Vegas lo sfidante mette subito in luce le sue credenziali trovando l’atterramento dopo una trentina di secondi, mettendo Silva in difficoltà dal ground game (ma Silva si rialza appena Weidman azzarda una sottomissione alla gamba). Nella fase di striking l’atteggiamento di Silva è sportivamente arrogante, tiene le mani addirittura sui fianchi e continua a provocare Weidman. Abbassa la guardia e sfida il suo avversario ad andare a bersaglio: i primi colpi vanno a vuoto, ma non l’ultimo, che anche se non sembra particolarmente potente va a segno con precisione. Silva crolla al tappeto.

Non il più regale dei modi per abdicare.

Nel post fight Silva spiega il suo punto di vista: «Noi [inteso come il suo team, nda] cerchiamo sempre di fare del nostro meglio. Stavo cercando di indurre Chris a fare ciò di cui avevo bisogno per imporre il mio gioco, a un certo punto è stato lui a imporre il suo gioco con un colpo andato a segno. C'è poco da dire».

Non è facile, per un campione, accettare la sconfitta e al tempo stesso difendere una strategia rischiosa e, in questo caso, fallimentare: «Combattere è così. Io ho cercato di dare il meglio di me, è chiaro che non volevo perdere, non mi alleno per perdere e non ho fatto nessun movimento per prendere in giro i miei avversari. Ho dato il meglio di me, mi sono allenato per quattro mesi per questo incontro, solo che lui è stato più bravo oggi, lo dobbiamo rispettare: l'UFC ha un nuovo campione adesso».

Dopo i complimenti al nuovo campione, Silva esclude la possibilità di una rivincita immediata: «Voglio prendermi un po' di tempo: sto facendo questo lavoro da molto tempo, sto difendendo la cintura da molto tempo ed è una pressione molto grande. Non è nessuna scusa, è stato più bravo di me; capita di fare errori, io ho fatto un errore e lui ha utilizzato le armi che aveva per sconfiggermi».

Ma la rivincita, in realtà, si terrà quello stesso anno, a dicembre, e il match sembra da subito durissimo per Silva. Il fighter brasiliano inizia con il suo tipico thai-clinch ma da quella posizione Weidman lo colpisce con ganci così pesanti da mandarlo knockdown. Silva sopravvive al ground and pound ma continua a subire e alla fine del primo round risponde solo con colpi che fanno sanguinare il volto di Weidman (Anderson Silva, per una particolare conformazione della pelle, non si ferisce praticamente mai ed è quasi impossibile vederlo sanguinare: anche questi dettagli contribuiscono alla sua leggenda).

Nel secondo round succede l’inimmaginabile. Silva colpisce Weidman con un calcio, l’americano lo para e la gamba sinistra di Silva si spezza in due. È un’immagine agghiacciante che oltre a chiudere l’incontro mette in discussione il futuro da fighter di Anderson Silva: «Quando ho realizzato che la mia gamba era rotta, ho pensato che la mia carriera fosse finita».

E invece Silva reagisce, affrontando la riabilitazione con una determinazione che lo riporta nell’ottagono dopo soltanto un anno e un mese.

Dopo l’infortunio il primo avversario è Nick Diaz, spettacolare e amatissimo dal pubblico, che per questo può garantire anche un certo ritorno economico a Silva. La presentazione ufficiale del match inizia con le parole di Silva: «Nessuno è invincibile. Per molto tempo la gente ha pensato che lo fossi e mai avrei immaginato di perdere la cintura in quel modo, tanto meno di subire un infortunio simile. Ma è giunto il momento di andare avanti».

Anderson Silva prova una grande ammirazione per Diaz e non lo nasconde, facendo trapelare un rispetto per l’avversario che per lui è novità assoluta: «Nick Diaz è un fighter molto pericoloso, con un BJJ eccellente e un pugilato eccezionale». Durante l’incontro le parti finiscono quasi per scambiarsi. Diaz lo provoca anche più del solito, parla tantissimo e finisce addirittura per sdraiarsi e appoggiarsi alla parete invitando Silva a colpire. Il brasiliano non si fa intimidire e verso la fine del primo round lo colpisce con una ginocchiata seguita da una sequenza piuttosto pesante

La seconda ripresa è equilibrata, ma è probabilmente Silva a prendere maggiormente l’iniziativa. Silva non mostra alcun timore nel calciare, né alcun problema ad assorbire i numerosi leg kick di Diaz. Nel terzo round la supremazia del brasiliano si fa più netta con Diaz che sembra pagare un certo gap a livello di velocità, mentre il quarto appare più equilibrato con 15 colpi significativi a 14 per Silva. Il fighter brasiliano è concentratissimo, non abbassa mai la guardia, è molto mobile con il footwork, insiste tantissimo con i leg kick e riesce ad imporsi anche nella quinta ripresa. Alla fine i giudici gli danno la vittoria per decisione unanime, con ben due 50-45 a sancire un dominio praticamente incontrastato.

