È il sedicesimo minuto di Inter-Verona del 29 agosto del 1999, il sedicesimo minuto che Christian Vieri gioca da calciatore più costoso del mondo. Per l’esordio in campionato dell’Inter di Marcello Lippi in attacco con Vieri c’è Zamorano, in panchina ci sono Baggio e Ronaldo, che entrerà per il secondo tempo. Al sedicesimo del primo tempo il terzino sinistro, il greco Georgatos, riceve un pallone poco prima di centrocampo, e ha tempo per alzare la testa e guardare il movimento degli attaccanti, poi lancia il pallone in avanti di una cinquantina di metri, verso il limite dell’area di rigore avversaria.
Sono passati 15 anni da quella partita e solo 5 da quando Vieri ha smesso di giocare, ma il ruolo del centravanti è così cambiato che Vieri sembra un dinosauro in confronto agli attaccanti più moderni, a quelli che coprono la trequarti avversaria in lungo e in largo (Diego Costa, Falcao, Higuaín, Cavani), a quelli capaci di giocare tra le linee (Rooney, Ibrahimović, Tévez), a quelli che svuotano l'area (Benzema) per gli inserimenti degli esterni che sono a loro volta una nuova versione del concetto di “attaccante” (Cristiano Ronaldo, Neymar, Luis Suárez, Thomas Müller). Del centravanti, oggi, si può fare benissimo a meno.
"Noi giochiamo senza centravanti perché il nostro centravanti è lo spazio”, ha detto una volta del suo Barcellona Pep Guardiola, teorico, iniziatore e interprete più efficace di una rivoluzione che definire tattica sarebbe riduttivo: ha investito la filosofia stessa del gioco e sovvertito i rapporti e la gerarchia tra i tre elementi fondamentali del calcio, cioè il pallone, i giocatori, lo spazio.
Nel 1999 però il centravanti dell’Inter non è lo spazio, ma Christian Vieri, che insegue il pallone di Georgatos, tagliando verso l’area di rigore in mezzo ai due centrali del Verona, Franceschetti e Gonnella. Il lancio è corto e non troppo teso per cui Franceschetti sul centro-destra ha il tempo di cercare il punto ideale di impatto con il pallone che scende mentre Vieri è costretto a rallentare e a cambiare direzione.
Franceschetti si prepara a colpire di testa ma Vieri senza smettere di correre si gira spalle alla porta e finge per un attimo di andare in anticipo mandandolo fuori tempo, poi si trova il pallone addosso e riesce controllarlo con il petto e a rovesciarlo in avanti mentre il povero Franceschetti, ormai saltato, allarga le braccia a invocare senza convinzione un fallo inesistente.
Vieri prende la mira e segna senza eleganza, con un piatto sinistro violento che passa sotto il corpo del portiere. Esulta correndo verso centrocampo col pugno sinistro alzato verso il cielo in modo un po’ goffo.
Christian Vieri nel 1999 ha 26 anni e quell’estate l’Inter lo ha comprato per 90 miliardi. Ha impiegato 16 minuti a segnare un gol maestoso per potenza ed equilibrio, e prima della fine della partita ne segna altri due. È il primo gol da calciatore più costoso del mondo.
PARTE III
Quando Il 1 luglio 2005 rescinde il contratto con l’Inter il trentaduenne Vieri è ancora uno dei giocatori più famosi del mondo, anche se da un paio di stagioni le cose non vanno più come prima. Il suo gioco è diventato più lento e impreciso, i tifosi hanno iniziato ad innervosirsi e qualche volta a fischiarlo. Nel 2004 prima di un Inter- Bologna ha fatto una sceneggiata a Zaccheroni, prendendo la macchina e andandosene a casa anziché sedersi in panchina. Durante la partita in Curva Nord è comparso uno striscione: “Non sentiamo più ragioni, Bobo Vieri fuori dai coglioni” e ancora, poche partite dopo: “Primedonne? Party? Milioni? Preferiamo Zaccheroni”. In realtà a fine stagione sarà quest’ultimo a fare le valigie, ma un anno dopo la società chiederà la rescissione anche a Vieri.
