Da quando fare sport in Italia è diventato sempre più complicato dal punto di vista economico e gestionale, generalmente si fa riferimento a un ridotto numero di diversi modelli di business. La cultura sportiva che vige all’interno del nostro Paese - una cultura fortemente "risultatista", permeata all’ottenimento della vittoria per evitare l’etichetta di fallimento e l’onta del disonore -, spesso però influenza il nostro atteggiamento nel valutare un progetto sportivo.
La crisi delle grandi (per blasone, non per dimensione dei centri abitati) piazze della pallacanestro italiana che è occorsa all’inizio del nuovo millennio ha creato numerose opportunità di ribalta per club e città poco abituate ai massimi livelli della pallacanestro italiana. Gli albi d’oro hanno visto l’ingresso di nomi nuovi, squadre che fino agli inizi degli anni Duemila non erano nemmeno iscrivibili alla voce “comprimari”.
È però capitato che alcuni di questi club parvenu, una volta esaurita la spinta dei primi risultati sorprendenti e di alto livello, abbiano rapidamente perso la loro aura ridimensionandosi o, addirittura, scomparendo. In questo scenario, però, esistono anche casi di squadre che con lungimiranza e pazienza hanno saputo costruire senza mai fare il passo più lungo della gamba, senza avere le spalle coperte da un mecenate o da un imprenditore plenipotenziario.
Uno di questi è quello di una squadra fondata nel 1995 e capace, in 20 anni, di passare dalla Serie D a due partite dalla vittoria dello Scudetto, o anche a due partite dall’approdo in Eurolega attraverso la vittoria dell’Eurocup. La storia dell’Aquila Basket Trento è una storia di lungimiranza, visione e passione, e la prima impressione che si ha parlando con gli artefici di questo splendido progetto è quella di persone e professionisti abituati a pensare avanti nel tempo.
Questo spirito di progettualità, instillato nella struttura dirigenziale e tecnica a prescindere dai risultati, ma primo contributor dei successi di una squadra che, anno dopo anno, è sempre stata in grado di migliorarsi e raggiungere risultati migliori della stagione precedente, è un qualcosa di evidente a prima vista. Ed è anche testimoniato dalla longevità di coloro che hanno ricoperto gli incarichi di General Manager (11 anni), allenatore (8 anni, più un quadriennio a metà anni Duemila) e anche del capitano della squadra (7 anni).
Ogni storia di longevità e solida costruzione di un futuro, però, parte innanzitutto da una base solida a livello di fondamenta.
Gettare le basi
Nell’estate del 2003, il 34enne Maurizio Buscaglia è reduce da una retrocessione in Serie B2 alla guida del Bears Mestre, alla prima stagione da capo-allenatore della squadra mestrina dopo due annate da assistente. La sua carriera da allenatore professionista comincia in realtà qualche anno prima, quando da 27enne viene incaricato di guidare in B2 il Piove di Sacco, squadra in cui rimase per 4 anni.
Nell’estate in cui l’Italbasket preparava l’Europeo di Svezia, preludio al meraviglioso argento di Atene 2004, Buscaglia viene chiamato a conoscere la realtà di Trento, squadra fondata soltanto otto anni prima ma capace nelle quattro stagioni precedenti di un doppio salto dalla Serie D alla Serie C1.
Maurizio Buscaglia durante un timeout della partita giocata da Trento contro Gran Canaria in Eurocup (Foto Daniele Montigiani / Aquila Basket Trento)
«Quando sono arrivato a Trento per parlare con le persone della città, ancora oggi ricordo benissimo il momento in cui sono andato via» racconta Buscaglia. «Ero solo in macchina, uno di quei momenti perfetti per pensare. E riflettevo sul fatto di aver appena incontrato una società che mi lasciò l’impressione di avere una consapevolezza precisa delle cose che si volevano provare a fare per crescere, ma con i piedi sempre per terra».
