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La punizione al contrario
11 gen 2016
Cosa c'è dietro al gesto di Joseph Mwepu Ilunga in Zaire - Brasile dei Mondiali del 1974.
(articolo)
16 min
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Inserendo in un motore di ricerca le parole "Zaire 74" si ottengono sostanzialmente tre risultati: "The Rumble in the Jungle", l'incontro di pugilato a Kinshasa in cui Muhammad Ali, all'ottavo round, mise ko George Foreman; un festival musicale, che si tenne lì circa un mese prima del suddetto incontro, cui presero parte grandi artisti africani e gente del calibro di James Brown, Bill Withers e B.B. King; la spedizione della Nazionale africana al Mondiale tedesco di quell'anno, riassumibile in un solo momento, ossia una punizione da ripetere.

Il Guardian, su uno dei suoi canali YouTube, negli ultimi anni ha caricato alcuni piccoli filmati, girati in stop-motion, in cui vengono ricreati con i mattoncini Lego alcuni tra gli episodi più iconici dello sport, specie dei Mondiali di calcio: c'è il 4-1 di Carlos Alberto nella finale del 1970 tra Brasile e Italia, la "Mano de Dios" e il "Gol del Siglo" di Maradona nel 1986, la testata di Zidane a Materazzi del 2006. Per ricordare l'edizione del 1974 è stata scelta proprio quella punizione da ripetere.

Se siete su queste pagine è un episodio che quasi sicuramente avete già visto, probabilmente conoscete grossomodo anche il suo drammatico retroscena, ma dato che rivederlo fa sempre ridere, eccolo qui:

Ilunga Mwepu in versione Lego.

Al Parkstadion di Gelsenkirchen si sta giocando l'ultima partita del girone 2 tra i campioni in carica del Brasile e lo Zaire, già eliminato. Il punteggio è sul 3-0 per i primi, che possono beneficiare di un pericoloso calcio di punizione. Sul pallone c'è Rivelino, che qualche minuto prima aveva fulminato il portiere avversario con un violento sinistro. Mentre il numero 10 verdeoro si sta consultando con i suoi compagni, lo zairese Joseph Mwepu Ilunga prende la decisione che lo consegnerà alla storia.

Lascia la barriera e con ampie falcate raggiunge il pallone, calciandolo a decine di metri di distanza, dopo aver rischiato di beccare in faccia proprio uno sbigottito Rivelino. Guarda l'arbitro, che sta mettendo mano al taschino, con un linguaggio del corpo che sembra voler dire: «Che c'è di strano? Non posso farlo?!», il direttore di gara gli dice di no, lui si becca il giallo, fa una specie di inchino e torna in barriera con una faccia grondante nervosismo. I brasiliani risero e così fece il resto del mondo per molti anni, almeno fino a quando Mwepu e i suoi compagni decisero di parlare.

C'era una volta lo Zaire

Mwepu si era guadagnato la maglia della Nazionale con le sue performance nel TP Mazembe, la stessa squadra che nel 2010 è stata sconfitta dall'Inter nella finale della Coppa del mondo per club, dopo aver sorprendentemente eliminato in semifinale l'Internacional di Porto Alegre. Anche quest'anno il Mazembe vi ha partecipato (con minor fortuna), in quanto campione della CAF Champions League.

Il primo dei complessivi cinque trofei continentali vinti dalla squadra bianconera fu sollevato nel 1967, proprio l'anno di fondazione del Movimento Popolare della Rivoluzione, il partito politico congolese presieduto da Joseph-Désiré Mobutu, poi noto come Mobutu Sese Seko Koko Ngbendu Wa Za Banga ("Mobutu il guerriero onnipotente che, per la sua infinita e inflessibile volontà di vittoria, andrà di conquista in conquista lasciando il fuoco sulla sua scia"). Salito al potere nel 1960, in piena guerra fredda, grazie a un colpo di stato sostenuto dal Belgio e dalla CIA contro il governo di Patrice Lumumba—che si era insediato democraticamente dopo anni di dominazione belga—Mobutu rimase al potere fino al 1997, grazie a dei simulacri di votazione che gli garantivano a ogni tornata il 99,9% dei consensi.

Oltre a eliminare le origini belghe dal suo nome e vietare i vestiti occidentali, in attuazione del suo programma di "autenticità africana", nel 1971 Mobutu dette alla sua nazione, la Repubblica Democratica del Congo, il nome di Zaire, che deriva dal modo in cui a volte i portoghesi chiamavano il fiume Congo, adattamento delle parole congolesi "nzere" o "nzadi", cioè "il fiume che inghiotte tutti i fiumi", idronimo che ben si addice alla sete di potere del dittatore.

