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Il riconoscimento del Kosovo
12 mag 2016
Al 66esimo congresso della FIFA si voterà, tra le altre cose, anche per l'ammissione della Federazione kosovara di calcio. Con quali conseguenze?
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Oggi si terrà a Città del Messico il 66esimo congresso della FIFA che, tra le altre cose, dovrà esprimersi sull’ammissione della FFK, la federazione kosovara di calcio. Dell’importanza strategica e simbolica del Kosovo non solo per la geopolitica balcanica ma anche per quella europea e, per certi versi, mondiale avevo già parlato qui. La questione è quindi più spinosa di quanto si pensi. Ma andiamo con ordine.

Lo scorso 3 maggio il Kosovo è diventato ufficialmente il 55esimo membro della UEFA. Lo ha deciso il congresso ordinario della confederazione calcistica europea, riunito a Budapest, con 28 voti a favore e 24 contrari. Ovviamente il voto in seno alla UEFA ha riportato alla luce tutte le criticità della situazione, sollevando dubbi e proteste. Innanzitutto per questioni regolamentari.

Il presidente della federcalcio del Kosovo, Fadil Vokrri, che fu l’unico giocatore kosovaro a giocare per la nazionale dell’ex Jugoslavia, ha dichiarato:«“Una buona percentuale della popolazione kosovara è sotto i 27 anni. Abbiamo noi il diritto di tenerli lontani dal calcio?».

Lo statuto della UEFA, infatti, prevede che “l’ammissione è aperta alle associazioni calcistiche nazionali situate nel continente europeo, basate in un paese che sia riconosciuto dalle Nazioni Unite come uno stato indipendente”. È un requisito che il Kosovo attualmente non possiede visto che per essere ammessi all’ONU c’è bisogno del voto favorevole di tutti i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza e per adesso la Russia, storica alleata della Serbia, che considera il Kosovo parte del proprio territorio “naturale”, non ha nessuna intenzione di riconoscerlo.

Il direttore degli affari giuridici della UEFA, Alasdair Bell, interrogato sulla questione, ha dichiarato che «non è l’ONU a riconoscere gli stati, sono gli stati a riconoscere gli stati». Una verità solo parziale, in realtà, perché se è vero che l’ammissione nelle Nazioni Unite non è una condizione necessaria per accertare l’esistenza di uno stato è anche vero che lo stesso si può dire per il riconoscimento diplomatico degli altri stati.

D’altra parte, il requisito del riconoscimento da parte dell’ONU previsto dallo statuto della UEFA è una questione che è stata a sua volta discussa nel congresso di Budapest. Ma la votazione sulla sua eliminazione necessitava del voto favorevole di almeno i 2/3 dei membri UEFA (cioè 36), contro i 34 voti a favore effettivamente raccolti.

La decisione di ammettere il Kosovo nella UEFA ha quindi sollevato le proteste serbe e montenegrine. Dejan Savicevic, oggi delegato UEFA per il Montenegro, ha dichiarato: «Se ammettiamo il Kosovo, allora significa che il congresso è al di sopra degli statuti?». Il governo serbo, invece, ha fatto sapere che farà appello alla decisione della UEFA al Tribunale Arbitrale dello Sport di Losanna. L’esito, però, è altamente incerto visto che non ci sono precedenti in materia.

Anche i tifosi della Stella Rossa non l’hanno presa benissimo, diciamo.

Oltre alle proteste della Serbia, la forzatura della UEFA ha anche aperto a potenziali contromisure da parte della Russia, che potrebbe utilizzare questo precedente per chiedere l’ammissione di diverse ex repubbliche sovietiche annesse da Mosca nel nuovo millennio, come l’Abkhazia, l’Ossezia del sud e soprattutto la Crimea. Il 4 maggio, il giorno dopo il congresso di Budapest, il presidente della federazione calcistica della Crimea, Yury Vetokha, ha dichiarato che «diversi delegati UEFA hanno espresso l’opinione che se la questione è stata sollevata per il Kosovo, allora deve essere fatto qualcosa anche per la Crimea».

Ma la FIFA oggi non dovrà esprimersi semplicemente sull’ammissione del Kosovo (che per molti ormai è solo una formalità), ma anche su alcune questioni complementari che per certi versi sono persino più importanti.

Il primo nodo, che sorge quasi spontaneo, è se dare o meno ai giocatori kosovari costretti a giocare per altre nazionali la possibilità di potersi riunire alla propria nazionale di origine (la nazionale kosovara è nata ufficialmente solo nel 2014). È una questione che investirebbe diversi giocatori: da Januzaj (che ha scelto il Belgio) a Hetemaj (Finlandia), da Granit Xhaka (Svizzera) a suo fratello Taulant (Albania). Attualmente il regolamento della FIFA vieta esplicitamente la possibilità di giocare per più di una nazionale maggiore. Nel caso improbabile in cui la FIFA dovesse cambiare questa regola, potrebbe quindi generarsi un rivoluzionario effetto domino in un mondo in cui la nazionalità multipla non è più l’eccezione ma la regola.

In questo senso, non è un caso che il delegato UEFA più spaventato da questa prospettiva sia stato quello della Svizzera. Lo stato elvetico, infatti, è il principale punto d’approdo della diaspora kosovara, un processo che ha arricchito notevolmente il bacino di giocatori da cui può attingere la nazionale svizzera. Attualmente ben quattro giocatori di origine kosovara militano nella Svizzera: oltre al già citato Granit Xhaka, ci sono Shaqiri, Tarashaj e Behrami.

La seconda questione è se ammettere o meno il Kosovo alle qualificazioni per i Mondiali del 2018. Anche in questo caso è improbabile che la FIFA si esprima in tal senso. In primo luogo perché i sorteggi per i gironi sono stati già fatti. In secondo luogo perché le qualificazioni sono iniziate più di un anno fa, il 12 marzo del 2015 (ma i gironi europei inizieranno ovviamente dopo la fine di Euro 2016). Nonostante ciò, il Kosovo e Gibilterra (l’altro stato che oggi chiederà l’ammissione alla FIFA) potrebbero riempire i vuoti dei gironi H e I, che attualmente sono composti solamente da cinque squadre, anziché sei come gli altri gironi.

Se il Kosovo riuscisse a giocare queste qualificazioni, la neonata nazionale balcanica potrebbe ritrovarsi a gareggiare il primo mondiale della sua storia proprio in Russia. Chissà se la FIFA, sponsorizzata da Gazprom fino al 2018, avrà il coraggio di dare questo schiaffo simbolico a Putin.

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