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In Inghilterra stanno rigettando il VAR
10 gen 2020
Piccolo riassunto dei problemi che stanno emergendo.
(articolo)
9 min
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La Premier League è stato uno degli ultimi campionati europei più importanti a dotarsi della revisione video dei VAR e sta avendo la sua personale crisi di rigetto alla prima stagione in cui viene applicata, come d’altra parte era già successo prima in Italia e poi in Germania. Al contrario della Serie A, dove ogni anno le vecchie polemiche arbitrali vengono vestite di nuovi pretesti, e della Bundesliga, dove il problema volgeva principalmente sulla gestione centralizzata del VAR, in Inghilterra le polemiche riguardano un aspetto molto specifico della revisione video che mette in discussione aspetti anche profondi - e per certi versi inaspettati - del gioco. E cioè la gestione del fuorigioco.

Le polemiche sono iniziate dalla giornata d’apertura di questa stagione di Premier League, quando un gol di Gabriel Jesus contro il West Ham, arrivato dopo una lunga ed elaborata azione del Manchester City sul risultato già sullo 0-2 per la squadra di Guardiola, è stato annullato per questo fuorigioco di Sterling, che aveva effettuato l’assist decisivo alla punta brasiliana.

Questo fotogramma è stato il primo germe di quasi tutte le polemiche successive, che hanno riguardato un tipo di fuorigioco che prima del VAR non poteva nemmeno esistere, un fuorigioco che con un po’ di ironia possiamo chiamare “molecolare”.

Il VAR ci permette di vedere anche quando un attaccante finisce in fuorigioco per pochissimi centimetri, magari per via di un pezzetto di spalla sporgente (come in questo caso di Sterling), della punta di un piede o l’estremità di un tallone.

Questo è un altro esempio che ha fatto discutere molto negli ultimi giorni: il possibile 2-0 del Norwich di Pukki contro il Tottenham (la partita è finita 2-2) annullato per una impercettibile porzione della spalla dell’attaccante finlandese finita oltre (se così si può dire) il ginocchio sinistro di Alderweireld.

Il mio fuorigioco “molecolare” preferito, però, è questo:

Il possibile pareggio dell'Aston Villa sul Burnley su colpo di testa in tuffo di Graelish annullato perché sul cross l’ultimo lembo di tallone di Wesley (che era saltato per provare a prendere il pallone) è risultato essere oltre quello dell’ultimo difensore avversario.

Una decisione talmente surreale che ha portato il celebre scrittore sportivo britannico Michael Cox a chiedere su Twitter l’eliminazione di questo tipo di revisioni “il prima possibile”. E tra i tifosi inglesi queste rimostranze non sono isolate o rare.

A fine ottobre la Football Supporters Association, un’organizzazione con oltre 500mila membri che rappresenta i tifosi in Inghilterra e in Galles, ha chiesto chiarimenti sull’utilizzo del VAR, lamentandosi soprattutto del tempo richiesto per effettuare le decisioni e della scarsità di informazioni fornite ai tifosi negli stadi durante le interruzioni. Due punti su cui i club della Premier League a metà novembre hanno deciso di accontentare i tifosi, rinnovando però la loro piena fiducia nei confronti della revisione video, che secondo il copresidente del West Ham David Gold è “alive and kicking”.

Nonostante le rassicurazioni dei club, la controversia sul fuorigioco ha continuato ad accendere l’opinione pubblica britannica, e probabilmente lo farà ancora in futuro se la regola continuerà a essere applicata con questa rigidità – e sembra proprio che sarà così, dato che gli esempi dei gol annullati a Pukki e Graelish sono arrivati tra il 30 dicembre e il primo gennaio.

Primo problema: il margine di errore

L’applicazione del VAR sul fuorigioco era in realtà la questione su cui ci sentivamo più sicuri, il singolo aspetto su cui sembravano concordare anche i più acerrimi nemici della revisione video. Perché apparentemente oggettiva e facilmente giudicabile: se c’è un sistema oggettivo per vedere se l’attaccante è oltre l’ultimo difensore al momento del passaggio decisivo cosa c’è da discutere?