Appreso il verdetto dei giudici, Silva si sdraia e scoppia a piangere: è un momento toccante, che arriva a quasi 40 anni e dopo un infortunio gravissimo. Nick Diaz, invece, lascia l’ottagono contrariato per la decisione dei giudici, una reazione francamente eccessiva, visto che non si è aggiudicato nemmeno un round.

Ma quando finalmente Silva sembra aver ritrovato la luce, la sua carriera viene messa di nuovo in pericolo. Viene trovato positivo ad un test antidoping (steroidi) e la Commissione Atletica del Nevada lo condanna a un anno di sospensione (retroattiva al 31 Gennaio, giorno appunto dell’ultima apparizione nell’ottagono) e a una multa di 200.000 dollari, equivalenti al bonus vittoria e al 30% della borsa totale. Anche Nick Diaz è stato trovato positivo, ma alla Marijuana, e l’esito del match viene quindi tramutato in un “no contest”.

Silva, che non era mai stato trovato positivo a sostanze dopanti nella sua lunga carriera, si giustificherà dicendo di aver fatto uso di steroidi per recuperare il prima possibile dal terribile infortunio, argomentazione che nel migliore delle interpretazioni può essere un attenuante. A quel punto viene anche eliminato dalla classifica “pound for pound” (quella in cui le diverse classe di peso vengono mescolate per capire chi è il miglior fighter in attività tra quelli nel roster UFC).

A 40 anni, appena rientrato da un anno di inattività per infortunio, si trova costretto a fermarsi di nuovo.

Da capo

Terminata la squalifica il suo ritorno all’ottagono è in programma per il 27 Febbraio 2016 e il suo avversario è il kickboxer inglese Michael Bisping, che all’epoca vantava 10 anni di militanza UFC, disputando 24 incontri e vincendone 17 (attualmente è il campione in carica dei Pesi Medi).

Bisping ha un altissimo volume di colpi, a cui aggiunge un’ottima precisione nello stricking, le sue sconfitte sono più spesso arrivate contro wrestler (Tim Kennedy, Chael Sonnen, Rashad Evans) ma ha anche subito anche KO terribili da Vitor Belfort e soprattutto da Dan Henderson (in una delle sequenze più spaventose che si ricordino in UFC). Fino a qualche anno prima Bisping non sarebbe stato un grande pericolo per Silva, ma lo è in quel momento, per questioni anagrafiche e fisiche.

Quando l’arbitro dà il via all’incontro di cinque riprese, Bisping comincia meglio scambiando di pugilato, con Anderson Silva molto attendista, e sul finire della prima ripresa le gambe di Silva cominciano a piegarsi.

Nella seconda ripresa Bisping cresce e l'atteggiamento rinunciatario di Silva, che si limita a cercare di schivare con il corpo, inizia a essere preoccupante. C’è una discrepanza enorme nella frequenza dei colpi: alla fine della seconda ripresa saranno 116 quelli tentati da Bisping e soltanto 41 quelli di Silva. Le cose si complicano ulteriormente allo scadere del secondo round: Bisping colpisce Silva con un gancio sinistro che lo manda knockdown.

Anche i soliti mind game di Silva sembrano non avere grandi effetti: quando Silva con la guardia abbassata lo attende a parete, l’inglese si allontana. La terza ripresa è più equilibrata e verso la fine una delle rare offensive di Anderson Silva mette in difficoltà Bisping, che perde il paradenti e si gira verso Herb Deen per comunicarglielo. A quel punto Anderson Silva lo colpisce con una terrificante ginocchiata volante che lo manda knockdown proprio al suono della sirena.

Silva esulta e sembra quasi non voler ascoltare chi gli dice, giustamente, che l’incontro non è finito. Quando comincia la quarta ripresa è Bisping ad avere maggior iniziativa, mentre nel quinto round Silva va vicinissimo alla vittoria con uno splendido front kick che stordisce l’inglese, ma non lo finisce.

A conti fatti, Silva sembra aver perso la velocità che lo contraddistingueva e anche il suo volume di colpi è ormai troppo basso (saranno 135 i colpi tentati da Silva contro i 320 tentati da Bisping). Bisping vince 48-47 per tutti e tre i giudici. Ma dopo tante provocazioni riconosce ad Anderson Silva l’onore delle armi: «Silva è il più grande artista marziale di sempre».

Anderson Silva, invece, non prenderà molto bene la decisione dei giudici: «A volte le cose sono come in Brasile, totalmente corrotte». Quello che contesterà Silva, soprattutto, sarà il KO al termine della terza ripresa.

