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Ci sono sempre più infortuni in Premier League
19 nov 2020
Il calendario serrato sta creando un problema molto dibattuto.
(articolo)
10 min
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Foto di Laurence Griffiths / Getty Images
(copertina) Foto di Laurence Griffiths / Getty Images
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«Oggi non esistono allenatori, ma solo gestori dei giocatori che non sono infortunati». A pronunciare questa frase è stato Pep Guardiola dopo la vittoria per 3-0 del suo Manchester City in Champions League sull’Olympiacos. Non è la sintesi di un discorso profondo sull’evoluzione del ruolo di allenatore, ma una riflessione amara su questioni più pratiche, i numerosi infortuni e il calendario sempre più fitto di partite.

Tutto parte da una domanda su Domènec Torrent, ex assistente di Guardiola e allenatore del Flamengo. Pochi giorni dopo questa intervista, Torrent è stato esonerato.

Un calendario fittissimo

Non è la prima volta che Guardiola ne parla e mette in relazione gli infortuni e le tante partite ravvicinate. L’intervista al termine della sfida contro l’Olympiacos ripete concetti espressi pochi giorni prima, alla vigilia di un’altra partita in Champions League, contro l’Olympique Marsiglia. Anche le parole utilizzate sono più o meno le stesse: «Ora è solo recupero e preparazione, recupero e preparazione, non abbiamo tempo per allenarci». Guardiola aveva poi citato una statistica sugli infortuni muscolari in Premier League, cresciuti del 47% rispetto allo stesso periodo della scorsa stagione, a dimostrare che il problema non riguarda solo il Manchester City ma tutte le squadre inglesi.

A inizio settembre Steve Bruce, che allena il Newcastle, aveva anticipato Guardiola: «Visto che la preparazione di sei settimane è diventata di tre, devi fare le cose in modo diverso. (...) C’è stato meno tempo per lavorare e sarà così anche durante la stagione. Gran parte del lavoro riguarderà la condizione fisica e il recupero». Ma i concetti ripetuti da Guardiola arrivano fino alla quarta divisione. In settembre anche Simon Weaver, allenatore dell’Harrogate Town, aveva anticipato Guardiola esprimendosi con parole simili a quelle che l’allenatore catalano ha pronunciato un mese e mezzo più tardi: «Dovremo abbandonare gli allenamenti ad alta intensità e tutto riguarderà la partita e il recupero, partita e recupero».

Fino a oggi, nel 2020 ci sono stati 474 infortuni significativi in Premier, 61 dei quali in novembre. La squadra più colpita al momento è il Liverpool, con dieci indisponibili tra infortunati e positivi al coronavirus (Salah), seguita da Manchester United e Crystal Palace, che contano otto indisponibili. Alle loro spalle c’è invece un gruppo di squadre senza impegni europei e con sette indisponibili che comprende Brighton, Newcastle e Sheffield United. Guardiola ha invece cinque infortunati, tutti alle prese con problemi muscolari.

Il calendario intasato, con troppe partite in pochi giorni, è uno dei temi che, in riferimento agli infortuni, mette d’accordo tutti gli allenatori delle grandi squadre inglesi. Uno dei più critici è stato Jürgen Klopp, per cui è diventato ormai impossibile distinguere il calendario di dicembre, di solito il periodo più fitto di impegni in Premier League, con la tradizione del Boxing Day e le partite degli ultimi giorni dell’anno, da quello degli altri mesi: «Ottobre e novembre sono come un normale dicembre, e dicembre è rimasto dicembre, quindi sosteniamo già l’intensità del periodo più frenetico del calendario».

Anche Ole Gunnar Solskjaer era piuttosto nervoso dopo la vittoria per 3-1 sull’Everton, una partita giocata all’ora di pranzo, tre giorni dopo l’impegno in Champions League contro l’Istanbul Basaksehir, in cui il Manchester United ha perso Shaw per infortunio: «I ragazzi meritano di essere trattati meglio. Shaw si è infortunato per questo. (...) La lega ha fatto di tutto per renderci la vita difficile, chi si prende la responsabilità? Ne abbiamo abbastanza. Giocare in questo periodo, durante una pandemia, ti prosciuga mentalmente e fisicamente».

