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Il ritorno della leggenda
24 mar 2017
Dopo aver rivoluzionato l'idea di fighter nelle MMA, Georges St-Pierre torna a combattere a tre anni dall'ultimo incontro.
(articolo)
23 min
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Dopo un’interminabile sequela di conferme e smentite, Georges St-Pierre tornerà sull’ottagono della UFC, rispondendo alle attese di tutti quelli che avevano considerato prematura la sua abdicazione.

Dunque, da dove cominciare per chi non lo conoscesse per niente? Georges St-Pierre è l’ex campione UFC dei Welterweight, imbattuto da quando ha preso la cintura nell’aprile del 2008, difendendola 9 volte, con un record da professionista di 25 vittorie e solo 2 sconfitte. Forse Greatest Of All Time nelle MMA, ma indiscutibilmente nella ristretta cerchia di atleti che possono tranquillamente evocare un titolo che nessuno assegna se non i fan di uno sport tutto sommato giovane, ma con una storia già ricca di grandi personaggi.

Ha lasciato il titolo vacante nel novembre del 2013: l’ultima immagine che abbiamo di lui nell’ottagono è quella drammatica successiva all’incontro con Johny Hendricks: quando col volto tumefatto e lo sguardo perso nel vuoto, farneticando, St-Pierre ha ammesso di non ricordare buona parte della lotta.

I giorni passano, ad aprile del 2014 GSP è ospite di Joe Rogan (comico e storico commentatore UFC) nel suo podcast e le sue dichiarazioni prendono nuovamente sfumature inquietanti: «Io non posso dire che mi sia successo qualcosa. Non ho prove. Non lo so. Ma ti dico una cosa e sarò onesto a riguardo: a volte guardo l'orologio, ed è come se mi alzassi e guardassi l'ora subito dopo ma l'orologio fosse andato avanti di quattro ore, o di due ore. C'è una fascia di tempo nella quale non ricordo cosa sia successo. O posso guidare la mia auto - ed è già accaduto - guido l'auto in un giorno normale, vado da qualche parte, guardo l’orologio e sono passate 2 ore. È come un incontro ravvicinato del terzo tipo».

Negli ultimi tre incontri, contro Carlos Condit, Nick Diaz e Johny Hendricks, St-Pierre aveva subito più colpi che in tutto il resto della sua carriera UFC. Ma non è l’unico motivo che convinse St-Pierre a voler lasciare l’ottagono: negli ultimi tempi GSP aveva iniziato a sospettare che alcuni fighter stessero aggirando il blando sistema di controllo anti-doping UFC. Soprattutto, GSP stava iniziando a soffrire la pressione eccessiva su di lui, campione leggendario costretto a sfidare lottatori di livello sempre più alto. Negli ultimi anni, insomma, George St. Pierre ha avuto sempre e solo da perdere.

L’arrivo tra i grandi

Georges St. Pierre ha gli occhi celesti e un’espressione zen che mantiene anche nelle situazioni più difficili. Quando arrivò nelle MMA sembrava un turista di buona famiglia che zaino in spalla si è perso nel quartiere sbagliato di una grande città. Con la sua passione per la paleontologia, i musei, i dinosauri, la natura e la storia, il suo sorriso educato, lo sguardo sempre gioioso verso la vita, rappresentava l’esatto opposto dell’archetipo del fighter depresso, cupo e distruttivo. Cioè l’immagine più comune e stereotipata dei fighter di quegli anni.

GSP è diverso da sempre: ai tempi della scuola era pieno di brufoli e aveva pochissimo successo con le ragazze: le ferree leggi del conformismo adolescenziale facevano di lui uno sfigato. Un ruolo che spesso si accompagna all’umiliazione pubblica, alla violenza gratuita, al sovvertimento dei valori.

Una volta diventato un temibile combattente St-Pierre racconterà dell’autentico terrore affrontato in quel periodo della sua vita, quando in classe appena suonata la campana era costretto a prendere i libri e a schizzare fuori da scuola più in fretta possibile, prima che i bulli riuscissero a prenderlo.

Riflettendo un topos classico dei lottatori di MMA, il desiderio di difendersi spingerà GSP verso le arti marziali, prima solo con l’aiuto del padre e poco più tardi in una palestra di Karate. Anni dopo GSP fonderà un’associazione con l'obiettivo di “aiutare i giovani, fermare il bullismo e promuovere l'attività fisica nelle scuole”.