Quattro giorni dopo aver lasciato l'Inter, Vieri firma con il Milan, tornando d’un colpo ad essere Vieri “il mercenario”, quello che prima dei sei anni all’Inter aveva cambiato una squadra a stagione andando ovunque gli offrissero un aumento di stipendio. Dicono che è un giocatore finito, che il calcio non gli interessa più e che è voluto rimanere a Milano solo per le discoteche. In effetti in sei mesi al Milan non combina granché e a gennaio si trasferisce al Monaco, lasciandosi alle spalle l'ostilità dei tifosi dell'Inter e le ironie di quelli del Milan.
In Francia inizia bene e segna quasi subito una doppietta contro il Rennes, ma il 25 marzo contro il Paris Saint-Germain il ginocchio sinistro va in torsione dopo uno scontro con Mendy. È il 2006, e l'infortunio significa per Vieri la rinuncia ai mondiali in Germania, per i quali Lippi lo avrebbe quasi sicuramente convocato.
Per un po' non si hanno notizie di lui finché a giugno, a sorpresa, firma con la Sampdoria, accolto in sede da una piccola folla di tifosi festanti e memori dei trascorsi di suo padre “Bob” in blucerchiato. Un mese dopo, però, rescinde il contratto per ragioni misteriose. Si allude ad eccessi di tutti i tipi e la parola “depressione” compare per la prima volta nei giornali accanto al nome di Vieri.
"Ero così deluso per non aver potuto partecipare al Mondiale del 2006 - che tra l'altro sapevo che l'Italia avrebbe vinto perché eravamo i più forti - che decisi di rescindere il contratto con la Sampdoria perché pensavo di smettere di giocare, avevo troppa rabbia in corpo e per due o tre mesi non ne volli sentire di calcio” spiegherà qualche anno dopo a Repubblica
Il nerazzurro in questo caso è quello dell'Atalanta.
A fine agosto 2006 firma con l’Atalanta, che lo aveva lanciato dieci anni prima, un inedito contratto a rendimento con base di 1.500 euro al mese (il minimo sindacale per i calciatori di serie A) e un bonus 100.000 euro per ogni gol segnato. Dal punto di vista comunicativo l'operazione ha un certo successo. Ai tifosi italiani piace il miliardario al minimo sindacale, l'idea del divo che adesso-i-soldi-se-li-deve-guadagnare, per cui giornali e opinione pubblica concedono a Vieri una piccola apertura di credito. Tra recupero della condizione fisica e infortuni perde però quasi tutta la stagione, e per vederlo in campo bisogna aspettare la primavera del 2007. A maggio contro il Siena segna un gol spettacolare, con stop di petto e girata al volo da poco oltre centrocampo e qualche complicità del portiere avversario Manninger.
Conclude la stagione con 7 presenze e 2 gol, giocando le ultime partite in modo convincente, ma il contratto con l’Atalanta non viene rinnovato e Vieri va alla Fiorentina. Segna subito un gol decisivo proprio contro la sua ex squadra e corre ad esultare sotto la curva togliendosi anche la maglia. La stagione da riserva è positiva, ma calcia sopra la traversa il rigore che costa ai viola l'eliminazione in semifinale di Coppa Uefa, contro i Rangers.
A fine contratto la Fiorentina non rinnova e l’Atalanta cerca di ingaggiarlo per la terza volta, ma i tifosi bergamaschi stavolta organizzano una vera e propria manifestazione contro di lui di fronte alla sede della società. Vieri in conferenza stampa non fa nulla per ricucire ma si limita a commentare laconicamente che le proteste gli sembrano “esagerate”. Sta seduto di traverso e dosa le parole come se gli costassero molta fatica, o come se la cosa lo riguardasse solo fino a un certo punto. È asciutto, sembra nervoso e i tatuaggi spuntano dalle maniche e dal colletto della t-shirt. L’abbronzatura bruciata lo invecchia, la cresta col gel è da ragazzino. Sembra l'animatore di un villaggio turistico, o un buttafuori.