Nonostante le grandi ricchezze naturali del paese, compresi rame, oro e diamanti, la maggior parte della popolazione zairese continuava a vivere in estrema povertà, mentre Mobutu se la spassava nella sua villa, godendosi un patrimonio che crebbe fino a circa 5 miliardi di dollari e brindando occasionalmente con cicchetti di sangue umano.

«Mobutu era come un padre per noi» ha raccontato alla BBC Mwepu. Lo sport, infatti, era per il dittatore una grande passione, nonché uno straordinario mezzo di propaganda. Con il denaro di stato rilevò i contratti dei giocatori congolesi che giocavano in Belgio per farli militare nelle formazioni locali, soprattutto il Mazembe e il Vita Club della capitale Kinshasa, dalle quali rose la Nazionale attinse in dosi massicce. Nazionale che aveva anch'essa un nuovo nome, o meglio soprannome: da "leoni" a "leopardi", vista l'ossessione di Mobutu per i felini dal manto macchiato, come confermava il suo immancabile copricapo.

Nel marzo del 1974 lo Zaire trionfò in Coppa d'Africa, ma aveva già in tasca il pass per giocarsi i Mondiali di Germania Ovest dell'estate seguente, grazie al 3-0 sul Marocco nella sfida decisiva della fase di qualificazione. «Quando ci siamo qualificati per la fase finale Mobutu ci ha dato il benvenuto a casa sua e ha regalato a ognuno di noi un'automobile e una casa» ricorda Mwepu. «I generali di Mobutu erano così gelosi dei regali che egli dovette comprare anche a loro una macchina a testa, per tenerseli buoni». Lo Zaire sarebbe stata la prima compagine dell'Africa subsahariana a prendere parte alla rassegna iridata. Non la prima africana in assoluto: dopo il debutto dell'Egitto già a Italia '34, a Messico '70 aveva ben figurato il Marocco allenato dal macedone Blagoja Vidinic, che nel '74 sedeva proprio sulla panchina dello Zaire.

Prima della punizione

Per poter (provare a) comprendere il gesto di Mwepu è necessario raccontare sin dal principio l'avventura dello Zaire in Germania, una storia che in più di un episodio lascia interdetti.

I ragazzi di Vidinic sfoggiavano delle divise giallo-verdi con, sull'addome, un leopardo ruggente disegnato all'interno di un cerchio, un po' à la Golden State Warriors. Sulle spalle, le tre strisce: a fornirle era infatti Horst Dassler, amico dell'allenatore slavo, nonché figlio di Adolf, detto "Adi", Adi Dassler. Nella prima partita si trovarono di fronte la Scozia di Kenny Dalglish e Denis Law. Sebbene il loro allenatore Willie Ormond avesse dichiarato: «Se non siamo capaci di battere lo Zaire possiamo anche fare i bagagli», il match non fu così squilibrato. La Scozia vinse comunque 2-0.

Poco dopo la prima rete di Lorimer, con un gran tiro al volo, la Nazionale britannica ottenne una punizione dalla fascia destra: i "leopardi" schierarono una linea difensiva molto alta, che inspiegabilmente rimase immobile anche dopo la battuta verso il centro di Billy Bremner; Joe "Jaws" Jordan, partito in posizione regolare, si trovò a colpire di testa solo davanti a Mwamba Kazadi; anche quest'ultimo, solitamente dotato di ottimi riflessi, rimase con i piedi piantati per terra e si fece passare sotto il braccio una conclusione debolissima. Nell'altra metà campo, però, lo Zaire era una squadra niente male: continuò ad attaccare fino alle fine, procurandosi almeno cinque limpide occasioni da rete, senza concretizzarle.

Zaire - Scozia: 0-2. Al minuto 2:01 la papera di Kazadi.

Usciti a testa alta dal battesimo col grande calcio, ci si aspettava una prestazione simile anche con la Jugoslavia: persero 9-0. Dopo un discreto inizio, con tanto di opportunità sprecata sullo 0-1 da Kakoko, solo davanti a Maric, i "leopardi" a poco a poco scomparvero dal campo, persero fiducia, come se uno spirito maligno avesse loro strappato l'anima. Sullo 0-3 Vidinic sostituì Kazadi, considerato dall'IFFHS il più grande portiere congolese del secolo scorso, con il piccolo Tubilandu, che superava il metro e settanta solo issandosi sulle punte. Nemmeno il tempo di prendere il posto tra i pali, che subito dovette raccogliere dal fondo della rete il pallone dello 0-4, nato da una punizione dalla fascia "contrastata" in modo curiosamente analogo alla rete dello scozzese Jordan: tutti fermi e vediamo cosa succede.

