BLM Group Arena di Trento, pomeriggio di martedì 30 luglio. L’attesa delle poche centinaia di tifosi già presenti al palazzetto è per il debutto in amichevole dell’Italia, per il primo test sulla strada che porta al Mondiale. Qualche ora prima, però, in campo si sfidano Svizzera e Costa d’Avorio. La prima si prepara alle pre-qualificazioni Europee, al via quel fine settimana: il difficile girone a tre con Portogallo e Islanda, da vincere per inseguire quella qualificazione che manca dagli anni ‘50, richiede una preparazione contro avversarie di livello, e la partecipazione a un torneo contro squadre impegnate al Mondiale lo è.
La preparazione non basta, motivo per cui per aumentare le chances di qualificazione all’Europeo la Svizzera è riuscita a richiamare il suo giocatore più forte, che mancava dalla Nazionale da cinque anni. Dall’estate in cui fu scelto alla numero 25 del Draft dagli Houston Rockets, diventando il secondo giocatore svizzero della storia a entrare in NBA. Quel pomeriggio a Trento, per Clint Capela, è la prima partita - seppur amichevole - con la sua Nazionale dal 2014.
«È un’esperienza di poco meno di un mese [la durata del gironcino a tre per le pre-qualificazioni agli Europei, ndr], in confronto alla lunga preparazione di Team USA tra amichevoli e allenamenti» ci risponde quando gli viene chiesto della sua scelta un po’ in controtendenza, in un’estate segnata dai tanti rinunci alle Nazionali da parte dei giocatori NBA. «È diverso perché non gioco in Nazionale da più di cinque anni e sono contento di avere l’opportunità di avere un impatto importante in un periodo di tempo limitato. È qualcosa che mi è stato concesso dopo aver firmato il contratto con Houston l’estate scorsa».
Tutto parte da Ginevra
Nonostante l’amichevole di Trento sia stata la prima partita in maglia biancorossa dal 10 agosto 2014, quando una sua stoppata su Timofey Mozgov siglò una storica vittoria della Svizzera sulla Russia, Capela ha immediatamente abbracciato il suo ruolo di portabandiera di un’intera nazione: «Sin da quando ho annunciato il mio ritorno ho visto molto più interesse attorno al basket nel paese, anche dal punto di vista degli investimenti economici», dice il centro dei Rockets. «Ho fatto dei camp per bambini, più persone parlano di basket a Ginevra: è speciale».
«Adesso che ho un mio ruolo in NBA, per me è importante poter tornare a casa e fare qualcosa per la mia comunità, per i bambini, anche oltre il giocare per la Nazionale e rappresentare la Svizzera, così da mostrare a tutti quanto tengo al mio paese», continua. «Finora nella mia carriera ho giocato per una sola squadra NBA, ma potrebbe non essere così in futuro: l’unica cosa che sarà sempre certa è che sono un giocatore svizzero».
Pensandoci oggi, dopo cinque stagioni NBA e un contratto da 90 milioni di dollari firmato nella scorsa stagione, è quasi strano, ma il basket non è sempre stato lo sport del nativo di Ginevra. Il suo primo impatto con la palla a spicchi, infatti, fu per merito indiretto del connazionale che l’ha preceduto nel debuttare e giocare in NBA, Thabo Sefolosha.
«Quando avevo 13 anni giocavo ancora a calcio, poi vidi a Ginevra un poster di una partita amichevole tra Francia e Svizzera. In copertina c’erano Tony Parker e un ragazzo svizzero che era Sefolosha, ma ancora non lo conoscevo», ricorda Capela. «Il biglietto in piedi costava 10 franchi, e mia madre mi lasciò andare. Sefolosha giocò molto bene e mi divertii tantissimo: ho deciso in quel momento di iniziare a giocare a basket. Non avrei mai immaginato che sarei diventato un giocatore NBA, ma in quel momento sentivo che il basket poteva essere la mia strada».