Le cose, in realtà, non sono così semplici. Innanzitutto perché la revisione video, anche nella sua versione più moderna con tecnologia 3D in grado di calcolare il fuorigioco al netto della posizione della telecamera, ha un margine d’errore (cosa che rende concettualmente diversa la questione del fuorigioco da quella della gol line technology).

Come hanno spiegato prima il Daily Mail e poi Jonathan Wilson, le telecamere HD registrano a una frequenza di 50 frame per secondo, il che significa che producono un’immagine ogni 0,02 secondi (qui giova ricordare che i VAR non hanno a disposizione telecamere speciali). Il problema principale è che mentre l’occhio umano vede il movimento senza soluzione di continuità, le telecamere producono inevitabilmente immagini distinte.

Questo significa che un giocatore che corre a 25 kilometri orari tra un frame e l’altro si sposta di circa 14 centimetri. Per uno che corre a 35 chilometri orari (la velocità massima raggiunta l’anno scorso in Premier League), invece, questa cifra arriva fino a 38,8 centimetri.

Il primo problema allora diventa quale frame prendere. Con il VAR possiamo andare avanti frame per frame fino a quello in cui è inequivocabile il contatto tra il piede di chi effettua l’assist e il pallone (che non è un momento di contatto qualsiasi ma, stando al regolamento, deve essere “il primo punto di contatto” tra piede e palla), ma nella realtà il contatto sarà con grande probabilità avvenuto tra l’ultimo frame in cui il piede è più vicino al pallone e quello in cui lo tocca. Sempre che sia chiara la distinzione tra i due momenti dalle immagini a disposizione (perché in quei 0,02 secondi tra i due frame si muove anche la gamba che colpisce la palla) il giocatore senza palla e l’ultimo difensore possono essersi spostati, come detto, fino a quasi 39 centimetri .

Ha senso, quindi, chiamare un fuorigioco di 2,4 centimetri come quello di Sterling quando in realtà non possiamo essere veramente sicuri che lo sia davvero?

E questo senza considerare altre domande che prima dell’introduzione della revisione video non pensavamo potessero essere nemmeno rilevanti. Ad esempio, qual è il punto esatto in cui finisce la spalla e inizia il braccio, da cui si fa partire la proiezione a terra per il calcolo del fuorigioco?

Una soluzione piuttosto ovvia a questo problema sarebbe inserire nel protocollo VAR il margine d’errore, una distanza minima dentro cui la revisione video non può giudicare il fuorigioco. Ma questa misura - comunque la più logica - non farebbe che spostare le discussioni da quegli episodi che sono o meno fuorigioco a quelli che rientrano o meno all’interno del margine d’errore.

Rimaniamo sempre, per questione di centimetri (e poi millimetri, e così via mano a mano che l’evoluzione tecnologica ci porterà ad avere strumenti sempre più precisi), all’interno del celebre paradosso di Achille e la tartaruga (e del principio di indeterminazione).

Un’obiezione sollevata spesso a queste domande è che senza la revisione video avremmo un margine d’errore ancora maggiore, dettato ovviamente dall’occhio e dalla prontezza di riflessi del guardalinee. Il problema è che stiamo parlando di due contesti radicalmente diversi: in un mondo senza VAR, infatti, non staremmo nemmeno parlando dei fuorigioco molecolari proprio perché l’occhio umano (quello dell’arbitro e del guardalinee, ma anche quello del pubblico che giudica e discute gli episodi più controversi) non sarebbe proprio in grado di vederli.

Con la revisione video, invece, e con la pretesa di totale oggettività del giudizio, non è più possibile lasciar correre questi “episodi invisibili” che diventano improvvisamente determinanti e decisivi. La domanda da farsi allora forse è un’altra: è giusto che episodi di questo tipo facciano la differenza tra un gol e un fuorigioco?

Secondo problema: ci può essere oggettività nell’arbitraggio?

