Sei anni dopo il Wolverhampton ha riconquistato la Premier League e lo ha fatto in grande stile. La squadra ha vinto la Championship sfiorando quota 100 punti, ma la classifica non basta a spiegare il dominio che il club ha esercitato sul campionato con la sua nuova anima portoghese. La strada per arrivare al successo non è stata tutta in discesa e il club ha dovuto affrontare picchi molto bassi prima di riconquistare il posto che le spetta nella piramide del calcio britannico.
Il declino e la nuova proprietà
Per capire come un club inglese tra i più storici sia riuscito a uscire da una profonda crisi e tornare in Premier League è necessario ripercorrere alcune delle tappe del recente passato dei Wolves, in particolare le vicende degli ultimi due anni. Dopo la retrocessione del 2012 in Championship il declino del club sembrava inarrestabile: in quella che sarebbe dovuta essere la stagione del rilancio il Wolverhampton era crollato a causa di alcune scelte sbagliate della società (come quella di nominare come nuovo manager il norvegese Stale Solbakken) e scende per la prima volta in League One dalla stagione 1988-1989. Dopo essere tornati l’anno successivo in Championship sono arrivati i primi problemi a livello societario, soprattutto quando è terminato l’effetto del paracadute finanziario della Premier League, e il presidente Steve Morgan si trova costretto a mettere in vendita la società per una cifra relativamente bassa – 45 milioni di sterline –, che sono comunque un’enormità rispetto alle 10 sterline spese dall’imprenditore inglese per prelevare la società nel 2007.
Nell’estate del 2016 interviene quello che sarà il deus ex machina del Wolverhampton nei successivi due anni: Jorge Mendes. L’agente portoghese, fondatore della società di rappresentanza sportiva GestiFute, intravede una grande possibilità di sviluppo in Inghilterra per i suoi assistiti e tramite Peter Kenyon – socio di Mendes ed ex amministratore delegato di United e Chelsea – mette in contatto la proprietà inglese con il fondo cinese Fosun, il più grande conglomerato privato cinese, fondato da Guo Guanchang. Tramite una terza azienda l’imprenditore cinese è socio al 20% della GestiFute che fa capo a Jorge Mendes e mediante cui il portoghese esercita il suo enorme potere calcistico dalla sua base in Portogallo, sfruttando la legislazione nazionale favorevole alla proprietà dei cartellini per le terze parti (TPO) vietata dalla FIFA e dalla Football Association.
Tramite questo articolato giro Mendes riesce a mettere le mani (anche se non in modo diretto) su un progetto che a un costo molto contenuto ha prospettive interessanti, sia per i nuovi proprietari, che per lui in prima persona. I cinesi dalla Championship possono pensare di arrivare agli enormi ricavi della Premier League aggirando i costi elevatissimi che avrebbe comportato l’acquisto di un club già militante in prima divisione; Mendes invece può utilizzare come base inglese per i suoi assistiti il Wolverhampton, che si aggiunge alla lunga lista di società “amiche” della GestiFute, come Porto, Benfica, Valencia, Deportivo La Coruna, Monaco, Dinamo Mosca e, in misura minore, Atletico Madrid.
Jeff Shi (presidente esecutivo del Wolverhampton), Guo Guangchang (fondatore di Fosun) e Jorge Mendes, accompagnato come sempre dai suoi inseparabili cellulari. Foto di Catherin Ivill / Getty Images.
La rivoluzione di Mendes
Fosun completa l’acquisto del club nel luglio del 2016 con 45 milioni di sterline e dichiara di essere pronta a spenderne almeno altri 30 per rendere la squadra immediatamente competitiva per la promozione.
Al primo anno Mendes porta in squadra due ali portoghesi promettenti, Helder Costa e Ivan Cavaleiro. La parabola dei due giocatori è quella tipica degli assistiti di Mendes: entrambi prodotti dal Benfica, sono passati da due prestiti a Deportivo La Coruna e Monaco prima di arrivare al Wolverhampton nella speranza di fare il definitivo salto di qualità, soprattutto a livello realizzativo. Se la stagione dei due giocatori portoghesi – arrivati per un totale di 20 milioni di sterline – si può definire positiva, non si può dire altrettanto dell’annata del club delle Midlands, cominciata con l’addio polemico al manager Kenny Jackett, artefice della promozione dalla League One e delle successive due salvezze. L’inglese viene allontanato una settimana dopo l’arrivo della nuova proprietà e viene sostituito da Walter Zenga, che rimane in carica solo per 14 partite.