«Avevo l’impressione di avere a che fare con persone che non mi volessero vendere qualcosa, ma trasmettere l’idea che i loro obiettivi erano divisi in piccole parti, in gradi di “raggiungibilità” e in grado, una volta raggiunta una di queste parti, di essere in grado di costruire per raggiungere l’obiettivo successivo, con piena consapevolezza della realtà: fu questa prima impressione che mi portò, di testa, cuore e istinto, a decidere di diventare l’allenatore di Trento».
Il primo quadriennio di Buscaglia a Trento porta l’Aquila a salire un successivo gradino della piramide del basket italiano, con la promozione nel 2005 dalla Serie C1 alla Serie B2 in una stagione dove la squadra trentina mette in bacheca anche il suo primo trofeo, la Coppa Italia di Serie C1. Chiuso quel quadriennio, le strade si separano: Buscaglia torna prima a Mestre e poi in quella Perugia a cui si associano le sue uniche esperienze da giocatore delle giovanili, portando la squadra umbra a una storica promozione in A Dilettanti (livelli che in città non si toccavano dagli anni ‘80), mantenendo un legame con la città che gli tributa una standing ovation al suo primo ritorno da avversario.
Nello stesso 2007 nell’Aquila Trento “torna”, in qualità di General Manager, Salvatore Trainotti, che della squadra trentina era stato anche allenatore, del settore giovanile prima e della prima squadra poi. La perduranza di certe figure chiave che sono unite indissolubilmente alla storia di Trento è senza dubbio uno dei principali valori dell’Aquila.
Salvatore Trainotti (Foto Daniele Montigiani / Aquila Basket Trento)
«Se tu vuoi creare una cultura di successo» dice Trainotti, «devi partire non tanto dalla vittoria, perché in una cultura di successo la vittoria deve essere conseguenza e non obiettivo. Devi riuscire piuttosto a trovare dei valori chiave, ben definiti, che riesci a condividere con le persone che lavorano con te e che diventano la traccia su cui lavorare ogni giorno».
Tale perduranza di figure chiave nel corso degli anni si è tradotta, a livello tecnico, in una continuità di giocatori: leggendo i nomi che hanno integrato nel corso degli anni il roster della squadra trentina, si vede come in tanti sono rimasti a lungo, per più anni. Tanti italiani ma anche, quasi una rarità nella pallacanestro italiana contemporanea, tanti stranieri.
«Quando pensi al campo e lavori sul campo, migliorare è una conseguenza» sottolinea Buscaglia. «Conoscersi però aiuta, perché ti permette di saltare qualche momento come quello di dovere partire da zero. Negli anni ci hanno dato dei matti perché salendo di categoria continuavamo a dare fiducia sempre agli stessi giocatori: ma a quel punto bisognava cambiare tutti, neanch'io avevo mai allenato a certi livelli. La differenza per noi è stata quella di avere, anno dopo anno, giocatori che avevano dentro la fiamma, che potevano valere il doppio di tante altre situazioni».
«Quando hai la possibilità di avere un nucleo che ti permette di lavorare su dei concetti, di sviluppare e di costruirci sopra», afferma Trainotti, «per l’allenatore è sicuramente stimolante perché gli permette di sperimentare, di plasmare il suo gioco. Ma è qualcosa che permette alla società di programmare, di prendere decisioni che ad oggi non danno frutti ma che nel medio/lungo termine magari ti possono dare dei risultati».
Salire la piramide
Mentre Buscaglia si divide tra Mestre e Perugia, l’Aquila continua a salire la piramide del basket italiano: rilevando il titolo sportivo di Lumezzane nell’estate 2009, Trento sigla la quarta promozione del decennio, approdando in A Dilettanti e conservando la categoria con un buon 9° posto nella stagione 2009-10, con Vincenzo Esposito alla guida della formazione trentina.