Firma un contratto per la stagione 2008/2009, ma tra infortuni e contestazioni il suo ultimo campionato in pratica non inizia nemmeno e la sua carriera si conclude il 1 aprile 2009, con la rescissione del contratto con l'Atalanta. Vieri ha 35 anni, ha segnato 142 gol in 190 partite in serie A e 24 in 42 partite in nazionale. Poco dopo il ritiro denuncia l'Inter e la Telecom per averlo spiato illegalmente e chiede 21 milioni di risarcimento. Nel 2011 interrompe la relazione con la showgirl Melissa Satta con un comunicato stampa (nel senso che lei stessa dichiara di averlo saputo dal comunicato). In un locale di Milano fa a pugni con Fabrizio Corona e l'estate successiva a Formentera l'ex socio della sua linea di abbigliamento lo aggredisce mordendogli il naso. Nel 2012 è indagato per scommesse irregolari e nel 2013 per bancarotta fraudolenta. Nel frattempo prova a tornare al calcio giocato (nel 2011, nella serie b brasiliana), partecipa a un reality show sul ballo e se ne appassiona. Nel 2013 ne conduce un altro insieme a Marco Delvecchio. Dichiara che gli piacerebbe aprire una scuola di ballo, perché il ballo l'ha aiutato a combattere la depressione. Quando gli chiedono se invece non vorrebbe aprire una scuola di calcio, ride.
L'antenato di Torres, Agüero, Falcao, Diego Costa.
PARTE II
"Che gran gol il terzo di Vieri, 4-1, venuto fuori dal nulla. Perché non c'era nulla nella palla conquistata dall’italiano. L'azione si stava spegnendo docilmente e per evitare rischi il portiere greco era uscito dall’area ad assicurarsene. Ma Vieri ha continuato a correre. L’estremo difensore gli si è messo davanti e ha finto di toccare la palla, ma l’ha lasciata passare. L'italiano non si è fatto ingannare e ha continuato a correre senza cambiare direzione. Prima che la palla uscisse, Vieri l’ha toccata di punta e l’ha inchiodata sulla linea. Michopoulos è finito oltre. Vieri si è girato rapidamente sulla linea di fondo e ha calciato. Il tiro ha preso una curva perfetta, a rientrare, ed è finita in rete. La magia è scesa sul Calderón: i tifosi hanno iniziato ad applaudire, i giocatori rojoblancos a festeggiare il come invasati e persino Vieri, il freddo pistolero dal piglio imperturbabile, è stato visto sorridere. Era il gol della sua consacrazione, l'ultimo regalo per la sua grande notte e per la partita della sua vita”.
Il gol di Vieri contro il PAOK (l'articolo è del giornalista José Miguélez su El Pais del 22 ottobre 1997), è molto probabilmente il più bello della sua carriera ma è l’intera stagione giocata in Spagna nel ’97/’98 ad avere un valore particolare nella sua storia, perché è all’Atletico che da ottimo centravanti diventa un calciatore epocale, con Batistuta "los dos mejores delanteros goleadores del momento”. Lui stesso, sebbene sia rimasto in Spagna solo un anno, ha parlato in seguito del trasferimento all’Atletico come della “cosa migliore che ho fatto da quando gioco a calcio”.
Ci arriva nell’estate del ’97 dalla Juventus, dopo una telenovela di mercato su cui si è detto e scritto di tutto. Il 30 giugno Agnelli dice ai giornalisti: “Ho parlato con Moggi che mi ha garantito che Vieri non è in vendita a nessun prezzo, come Brigitte Nielsen”. Il 3 luglio viene ufficializzato il trasferimento all’Atletico per 34 miliardi.
Un anno dopo, quando Vieri varrà più del doppio, Agnelli darà la colpa a Moggi e Moggi darà la colpa a Vieri, che non darà mai una sua versione ma continuerà fino ad oggi a professarsi juventino sfegatato.