Il suo successore, Paul Lambert, porta la squadra a una tranquilla salvezza senza però impressionare la dirigenza, che decide di non confermarlo al termine di una stagione deludente partita con aspirazioni di promozione e conclusa al 15° posto. La situazione richiede l’intervento in prima persona di Jorge Mendes, rimasto coinvolto solo marginalmente nei primi mesi anche a causa delle regole molto severe della Football Association. La prima mossa dell’agente è stata far nominare manager uno dei suoi assistiti prediletti, Nuno Espirito Santo, che nella sua carriera ha allenato tre club in orbita Mendes - Rio Ave, Valencia e Porto - con risultati altalenanti, ma idee di gioco interessanti.
Nuno racconta come sia riuscito nell’impresa di battere in rimonta il Real Madrid di Ancelotti ai tempi del Valencia. Ronaldo e compagni arrivavano al match con una striscia di 22 vittorie consecutive (video The Coaches’ Voice).
Insieme all’allenatore portoghese sono arrivati altri tre giocatori della GestiFute: Ruben Neves, promettente centrocampista classe ’97 arrivato per 16 milioni di sterline; Diogo Jota, fantasista di proprietà dell’Atletico Madrid e Roderick Miranda, difensore centrale del Rio Ave, a cui si aggiunge Rafa Mir, talento ex Valencia cercato in passato da Tottenham e Real Madrid, non gestito in prima persona da Mendes ma dal suo amico Carlos Bucero. Complessivamente il numero di acquisti estivi tra definitivi e prestiti è arrivato a 17, una rivoluzione che ha messo nelle mani di Nuno Espirito Santo una quantità di talento e tecnica fuori scala per la Championship.
La sfida più complessa per l’allenatore portoghese è stata inserire i giocatori in un sistema che li facesse rendere al meglio in un campionato estraneo quasi a tutti, impresa resa ancora più difficile dalla sua conoscenza pressoché nulla dell’Inghilterra e dalla natura totalmente differente delle sue tre precedenti esperienze che lo hanno visto impegnato in campionati con ritmi e stili di gioco completamente diversi dalla Championship.
La mentalità di Nuno
Nuno Espirito Santo giocava portiere ma non è mai riuscito a trovare troppo spazio come prima scelta durante la sua carriera (solo 77 presenze complessive in prima squadra). È stato però il secondo portiere del Porto durante il triplete di Mourinho. In una bella lettera pubblicata da The Coaches’ Voice (una sorta di Players’ Tribune per allenatori), Espirito Santo ha spiegato la sua visione del calcio e ha riconosciuto la particolare importanza di quel periodo: «Sedere in panchina per la maggior parte del tempo mi ha dato nuove prospettive, mi ha permesso di vedere il gioco e lo spazio in modo diverso e mi ha aiutato nell’intendere il gioco come faccio ora».
Col passare degli anni Nuno si è allontanato dai pensieri e dallo stile di gioco del suo maestro e si è avvicinato maggiormente a una concezione più guardiolistica del ruolo di allenatore: non si tratta solo di gestire un gruppo di calciatori, trovare il miglior schema e la migliore tattica che porti alla vittoria, ma infondere una vera e propria filosofia alla squadra. «Quando ti offrono un lavoro in Championship il primo pensiero che devi avere è: le mie idee possono funzionare in questo campionato? Possiamo andare lì con la nostra filosofia?».
La prima parte del suo lavoro si è concentrata sul formare un’etica di squadra in un gruppo eterogeneo, dove la componente britannica è passata da venti a otto giocatori in una sola estate. Sono significative sotto questo punto di vista le parole del portiere John Ruddy, veterano inglese arrivato in estate a parametro zero: «È giusto spendere molto, ma se non porti in squadra gente con personalità e la giusta mentalità allora è inutile. Se non si lavora in unisono, allora non si può vincere. Abbiamo un grande gruppo, ci sono stati molti cambiamenti nell’estate e i ragazzi che sono arrivati, come me, si sono adattati subito grazie all’allenatore».