Negli istanti successivi si verificò il primo cortocircuito tra il nostro Mwepu e il regolamento del calcio: il leggendario Mulamba Ndaye, capace di segnare nove reti nelle sei partite disputate dallo Zaire nella Coppa d'Africa vinta qualche mese prima, venne espulso per un calcetto rifilato all'arbitro colombiano Delgado, che lo ritenne volontario. In realtà era stato proprio Mwepu a compiere quel gesto, ma il direttore di gara confuse i due e non cambiò idea nemmeno dopo l'ammissione di colpa di Mwepu.

Jugoslavia - Zaire: 9-0.

Nella conferenza stampa post-partita Vidinic si rifiutò di discutere la scelta di sostituire il portiere, alimentando le voci secondo cui egli fosse una spia jugoslava e avesse venduto agli avversari il "piano tattico" dello Zaire, in modo da gonfiare la differenza reti della rappresentativa della sua nazione d'origine e facilitarne così il passaggio del turno. Il giorno dopo, fuori dall'hotel dove soggiornava con i giocatori e i funzionari di Mobutu, confessò ai giornalisti: «Mr Lockwa, il rappresentante del Ministero dello sport, dopo il terzo gol subìto mi ha ordinato di togliere Kazadi e io l'ho fatto. Ma vi assicuro che non permetterò più al governo di fare cambi».

L'entourage dello Zaire al Mondiale era piuttosto numeroso e composto da ministri di Mobutu, rispettivi portaborse, uomini delle forze armate e stregoni. Prima della partita contro gli slavi, i calciatori scoprirono che non avrebbero ricevuto i compensi promessi (45.000 dollari a testa) ed ebbero il sospetto che quella pletora di delegati se ne fosse appropriata. In un'intervista Ndaye ha parlato di un ufficiale che fuggì dalla Germania col malloppo.

Nel 2002 Mwepu ha ricordato con rabbia quei momenti: «Avevamo l'erronea convinzione che saremmo tornati dalla Coppa del Mondo milionari, invece siamo tornati a casa senza un centesimo in tasca. Prima della partita contro la Jugoslavia abbiamo saputo che non saremmo stati pagati, così abbiamo rifiutato di giocare». Nell'estate 2014 ha aggiunto: «Avevamo passato due mesi lontani dalle nostre famiglie, senza i mezzi di comunicazione moderni. E loro si prendono i nostri soldi? Fino a due ore prima del calcio d'inizio non avevamo nemmeno intenzione di giocare. Poi ci furono minacce. Ci dissero che se non avessimo giocato ci avrebbero mandato in prigione, così siamo scesi in campo, ma abbiamo sabotato la partita: un po' come uno sciopero».

In Entre la coupe et l'election, documentario di Monique Mbeka Phoba, andata alla ricerca dei superstiti zairesi di Germania '74, Mwepu ammette: «Il peggior ricordo che ho del calcio è il fatto che abbiamo trascurato Dio nel nostro sport. Se lo avessimo riconosciuto, come facciamo ora, sarebbe stato molto meglio, saremmo stati perdonati. Ma eravamo infuriati per una questione di denaro. Perdemmo 0-9: fu ridicolo».

Si arrivò così, apparentemente senza alcuna motivazione residua, alla sfida col Brasile, quella della punizione al contrario.

Nella testa di Ilunga

«Aspetta un attimo. L'arbitro ha fischiato, ma i brasiliani non hanno ancora tirato. Quindi posso calciarla via. Ehi! Che grande idea. Non posso credere che nessuno ci abbia mai pensato prima. Entrerò nella storia. Questa sarà ricordata come la mossa di Ilunga Mwepu. Sarò rispettato da tutti!». Nell'umoristica ricostruzione di "Phoenix From The Flames", segmento della vecchia trasmissione della BBC "Fantasy Football League", a cui Mwepu, mostrando grande autoironia, accettò di partecipare, erano questi i pensieri del calciatore negli attimi che precedettero la punizione.

Nello sketch Mwepu interpreta anche una versione alienata di sé stesso, incapace di sopprimere l'istinto di calciare qualsiasi cosa poggi su un prato.

