La parola “Gegenpressing” è ancora la più usata del dizionario calcistico tedesco e, tra le squadre di Bundesliga, il Bayer Leverkusen di Roger Schmidt è quella che più di tutte esaspera il concetto fino alle sue estreme conseguenze. Nelle loro partite l’uscita dalla difesa non è quasi mai effettuata con una trasmissione di palla a terra, e la contesa per le seconde palle si trasforma in una vera e propria battaglia, con il gioco che si trascina caotico tra un possesso e l’altro.
Julian Brandt è un’ala sinistra, nato a Brema ma cresciuto calcisticamente lontano da casa, con un viso che dimostra addirittura meno dei suoi vent’anni. Brandt è il ragazzo d’oro del calcio tedesco che tenta di riportare l’ordine nel caos della BayArena. Lo fa il più delle volte servendosi della sua conduzione di palla sopraffina in campo aperto: rimette in piano gli eventi per poi disordinarli di nuovo, con un’abilità nel dribbling sfacciata.
Brandt è arrivato a Leverkusen nel gennaio del 2014, dopo un biennio proficuo all’Academy del Wolfsburg. Un mese dopo il suo trasferimento, chiuso per un prezzo di 350.000 euro che oggi consideriamo irrisorio, debuttò in prima squadra: la sostituzione all’ottantaduesimo minuto di Bayer-Schalke 04, letta col senno di poi, ha rappresentato un passaggio di consegne tra il vecchio e nuovo, tra Son Heung-min che un anno e mezzo dopo sarebbe volato a Londra, e il neo arrivato.
Il crack fu servito agli occhi del grande pubblico solo 2 anni dopo, quando tra il 20 marzo e il 30 aprile 2016 Brandt segnò 6 gol in altrettanti match consecutivi, tutti vinti. Un teenager che di mestiere non fa il centravanti osa rubare un record di precocità a Gerd Müller: in Germania questa è diventata una notizia per forza di cose.
Le 6 realizzazioni rappresentano un campionario del bagaglio tecnico di Brandt: quattro azioni in fotocopia dove emerge il suo senso tattico (qui, qui, qui, ma soprattutto qui); una quinta nella quale appare incredibile la sua forza fisica (lancia il compagno nello spazio, cade nel contrasto, corre a chiudere l’azione dopo 40 metri di corsa); l’ultima, l’unica battuta a rete di mancino, dimostra coordinazione e istinto.
Dribbling, sportellate e filtrante in profondità: The Essential Julian Brandt.
Acciaio liquido
La straordinaria confidenza con il gol per un’ala, Brandt l’ha messa in mostra per la prima volta nelle rappresentative Under 15 e Under 17 del Wolfsburg, dove ha viaggiato con una media di 1 gol ogni 2 partite. Una qualità che ha confermato tra i professionisti: già nella prima stagione fatta solo di scampoli di partita, l’allora diciassettenne mise a segno 2 reti. Oggi Brandt ha in carniere 17 gol in Bundesliga: tanto per capirci (oltre che per spararla grossa per spirito di provocazione) più di quante ne abbia fatte Cristiano Ronaldo al Manchester United, alla stessa età e nello stesso ruolo.
Le statistiche di Brandt hanno registrato la sua crescita costante: dalla stagione 2013/14 a quella 2015/16 i suoi gol ogni 90 minuti sono passati da 0,31 a 0,5; i suoi xG sono quasi raddoppiati, salendo da 0,15/p90 a 0,28/p90. In questo primo scorcio di stagione, un maggiore impiego (tra campionato e Champions League, Brandt ha già giocato 1424 minuti) ha diluito le sue statistiche, rendendole incomparabili con le annate precedenti nelle quali aveva giocato al più per 2004 minuti in tutto l’anno, in tutte le competizioni. Attualmente, in Bundesliga Brandt ha 0,17 reti/p90 e 0,11 xG/p90, mentre in Champions League ha segnato il suo primo gol europeo nel 3-0 al Monaco.
Fenomenologia del gol alla Brandt: 1) movimento in anticipo ad avvantaggiarsi sul diretto marcatore in caso di recupero del pallone; 2) ricezione tra le linee con controllo orientato; 3) scarico e inserimento in area senza palla.
Rientrando da sinistra sul suo piede preferito, Brandt può trovare la via verso la porta con un tiro, ma anche con una verticalizzazione per un compagno: nelle prime 14 partite della stagione corrente ha già eguagliato il suo record di assist stagionale (5). Una minaccia offensiva a 360 gradi: nelle ultime quattro stagioni, Raheem Sterling e Dele Alli sono stati gli unici teenagers ad aver generato una somma di Expected Assists ed Expected Goals superiore rispetto a quella di Brandt. È il migliore di una generazione di centrocampisti tecnici e creativi nati in Germania, come Draxler, Meyer e Goretzka.