Schierati con un 3-5-2 non troppo comune nel contesto della Championship, gli Wolves hanno provato a imporre il proprio stile di gioco a prescindere dall’avversario: «Nuno è stato chiaro dal primo giorno sul modo in cui voleva che venissero fatte le cose, però si è sempre concentrato su di noi. Non si è mai trattato di adattarci alla squadra avversaria e credo che questo ci abbia rassicurato e dato fiducia come giocatori. Sappiamo come vogliamo giocare e sappiamo cosa siamo bravi a fare» ha dichiarato Ruddy.
La filosofia di Nuno ha attecchito in un ambiente sfiduciato come quello del Wolverhampton e ha restituito fiducia a una delle tifoserie più calde d’Inghilterra.
I ritmi alti a cui ha giocato la squadra ha messo in crisi i suoi avversari: rispetto alla stagione 2016/17 gli attacchi dopo la riconquista della palla sono aumentate dell’82%, ma è anche migliorata la gestione del pallone. Il Wolverhampton ha concluso il campionato al primo posto con 99 punti, il miglior attacco (82 reti segnate), la miglior difesa (39 reti subite) e di conseguenza anche la miglior differenza reti, oltre al maggior numero di clean sheet (24).
All’esordio stagionale contro il Middelsbrough l’unico titolare reduce della stagione 2016/17 era Matt Doherty (schierato tra l’altro in un ruolo diverso), mentre l’unico altro giocatore della gestione precedente usato con regolarità è Conor Coady, centrocampista convertito in centrale della difesa a 3 e nominato anche capitano.
Coady è stato uno degli uomini chiave della stagione insieme al più talentuoso Ruben Neves. Nelle idee di Nuno il Wolverhampton deve giocare sempre il pallone, sfruttando ogni singolo possesso per mettere pressione agli avversari con attacchi veloci e improvvisi; per questo il portiere Ruddy non rinvia quasi mai il pallone e si affida spesso o a Coady o a Neves per impostare l’azione dalla propria trequarti. L’abilità nei passaggi lunghi di questi due giocatori ha facilitato la squadra sia nell’imporre il proprio gioco partendo da situazioni di possesso palla, sia nel ribaltare rapidamente una situazione difensiva in una offensiva. Neves è primo nel campionato per passaggi lunghi riusciti per partita (8.6), mentre Coady è terzo nella stessa classifica; nella stessa categoria c’è una statistica che rende i Wolves diversi dalle altre 23 squadre nel campionato: mentre il primo giocatore per passaggi lunghi di ogni squadra è il portiere, in quella di Espirito Santo ci sono tre giocatori (Coady, Neves e l’altro centrocampista centrale Saiss) prima di Ruddy.
Nuno fa grande affidamento nelle capacità di passaggio e di lettura dei suoi giocatori difensivi, molto efficaci nel decidere se verticalizzare immediatamente il gioco appena la squadra recupera il pallone o gestire con i compagni di reparto il possesso in attesa che si sviluppino le giuste condizioni per la verticalità e da questo punto di vista è stato fondamentale il lavoro dell’allenatore portoghese trasmettere la convinzione di dover ricercare sempre la migliore occasione per attaccare, senza farsi prendere dalla fretta. Infatti oltre a essere tra le prime del campionato in molte delle voci statistiche principali (secondi nella precisione dei passaggi, quinti nel possesso e ottavi nei tiri in porta), ce n’è una in particolare che permette di capire come Nuno abbia lavorato sul modo in cui la squadra deve arrivare alla conclusione - ovvero nel più pulito possibile - ed è questo che ha spinto molti a paragonare il Wolverhampton di Espirito Santo al Manchester City di Guardiola. Secondo Opta durante la stagione i Wolves hanno creato 89 grandi occasioni, 24 più della seconda squadra, ovvero l’Aston Villa; per rendere meglio quando sia grande questo gap basta pensare che lo stesso numero di chiare occasioni (24) divide la seconda dalla ventesima in questa classifica.