L’Atletico Madrid del 1997 arriva da un quarto posto nella Primera Divisiòn spagnola, che non si chiama ancora Liga ed è un campionato molto meno affascinante e competitivo della serie A delle “sette sorelle”. Lo allena il serbo Rodomir Antic e l’ossatura è ancora quella della squadra campione di Spagna due stagioni prima (Molina, Pantic, Caminero, Kiko) ma senza Diego Simeone e in chiara parabola discendente. Dal punto di vista sportivo per il ventiquattrenne Vieri non si può certo parlare di un passo avanti. Il Corriere della Sera trae spunto dal trasferimento per pontificare sui tempi moderni: “Abolite le bandiere (l'ultima, quella rossonera di Franco Baresi, e' stata ammainata poco fa), nel calcio del Duemila l'unica bandiera che conta per davvero è la squadra”. E trova una sponda nel padre di Vieri che dichiara “incredulo”: “A me dispiace, ma io appartengo a un calcio che non c'è più. Qui non è più questione di sport, ma di affari: questo calcio è impazzito”.
Vieri inizia piano e nelle prime tre partite non fa gol, poi esplode e in quattro partite ne fa sette, gli ultimi tre in un 1-5 a Saragozza.
Quattro giorni dopo in coppa UEFA contro il PAOK ne segna altri tre. L’eco delle due triplette consecutive di Vieri arriva immediatamente anche in Italia, dove la nazionale lo aspetta per l’andata dello spareggio di qualificazione ai mondiali contro la Russia. Alla Gazzetta dello Sport spiega così il suo gol al PAOK: “Non mollare mai. Mai pensare che una cosa non sia raggiungibile. E' quello che ho in testa, per esempio, da un po' di tempo, pensando alla qualificazione mondiale. Ho preso quel pallone perché nessuno ci credeva e io sì”.
Il 29 ottobre a Mosca su un campo ridotto a una poltiglia di fango e neve Vieri segna il gol del vantaggio italiano, che nonostante l’1-1 finale si rivelerà decisivo per permettere agli azzurri di affrontare al meglio la partita di ritorno e qualificarsi.
Vieri interrompe Varriale e segna, rispetto agli altri giocatori sembra un 4X4.
Sono bastati due mesi all’Atletico Madrid per trovare la consacrazione, e il resto della stagione di Vieri non è da meno. Nonostante si infortuni più volte, quando gioca è devastante, e fa anche un poker contro il Salamanca in una partita che l’Atletico perde 5 a 4 e che diventa l’emblema di una stagione straordinaria per Vieri e molto meno per la sua squadra. Segna 24 gol in 24 partite e vince per distacco il titolo di pichici (il secondo è Rivaldo con 5 gol in meno e 10 presenze in più) ma l’Atletico arriva solo settimo in campionato. In coppa UEFA Vieri fa 5 gol in 7 partite e l’Atletico arriva in semifinale, dove viene eliminato dalla Lazio.
A fine stagione si chiude il ciclo di Antic e arriva Arrigo Sacchi, e intanto Vieri gioca da centravanti titolare dell’Italia i Mondiali di Francia, dove mantiene la media di un gol a partita. La Juve decide di riprenderselo ma a fine agosto, quando il ritorno in bianconero sembra a un passo dal concretizzarsi, Vieri va alla Lazio per 55 milioni.
È difficile dire con certezza quanta parte del merito dell’esplosione di Vieri in Spagna nel '97/'98 vada attribuita alle circostanze specifiche e quanta alla fisiologica maturazione di un giocatore di 25 anni che già l’anno prima alla Juventus aveva fatto vedere ottime cose. Oggi Vieri descrive quell’esperienza in un modo che sembra uscita da un libro di storia : ci si allenava una volta ogni tanto, con qualche esercizio con la palla e partitelle, e si usciva tutte le sere. Poi la domenica si dava tutto quello che si poteva, e nessuno aveva niente da ridire.
Il re del secondo palo. L'azione con cui si conquista il rigore (minuto 11) dimostra che sapeva anche correre con la palla tra i piedi.