Per Capela i ruoli potrebbero presto invertirsi, e diventare l’ispiratore piuttosto che l’ispirato: «Non so se sarò la stessa figura per i giovani svizzeri, perché magari da qui a dieci anni ci sarà un altro mio connazionale in NBA. Sarebbe però incredibile se fosse un ragazzino con cui ho fatto una foto in uno dei miei camp. Questa cosa mi motiva tantissimo», aggiunge Capela. «Sarebbe incredibile ispirare e motivare una generazione di giocatori con il mio lavoro e la mia motivazione. Quando ho iniziato a giocare avrei voluto che un giocatore organizzasse un camp per bambini e ragazzi: ci sarei andato, ma non ne ho avuto l’occasione. Oggi sono contento di poterla dare io, personalmente».
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Con il +24 sull’Islanda, marchiato anche dai 18 punti e 15 rimbalzi di Capela, la Svizzera si è garantita l’accesso alle Qualificazioni a Eurobasket 2021: adesso occorrerà fare meglio di almeno una tra Serbia e Finlandia, nel girone che comprende anche la Georgia ospitante di uno dei quattro gironi.
Tra la difesa e l’esempio di Blake Griffin
Il carattere orgoglioso e umile, costantemente attaccato alle sue origini, che emerge dalla prima parte della chiacchierata con il centro dei Rockets si riscontra anche quando descrive la sua traiettoria NBA. Capela nelle sue prime cinque stagioni ha guadagnato spazio principalmente per l’energia trasmessa in ogni occasione sul parquet (soprattutto nella metà campo difensiva), grazie soprattutto alla sua verticalità e atletismo: qualità che lo rendono uno dei migliori stoppatori NBA.
Per il nativo di Ginevra, però, la chiave della difesa è un’altra. «Parlarsi, in continuazione. È quello che ci insegnano» dice. «Quando sei in difesa devi comunicare con i tuoi compagni tutto il tempo, per mantenerli motivati e concentrati: quando qualcuno parla con te, ti motiva. Mi piace farlo, e penso che renda i miei compagni migliori in difesa».
La difesa è sempre stata il focus principale di Capela, sin dal suo arrivo in NBA: «L’aggressività in difesa è il mio marchio distintivo da quando gioco nei Rockets e soprattutto nelle partite più importanti. È un fuoco che sento dentro, perché sai l’importanza che ha questa parte del gioco e vuoi metterti in evidenza. Devi essere pronto a qualsiasi colpo di scena, e voglio essere sempre motivato».
Se è chiara la preferenza e l’attenzione verso la metà campo difensiva, quando si parla di attacco Clint Capela è invece diretto nell’individuare un giocatore che è diventato, da subito, un suo punto di riferimento: «Prima di debuttare in NBA guardavo tantissime partite e highlights di Blake Griffin», dice. «L’evoluzione del suo gioco mi affascina moltissimo, ma di lui mi colpiva soprattutto la mentalità, sempre aggressiva in ogni schiacciata a canestro. Volevo giocare come lui, volevo avere sempre “fame”: è il modo per diventare i migliori, pensare che nulla sia mai sufficiente. Il giorno che lo sarà, sarà il giorno del mio ritiro».
Fino alla scorsa stagione la fase offensiva di Clint Capela negli Houston Rockets è stata legata essenzialmente a un nome e a una giocata, quello di James Harden e del suo pick and roll: «Dopo che porto il blocco e sono pronto a tagliare a canestro, dipende tutto dal mio marcatore. Se resta su di me, James si crea lo spazio per un tiro; se va su di lui, è il segnale della partenza di un lob: è qualcosa che va avanti da cinque anni, il mio primo canestro in NBA è stato su un pick and roll».
La connection tra Harden e Capela non si limita ai soli giochi a due.