A 15 anni Georges è praticamente inavvicinabile per qualsiasi bullo “normale”. Le arti marziali avevano raggiunto il loro scopo, ma al contempo GSP scoprirà di essere un grande agonista. A 21 anni, nel 2002, il ragazzo di St. Isidore (Canada) esordirà nelle MMA, e in UFC soltanto due anni dopo. È un peso Welter naturale e lo resterà per sempre (fino a quest’ultimo ritorno in scena, di cui parlerò più avanti).

Il suo primo match si tiene a Montreal contro Ivan Menjivar, che si ritira dalla full guard (cosa alquanto insolita: stava prendendo colpi ma aveva già dato dei grattacapi a GSP) al primo round.

Sei mesi dopo affronta nel suo Quebec Justin Bruckmann, e lo sottomette con un armbar dopo averlo atterrato e colpito ripetutamente dalla side position. A ottobre affronta Travis “The Gladiator” Galbraith, lo porta schiena a terra intercettando un one leg, lo controlla e poi dalla posizione laterale lo strapazza con le sue gomitate. Il suo avversario non prenderà bene lo stop e gli si avvicinerà in modo minaccioso, ma Georges sarà conciliante.

Il suo quarto match è contro Thomas Danny, con GSP che lo sovrasta con estrema facilità prima di costringere l’arbitro ad interrompere l’incontro verso la fine del secondo round, a causa di una vistosa ferita all’arcata sopraccigliare del suo avversario.

L’incontro successivo, contro lo statunitense Pete “The secret weapon” Spratt, che veniva da una vittoria contro Robbie Lawler (anche lui futuro campione dei Welter in UFC, l’ultimo prima dell’attuale campione Tyron Woodley), termina con una sottomissione per rear-naked choke alla prima ripresa.

La vittoria gli vale la chiamata in UFC.

L’atleta e il fighter

Alcune delle caratteristiche che diventeranno classiche di GSP sono già evidenti: innanzitutto le sue doti fisiche. St. Pierre dà la sensazione, in controtendenza con l’ambiente che lo circonda, di essere un atleta ben prima di essere un fighter.

Esiste certamente una componente genetica molto importante riguardo alla sua fisicità, ma GSP si allenava con metodi all’avanguardia quando per la stragrande maggioranza dei fighter l’allenamento era sparring, poi sparring, poi ancora sparring.

GSP invece si allena alla Tristar Gym, guidata da Firas Zahabi (che diverrà presto una fucina di talenti), dove limita lo sparring pesante e preferisce allenarsi a corpo libero, lavorare tanto sul footwork, sull’equilibrio e sulla tecnica. Il tutto esaltato da un’etica del lavoro davvero ossessiva.

Anche nello stile di combattimento sono però già presenti elementi molto definiti. Nonostante il background da karateka (sottolineato dall’entrata nell’arena con il kimono e una fascia in testa tradizionale con la bandiera giapponese) predilige le fasi di grappling. GSP riconoscerà quanto la gestione delle distanze ereditata appunto dal Karate sia stato un elemento indispensabile per il suo wrestling con le perfette esecuzioni di one leg e double leg takedown.

Nel match d’esordio in UFC affronta Karo Parisian, più giovane di lui di un anno ma che vanta già 8 vittorie per sottomissione. Lo massacra per tre round con un ground and pound perpetuo che porta Joe Rogan a definirlo “una macchina da cardio”. A un certo punto subisce una Kimura, da cui però esce mostrando un’impressionante forza fisica. Due qualità centrali nella sua identità di fighter.

Nell’incontro successivo affronta e distrugge dopo un minuto e quaranta dall’inizio Jay Hieron (che aveva un record 4-0). Per la prima volta mostra uno striking di altissimo livello, ma soprattutto un uso del jab che diventerà col passare del tempo sempre più importante.

A questo punto è importante fare una digressione. Nel 2004 l’uso del jab era ancora quasi assente nel mondo delle MMA e Georges St-Pierre ne fu il precursore assoluto.

Grazie a un'ottima gestione delle distanze, alla sua esplosività, alla velocità d’esecuzione, favorito anche da un ottimo allungo per la categoria dei Welter, St-Pierre rese il jab un fattore dominante per tutta la sua carriera.