Per diversi anni si è pensato che Mwepu non conoscesse il regolamento, ipotesi alimentata dalla voce secondo cui i colonizzatori belgi, nell'insegnare il calcio agli abitanti dello Zaire, avevano spiegato che se un calcio di punizione non fosse stato battuto entro tre secondi dal fischio dell'arbitro, la palla tornava a essere giocabile da entrambe le squadre. Eppure, nei filmati reperibili in rete, pare che Ilunga inizi a scattare nell'istante successivo al fischio.

In realtà, quel gesto affondava le sue radici nei giorni tra la partita contro la Jugoslavia e quella contro il Brasile, quando il ritiro dello Zaire fu avvolto dal caos. Senza alcuno stimolo economico, molti giocatori avrebbero voluto ancora una volta non presentarsi all'incontro per evitare una seconda umiliazione. Intanto Mobutu, furioso per il deprimente 0-9 contro gli slavi, decise di intervenire direttamente, come ha ricordato Mwepu nell'intervista del 2002: «Dopo la partita, Mobutu inviò le guardie presidenziali per minacciarci. Chiusero fuori dall'hotel tutti i giornalisti e ci dissero che se avessimo perso con più di tre gol di scarto contro il Brasile, nessuno sarebbe stato in grado di tornare a casa».

Ai verdeoro vincere 3-0 sarebbe stato sufficiente per superare il turno. Sin dal fischio d'inizio piantarono le tende nella metà campo zairese e già al 12' passarono in vantaggio con Jairzinho. Prima del suo incontro con la storia, Mwepu, terzino destro, provò ad arginare le costanti sovrapposizioni di Francisco Marinho, "il diavolo biondo", famoso per la sua interpretazione offensiva del ruolo di esterno di difesa (per questo motivo nel corso del Mondiale litigò col portiere Émerson Leão) e per la tendenza ad affittare aerei per l'Uruguay, dove si dedicava al gioco d'azzardo e alla frequentazione di artiste e donne di spettacolo. Proprio da un'azione di Marinho, al 66', nacque il 2-0 di Rivelino. Al 79', Kazadi, tornato a difendere la porta col suo stile coraggioso ai limiti dell'incoscienza, dopo tanti interventi decisivi si fece ingenuamente trapassare da un tiro-cross di Valdomiro, condannando sé stesso e i suoi compagni a dieci minuti di panico, in bilico tra la vita e la morte.

Zaire - Brasile: 0-3. La punizione al contrario è al minuto 4:49.

All'85', la punizione. Rivelino si preparava alla battuta: vent'anni prima di Roberto Carlos, lui era già solito calciare con "le tre dita". Quei giovani uomini in barriera si sentivano come dei condannati a morte davanti al plotone d'esecuzione. Possiamo immaginare che, nel loro incubo a occhi aperti, i lineamenti di Rivelino e degli altri brasiliani si fossero deformati fino a coincidere con quelli di Mobutu e dei suoi scagnozzi. Mwepu, insieme al pallone cercava di allontanare la paura, voleva soltanto far scorrere il cronometro, perché anche una manciata di secondi avrebbe potuto indirizzare il suo destino e quello dei suoi compagni su sentieri ben diversi. Qualche altro brivido percorse la schiena dei "leopardi" dopo quella punizione, ma la quarta rete non arrivò mai.

A partite concluse la situazione del gruppo 2 vedeva Jugoslavia, Brasile e Scozia appaiate a quota 4 punti: passarono le prime due per la migliore differenza reti, dovuta essenzialmente agli incontri con lo Zaire. I giocatori africani chiusero a 0 punti, ma quantomeno poterono tornare a casa, sebbene senza premi e nessuno ad aspettarli all'aeroporto.

Ilunga il ribelle

Questa è la storia per come è stata più frequentemente raccontata. Ma nelle successive interviste alla BBC del 2010 e a L'Équipe del 2014, Mwepu ha ricostruito l'accaduto in modo parzialmente contraddittorio, sia rispetto alla vulgata più antica che a quella più recente.

Stando alle sue parole, era «consapevole di cosa fosse scritto sul regolamento del calcio», ma era stato infastidito dai commenti provocatori dei brasiliani; allo stesso tempo voleva cogliere l'opportunità per venire espulso: «Mi sono detto: "Non voglio giocare più. Perché devo stare in campo e rischiare di non tornare a casa quando le persone che si sono prese i nostri soldi ci stanno guardando comodamente dagli spalti?"».