PARTE I
Alla fine degli anni Novanta io e i miei compagni del ginnasio detestavamo Vieri quasi quanto Pippo Inzaghi. Ci dividevamo in “baggisti” e “delpieristi” (“tottisti” e “delpieristi” qualche anno dopo), perché i giocatori che ci piacevano erano i numeri 10, mentre di Vieri e Inzaghi dicevamo che avevano un brutto modo di giocare e rovinavano lo spettacolo, che facevano solo gol facili e fortunosi. A vederli giocare una partita intera sembrava che non si impegnassero troppo. Se ne stavano per novanta minuti a corricchiare sul filo del fuorigioco, e se gli capitava il pallone tra i piedi troppo lontano dall’area di rigore erano impacciati e si affrettavano a liberarsene, o lo perdevano in un contrasto. Poi sbucavano fuori dal nulla e facevano gol, deviando appena un pallone o scalciando prima e meglio degli altri durante una mischia in area di rigore
Noi eravamo quindicenni borghesi in un liceo classico del centro di Genova, leggevamo Heinrich Böll sotto il banco durante le lezioni di greco e quel modo di giocare ci sembrava insopportabile, persino immorale, perché rivelava la natura ferina del calcio, del quale ci attraeva invece un’idea estetica, romantica. Vieri e Inzaghi incarnavano precisamente la lotta famelica e un po’ volgare per restare a galla senza avere – ci sembrava – doti o meriti particolari che in quegli anni stavamo imparando umanisticamente a disprezzare.
Quando Vieri arriva alla Lazio (contratto di 5 anni) è all’apice della sua carriera, cominciano quei quattro o cinque anni in cui si trova ai vertici assoluti del calcio mondiale e l’obiettivo non è più salire di livello ma provare a vincere il più possibile. Arriva settimo al Pallone d’Oro 1999, vinto da Zidane. Alla Lazio gli infortuni muscolari si fanno più frequenti, ma il rendimento rimane altissimo. Segna in tutti i modi, ma soprattutto di testa e su lanci in profondità, partendo sul filo del fuorigioco. In acrobazia è sgraziato quanto efficace, e segna anche gol molto belli dalla distanza
Le ultime tre stagioni (Atalanta, Juventus, Atletico) lo hanno modellato rispetto al “ragazzo un po’ grezzo però dalla grande forza, dalla grande elevazione, magari con poco fraseggio, poca tecnica di base, ma dal grande spirito” che Mondonico ricorda a inizio carriera. “Me ne vado a casa, sono il più scarso di tutti”, diceva Vieri a Sergio Vatta, suo allenatore ai tempi delle giovanili del Torino. “È vero”, rispondeva Vatta, “ma fai sempre gol”.
Vieri passava dalla goffaggine all'efficacia alla grazia in un modo che lasciava a bocca aperta.
Nella seconda metà della stagione riesce a giocare con più continuità e la Lazio ingaggia un testa a testa con il Milan per lo Scudetto. Alla penultima di campionato la Lazio è avanti di un punto e va a giocare per la vittoria a Firenze. La Fiorentina va presto in vantaggio con Batistuta ma Vieri pareggia di testa su cross di Mihajlovic. Nel secondo tempo la Lazio stringe la Fiorentina d’assedio, Mancini crossa da sinistra, Salas fa da torre sul secondo palo, arriva Vieri e di testa anticipa di un soffio l’uscita di Toldo. La palla colpisce la parte inferiore della traversa e rimbalza in campo, dove i difensori della Fiorentina possono spazzarla. Finisce pari, il Milan sorpassa la Lazio e la domenica dopo vince lo Scudetto. La traversa di Vieri contro la Fiorentina diventa nelle settimane successive la metafora dell’occasione perduta dalla Lazio.
Poco male per Vieri, che l’estate dopo va all’Inter per 93 miliardi a comporre una coppia da videogioco con Ronaldo. Si fa anche fotografare seminudo e con il cartellino del prezzo, per la campagna pubblicitaria di una carta di credito. All’Inter, però, non riuscirà a vincere lo Scudetto, che invece a andrà proprio alla sua ex squadra, la Lazio.
Christian Vieri è stato il miglior centravanti italiano degli ultimi vent’anni e uno dei tre migliori al mondo della sua generazione, ma con tutti i suoi gol non è riuscito a vincere quasi niente, come se il destino si fosse divertito a giocare con l'antinomia tra la sua natura strettamente individualista e quella collettiva del calcio.