«Sono andato via dopo un quadriennio in cui c’era stata una crescita non solo di categoria» dice Buscaglia, «ma anche di club, di decisioni, di investimento e di pensiero intorno all’ambiente. Quando sono tornato, il cambiamento che ho notato è stato la naturale evoluzione delle cose che avevo lasciato, di rendermi conto che quel processo era continuato e continuava ad andare avanti».
«In tutti i settori e i comparti del club c’era stato un innalzamento del livello, dall’organizzazione al pensiero stesso. È stato un bellissimo ritorno e la cosa che l’ha contraddistinto sempre - e continua a farlo ancora oggi - è la sensazione che tutto sembra sempre nuovo. È uno stimolo talmente forte che fa sì che non vi sia routine: non c’è l’istinto di sedersi, ma al contrario una professionalità sempre maggiore».
Nella scalata di Trento, però, vi è anche un momento in cui tutto poteva terminare: la stagione 2010-11, in cui per una volta l’Aquila non riesce a migliorare il risultato dell’annata precedente, retrocedendo in B Dilettanti nonostante una stagione chiusa al 7° posto, potendo anche vantare la finale di Coppa Italia persa contro la Virtus Siena.
La stagione è senz’altro atipica, visto l’elevato numero di retrocessioni condizionato dal ridimensionamento dei campionati dilettanti. La retrocessione, però, poteva segnare la parola fine sul rapporto Buscaglia-Trento meno di 12 mesi dopo il suo ritorno. La società, però, sceglie di dare fiducia al suo allenatore: l’Aquila viene poi ripescata e nella stagione successiva festeggia la quinta promozione della sua storia, quella in Serie A2.
Trento festeggia la vittoria della A Dilettanti al termine della stagione 2011-12. Ad alzare il trofeo capitan Toto Forray, che dell’Aquila è il leader anche oggi.
«Leggevo una intervista a Gregg Popovich, dove esprimeva un concetto molto semplice: don’t skip steps», affermava Trainotti in una intervista rilasciata nel 2015 a Italbasket HD. «Per raggiungere certi obiettivi non puoi saltare certi passi, e questi possono anche corrispondere a degli insuccessi. Per tornare a quel momento di cui tanti parlano, la retrocessione - anche se si trattò di un campionato anomalo - fu un momento di difficoltà in cui si poteva mettere in discussione il nostro lavoro. Ma abbiamo deciso di ripartire dal lavoro e non dal risultato».
La scelta di Trainotti e della società trentina continua a pagare dividendi positivi anche dopo la promozione in A2: Trento, infatti, rimane nel secondo campionato nazionale per sole due stagioni. Dopo aver raggiunto, da numero 8 del tabellone, la semifinale playoff al primo anno (arricchita dalla vittoria della Coppa Italia di A2 eliminando la testa di serie 1 Barcellona), l’Aquila conferma la sua attitudine a migliorare il risultato della stagione precedente, conquistando la storica promozione in Serie A l’anno successivo, dopo un’annata terminata al primo posto.
La promozione arriva dopo un 3-0 in finale playoff su Capo d’Orlando, che poi salirà anche lei in A1 da ripescata.
Un ciclo continuo di promozioni, una piramide scalata a velocità sorprendente e ammirevole, che continua a essere parte fondamentale del bagaglio emotivo dei protagonisti. «Dei due anni di B1 la prima cosa che mi porto con me è un piccolo ‘step’: quello che i giocatori rendono di più se sono incastrati bene», afferma Buscaglia. «Non sempre la squadra migliore è la più forte, ma è quella che sta più insieme».
«Della B1 mi porto questo, oltre alla volontà di provare a replicare un’idea precisa e determinata di pallacanestro anche ai livelli successivi, nonostante le caratteristiche diverse dei campionati come, ad esempio, la presenza o meno di giocatori stranieri. Per assurdo, se ti porti dietro qualcosa quando vai a vivere in un mondo di talenti maggiori, quel qualcosa può diventare una differenza decisiva nel modo di giocare».