Il dibattito sulle partite ravvicinate e gli sforzi che impongono non è una novità, soprattutto in Inghilterra. Se ne parla da anni e a sollevare il tema sono in particolare le squadre impegnate in Champions o in Europa League. La pandemia di Covid-19 ha però reso unica questa stagione, cancellando la preparazione fisica svolta di norma in estate e comprimendo le varie competizioni in un arco temporale ridotto, tra metà settembre e fine maggio. Se è vero che questa riorganizzazione ha colpito in misura maggiore le grandi squadre, anche quelle più piccole, con un calendario più equilibrato ma con rose meno lunghe e minori risorse, stanno avendo dei problemi. Steve Bruce ha detto che questa stagione si sta rivelando particolarmente difficile per gli infortuni ai tessuti molli, cioè muscoli, tendini e legamenti, e ha allargato il discorso al resto del campionato: «Non siamo soli, ci sono altre squadre che stanno soffrendo».

Anche Carlo Ancelotti, abituato a gestire molti impegni ravvicinati ma fuori dalle coppe europee in questa stagione con l’Everton, ha riconosciuto le difficoltà di chi invece gioca in Champions o in Europa League: «Dopo la sosta per le nazionali abbiamo una sola partita a settimana, quindi a noi va bene, ma per le squadre che giocano in Europa è davvero impegnativo, ed è per questo che ci sono più infortuni».

Tra gli allenatori in Premier League è insomma ovvia la relazione tra il calendario congestionato e gli infortuni. Il poco tempo per recuperare tra una partita e l’altra aumenta la probabilità di un infortunio, in una stagione in cui oltretutto è mancata la solita preparazione estiva, una fase cruciale per gli allenamenti sulla condizione fisica.

E le cinque sostituzioni?

A mettere su un piano diverso le squadre inglesi rispetto a quelle dei principali campionati in Europa, che fanno i conti con problemi simili per quanto riguarda il calendario e la mancata preparazione fisica, è però una votazione fatta in agosto sulla possibilità di prolungare anche nella stagione in corso la regola delle cinque sostituzioni a partita. I club di Premier League hanno votato contro la nuova norma, introdotta dopo il primo lockdown proprio con lo scopo di gestire meglio le energie e ridurre la possibilità di infortuni, e sono tornati alla vecchia regola che limita a tre il numero di sostituzioni a disposizione di un allenatore durante la partita. Tra i campionati europei principali, la Premier League è l’unica ad aver fatto questa scelta.

Alla base di questo ritorno alle vecchie abitudini c’è l’idea che a trarre vantaggio dalle cinque sostituzioni siano poche grandi squadre, con rose ampie e più possibilità di fare cambi tra giocatori più o meno dello stesso livello, che quindi si sono trovate in minoranza al momento di votare. È un argomento sostenuto ad esempio da Michael Cox, già a maggio, su The Athletic. Secondo Cox, il vantaggio non si limita alle singole partite, al fatto di avere più soluzioni per dare una svolta, di aggiungere freschezza in momenti critici, quando la fatica inizia a incidere. Coinvolgere più giocatori aiuta le squadre più forti e più ricche a tenere alto il morale, ad avere meno casi di giocatori scontenti per lo scarso utilizzo, e a cristallizzare, se non ad aumentare, il divario in termini di qualità con le squadre con meno risorse. Nel lungo periodo le squadre più ricche saranno sempre più interessate ad avere rose ampie e per quelle con meno risorse sarà più difficile trattenere i loro giocatori più forti.

Non è difficile intuire che poter schierare due giocatori in più a ogni partita convenga più al Manchester City che all’Aston Villa o al Bournemouth, per citare un esempio fatto da Cox, e non è un caso allora che sia stato proprio Guardiola a criticare più degli altri il ritorno alla vecchia regola dei tre cambi. «In tutto il mondo ci sono cinque sostituzioni ma qui pensiamo di essere speciali e di ridurle a tre», ha dichiarato l’allenatore catalano, «Non proteggiamo i giocatori ed ecco perché è un disastro con questi calendari. Chiedo di tornare alle cinque sostituzioni».

Il CT dell’Inghilterra, Gareth Southgate, si è schierato con Guardiola.

Anche se può sembrare che Guardiola si limiti a difendere i suoi interessi, il tema della protezione dei giocatori, della loro salute fisica e mentale, è trasversale e coinvolge non solo tutte le squadre a ogni livello, ma tutte le parti del sistema, dai tifosi alle televisioni e gli sponsor. Tutti hanno l’interesse a vedere il miglior calcio possibile, veloce, intenso, tecnico, tatticamente brillante, giocato dai calciatori più forti, al massimo della loro forma. Ogni scelta che aiuti a gestire le loro energie e a prevenire gli infortuni, allora, dovrebbe essere incoraggiata, anche se rischia di dare vantaggi soprattutto alle poche squadre che concentrano la maggior parte della ricchezza.