Un esempio di isolamento sul lato debole che può essere devastante.
Come se non bastasse, la sensibilità che Brandt ha nel suo piede debole è davvero buona, tanto che inizialmente Schmidt lo ha anche schierato a destra con Son sul lato opposto. L’abilità col sinistro lascia sempre il difendente nel dubbio se chiudere la possibilità di un tiro da fuori verso il centro o evitare uno scatto verso il fondo che permetterebbe a Brandt di mettere il cross. È per questo motivo che Brandt può essere devastante soprattutto quando, con un cambio di gioco effettuato dalla tonnara di uomini che il Leverkusen crea su un lato, viene pescato in isolamento col proprio marcatore sul lato debole.
Cerca lo scarico da un lato, con freddezza aspetta, si guarda in giro, serve il passaggio in profondità tra terzino e centrale.
La conoscenza che Brandt ha già dei tempi e degli spazi del gioco è straordinaria: può accelerare una giocata con un tocco di prima intenzione, ma può invece decidere di ragionare, anche sotto pressione, e scegliere l’opzione di passaggio più redditizia. Allo stesso modo, l’interpretazione liquida del calcio secondo Schmidt può portarlo a interpretare più ruoli nello sviluppo della stessa azione: da ala a trequartista centrale, da trequartista a seconda punta, da seconda punta a centravanti.
Tra tutte, la sua migliore qualità è forse la grande progressione, un’arma fisica che può diventare anche un’arma tecnica. Brandt è un atleta alto 185 centimetri, con leve lunghe e potenti: lanciato come un treno in corsa o stabile sulle gambe, è complicatissimo da fermare, o anche solo da limitare in un’azione corpo a corpo. Il suo dribbling è netto e non lascia repliche al difensore saltato. Non sto parlando però della leggerezza sulle caviglie che si è soliti trovare in un brevilineo abile nel fondamentale: il dribbling di Brandt ha connotati violenti, sembra che provi per colui che ha di fronte quel tipo di odio che, secondo André Agassi, solo un tennista o un pugile può provare verso un avversario.
Tecnica da affinare
In certi frangenti di gioco Brandt mostra una tecnica al di sotto del resto delle sue possibilità. È pur vero che bisogna tenere in conto il contesto sregolato creato da Schmidt per i suoi avversari, ma nel quale anche i suoi giocatori sono costretti a muoversi. Ciò nonostante, il numero di palloni persi da Brandt per un cattivo controllo è il più alto tra i compagni di squadra: quest’anno ha una media di 4,5 palloni persi a partita, con Calhanoglu e Kampl che lo seguono da lontano con i loro 2,8 palloni persi a testa.
Quindi Brandt deve riconoscere di aver bisogno di altro lavoro sulla sua tecnica di base. Ma deve anche riflettere sull’opportunità di alcune sue scelte di gioco, che sono a volte davvero troppo rischiose e comportano l’immediata perdita del possesso. Sono opzioni dettate dall’ansia di piazzare la giocata, come quando s’infila in un imbuto di avversari dal quale è impossibile uscire palla al piede. O forse solo da un appannamento causato da un gioco esigente dal punto di vista aerobico, come quando effettua un cambio di gioco per un compagno che non c’è.
Quest’ultima osservazione porta ad un’altra considerazione: Brandt è completamente calato nella realtà del Leverkusen, in qualche modo l’individuo e il collettivo traggono nutrimento l’uno dall’altro. Cosa accadrebbe al gioco di Brandt se decidesse di muoversi in un’altra squadra? Son Heung-min costituisce un precedente: l’esperienza sotto la gestione di Schmidt ha forgiato la natura del gioco del coreano a tal punto, che ha faticato molto ad inserirsi in un contesto tattico pur molto simile, come quello del Tottenham di Pochettino, e che ancora oggi sembra incapace di giocare a velocità inferiore a quella massima possibile.
Al netto delle eventuali difficoltà di ambientamento, fuori da Leverkusen prima ancora che fuori dalla Bundesliga, e delle imprecisioni tecniche prima descritte, Julian Brandt è forse la miglior promessa della sua classe. A vederlo in campo si direbbe che è già molto convinto delle proprie qualità, fino forse a un eccesso di fiducia. Ecco, forse in questa fase della sua carriera Brandt dovrebbe soprattutto provare a respingere le insidie di un senso di onnipotenza calcistica, tipico di un ragazzo della sua età, giustificato in parte dal suo talento, che però potrebbe bloccarne una crescita necessaria a garantirsi una carriera lunga e soddisfacente. Perché, nel calcio come nella vita, le promesse vanno mantenute.