La strada per la cintura

La vittoria eclatante del suo secondo match UFC lo catapulta direttamente a un match titolato contro una leggenda come Matt Hughes, che ha già all’attivo 36 incontri da professionista (di cui 8 in UFC). Il match è piuttosto chiuso e GSP sembra più contratto del solito. Nella prima ripresa, a un secondo esatto dalla sirena, Hughes è velocissimo a trovare un armbar sul quale GSP è costretto a cedere, perdendo così il suo primo incontro per il titolo. Che è anche la sua prima sconfitta in assoluto.

Anni dopo racconterà a proposito di quella sconfitta di quanto fosse frenato dalla reverenza che aveva per il suo avversario: “Non riuscivo a credere di poterlo battere”.

A UFC 56 deve affrontare Sean “The Muscle Shark” Sherk: un fighter di altissimo livello con un grappling d’elite e un record da professionista clamoroso: 31-1-1.

L’incontro si prospetta complicato, invece GSP lo domina fisicamente. Lo porta a terra tre volte e lo colpisce ripetutamente, sia con i pugni che con le gomitate, fino a che dalla side position le gomitate tramortiscono Sherk, costringendo l’arbitro a fermare l’incontro.

A quel punto si merita un incontro prestigioso con BJ Penn, all’epoca una leggenda vivente. Nel primo round St-Pierre viene messo in grande difficoltà dal magnifico pugilato di BJ Penn.

Riesce a resistere con un po’ di intelligenza tattica e alla fine porta il match a terra dove - pur faticando moltissimo contro la guardia attiva del suo avversario - riesce a portare a casa una vittoria molto sofferta e controversa. Il numero di colpi significativi alla fine andrà nettamente a favore del canadese (59-37) ma la vittoria è arrivata per split decision, senza unanimità di giudizio nei 3 giudici, cioè.

L’incontro seguente è quello per il titolo e il campione è ancora Matt Hughes. GSP però sembra aver perso quel timore reverenziale patito nel primo incontro. Quasi per esorcismo, quando era stato invitato a salire sull’ottagono, subito dopo la vittoria di Huges su BJ Penn, St-Pierre aveva dichiarato - con la consueta educazione - di non essere rimasto impressionato dalla sua prestazione.

St-Pierre impone subito la sua supremazia nello striking, con il jab sempre più determinante, ma anche con il gancio destro, gli spinning back kick e, allo scadere, un Superman punch (colpo che St-Pierre da lì in avanti userà moltissimo sfruttando allungo ed esplosività) che manda knockdown il campione, salvato a quel punto dalla campana.

Nel secondo round St-Pierre non si lascia sfuggire l'occasione: dopo aver trovato la misura col jab mette a segno un high kick che manda KO Hughes e lo consacra campione del mondo.

La seconda sconfitta e il nuovo salto di livello

La prima volta che St-Pierre deve difendere il titolo si trova opposto a Matt Serra, un fighter tecnicamente inferiore sia a Penn che a Hughes, però duro mentalmente e con le mani pesanti. ll match si svolge in piedi e senza particolari emozioni, ma questa fase di studio viene interrotta da un lampo di Serra: un gancio destro piega le gambe a GSP che non riesce ad arginare l’ondata che segue.

Serra si avventa su di lui come una furia, lo manda knockdown e poi lo finisce con un tremendo ground and pound.

È una finalizzazione brutale, forse condita da uno stop tardivo.

GSP non cercherà scuse ma nel frattempo ha scoperto qualcosa in più su se stesso: non è un grande incassatore, quindi dovrà fare di tutto per perfezionare l’arte di non essere colpiti.

Nel giro di un anno, tra la fine del 2006 e la primavera del 2007, GSP ha assaporato il gusto della cintura, ma a quel punto deve tornare a vincere per dimostrare di essere ancora il migliore. Lo fa subito contro Josh Koscheck, con cui fa valere il divario atletico nelle fasi di grappling.

Subito dopo torna a sfidare ancora Matt Hughes, per il titolo ad interim (Serra era momentaneamente fermo per problemi alla schiena). E stavolta GSP mostra pochissimo rispetto, imponendo un dominio che diventa quasi grottesco quando Hughes, aggrappato a GSP per limitare i danni della monta, viene sbattuto al suolo. St-Pierre chiude l’incontro con uno splendido armbar.