«Da quella categoria mi porto anche i primi sold-out del PalaTrento, e la voglia di non perdere quel pubblico». Quando invece il discorso si sposta sul biennio in A2, Buscaglia individua una immagine più nitida: «Gli ultimi 10 secondi a Capo d’Orlando in Gara-3: mi sentivo una fontana dentro, una sensazione di svuotamento e riempimento nello stesso momento. Avevo quasi paura di un assurdo “tiro da 12” che potesse riaprire tutto».
«Mi ricordo, e porto dietro con me, anche l’importanza dell’anima di una squadra e di quanto questa sia importante nell’accogliere bene quei giocatori che si uniscono al tuo percorso per poco tempo: quando c’è un’anima che conta, quei giocatori, in quel momento lì, non si sentono mai di passaggio».
Anche in A1, Trento non fatica a imporsi sulla scena come una protagonista assoluta del campionato. L’Aquila termina la sua prima stagione nella massima serie al 4° posto in regular season, con eliminazione ad opera dei futuri campioni d’Italia di Sassari, e con un’en-plein di premi individuali: MVP per Tony Mitchell, miglior coach a Buscaglia e miglior GM a Trainotti. Riconoscimenti a una squadra in grado di ben figurare con un nucleo fatto in casa di debuttanti nella massima serie come capitan Forray e Marco Spanghero, reduci dai tempi della A Dilettanti, o Davide Pascolo e Filippo Baldi Rossi, oggi migrati alla volta di club blasonati come Milano e Virtus Bologna e da tempo nel giro della nazionale.
«Del mantenere lo stesso nucleo c’è anche un altro lato della medaglia» dice Buscaglia, «ovverosia quanto è stato importante per noi cambiare formula ed essere in grado di andare oltre quei giocatori coi quali avevamo condiviso un lungo percorso. Nel momento in cui si è verificata la possibilità di continuare con uno zoccolo duro di giocatori non abbiamo mai esitato a farlo, cercando di affiancare i giocatori giusti o che i nostri fossero giusti per quelli che arrivavano».
Maurizio Buscaglia (Foto Daniele Montigiani / Aquila Basket Trento)
«Ma quando le logiche del mercato e della pallacanestro hanno allontanato qualcuno e cambiato la squadra noi, con serenità e naturalezza, abbiamo provato a ricostruire quell’anima in un altro modo. Non è facile, perché di solito si passa semplicemente un panno, cercando di stare sempre sulla stessa situazione, rischiando di farla male perché vuoi continuare a farla allo stesso modo».
Capitan Toto Forray, autentica bandiera dell’Aquila e ormai trentino d’adozione, è chiaro nell’individuare quel primo aspetto che, da leader, cerca sempre di trasmettere ai nuovi arrivati: «Il senso di appartenenza, di giocare per la maglia. È quel qualcosa che ti porta a fare quei risultati in più, che nessuno si aspetta. Arrivano sempre dei buoni giocatori, anche perché Trainotti e Buscaglia sono bravi a scegliere quelli adatti e in possesso di determinate caratteristiche, ma la differenza la fa chi riesce a sbattersi di più per la squadra».
“A due partite da...”
Anche il 2015-16 rappresenta una prima volta per l’Aquila: grazie al quarto posto della stagione precedente, Trento è chiamata a disputare l’Eurocup. L’Europa del Basket arriva quindi in Trentino nella stagione in cui i bianconeri festeggiano il 20° compleanno.
È una stagione magica per l’Aquila, perché con l’entusiasmo e la faccia tosta della debuttante Trento raggiunge addirittura la semifinale, diventando la seconda squadra italiana di sempre - dopo la Benetton Treviso nel 2011 - ad avanzare così lontano nella seconda coppa ULEB.
