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Sembra passata un’era geologica dal dominio di Israel Adesanya. Era l’aprile del 2019, quando Adesanya vinse il titolo ad interim dei pesi medi contro Kelvin Gastelum; e per arrivare alla sua prima sconfitta nella categoria bisogna aspettare il novembre 2022, l’avvento della sua nemesi Alex Pereira. Nel frattempo, una sconfitta di misura contro il campione dei pesi massimi-leggeri, Jan Blachowicz che, se fosse andata diversamente, avrebbe significato addirittura l’incoronazione come doppio campione.
Israel Adesanya non è stato una meteora, ma una certezza, un dato di fatto ineluttabile. Per un certo periodo è stato giustamente riconosciuto come il successore di Anderson Silva, un fighter con l’aura del demone inscalfibile. Le MMA, però, bruciano a una velocità supersonica e il tonfo è sempre dietro l’angolo, e fa sempre un rumore colossale.
Adesanya ha subìto l’ultima grande caduta davanti al pubblico di Riyad, in un evento che portava il suo nome e che non era numerato. Per la prima volta in quasi sei anni, Adesanya affrontava il suo avversario senza cintura in palio, ma con l’obbligo sportivo di guadagnarsi di nuovo il ruolo di contendente, che per molti, me compreso, aveva ancora la possibilità di ottenere.
"Izzy" è stato sulla cresta dell’onda per così tanto tempo che tutti i suoi possibili avversari lo hanno studiato bene, troppo bene. Il suo avversario a Riyad era il francese Nassurdine Imavov, già da un pezzo nella top 5 di categoria, uno striker preciso, dalla grande potenza e dalla precisione millimetrica, tanto da guadagnarsi il soprannome “The Sniper”, il cecchino. Alle abilità nello striking Imavov aggiunge anche una certa perizia nel grappling, con buoni takedown e ottima stabilizzazione a terra. Il suo talento primario risiede nel mettere KO i suoi avversari, come ha fatto con Adesanya, infliggendogli la terza sconfitta consecutiva e il secondo KO/TKO subito nella sua carriera nelle MMA.
Il match all’inizio sembrava in controllo dell’ex campione: jab dalla distanza con la consueta mano aperta, controllo delle misure e degli spazi - anche grazie al maggiore allungo - capacità di tornare immediatamente in piedi dopo un takedown subito. Ma Imavov eccelle anche nell’adattamento alle caratteristiche dell’avversario: come visto con Cannonier, pur con le dovute proporzioni (Adesanya è un fighter più dotato e versatile), Imavov sa attendere e prendere bene le misure, ha dimostrato di saper scegliere benissimo i momenti e soprattutto i colpi per disorientare la guardia dei fighter più mobili ed enigmatici.
Devo ammettere che è stato uno shock vedere perdere in questa maniera Adesanya, in primo luogo perché credevo che il nigeriano potesse gestire dalla distanza Imavov per la durate delle cinque riprese; secondariamente per l’esperienza della quale si fa forte Adesanya, che passa attraverso tre sport da combattimento diversi, e che ero convinto potesse essere la chiave di volta contro Imavov, un fighter che, sebbene pericoloso, è anche lineare, non dai colpi sorprendenti. Per ciò che si era visto finora, almeno.
La capacità di Imavov di attirare i propri avversari in un range che gli fa comodo, o forse, ancor meglio, di costringere i suoi avversari a combattere ad una distanza che lui impone con un avanzamento lento ma inesorabile, gli ha permesso di mettere a segno un montante di grande impatto già nel corso del primo round, un colpo che ha costretto momentaneamente Adesanya a correre ai ripari spalle a parete. Il cambio di ritmo è il secondo punto fermo sul quale verte la strategia di Imavov: il francese sembra quasi soporifero in determinati momenti, ma è palpabile la tensione che monta nel vederlo studiare e scegliere i momenti nei quali incastrare le proprie offensive.
A poco tempo dall’inizio del secondo round, proprio un leggero cambio di ritmo gli ha consentito di ingannare l’ex campione attraverso un colpo che pareva singolo, un jab, ma che invece ha avuto “solo” la funzione di far aprire la guardia di Adesanya per connettere un overhand devastante che l’ha fatto capitolare. Il furioso ground and pound successivo ha convinto l’arbitro a stoppare il match.
Sic transit gloria mundi, dicevano i latini, così passa la gloria del mondo, a sottolineare quanto effimero sia il momento, anche se in realtà parliamo di tre anni di pieno dominio più altri due di tentativi di ribalta, un quinquennio totale: appunto, nelle MMA moderne si tratta di un’era geologica. Ma insomma è finito il tempo di Israel Adesanya, sarà per i suoi quasi 36 anni, per i suoi riflessi più lenti. Qualcosa si è rotto, insomma, e mentre Nassurdine Imavov lancia la sfida al vincente tra Dricus Du Plessis e Sean Strickland - e Dana White invece propone un incontro con Chimaev! - "Izzy" ora deve fare ordine mentale e tornare alla lavagna per capire cosa fare degli ultimi anni della sua leggendaria carriera.