A quel punto St-Pierre può concentrarsi sul conto aperto che ha con Matt Serra. Il match, valevole per l’unificazione delle cinture dei pesi Welter, è programmato per UFC 83, a Montreal. Serra lo provoca facendo intendere che le cose non andranno diversamente dal loro primo incontro; St-Pierre ribatte dicendo: «Non ha idea di quanto posso essere forte, di quanto posso essere veloce».

Stavolta, rispetto al primo match, GSP chiude tutti gli spiragli nelle fasi di striking. Dopo una manciata di secondi Serra lascia andare un gancio a vuoto, e in pochi secondi si fa mettere a terra da GSP, che si scatena in un furioso ground and pound. Quando Serra riesce a rialzarsi viene colpito ripetutamente dal Jab.

Nella seconda ripresa GSP riesce a mandare ancora a terra il suo avversario: Serra, che in tutto l’incontro ha messo soltanto 3 colpi significativi, è chiuso in posizione fetale per limitare disperatamente i colpi. St-Pierre si alza e lo finalizza con delle ginocchiate molto violente.

Sarà una delle prove più sontuose e spettacolari di GSP. Serra, con grande sportività lo prende sulle spalle a fine incontro e rende onore al nuovo campione.

In occasione di UFC 87 incontra Jon Fitch e lo batte in un match tutto combattuto sullo striking: lo manda due volte knockdown mettendo a segno ben 131 colpi significativi contro i 31 del suo sfidante. È uno dei momenti più toccanti della storia dell’UFC: sul suono della sirena i due si inginocchiano e si abbracciano quasi fra le lacrime.

A partire dal gennaio del 2009, durante l’UFC 94, St-Pierre inizia ad adattare il proprio stile. Gli adattamenti sono piuttosto evidenti nell’incontro con BJ Penn: nel primo round GSP lo stanca a parete per poi atterrarlo regolarmente all’inizio di ogni ripresa. Da lì inizia poi a colpirlo ripetutamente con il ground and pound.

È un massacro, letteralmente. Alla fine del quarto round, BJ Penn - uno dei più grandi incassatori della storia delle MMA - quasi non si regge in piedi. Il medico di gara guarda l’head coach che dice che può bastare così.

La piena, pienissima maturità

La capacità di St-Pierre di portare con successo i takedown non ha probabilmente rivali nella storia delle MMA. Ancora oggi, con i suoi 87 takedown positivi, è il fighter del roster UFC ad averne eseguiti di più. Tra l'altro, con una percentuale di riuscita elevatissima del 74%.

In occasione di UFC 100, George St-Pierre difende nuovamente il titolo con Thiago Alves, uno striker brasiliano molto pericoloso per via dello stile imprevedibile, che attinge a piene mani dal Muay Thai.

La strategia di Saint-Pierre è chiara: tanti leg kick e soprattutto tanti atterramenti. E infatti GSP riesce ad essere pericoloso soprattutto quando riesce a portare a terra il match, anche se non è affatto a disagio nemmeno nelle fasi di grappling, al punto che un suo diretto destro manda Alves knockdown nella terza ripresa.

Il quarto e quinto round vedono un GSP in pieno controllo grazie ai suoi spettacolari atterramenti (saranno ben 10 alla fine del match) e ad una capacità incredibile di mantenere alta l’intensità.

È talmente dominante nei confronti del suo avversario, che appena suona la sirena Alves gli alza il braccio per indicarne la vittoria.

Il match seguente, contro Dan Hardy, viene vinto da St-Pierre nettamente, ai punti. Impone la sua superiorità per tutto il match, con 11 atterramenti e andando per ben due volte vicinissimo alla sottomissione con un armbar e una kimura sventati da un Hardy incredibilmente resistente. A fine match St-Pierre si congratulerà con lui per aver resistito fino alla fine.

Nonostante il dominio schiacciante che GSP esercita in ogni occasione nei confronti dei suoi avversari, il suo stile viene comunque criticato da alcuni osservatori. Viene accusato di scarsa spettacolarità e di un eccessivo ricorso al Lay and Pray negli ultimi match: di controllare, cioè, l’avversario con il suo ground game, senza mettere troppi colpi e senza riuscire a sottometterlo.