Dopo il +6 dell’andata in Francia, Trento vede sfumare la finale per soli due punti complessivi contro la Strasburgo del CT francese Collet.
«Arrivare a due partite dall’Eurolega è stata un’esperienza vissuta totalmente sul campo, e divisibile in tre aspetti» dice Buscaglia. «Il primo riguarda il club: sapevamo che era pronto, sapevamo che era abituato a pensare avanti, quindi tutto quello che abbiamo vissuto sulla nostra pelle nel quotidiano, una novità assoluta per tutti noi, ci ha portato a prendere le decisioni sulla base del nostro studio e dell’esperienza basata sul quotidiano, imparando sul campo».
«L’abbiamo poi giocata in maniera galvanizzante, ripenso ad esempio a quando sembrava che Real Madrid o Maccabi potessero retrocedere in Eurocup e finire nel nostro girone [il Real evitò poi la retrocessione per un soffio, mentre il Maccabi effettivamente scese ma non finì con l’Aquila, ndr], oppure a quando siamo arrivati a due partite dal dire “Porca miseria”. Il terzo aspetto è stato il confronto con le altre nazioni, tecnico ma anche organizzativo, tutto utile a puntellare il nostro studio continuo».
Come si approccia l’Europa da debuttanti?
La “sbornia” europea non inficia la continuità di risultati di Trento, che raggiunge i playoff anche in quella stagione, venendo poi eliminata dalla Milano poi campione d’Italia, ma che in Eurocup era stata eliminata a sorpresa dall’Aquila in uno spettacolare quarto di finale.
Quella stagione, però, serve anche a gettare le basi per l’annata 2016-17, quella dove Trento, privata dell’Eurocup a causa delle controversie tra FIBA e Eurolega, raggiunge una storica finale Scudetto, conquistata eliminando le vincitrici dei precedenti tre campionati tra quarti di finale e semifinale, e arrendendosi in sei gare alla profondità della Reyer Venezia, che vince la serie già con una rocambolesca tripla in Gara-5 di Michael Bramos.
Ma quanto di quel nuovo capitolo di “a due partite da” nasce dalla storica cavalcata in Eurocup? «Ho sempre ritenuto il campionato dell’8° posto dopo la semifinale di Eurocup un gran campionato» afferma Buscaglia, «perché non è facile stare sempre sul pezzo. Quell’anno abbiamo capito che nulla è impossibile, e in noi è cresciuta la consapevolezza che se lavori bene superi le problematiche in una certa maniera e cavalchi le forze nel modo giusto, vai avanti: perché non sempre vincono quelli più forti, ma a volte vincono quelli che hanno qualcosa da dire».
Il film dell’annata in cui Trento è arrivata a due vittorie dal laurearsi Campione d’Italia.
Un triennio magico che ha sicuramente contribuito ad accrescere la percezione positiva che il mondo del basket italiano ed europeo ha nei confronti della realtà trentina: «A me piace pensare che la caratteristica che ci viene sempre riconosciuta sia la serietà» dice Trainotti. «Quello che abbiamo sempre cercato di essere e di trasmettere è l’essere seri in tutto quello che facciamo: nel modo di comportarci, nelle scelte e nel vivere i momenti di successo».
«Un’altra cosa è la solidità» continua il GM. «Credo che la percezione fuori da Trento di quello che viene fatto è di qualcosa che viene fatta con i piedi ben piantati per terra e con delle fondamenta solide: non siamo più bravi degli altri, ma quello che facciamo lo facciamo con piena consapevolezza. In questa società, quello che ti porta a essere così è il come è strutturata la società stessa: non essendoci un tappo in cima, non esistendo un singolo imprenditore o un presidente ombra, tutto è basato sul progetto tecnico. Chi lavora è costretto ogni giorno a fare un passo in avanti, e matura anche l’ambizione di fare quel determinato passo».