Quindi possiamo immaginare che Mwepu volesse effettivamente tirare una pallonata sul volto di Rivelino per farsi espellere. Ma perché lasciare i compagni in inferiorità numerica nei minuti finali, facendo crescere il rischio della condanna a morte collettiva?!

Il suo compagno Kakoko Etepe, in un'intervista per il sito della FIFA, ha dichiarato: «Non ho idea per quale motivo l'abbia fatto. Forse pensava che la palla fosse in gioco, ma a noi non l'ha spiegato. Rimane un mistero». Ma quanto possiamo fidarci di un'intervista istituzionale, che prosegue con la considerazione: «Giocammo bene con la Scozia, ma contro la Jugoslavia eravamo davvero esausti e ci mancava l'esperienza per competere contro una squadra del genere»?

La testimonianza del centrocampista Mafu Kibonge in Entre la coupe et l'election, invece, non aiuta a risolvere il mistero, tutt'altro, ma è una tessera che altera parecchio l'immagine del nostro puzzle: «Nell'intervallo l'intera delegazione brasiliana ci raggiunse. Poi l'allenatore ci disse: "Ok, per compiacere il pubblico, congelate il vostro gioco. Non attaccate. Congelate il vostro gioco ed è finita". E noi l'abbiamo fatto». Parole che fanno intuire una collusione, ma, a quanto pare, senza guadagno di denaro per gli africani: «Non ottenemmo niente in cambio. L'abbiamo fatto con piacere, perché gli scozzesi ci avevano trattato malissimo». Giudizio condiviso da Ndaye nel libro di Simon Kuper Football Against The Enemy: «Il numero 4 e capitano della Scozia (Bremner) un paio di volte durante il match mi ha gridato: "Negro, ehi negro!". Ha anche sputato addosso a me e in faccia a Mana».

Dopo la punizione

Il ritorno a casa dei "leopardi", dopo le 3 sconfitte e i 14 gol subiti a fronte di zero reti realizzate, fu molto duro. La figuraccia in mondovisione li aveva resi persone poco gradite al Potere, che smise di finanziare la Nazionale e sottopose a vessazioni soprattutto i giocatori più famosi.

Il portiere Kazadi morì, senza un soldo e tra l'indifferenza generale, nel 1996.

L'attaccante Mafuila Mavuba fuggì dall'Angola, in piena guerra civile, con la sua compagna angolana, a bordo di una nave diretta in Francia; durante il viaggio, la signora Mavuba diede alla luce Rio, l'attuale capitano del Lilla. I tre vissero da rifugiati politici in Francia, dove Mafuila morì nel 1997. Nel corso dello stesso anno Mobutu, ormai privo dell'appoggio occidentale, in seguito all'attacco di forze ribelli ruandesi e ugandesi coalizzate sotto il comando di Laurent-Désiré Kabila, scappò in Marocco, dove morì di cancro alla prostata il 7 settembre 1997.

Nel 1998, durante la Coppa d'Africa, fu fatto rispettare un minuto di silenzio per la scomparsa del grande Mulamba Ndaye. Ma la notizia era falsa. Era fuggito da Kinshasa dopo che alcuni soldati avevano fatto irruzione in casa, cercando denaro, e gli avevano sparato a una gamba. Ripartì dal Sudafrica, prima come posteggiatore abusivo, poi, dopo aver sposato una donna del luogo, da insegnante di calcio dei bambini. È stato chiamato a presenziare a diversi eventi della Coppa del mondo del 2010.

Ekofa Mbungu, attaccante, si è guadagnato da vivere facendo il tassista. Almeno fino al 2006 (quando fu girato Entre la coupe et l'election), ossia a più di trent'anni di distanza dal Mondiale, guidava ancora la stessa Volkswagen verde che Mobutu gli aveva regalato.

Mafu Kibonge si è dato alla politica, lottando anche per le necessità dei suoi compagni meno fortunati. Dal 2011, infatti, coloro che hanno vestito la maglia dei "leopardi" dal 1968 al 1974, e le famiglie dei giocatori deceduti, ricevono un assegno mensile di 500 dollari, come parziale ricompensa per i loro successi.

Ilunga Mwepu ha continuato a lavorare nel mondo del calcio, soprattutto con i giovani, e nella Coppa d'Africa del 2015 è stato uno degli assistenti di Florent Ibengé, allenatore della Repubblica Democratica del Congo. Ci ha lasciati lo scorso 8 maggio al termine di una lunga malattia, portando con sé la verità su quella punizione che l'ha reso immortale.

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