La risposta di Georges ci dà la misura di quanto il suo approccio al combattimento (e probabilmente anche alla vita) sia razionale: per lui nell’MMA è impossibile non correre alcun rischio e il modo migliore per limitarli è quello di usare l’intelligenza, conoscendo alla perfezione i punti forti e i punti deboli dell’avversario, anche con opportunismo.

D’altra parte, una delle caratteristiche più evidenti di St-Pierre è proprio questa: la maestria nell’abbinare un grande eclettismo ad un game plan perfettamente cucito sulle caratteristiche dell’avversario.

Durante UFC 124, St-Pierre affronta nuovamente Josh Koscheck. St-Pierre è un fighter più versatile rispetto alla prima volta che i due si sono incontrati e stavolta arriva all’incontro con la consapevolezza che se c’è una sfera del combattimento nella quale la sua supremazia può palesarsi in modo più significativo è lo striking: per questo pianifica il suo game plan per far confluire il match sullo scambio in piedi. Il piano viene eseguito alla perfezione e St-Pierre finisce per impartire a Koscheck una vera e propria lezione.

A fine incontro i numeri sono impietosi: 110 a 16 il complessivo dei colpi significativi. St-Pierre ormai è all’apice della propria capacità di controllo sulla realtà esteriore, anche fuori dal ring. A fine match il pubblico se la prende con Koscheck riempiendolo di fischi, ma GSP, come un imperatore benevolente, dichiara: “Per piacere, ha detto molte cose per pompare l'incontro e prepararlo, ma è venuto qui per combattere con me e penso che meriti un po' di rispetto".

Gli ultimi 3 incontri

Le prime difficoltà, forse avvisaglie di un lento declino, arrivano con Carlos Condit, durante l’UFC 154. Condit costringe St-Pierre ad un match difficilissimo. Il fighter statunitense è fenomenale schiena a terra e fa della guardia attiva uno dei suoi punti di forza: concede spessissimo la top position a St-Pierre ma dalla full guard colpisce in continuazione, sopratutto con le gomitate.

St-Pierre nel primo round riesce comunque ad assestare i colpi più pesanti e ad aprire una vistosa ferita all’arcata sopraccigliare destra, con una gomitata. Nel secondo, invece, lavora bene alla distanza per poi rifugiarsi in un takedown che lo porta a controllare Condit, nonostante sia sempre più attivo schiena a terra.

All’inizio del terzo round arriva il primo upset: Condit mette il jab sulla guardia di GSP, poi fa un movimento anomalo e allo stesso tempo aggraziato: si sposta lateralmente abbassandosi quasi a voler scomparire e poi fa partire un high kick che St-Pierre non vede arrivare. Il canadese va knockdown ma, nonostante Condit si avventi su di lui per sferrargli finalmente dei colpi dalla top position, riesce comunque ad ottenere la full guard.

È il cardio alla fine a risultare determinante: GSP fatica tecnicamente a far valere il suo solito ground and pound, ma riesce a tenere l’intensità molto meglio del suo avversario e alla fine vince per decisione unanime. Soltanto uno dei tre giudici ha dato un round a Condit: un verdetto che non dà la misura di quanto complesso sia stato per St-Pierre quello che lui stesso ha definito il miglior fighter mai affrontato.

Anche quello con Nick Diaz, del marzo 2013, è un match decisamente complesso. Diaz è un fighter molto forte in piedi grazie ad un ottimo pugilato e un buonissimo allungo. Inoltre ha un BJJ fenomenale che lo rende pericoloso schiena a terra. Oltre al lato tecnico, comunque, Diaz è anche piuttosto abile a gestire il trash-talking, e con buoni esiti visto che St-Pierre ammetterà più tardi che la preparazione a quel match fu probabilmente la più stressante della sua carriera.

Nonostante ciò, GSP riesce ancora una volta ad esprimere una superiorità incontrovertibile nei confronti del suo avversario. I primi due round si svolgono a terra dove GSP dalla posizione dominante mette numerosissimi colpi (quasi 90 a fine secondo round), dimostrando per l’ennesima volta di aver studiato a fondo i punti di forza e debolezza del proprio avversario, gestendo alla perfezione la posizione dominante contro un fenomeno del BJJ.