Ci sono due momenti in particolare, a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro e in circostanze sportive molto simili, che in qualche modo misurano la distanza tra le potenzialità di Vieri e i risultati ottenuti.
La prima è Lazio-Inter del 5 maggio 2002, la seconda è Italia-Corea del Sud, due mesi dopo.
La prima vale lo Scudetto, la seconda è l'ottavo di finale di un mondiale in cui l'Italia è tra le superfavorite, e in entrambi i casi la squadra di Vieri è la più forte e si trova di fronte un ostacolo classico della narrativa sportiva, quello performativo: bisogna vincere due partite già vinte,
Tutte e due le volte Vieri segna dopo meno di venti minuti, in entrambi i casi, però, non sarà sufficiente.
La stagione 2001/2002 è stata, fino a un passo dal traguardo, la migliore di Vieri fino a quel momento, quantomeno nell’equilibrio tra rendimento individuale e risultati di squadra. Gioca in un'Inter finalmente matura, allenata dall’argentino Hèctor Cuper che viene da due finali consecutive di Champions League con il Valencia. In porta è arrivato Toldo e in difesa Materazzi, mentre in attacco insieme a Vieri ci sono Recoba, Kallon, Ventola e un giovanissimo Adriano, ancora asciutto e sinuoso come un grande predatore felino.
A metà stagione torna in campo anche Ronaldo - di fatto dopo due anni - e lui e Vieri fanno vedere il genere di cose che avrebbero potuto fare spesso, con un po’ più di fortuna.
Vieri e Ronaldo, sarebbe stato bello se fossero diventati una coppia mitica tipo Batistuta e Rui Costa, Del Piero e Trezeguet, etc.
Lazio-Inter è l'ultima di campionato, si gioca il 5 maggio 2002 ed è una delle partite più celebri degli ultimi 15 anni, per cui non avrebbe senso raccontarla qui nei dettagli. Basti ricordare che l’Inter deve vincere a Roma e che probabilmente non c’è un solo opinionista o appassionato in tutta Italia che abbia dubbi sul fatto che vincerà. Nel pomeriggio primaverile dell’Olimpico anche i tifosi laziali tifano per l’Inter, per via di uno storico gemellaggio e perché non vogliono che a vincere lo scudetto sia la Juve o, peggio, la Roma. Recoba calcia un corner a rientrare troppo su Peruzzi che infatti salta e afferra il pallone, ma un attimo dopo se lo lascia sfuggire. Il pallone rimbalza sul terreno e Fernando Couto scalcia per rilanciare ma non ci riesce, perché Vieri è più veloce di lui e col sinistro spinge il pallone in rete. Ventesimo minuto, papera del portiere, gol facile facile (uno di quelli che irritano me e i miei amici adolescenti): sembra fatta. Invece si scatena Poborski, Gresko va in confusione, segnano ancora Simeone e Simone Inzaghi. A rileggere le cronache e rivedere gli highlights della partita pare che Vieri non abbia altre occasioni apprezzabili per cambiare le cose. Vince la Lazio 4-2, scudetto alla Juve.
Il 5 maggio, non quello di Manzoni
Meno di un mese dopo Vieri parte con la nazionale per il mondiale in Giappone e Corea, il secondo della sua carriera. In Francia nel ’98 aveva segnato in tutte le partite tranne l’ultima con la Francia, quando Barthez aveva fatto una parata con i piedi che valeva un Mondiale su un suo colpo di testa a botta sicura.
Il gioco espresso dalla Nazionale italiana è deludente fin dall’inizio, al girone vinciamo con l’Ecuador, perdiamo con la Croazia e pareggiamo con il Messico qualificandoci a fatica. Vieri però è sempre più uomo squadra, segna tre gol in tre partite e gliene annullano uno regolare contro la Croazia. Agli ottavi incontriamo la Corea del Sud più competitiva di sempre, padrona di casa e allenata da Gus Hiddink, che è riuscito a portare i suoi giocatori ad una condizione atletica eccellente e beneficia già da qualche partita di un arbitraggio quanto meno indulgente nei confronti dei padroni di casa. Al netto di tutte queste circostanze si tratta comunque di una squadra minore, di cui sommando il valore dei singoli giocatori non si sarebbe arrivati al valore di mercato di un Totti o di un Vieri.