Dopo l’incontro con Bisping, non ce ne sono altri in programma per Silva, ma a pochissimi giorni da UFC 200 - uno degli eventi più importanti che la federazione abbia mai organizzato - Jon Jones viene squalificato per doping ed è fuori dal match attesissimo contro Daniel Cormier valido per la cintura dei Light Heavyweight. Con appena due giorni di preavviso, Anderson Silva accetta di sostituire Jones. Sarebbe stato impensabile perfino per un fighter di quella categoria accettare quell’incontro, considerando le 20 libbre che separano Silva dai pesi Massimi Legger. Sembra una scelta semplicemente irragionevole.

Anderson Silva però riuscirà a sorprendere ancora una volta il pubblico, esprimendo tutto il suo talento nella difesa schiena a terra non avendo altro modo per difendere gli arretramenti di Cormier. Silva perde, ovviamente, e anche nettamente, ma riesce a limitare al massimo i colpi di Cormier dal ground game e a mantenere attiva la sua guardia. Nelle poche fasi in piedi si fa rispettare a tal punto che un suo body kick piega per un attimo in due Cormier, costretto a rifugiarsi nel lavoro a parete.

Considerando il valore assoluto dell’avversario, la discrepanza di peso e il minimo preavviso per Silva è stata quasi una vittoria o comunque una dolce sconfitta. Cormier gli manifesterà pubblicamente tutta la sua stima e la sua gratitudine per aver salvato quel match dimostrando un coraggio davvero senza eguali.

L’ultimo incontro, per ora

Derek Brunson è il numero 6 del ranking dei pesi medi UFC, fighter molto potente con un gran wrestling e mani molto pesanti, come dimostrano le ultime quattro vittorie ottenute prima del limite, precedenti all’incontro con Anderson Silva organizzato a Brooklyn. Siamo a febbraio 2017, Silva ha quasi 42 anni.

Brunson dichiara un rispetto ai limiti dell’adulatorio nei confronti di Silva, che durante l’incontro sembra addirittura sconfinare nella sudditanza psicologica, rendendolo più timido del solito. Il volume dei suoi colpi è maggiore rispetto a quello di Silva, ma è quest’ultimo ha mettere quelli più pesanti e di maggiore efficacia. Quando Brunson cerca di portarlo a terra, lo sprawl di Silva è sublime come forse mai era stato in carriera.

È evidente che Silva non ha più le energie per imporre il suo ritmo, è costretto a dosare con attenzione e parsimonia i colpi, ma è creativo e audace come sempre.

Brunson, nonostante la netta discrepanza nella frequenza di colpi a suo favore, non supera Silva nel secondo e nel terzo round per colpi significativi (che hanno nelle MMA sempre più valenza rispetto ai colpi totali in termini di punteggio): forse per questo i giudici alla fine decidono di premiare la maggiore efficacia di Anderson Silva. È una vittoria certamente controversa, ma che non offusca lo splendore dell’impresa di Silva, che da veterano riesce ancora a tenere testa a un top 10 dei pesi medi.

E così siamo arrivati al presente. Mentre scrivevo questo pezzo è stato annullato l’incontro in programma tra Silva e Kelvin Gustelum, perché quest’ultimo è stato trovato positivo alla Marijuana. Per Silva forse è una salvezza, perché Gustelum è un ottimo fighter e a volte nei suoi confronti ho un atteggiamento paternalista che finisce per sottovalutare il suo vero valore. Alla fine, avevo pensato lo stesso anche alla vigilia del match contro Daniel Cormier, ma anche in quel caso il fighter brasiliano è uscito dall’ottagono con il volto pulito.

Ma un campione deve comunque sapere quando è il momento di lasciare. Le leggende, per essere tali, devono finire la propria carriera degnamente, e non come Bernard Hopkins, letteralmente buttato fuori dal ring nel suo incontro d’addio da un ragazzo che avrebbe polverizzato solo qualche anno prima.

Anderson Silva ha appena battuto uno dei primi 10 tra i pesi Medi UFC, e per il momento non ci pensa nemmeno a ritirarsi. Sembra divertirsi ancora molto nell’ottagono e se glielo lasceranno fare, probabilmente, combatterà finché ne avrà le forze. Sarà triste vederlo lasciare, come solo le perdite ineluttabili e definitive possono esserlo, ma sarà di certo una tristezza priva di rimpianti.

Difficilmente resterà nel mondo delle MMA, non sembra si diverta molto a vedere gli altri combattere (si vede raramente tra il pubblico, come invece accade con quasi tutti gli altri fighter). Fuori dal ring è una persona schiva e anche se si allontanasse da quei riflettori, che in fondo non ha mai amato, senza dire una parola, Anderson Silva ci lascerebbe la sua storia leggendaria.

Il ricordo di un fighter che ha usato la gabbia come fosse stata un foglio bianco su cui disegnare cose meravigliose, esprimendosi come un artista nel momento stesso in cui combatteva per la propria sopravvivenza.

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