Anche in questo caso, nonostante un buon ritorno di Diaz nel terzo e nel quarto round, a fare la differenza è la tenuta fisica sul lungo periodo, che permette a GSP di controllare senza troppi problemi il quinto round. Alla fine, anche Diaz riconosce la sua superiorità alzandogli la mano al termine dell’incontro.

L’ultimo match di GSP, contro Johny Hendricks, è il più duro e anche quello più vicino alla sconfitta. Nelle fasi di pugilato Hendricks fa sentire la pesantezza dei colpi, mentre nelle fasi di grappling riesce addirittura ad arginare GSP grazie al suo wrestling superlativo (e anche ai chili in più, data la sua concezione di taglio del peso piuttosto estrema).

È un match dall’andamento ondivago e ne viene fuori una delle vittorie di St-Pierre meno nette. I giudici si spaccheranno in una split decision: una decisione controversa, molto discussa e secondo alcuni illegittima.

"Senza dubbio il mio incontro più duro”, conferma George St-Pierre con il volto coperto di lividi “Ho perso la memoria a un certo punto dell'incontro, immaginate quanto è stato duro. Non ci vedevo da un occhio... mi ha veramente conciato male. Adesso ho bisogno di una vacanza".

Pochi pensarono che quella vacanza sarebbe durata tre anni e mezzo. E al di là della stanchezza, comprensibile dopo tanti anni di uno sport fisicamente massacrante, probabilmente St-Pierre nemmeno non si divertiva più a combattere.

Sulla decisione hanno pesato poi altri fattori. Convivere con quel disturbo ossessivo compulsivo che lo costringeva ad una vita monodimensionale votata unicamente alla competizione nell’ottagono, ad esempio. Ma anche l’incedere del desiderio di una vita normale, lontane dalle logiche cannibali del business. Le MMA gli avevano dato tanto, ma in cambio si erano prese tutto. Era giunto il momento per St-Pierre di dedicarsi a tutte quelle cose fuori dal ring di cui probabilmente aveva iniziato a sentire la mancanza.

He’s back

Se è facile quindi capire perché Georges abbia deciso di appendere i guantini, è molto più complesso capire quali motivi lo abbiano spinto a tornare indietro. Forse ha pensato che sarebbero stati gli ultimi anni a disposizione per dare ancora qualcosa a questo sport, che alla fine è stato praticamente tutta la sua vita: tornare a combattere, cioè, prima che diventi soltanto un rimpianto.

Ma quale St-Pierre rimetterà piede sul ring? GSP non ha mai smesso di allenarsi come un professionista e questo potrebbe portarci a credere che le sue condizioni atletiche siano rimaste buone.

In più si è preservato dai colpi, e il tempo trascorso lontano dalle competizioni potrebbe anche averlo aiutato a perfezionare alcuni lati del combattimento, come il pugilato. Proprio su questo aspetto ha lavorato per perfezionarsi con specialisti del calibro di Freddie Roach.

“Secondo me, è un buon momento per tornare in scena, anche a 35 anni” ha dichiarato GSP su Instagram, sprizzando sincero ottimismo “Ho appena finito un training camp di livello mondiale, sento di aver raggiunto la forma migliore di tutta la mia vita, non sono mai stato così. Il GSP di oggi è il GSP migliore che abbiate mai visto. Non vedo l’ora di tornare e dimostrarlo a tutti, me incluso, testerò le mie abilità e vediamo come andrà.”

L’ultimo St-Pierre che abbiamo visto nell’ottagono, però, potrebbe non bastare oggi per dominare la categoria. Oltre ad un pugilato più coraggioso (che non verta in modo così preponderante sul jab), GSP dovrebbe elevare il suo BJJ in modo tale da essere più risolutivo una volta ottenuta la posizione dominante nelle fasi di grappling (le ultime 7 vittorie ottenute solo per decisione stavano iniziando a palesare qualche limite di troppo) e l’eccessivo controllo a terra visto negli ultimi match potrebbe essere penalizzato dai nuovi parametri di giudizio che tengono conto soltanto del grappling effettivo, ovvero non premiano la posizione dominante in sé ma valutano quanto questa è stata fruttuosa in termini di colpi, passaggi di guardia e i tentativi di sottomissione.

E questo senza contare l’aspetto psicologico, visto che nelle ultime uscite St-Pierre era sembrato piuttosto contratto, nonostante tutto.