MICHAEL "VENOM" PAGE HA ESPOSTO SHARA "BULLET" MAGOMEDOV
Nella stessa divisione di peso del main event, quella dei medi, si è visto un co-main altrettanto atteso, finito con un risultato che a posteriori potremmo definire prevedibile, ma che comunque è arrivato come inaspettato. Michael “Venom” Page (che chiamerò d'ora in poi con l'acronimo MVP), ex campione Bellator dei pesi welter, è salito di una categoria per affrontare il fenomeno dello striking Shara “Bullet” Magomedov. Il russo portava con sé grandi aspettative, aveva esordito benissimo in UFC , con 4 vittorie consecutive, due delle quali per finalizzazione.
Davanti a lui, UFC aveva messo un MVP all’alba dei 38 anni e senza esperienza nelle 185 libbre. Page ha mostrato di non aver perso minimamente la scintilla, i movimenti e la creatività che lo hanno sempre contraddistinto e che, coi dovuti rischi dovuti al suo stile danzante e canzonatorio, lo hanno condotto attraverso la porta principale nella promotion più importante al mondo. Page era ben conscio del valore di Magomedov, non lo ha sottovalutato durante l’intera durata del match e anzi, lo ha colpito più volte con diretti d’incontro pesanti, ginocchiate sforbiciate e calci alle gambe.
Lo stile di MVP - la postura molto laterale da karateka - lo espone spesso ai leg kick avversari e in effetti Magomedov ha provato ad avere la meglio attraverso i calci alle gambe. Page, però, ne ha subito letto le intenzioni, rispondendo con un timing davvero eccezionale, incrociandolo e mettendolo nelle condizioni di dover rinunciare al proprio ritmo alto con cui di solito affonda verticalmente. Anche quando Shara ha provato a tagliare le distanze, MVP è sempre riuscito a sfuggire ai suoi attacchi costeggiando la gabbia ed uscendo sempre incrociando in maniera pulita.
Page è un maestro delle distanze e delle misure e non si è mai lasciato andare a delle combinazioni lunghe, favorendo gli attacchi da uno o due colpi, forte di una precisione chirurgica e di scelte praticamente sempre azzeccate. Magomedov non è mai parso a proprio agio di fronte a questa versione di MVP (la migliore vista finora in UFC) e non è mai riuscito a dominare in maniera netta dei momenti ben definiti all’interno del match. Un po’ come fatto vedere con Holland, ma con dinamiche molto diverse, MVP ha tagliato fuori ogni possibilità di recupero avversario, giocando su finte di corpo, controtempi e quella stance laterale che gli permette, tenendosi sempre su piede più avanzato, di utilizzare il suo footwork fatto di verticalizzazioni improvvise che preparano a overhand quasi sempre a segno. Ma vanno sottolineati anche quei micro-movimenti con cui ha schivato al millimetro colpi pericolosi, per poi rientrare e schiantare Magomedov da dentro la sua guardia.
Un capolavoro di tattica e gestione, quello di MVP, a un’età non più verde e in una categoria non sua. Magomedov era numero 14 nel ranking dei medi e MVP adesso potrebbe aver preso proprio quella posizione, nonostante abbia già dichiarato di voler continuare a combattere nei welter. Dopo tre round di dominio (almeno, per due giudici, ma anche sui miei cartellini, il terzo giudice invece ha segnato 29-28, sempre a suo favore), MVP ha alzato il braccio al cielo e ha dichiarato di essere il «nuovo capitano», con riferimento al soprannome non ufficiale di Shara, detto “il pirata”. È stato un ridimensionamento evidente per il combattente russo che adesso dovrà difendere la sua posizione, qualora dovesse rimanere intatta, o cercare di rientrare al più presto in top 15, senza possibilità di riposo prolungato.
Dolce invece la situazione di MVP, che ora ha la possibilità di decidere in quale delle due categorie proseguire il proprio percorso, per continuare ad offrire spettacolo e delizie al pubblico. Impossibile, d’altronde, non apprezzare lo stile di Page, un concentrato di vitalità, creatività ed estro indiscutibili. Sempre originale, anche al microfono, in conferenza stampa dopo l’incontro MVP ha detto di aver combattuto senza bandiera nazionale perché in un periodo in cui sono tutti così attenti a «cercare il proprio gruppo», lui voleva sottolineare che «facciamo tutti parte della stessa razza, la razza umana».