Stavolta è Del Piero al ventesimo a calciare dalla bandierina, forte e tagliato sul primo palo. Vieri parte dal centro dell’area e va incontro al pallone, con le spalle si apre fisicamente uno spazio in mezzo ai difensori piazzati della Corea e senza saltare schiaccia la palla in rete, di testa. E’ un gol molto «alla Vieri» e dà la misura fisica dello scarto di livello tra uno come lui e i giocatori della Corea. C’è ancora quasi tutta una partita da giocare, però, e il seguito è celebre almeno quanto Lazio-Inter del 5 maggio 2002: le difficoltà dell’Italia, le polemiche sull’arbitro, l’errore di Panucci e il pareggio della Corea a due minuti dalla fine.
Un minuto dopo il pari, Totti addomestica un pallone sulla sinistra e lancia Tommasi, che entra in area e mette in mezzo un pallone secco e rasoterra che attraversa l’area di rigore coreana, a metà strada tra il portiere e l’ultimo difensore. Sul secondo palo accorre Vieri e si allunga a colpire con il piede destro, davanti a lui c’è solo la porta spalancata.
Il commentatore inglese del video che si trova su Youtube rimane in silenzio per un paio di secondi, poi scandisce: “Questo è l’errore del Mondiale. Christian Vieri sarà perseguitato da questa immagine”. La palla è schizzata altissima sopra la traversa, Vieri è steso a terra e con le braccia sopra la testa, in quello che sembra quasi un segno di resa. Nei supplementari sarà lui a servire a Tommasi il pallone che, se il guardalinee non avesse segnalato un fuorigioco inesistente, sarebbe valso la qualificazione, ma non ci fa caso quasi nessuno, e quella del gol sbagliato al novantesimo diventa in effetti l’istantanea del mondiale di Vieri.
What if Christian Vieri fosse diventato Campione del Mondo e capocannoniere di quella competizione?
Poco dopo il ritorno della Nazionale in Italia Vieri rilascia un'intervista a Repubblica. Persino Trapattoni e Carraro hanno attribuito al suo errore la colpa dell’eliminazione dell’Italia. "In Italia si cerca sempre di scaricare le colpe su qualcun altro. La verità è che ai Mondiali abbiamo fatto due sconfitte, una vittoria e un pareggio: quindi non potevamo andare lontano” . E aggiunge : “Pensavamo troppo agli avversari. Invece dovevamo preoccuparci solo di noi stessi e del nostro gioco. Bisognava andare avanti, invece aspettavamo. Eravamo cinque attaccanti e ne giocava solo uno. Con gli attaccanti che avevamo, dovevamo pensare solo a vincere e a creare occasioni da gol: non mi sembra che sia accaduto. Se ti preoccupi sempre degli altri, vuol dire che non sei forte».
Poi dice delle altre cose che forse sono più vere oggi che allora, quando il campionato italiano era il più seguito del mondo : «È un problema di mentalità che riguarda tutto il calcio italiano. Che è brutto, lo sanno tutti. Siamo indietro, basta vedere come si comportano in Spagna o in Inghilterra: lì pensano per prima cosa a segnarli, i gol, anziché a non subirli. In Italia si guarda troppo alla tattica. E il Brasile? Vogliamo parlarne? Era bello vederlo giocare, tutti quegli attaccanti insieme, e infatti stavano sempre in avanti, poi ne usciva uno ed entrava Denilson. Dovremmo prendere esempio. L'Italia, per la tradizione e i campioni che ha, dovrebbe entrare in campo pensando solo a se stessa”.
Il 2001/2002 è stata una delle stagioni migliori della sua carriera con 26 gol segnati in 29 partite, ma come molte delle altre si è conclusa senza vincere nessun titolo. Il giornalista gli chiede se gli dispiace.
"Eh sì. È vero che nel calcio si vince e si perde, ma a me ogni tanto piacerebbe anche vincere. Vabbe', l'importante è rialzarsi sempre”.