Il gol di Diogo Jota contro lo Sheffield United riassume al meglio lo stile del Wolverhampton. I laterali salgono altissimi fino a formare una linea d’attacco a 5 con il tridente, la palla gira veloce e continua fino a trovare la conclusione più pulita possibile.
La crescita di Ruben Neves
L’individualità esaltata maggiormente da questo contesto è stata quella di Ruben Neves, battuto solo dal fenomenale Ryan Sessegnon nella classifica di miglior giocatore del campionato. Arrivato come acquisto record sia per il club che per il campionato (circa 16 milioni di sterline), le aspettative su di lui erano chiaramente alte e scendere di categoria per un giocatore con oltre 60 presenze da professionista in una delle due principali squadre portoghesi è un compito difficile.
Neves ha fatto la differenza grazie alle sue enormi doti tecniche ma soprattutto attraverso una crescita mentale importante. Oltre ad aver spiccato nel sistema di Nuno – per esempio oltre che nella statistica dei passaggi lunghi è tra i primi anche in quella dei possessi totali -, ha saputo far emergere le sue caratteristiche anche in aree dove il Wolverhampton non è stato tra i migliori, come nel pressing alto. Espirito Santo non ha utilizzato molto questo tipo di arma in fase di non possesso (la squadra è tredicesima su ventiquattro per palle recuperate nella metà campo avversaria) ma Ruben Neves è stato comunque tra i primi del campionato per palloni recuperati in situazioni di pressing alto. Anche dal punto di vista realizzativo la crescita è stata netta: dopo tre stagioni consecutive con una sola rete in Primeira Liga quest’anno ha realizzato 6 gol, tutti da fuori area e tutti incredibilmente belli. Neves ha vinto il premio come miglior giocatore, miglior centrocampista e miglior gol. La sua esplosione ha attirato l’attenzione delle grandi squadre europee e in particolare inglesi, ma al momento Neves sembra intenzionato a rimanere almeno per un’altra stagione nei Wolves: «Credo che abbiamo raggiunto tutti i nostri obiettivi, sia come squadra che come individualità. È normale che i grandi club vedano il nostro lavoro, non solo il mio ma anche quello dei miei compagni, ma sono molto felice qui. Voglio rimanere e voglio godermi la Premier League con questo fantastico club».
«Ruben Neves, Ruben Neves, uno dei più grandi gol che possiate mai vedere! Semplicemente sbalorditivo, sensazionale, meraviglioso, incredibile!». Il pacato commento del commentatore descrive al meglio il capolavoro di Neves contro il Derby.
L’importanza dei laterali e il gioco offensivo
Negli schemi di Nuno hanno assunto un ruolo sempre più importante due giocatori che inizialmente non sarebbero dovuti essere tra i protagonisti, ovvero gli esterni difensivi. Le spese estive del club inglese non si sono concentrate in questa zona del campo, sempre più fondamentale nel calcio moderno come evidenziato bene dall’evoluzione del Manchester City nell’ultimo anno dopo gli acquisti di Walker, Mendy e Danilo, così Nuno si è dovuto affidare sulla destra a Matt Doherty, già presente in rosa, e sulla sinistra a Barry Douglas, arrivato per un milione di sterline dal Konyaspor.
I due esterni sono la prima opzione offensiva quando la squadra recupera palla, con Coady e Neves che cercano sempre di far ripartire l’azione dalle corsie laterali; quando il possesso è nella trequarti avversaria le loro sovrapposizioni tengono impegnati terzini e ali avversarie, liberando spazi centrali per i giocatori più talentuosi e tecnici. Questo tipo di interpretazione del ruolo ha avuto ripercussioni positive anche in fase di non possesso, visto che con una posizione così alta gli esterni offensivi avversari sono costantemente costretti a spendere molto in fase difensiva e a rimanere lontani dalla porta, diventando poco pericolosi anche in caso di contropiede. Il meccanismo ha funzionato per gran parte della stagione e oltre alla miglior difesa, il Wolverhampton ha chiuso anche con il minor numero di tiri subiti a partita (9.8). Già dalle prime partite è stato chiaro che il primo obiettivo di Nuno è stato quello di creare una grande solidità difensiva, che associata all’aggressività dei laterali e all’abilità di passaggio del centrale difensivo e dei due centrocampisti ha prodotto da subito risultati molto positivi.