L’avversario sarà il campione dei pesi Medi Michael Bisping, in un match che si disputerà al limite delle 185 libbre. Bisping, inglese di 38 anni, è un veterano con un record di 30 vittorie e 7 sconfitte. Approdò in UFC nel 2006 dopo aver conquistato la cintura dei massimi leggeri nella nota federazione britannica Cage Warrior ed aver vinto nella medesima categoria di peso la terza stagione del TUF (The Ultimate Fighter, reality della UFC). Da lì in poi la bellezza di 25 incontri in UFC, di cui ben 18 vittorie.

Bisping è uno striker solido, preciso e con un’elevata frequenza di colpi, come conferma il primato in tutto il roster per colpi significativi totali messi a segno (1533) e il terzo posto per colpi totali messi a segno (1879).

Non è campione per caso, ma non è nemmeno il miglior medio in circolazione. Bisping non era nel “giro titolato”, ha strappato la cintura ad un Luke Rockhold non al meglio delle sue condizioni (aveva un problema al ginocchio), subentrando all’infortunato Chris Weidman con un paio di settimane di preavviso (Rockhold, quindi, non era neanche preparato fino in fondo per combattere con Bisping e sicuramente lo ha sottovalutato), mandandolo KO alla prima ripresa dopo un inizio che lo ha visto in difficoltà e sembrava confermare la differenze di calore tra i due fighter vista un anno e mezzo prima, quando Bisping aveva perso.

Quella dell’UFC è una scelta controversa. In una categoria di peso dove fighter come Yoel Romero o Jacare Souza aspettano la tanto agognata title shot da tempo, questa scelta toglie loro una possibilità che in questo momento avrebbero meritato decisamente più di George St-Pierre, a cui è stata concessa come una sorta di titolo onorifico.

Come detto, inoltre, GSP è un Welter naturale che ha sempre tagliato relativamente poco al limite delle 170 libbre (con la tendenza odierna che vuole un taglio del peso sempre maggiore, i pesi Welter sono oggi più grossi rispetto a quando li lasciò GSP) e scendere di peso sarebbe stato più logico che salire.

Certo, St-Pierre è un fighter decisamente superiore a Bisping e può batterlo nonostante la discrepanza di stazza fisica, ma dubito che GSP possa competere in futuro con altri contendenti, come appunto Luke Rockhold, che è alto ben 13 centimetri più di lui. Le MMA sono molto cambiate negli ultimi anni e i pesi medi oggi sono semplicemente enormi per lui: anche se dovesse conquistare il titolo non avrebbe un futuro in quella categoria. Più facile pensare, qualora lo conquistasse, che lo lascerebbe poi vacante per tornare a 170 libbre.

Una scelta, quindi, prevalentemente di tipo commerciale. Non troppo affascinante, certo, ma nemmeno priva di una logica (seppure cinica): questi rimangono comunque gli ultimi anni in cui GSP può guadagnare qualcosa facendo quello in cui eccelle, e tornare con la possibilità di portarsi via una cintura è affascinante per lui quanto per il pubblico che pagherà per assistere all’evento.

Al netto dei rischi connessi ad un ritorno ai massimi livelli dopo un lungo periodo di inattività, quella di St-Pierre rimane è una scelta tutto sommato razionale e pragmatica, non una follia dettata esclusivamente da un’immediata necessità di denaro ma anche dalla sensazione di poter ancora dimostrare di essere il migliore.

È una cosa su Georges St-Pierre ha insistito molto, anche nel podcast di Ariel Helwani: la sua volontà principale è quella di consolidare il suo stato di (potenziale) GOAT, vuole incontri che possano confermarlo nel Pantheon dello sport (per questo, ad esempio, ha già accennato alla possibilità di competere nei Welter se Damian Maia - fighter quasi esclusivamente centrato sul bjj - batterà Woodley - pugile durissimo).

In fin dei conti GSP non ci deve niente, semmai è il contrario: se ritiene di avere ancora qualcosa di importante da donare a questo sport non possiamo far altro che cedere ai suoi modi, sempre rassicuranti, educati e sinceri. Comunque vada, è un bene indiscutibile che GSP sia tornato a prestare il suo volto a uno sport che continua a essere frainteso e stereotipato. Perché, dopotutto, anche per chi lo dovesse conoscere solo adesso, George St-Pierre è un atleta difficile da non amare.

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