In questi anni il lungo svizzero ha avuto modo di ammirare e condividere l’esplosione di Harden, diventato un MVP e uno dei migliori giocatori della sua epoca: «James è sempre stato un giocatore dalla grandissima intelligenza cestistica», dice Capela. «È soprattutto un realizzatore, ma non è soltanto questo: potrebbe tenere un corso nell’arte del passaggio, è il migliore. Penso che si troverà benissimo con Russell Westbrook».
I nuovi Rockets e il “vecchio” Clint
Proprio l’ex MVP dei Thunder è la grande novità dell’estate di Houston: lo scambio con Chris Paul è stato soltanto l’ultimo atto del più pazzo mercato NBA di sempre, in grado di scombussolare gli equilibri della Lega ponendo quasi un terzo delle squadre alla condizione di giocarsela.
Proprio a Westbrook è legato un momento iconico della carriera di Capela, anche se dal lato sbagliato della storia: la famosa schiacciata proprio sopra allo svizzero nei momenti conclusivi di una sfida tra Houston e Oklahoma City nel novembre 2016, una delle giocate “manifesto” della stagione da MVP del numero zero.
«Non vedo l’ora di giocare con lui», afferma Capela a proposito di Westbrook. «Adoro l’intensità con cui gioca, il suo attaccare continuamente il ferro e l’essere sempre aggressivo. Parlo tanto dell’importanza della difesa per gente come lui: quando sei un giovane in NBA e vedi giocatori come lui con quel fuoco dentro, diventa parte di te. Avversari come lui mi hanno reso migliore, penso che potrà fare ancora di più da compagno di squadra: giocare con lui sarà incredibile».
Se tanto è cambiato a Houston con l’arrivo di Westbrook, per i Rockets sarà importante ritrovare il “vecchio” Capela al posto del giocatore visto in difficoltà negli ultimi playoff NBA, e in particolare nella serie contro i Golden State Warriors. Per il centro svizzero sarà fondamentale ritrovare quella fame e quella motivazione più volte espressa nel corso dell’intervista.
«Credo di essere cresciuto tanto in NBA perché ho da subito accettato il mio ruolo: non è una cosa che succede a tanti giocatori nel momento in cui arrivano nella lega», dice Capela. «Ero in una grande squadra come Houston, con davanti a me uno come Dwight Howard e compagni da cui ho imparato tanto come Terrence Jones e Trevor Ariza. A 19 anni sapevo che dovevo avere un ruolo ben specifico: portare blocchi, chiudere un pick and roll, difendere duro».
«Facendo quello che mi veniva chiesto, sono riuscito a guadagnarmi sempre più spazio, anche nei playoff. Nulla è stato scontato, visto che all’inizio non giocavo e venivo mandato in G-League, ma ho continuato a lavorare fino a quando è arrivata la mia chance. Il mio obiettivo è sempre stato quello di avere una carriera NBA a qualsiasi costo: oggi potrei essere un centro moderno, ma al mio arrivo nella lega mi venivano chieste cose diverse».
Un ruolo importante in questo processo di crescita lo ha ricoperto coach D’Antoni («Ha una mentalità molto aperta, cerca sempre di darci fiducia. È l’allenatore che mi ha portato a un livello superiore dice di lui Capela), con il nativo di Ginevra che è molto chiaro nell’identificare il suo obiettivo per la stagione 2019-20.
«Individualmente mi piacerebbe vincere il premio di Difensore dell’anno, ma penso soprattutto alla squadra: voglio vincere sin da inizio stagione, per assicurarci una delle prime due posizioni a Ovest», dice. «Nell’ultima stagione è stato molto difficile recuperare dalle tante sconfitte iniziali: non è mai facile dover rimontare tante posizioni in poco tempo. L’anno in cui abbiamo vinto 65 partite in regular season si era creata un’atmosfera magnifica, come succede in NBA quando vivi stagioni positive: ti senti alla grande. Vogliamo ricreare quell’atmosfera».