Questa situazione ci consente di vedere un attacco tipico dei Wolves: la palla sta per arrivare al centrale difensivo con i due centrocampisti che vengono a proporsi bassi; il tridente impegna i quattro difensori avversari, così i due laterali – già altissimi - possono attaccare le fasce
Nel sistema di Nuno il ruolo del centravanti non è quello di chiudere le azioni nell’area di rigore, ma di partecipare al massimo nella costruzione, prima proponendosi per il passaggio lontano dalla porta – attirando così fuori posizione i difensori centrali -, poi sfruttando le proprie doti tecniche per servire i due trequartisti nello spazio lasciato libero o riciclare il possesso nel caso non si presenti la giusta occasione di passaggio. Nella prima metà della stagione l’attaccante centrale è stato il brasiliano Leo Bonatini, da febbraio in poi il titolare nel ruolo è stato invece Benick Afobe, arrivato in prestito dal Borunemouth, ed entrambi si sono calati bene nel ruolo e nella particolare interpretazione voluta da Nuno; per il portoghese i tre giocatori offensivi del 3-4-2-1 devono essere molto bravi nella rotazione, meccanismo di movimenti molto usato dalle squadre di alto livello in questi anni: scambiandosi di continuo di posizione i due trequartisti e il centravanti hanno creato diversi problemi alle retroguardie della Championship, abituate da sempre a una difesa statica.
A spiccare tra i giocatori offensivi è stato il trequartista Diogo Jota. Come Neves, anche lui è assistito da Jorge Mendes, che lo ha portato in Inghilterra in prestito dall’Atletico Madrid dopo una non felicissima parentesi al Porto. Jota è un trequartista molto dotato a livello tecnico ed è il tipo di giocatore che in linea teorica avrebbe potuto soffrire l’adattamento a un campionato come la Championship. Il suo apporto alla squadra è stato invece costante e il suo rendimento molto alto durante tutta la stagione. Il portoghese è stato il migliore della squadra nel numero totale di gol (17), nel numero di tiri per partita (2.9) e nel numero di dribbling riusciti per partita (2.6).
La rotazione completa degli attaccanti dei Wolves: Jota, che negli schemi parte dalla sinistra, si trova in posizione centrale dopo aver preso bassa la palla, Cavaleiro, originariamente a destra, ha preso il suo posto come trequartista sinistro, mentre Bonatini da punta centrale si è spostato sulla destra.
L’inchiesta su Mendes e l’insofferenza degli avversari
Il dominio tecnico e tattico ha portato la luce dei riflettori sulla squadra e in poco tempo al malcontento degli altri proprietari dei club di Championship sono seguite le accuse. In particolare il presidente del Leeds, Andrea Radrizzani, ha sostenuto che il campionato non fosse leale a causa del ruolo di Mendes nel Wolverhampton, che grazie all’agente ha avuto l’opportunità di portare nella seconda lega inglese giocatori da alcune delle migliori squadre europee con estrema facilità.
Il frutto dello sfogo di Radrizzani è stata un’inchiesta della EFL sul ruolo di Mendes nel club, ma le indagini hanno certificato la posizione dell’agente conforme alle regole. Mendes non riveste alcun ruolo ufficiale nel club, con cui interagisce solamente nelle vesti di consulente. Inoltre il rapporto tra la proprietà cinese Fosun e la società di Mendes GestiFute non è direttamente dimostrabile, perché il presidente del conglomerato cinese Guo Guangchang detiene le quote della società di intermediari tramite una società terza. La posizione del club e dell’agente rimane però in bilico dato che gli organi della Premier League – che sono indipendenti da quelli della EFL e della FA – hanno ritenuto di dover indagare sui rapporti tra il club e Mendes dopo la promozione del Wolverhampton in Premier League.
Durante l’anno i Wolves sono progressivamente diventati i cattivi del campionato e hanno attirato su di loro le antipatie della quasi totalità delle avversarie. Il culmine dell’insofferenza verso il club è arrivato a poche giornate dal termine del campionato, nella trasferta sul campo del Cardiff, seconda in classifica.