One team, one land
Il segreto del successo dell’Aquila Basket Trento non risiede esclusivamente nella continuità a livello tecnico e manageriale, ma anche nella sua struttura unica: una governance tripartita, in grado di coinvolgere aziende e imprenditori del territorio, i tifosi riuniti in un’associazione e una Fondazione che nomina il presidente della società e l’intero consiglio d’amministrazione.
Aziende e imprenditori sono riuniti nel Consorzio Aquila Sport Trentino, nato nel 2013 come naturale evoluzione del progetto originario dell’Aquila Basket. Originariamente i membri del consorzio detenevano il 100% del club, ma due anni dopo la società ha deciso di destinare parte delle quote societarie a un Trust di tifosi e, recentemente, anche alla Fondazione Aquila per lo Sport Trentino. Oggi il Consorzio e il Trust detengono il 40% a testa, con il 20% invece di proprietà della Fondazione.
Lo spot di lancio del Trust dei tifosi, nel 2015.
«Le aziende oggi sono più oculate nell’investire» afferma Andrea Nardelli, direttore commerciale dell’Aquila Trento. «Se prima si poteva andare a pioggia, oggi si deve selezionare, e si va a scegliere chi ti da qualcosa in più. Noi siamo partiti dal non avere un presidente mecenate o padrone, che può decidere nel bene o nel male cosa investire o cosa far fare alla società: abbiamo trasformato questo in un’opportunità e il nostro modello di business a oggi funziona per questo».
«Se domani dovesse arrivare un grande investitore ovviamente cambierebbe tutto» continua Nardelli. «Secondo me la questione, sul nostro progetto, non è l’eventuale replicabilità, ma piuttosto il sapere costruire progetti che vadano oltre la partita vinta o persa».
Andrea Nardelli a sinistra (Foto Giulio Ciamillo, concessa da Aquila Basket Trento)
Il superamento della cultura risultatista è fondamentale, secondo Nardelli, per il consolidamento della società: «Quello che cerchiamo di fare è di vendere un prodotto che vada oltre la pallacanestro giocata, che esprima dei valori identificabili come propri del territorio. La parte sportiva è infatti la punta dell’iceberg, poi ci sono infatti l’attività del settore giovanile, i progetti no-profit, il coinvolgimento delle aziende del Consorzio: tutte cose che vanno oltre oltre quello che è il semplice risultato sportivo e la visibilità che questo può offrire».
Importante è poi il coinvolgimento del main sponsor, che nel caso di Trento è Dolomiti Energia, una delle più importanti aziende del territorio: «Il nostro sponsor principale ha bisogno di fare branding soprattutto fuori dalla regione, mentre all’interno della regione può necessitare di legarsi a un progetto dall’elevato valore sociale ed espressione di valori positivi. Sono due cose che vanno parallele, e per questo è più importante avere un’idea di progettualità piuttosto che andare solamente a discutere dello spazio di una pubblicità o del passaggio di un marchio sul LED a bordo campo».
Nell’affermarsi, l’Aquila Basket ha dovuto anche condividere il panorama cittadino con una potenza dello sport italiano e mondiale: prima della scalata ai vertici della pallacanestro tricolore, Trento era essenzialmente la città della Trentino Volley, squadra fondata nel 2000 e capace di laurearsi per tre volte consecutive Campione d’Europa e per quattro volte Campione del Mondo.
«L’avere vicino un club come quello della pallavolo, in possesso di quei valori chiave fondamentali per potere avere una vera cultura di successo, ci ha permesso quotidianamente di vedere che l’organizzazione, la cura del dettaglio, la programmazione erano valori fondamentali per riuscire a vincere» afferma Salvatore Trainotti.