Per questo in molti hanno chiamato in causa il principio secondo cui i VAR dovrebbero correggere solo gli errori “chiari ed evidenti”. E quello, enunciato nelle stesse leggi del gioco del calcio, secondo cui l’attaccante è in fuorigioco perché trae vantaggio dalla sua posizione oltre la linea difensiva avversaria.

Un paio di centimetri possono essere considerati davvero un errore chiaro ed evidente, o un reale vantaggio per l’attaccante che viene lanciato verso la porta? Questo aspetto può essere giudicato con oggettività?

Qualcuno ha proposto di cambiare le regole introducendo il principio che non è fuorigioco se qualunque parte dell’attaccante è ancora in gioco (simile al vecchio principio della “luce” tra attaccante e difensore). Un cambio regolamentare così profondo avrebbe effetti non solo sui principali campionati che possono permettersi di applicare le revisioni video, ma anche su tutti gli altri (comprese le categorie inferiori dei Paesi in cui la revisione video viene applicata nella massima serie) che si ritroverebbero a dover gestire un tipo di fuorigioco del tutto nuovo “a occhio”.

Per questo motivo sembra improbabile che ci sia un cambio del regolamento da parte dell’IFAB (l’organizzazione indipendente che decide sulle regole del gioco), il cui segretario generale ha dichiarato solo pochi giorni fa che «non ci sarà nessun limite di tolleranza e nessun margine di errore applicato al fuorigioco».

In questo senso, il sito specializzato in analisi statistica StatsBomb ha calcolato che l’unico effetto quantificabile sul gioco dell’introduzione del VAR per adesso è stato quello paradossale di ridurre il numero di fuorigioco fischiati rispetto alla stagione passata. Dovuto forse al timore degli attaccanti nell’incorrere in un fuorigioco “molecolare”; oppure più plausibilmente all’istruzione data ai guardalinee (chiara anche in Serie A) di alzare la bandierina il più tardi possibile, o non alzarla affatto in caso di gol, in modo da far intervenire successivamente i VAR - che, è bene ricordarlo, non possono applicare la revisione video su qualunque fuorigioco, ma solo nei casi di possibile annullamento di un gol.

Questa è una misura secondaria che però ha modificato la visione di moltissime partite di calcio e che può essere giustificata solo dall’importanza che diamo alla possibilità di avere un giudizio arbitrale oggettivo e dall’estrema fiducia che abbiamo nella tecnologia (fiducia che però, come abbiamo visto, non è del tutto fondata).

Nessuno sta proponendo di eliminare i VAR, ma forse è arrivato il momento di chiederci se la ricerca dell’obiettività a tutti i costi non stia diventando un problema, se non stiamo rendendo più tossico il nostro modo di vivere il calcio, anziché il contrario. Come fa notare anche StatsBomb, con un’applicazione così rigida della revisione video abbiamo trasformato chiamate che prima sarebbero passate inosservate (perché magari avrebbero interrotto le azioni prima che si trasformassero in gol) a dei discrimine decisivi per il risultato finale, con replay infiniti e ore e ore di discussione nei talk-show post-partita.

La domanda di fondo è se valga o meno la pena difendere un concetto astratto di giustizia (applicato, è sempre bene ricordarlo, a uno sport) anche se il prezzo da pagare è quello di mettere in ombra tutto il resto, con discussioni che poco hanno a che fare con il calcio giocato. Ci teniamo così tanto a discutere di un mezzo tallone quando una partita è composta da 90 minuti di gioco, con centinaia di giocate e decisioni diverse, tutte alla fine decisive per il risultato?

Per noi che siamo cresciuti nel paese dei moviolisti e dei programmi televisivi interamente dedicati agli arbitri forse le risposte a queste domande sono ovvie (e infatti è una discussione che non era stata mai sollevata in Italia, nonostante i fuorigioco molecolari non siano mancati).

Ma per la patria del fair play e dell’arbitraggio all’inglese è sicuramente una novità, di cui per adesso non possiamo far altro che apprezzare l’ironia.

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