Il Wolverhampton è sopra di una rete grazie a una punizione di Ruben Neves, Mike Dean – arbitro che solitamente dirige le partite di Premier League – concede un rigore al 93’ per la squadra di casa, che può così pareggiare e fermare la fuga dei Wolves verso la promozione. John Ruddy para il penalty a Gary Madine e la palla finisce in calcio d’angolo, ma a pochi secondi dalla fine una sciagurata entrata di Ivan Cavaleiro su Aron Gunnarsson concede una seconda opportunità dagli undici metri al Cardiff al 96’. Questa volta calcia Junior Hoilett che spiazza Ruddy ma colpisce la parte alta della traversa. Fuori di sé, Nuno evita la stretta di mano del tecnico del Cardiff, Neil Warnock, per correre in campo a esultare con la sua squadra. Il manager del Cardiff prima si è rifiutato di stringere la mano a Espirito Santo due minuti più tardi, quando il portoghese è tornato verso le panchine, poi nelle interviste post partita ha definito Nuno “una disgrazia”, accusandolo di “mancanza di classe”: «È totalmente fuori controllo. La prima cosa da fare a fine partita nel calcio inglese è stringere la mano al manager avversario. Se in Portogallo gli hanno insegnato a fare così bene, ma non in Inghilterra, qui non si fa così».
Nuno sembra un uomo che insegue la propria ragazza arrabbiata dopo un litigio, ma dopo una raffica letale di “fuck off” rinuncia sconsolato alla pace.
Quali prospettive?
Se da un lato i tifosi non possono che essere felici degli sviluppi societari degli ultimi due anni, dall’altro rimane un velo di preoccupazione sul ruolo della società nel futuro. Una figura come quella di Mendes ha portato benefici squadra, ma il suo ruolo nel club rischia di essere strumentale. Il Wolverhampton rischia di essere una semplice tappa di passaggio verso i top club per i giovani promettenti assistiti dal portoghese. Sotto questo punto di vista gli indizi più importanti per il futuro arriveranno da Ruben Neves e Diogo Jota, i prospetti più interessanti arrivati negli Wolves: se la dirigenza (d’accordo con Mendes) deciderà di trattenere i due portoghesi e non rivenderli al miglior offerente integrando la squadra con rinforzi di esperienza per la Premier, allora il progetto di Nuno potrebbe trovare continuità ed essere efficace anche nella massima divisione inglese; le basi da cui ripartire sono ottime perché l’allenatore è riuscito a trasmettere al meglio la sua filosofia allo spogliatoio, che l’ha accolta e fatta propria nonostante i grandissimi cambiamenti estivi.
Anche le sorti delle precedenti vincitrici della Championship sorridono al Wolverhampton: le ultime quattro ad aver trionfato nella seconda divisione inglese hanno conquistato una loro dimensione in Premier e due di queste (Leicester e Burnley) sono riuscite a qualificarsi per le coppe europee nel giro di poche stagioni. Con l'entrata in vigore del nuovo accordo per i diritti tv sono aumentati esponenzialmente i ricavi delle squadre minori, che sempre più spesso hanno dei progetti interessanti e non pensano più semplicemente a svoltare una singola stagione. Squadre come Burnley, Borunemouth o le due neopromosse Huddersfield e Brighton hanno ancora come manager quello della promozione con pianificazioni pluriennali e nel caso del Borunemouth anche un gioco brillante; progetti come questi con una forte identità hanno mandato in crisi i club più tradizionali come Sunderland, Stoke City, Swansea e West Bromwich, retrocessi negli ultimi due campionati.
Se Nuno fosse intenzionato a rimanere a lungo sulla panchina del Wolverhampton i futuri obiettivi del club potrebbero diventare ambiziosi: la squadra ha già speso oltre 80 milioni di due anni in Championship e con i maggiori introiti della Premier League è molto probabile che la dirigenza sia disposta a spendere ancora di più: puntare ad entrare nella metà sinistra della classifica entro i prossimi due anni potrebbe essere più di un’utopia