Trainotti con il cav. Patrizio Podini, titolare di una delle aziende sponsor dell’Aquila Basket (Foto Daniele Montigiani / Aquila Basket Trento)
«L’esperienza di una società vicina, in grado di dare spunti e idee a livello organizzativo, è stata importante e ha inciso nel miglioramento della società» aggiunge Buscaglia. «Poi mi viene in mente un aspetto, che dà un riferimento preciso della vita di tutti i giorni: quando ci spostammo al PalaTrento, che quindi smise di essere ad appannaggio esclusivo del volley, era ovviamente più vuoto che pieno. Entrando sentivo le persone parlare e vi era un minimo di negatività. Ma avere l’approccio di “dover riempire quei posti”, di andare a creare, è propedeutico alla creazione di una mentalità vincente”.
Mentalità step-by-step che l’Aquila ha creato anche nel suo rapporto con i tifosi, creando quella identità che ha poi condotto alla creazione del già citato Trust e, più in generale, di un sostanzioso nucleo di fedeli appassionati in un territorio tradizionalmente non avvezzo alla pallacanestro. «La gente è cresciuta con la squadra, la passione è cresciuta col tempo» afferma Toto Forray. «Secondo me i nostri tifosi anno dopo anno riescono a capire qualcosa in più, e logicamente essendo abituati ‘bene’ si aspettano sempre qualcosa in più. Ma sono comunque sempre ben consapevoli del potenziale della squadra, non dando nulla per scontato e riuscendo sempre ad essere comprensivi».
Identificarsi con i tifosi è uno step fondamentale per poter essere espressione, a livello sportivo, di un intero territorio. Soprattutto se, come nel caso di Trento, parliamo di un territorio dalla ridottissima tradizione cestistica.
«Noi abbiamo lavorato per essere espressione della regione, è anche per questo che ci chiamiamo Dolomiti Energia Trentino» dice Nardelli. «Essere l’unica squadra della regione aiuta, perché quantomeno non c’è campanilismo all’interno del territorio, e aiuta anche l’essere una realtà giovane in Italia e, di conseguenza, il non avere inimicizie. I valori della squadra - sudore, lavoro, impegno - sono valori in cui tutti ci si ritrovano un po’, e su questo sono bravi i ragazzi a trasmettere sempre il loro obiettivo - il lavoro - e il non dare mai nulla per scontato».
Pensare al futuro
Per una squadra da sempre abituata a pensare in avanti, rivolgere lo sguardo al futuro è un esercizio fisiologico. In questa stagione Trento è tornata in Eurocup, terminando l’avventura alle Top-16 e confermandosi competitiva sul piano continentale: dal 2010 a oggi, soltanto la Benetton Treviso ha collezionato una percentuale di vittorie migliore in Europa di quella dell’Aquila Basket.
«Nel momento in cui siamo tornati in Europa, l’abbiamo conquistata con quasi più “normalità”: pur mantenendo lo stesso entusiasmo e energia della prima volta, non eravamo più i “bambini davanti all’acquario”» dice Buscaglia. «Avevamo la sensazione di avere “ripreso” l’Europa, l’abbiamo rivissuta molto bene soprattutto nei momenti da dentro-o-fuori, vincendo alcune partite fondamentali e soprattutto facendo ragionamenti da vissuto europeo».
La grande vittoria colta sul campo del Tofas Bursa, sin lì imbattuto in casa in stagione.
Nel migliorare l’ambiente dell’Aquila, e nel consentire di programmare un futuro ricco di soddisfazioni giocano un ruolo importante, come detto in precedenza dagli stessi protagonisti della società, le occasioni di studio. Ad esempio quelle vissute, nelle ultime due estati, da Maurizio Buscaglia: prima l’avventura nello staff tecnico dei Brooklyn Nets per la Summer League 2016, poi l’esperienza da capo-allenatore della Nazionale Under-20 per l’Europeo 2017 di categoria.
«L’estate ai Nets mi ha insegnato tantissimo, soprattutto nelle piccole cose» afferma Buscaglia. «Capire quando parlare, cosa dire e quando è il momento giusto per farlo, cosa andare a guardare, come ritagliarsi una fiducia assolutamente non automatica e scontata, oltre all’organizzazione capillare in ogni piccolo dettaglio».