Le conseguenze degli infortuni

Insomma, le critiche degli allenatori delle grandi squadre sono certamente interessate ma rivelano comunque un problema di fondo che interessa ogni parte del sistema calcistico. Gli infortuni e le partite ravvicinate hanno ovvie ripercussioni sulle prestazioni e sulla qualità del gioco, e possono anche spingere a ripensare i princìpi tattici di una squadra.

Specie in un campionato intenso ed esigente a livello fisico come la Premier League, pressare in modo aggressivo può ad esempio essere complicato se la condizione fisica non è adeguata. Dopo la partita contro il Leeds, Guardiola si è lamentato della qualità del primo pressing, sottolineando come le caratteristiche di Mahrez e Ferrán Torres, e l’assenza di Gabriel Jesus, abbiano reso meno efficace la sua squadra nelle prime fasi del pressing. Klopp, che ha perso per infortunio l’intera linea difensiva, nelle prossime partite avrà forse delle difficoltà a far giocare il Liverpool con la difesa alta, uno dei princìpi fondamentali del suo gioco.

Guardiola e Klopp sono stati tra i più critici sui temi del calendario, dei tanti infortuni e del ritorno alla regola delle tre sostituzioni, entrambi però sono stati poco coerenti con le loro affermazioni quando si è trattato di far ruotare i giocatori e di intervenire sulla partita con un cambio. Nelle prime sette giornate, Guardiola ha effettuato appena 14 sostituzioni, utilizzando i tre cambi a sua disposizione solo in due partite, contro il West Ham e contro il Leeds. Nello scontro diretto contro il Liverpool, l’allenatore catalano ha fatto una sola sostituzione, Klopp invece ne ha effettuate due, una delle quali per l’infortunio di Alexander-Arnold.

Proprio il terzino destro dei “Reds” è un simbolo dei rischi presi dagli allenatori quando rinunciano alle rotazioni. Klopp ha schierato Alexander-Arnold in ognuna delle sette partite giocate dal Liverpool da metà ottobre a inizio novembre, prima che il terzino si infortunasse durante l’ultima contro il Manchester City prima della sosta per le nazionali. Robertson ha giocato ancora più minuti rispetto al compagno e si è infortunato nel playoff contro la Serbia che ha qualificato la Nazionale scozzese ai prossimi Europei. È vero che poche squadre in Europa dipendono in modo cosi deciso dai suoi terzini come il Liverpool, e forse non c’è una relazione diretta tra la fatica accumulata e gli infortuni - anche se comunque c’è un collegamento ovvio tra la stanchezza e il rischio di infortunarsi - ma Klopp avrebbe magari evitato questi problemi fisici se avesse fatto riposare di più Robertson e Alexander-Arnold.

Questa stagione, con le competizioni compresse in un arco temporale ridotto e in assenza di una preparazione fisica adeguata, non ha fatto altro che esasperare temi di cui si discute da anni senza trovare un punto di incontro. Da una parte ci sono la salute dei giocatori, gli allenatori che reclamano condizioni migliori per il loro lavoro, soprattutto il tempo per sviluppare le loro idee e gestire meglio le energie dei giocatori, e l’interesse di ogni parte del sistema a veder giocato il calcio migliore possibile. Dall’altra ci sono gli interessi economici di chi investe e tiene in piedi il sistema e il rischio di rendere ancora più ampio il divario tra le squadre più ricche e le altre, con scelte che danno un vantaggio alle poche squadre che hanno maggiore peso politico e concentrano la ricchezza.

Può darsi che questa sia la stagione più incerta della storia recente, una battaglia per la sopravvivenza in cui a fare la differenza, più che negli anni scorsi, sarà la capacità di gestire le energie nel miglior modo possibile, e di certo la riorganizzazione dovuta alla pandemia ha avuto un ruolo nel rendere più incerti gli equilibri e i rapporti di forza, almeno in queste prime giornate. Ma il maggior equilibrio è stato raggiunto a un prezzo che forse nessuna squadra, nemmeno quelle con risorse limitate che si sono adattate meglio alla situazione e stanno andando oltre le aspettative, avrebbe pagato volentieri in condizioni normali.

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