«L’esperienza con la Nazionale, invece, oltre a essere il coronamento di un sogno, è stata il vissuto di una pallacanestro giovanile europea di alto livello che deve essere “spremuta” al massimo della richiesta, ma non per costruire un proprio giocatore. Qualcosa di diverso, con la voglia di non perdere, lo spogliatoio prima della partita decisiva per non retrocedere: tutte piccole cose che mi porto dietro».
Giovani che sono al centro dell’attenzione dei piani futuri dell’Aquila stessa. «Sul campo il futuro è lo sviluppo del giocatore: credo che per noi il prossimo step debba essere la capacità di far migliorare i giocatori, perché i risultati della squadra devono passare attraverso il miglioramento dei singoli» afferma Trainotti. «Il nostro programma tecnico deve essere attrattivo per i grandi talenti, e fuori dal campo dobbiamo cercare di rendere “eterna” la società, dandole una cultura e una struttura che permetta all’Aquila di rimanere ad altissimo livello indipendentemente dalle persone che ne fanno parte».
Prospettive condivise anche dall’anima commerciale che fa capo a Nardelli: «Dobbiamo continuare a lavorare sull’imprinting che abbiamo, puntando sullo sviluppo dell’Academy, della prima squadra con le idee di Trainotti e Buscaglia, sul mondo delle giovanili e sul territorio, a partire dal primo Summer Camp che lanceremo quest’estate. Abbiamo anche la fortuna di avere un’amministrazione comunale vicina al nostro progetto, che ha colto la palla al balzo della nuova regola dell’allargamento a 5.000 posti minimi pianificando la sistemazione del palazzetto».
Parte del mondo Aquila, fuori dai 12 giocatori di Serie A.
Al momento della stesura di questo articolo, la prima squadra è in piena lotta per i playoff, in un campionato eccezionalmente equilibrato dietro le prime quattro squadre - di cui due, Milano e Venezia, verosimilmente saranno in lotta fino alla fine per il primo posto a fine Regular Season e altre due, Brescia e Avellino, si giocheranno terza e quarta piazza - visto che ben sette squadre hanno registrato 10 o 11 sconfitte nelle prime 23 giornate di campionato.
Trento è ottava, ma a una sola partita di distanza dal quinto posto oggi occupato dalla Virtus Bologna: le premesse per provare a ripetere la magica cavalcata della scorsa stagione possono esserci, pur in un’annata travagliata da infortuni, frizioni e qualche sconfitta sorprendente di troppo.
«Conquistare i playoff quest’anno sarebbe un nuovo, grande, sintomo di continuità» afferma capitan Forray, che in questa stagione ha tagliato il traguardo delle 300 presenze con la maglia di Trento. «L’obiettivo principale è riuscire a vincere qualcosa, visti i passi da gigante che abbiamo fatto negli ultimi anni».
Anche in coach Buscaglia, quando si parla di prospettive future, si intravede quella fame e quell’orgoglio di continuare a provarci. E non potrebbe essere altrimenti, vista la straordinaria capacità di Trento di ripetersi e migliorarsi, aggiungendo costantemente un tassello unprecedented alla sua storia breve ma intensa. «Faccio fatica a pensare troppo in là» dice Buscaglia. «Ma c’è una cosa che mi viene in mente e che vale per tutto: abbiamo fatto una finale Scudetto con un’esperienza e un triennio incredibile, con un club che non era atteso a questi livelli così presto. Spesso ho sentito dire “due volte è difficile”, sospirando. Il nostro prossimo passo è questo: dimostrare che due volte non è difficile, perché si può fare e bisogna provarci. L’idea è che non deve valere lo slogan “chissà quando ci ricapita”. C’è una risposta che vale per tutto e per il futuro di tutti: “Deve ricapitare”».