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Innamorati di Lorenzo Pellegrini
10 nov 2016
Abbiamo aggiunto ai nostri giocatori Preferiti il giovane centrocampista del Sassuolo.
(articolo)
8 min
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Non è un segreto che la Roma abbia uno dei migliori settori giovanili d’Italia. La società giallorossa ha applicato un ottimo staff tecnico e delle strutture all’avanguardia ad un bacino potenziale molto grande: il Lazio ha infatti poco meno di 100mila calciatori tesserati attualmente sul proprio territorio, un dato che in Italia è superato solo da quello della Lombardia e dal Veneto.

Pochi giorni fa uno studio del CIES (International Centre for Sports Studies) metteva il settore giovanile della Roma tra i primi dieci dei cinque più importanti campionati europei. Attualmente sono ben 24 i giocatori prodotti dalla Roma utilizzati in una delle 31 leghe professionistiche di primo livello europeo, un dato inferiore solo a quello di Real Madrid, Barcellona, Manchester United, Lione, Athletic Bilbao e Real Sociedad. Lo stesso rapporto, però, metteva in luce come i giocatori impiegati nella prima squadra della Roma fossero solo tre, meno della stragrande maggioranza delle squadre prese in esame (il Real Madrid, per dire, ne ha sette).

Quello tra la Roma e i giocatori prodotti dalle sue giovanili è un rapporto difficile, molto più di quanto la storia di bandiere, recentemente rinverdita da Totti e De Rossi, possa far pensare. Da quando la società giallorossa ha deciso di puntare sul vivaio, soprattutto grazie al lavoro di Bruno Conti negli ultimi anni, periodicamente riemerge il dibattito su quanta fiducia dovrebbe dare la prima squadra ai giovani provenienti dalla Primavera. Un dibattito senza sfumature, persino violento a volte, in cui alla pressione dell’assurda competizione raggiunta dal calcio contemporaneo si aggiungono le responsabilità che il tifo romanista addossa ai calciatori romani o romanisti. E in cui a sopravvivere, quindi, sono solo i pochissimi giocatori protetti da un talento davvero fuori dal comune.

In questo limbo strettissimo tra consacrazione e oblio c’è oggi anche Lorenzo Pellegrini, la cui storia forse ci dice qualcosa sul perché questo sistema è così disfunzionale.

My body is a cage

Pellegrini nasce nel giugno del ‘96 a Roma. Suo padre Tonino, curiosamente, è un ex calciatore che “non ha mai sfondato”, come dice lo stesso Lorenzo, e che adesso fa l’allenatore dei bambini. È lui che lo inserisce prima nell’Italcalcio e poi nell’Almas, due scuole calcio in cui lavorava allora. «Gli ho trasmesso la passione per il calcio, Lorenzo ha iniziato insieme a me. Sono stato il suo primo allenatore», dice Tonino, nel più archetipico rapporto calcistico tra padre e figlio.

All’inizio Pellegrini viene impiegato come prima punta, e il motivo è tanto semplice quanto cinico: è il più alto di tutti i suoi coetanei (motivo per cui verrà utilizzato anche da difensore centrale negli Allievi Nazionali, alla Roma). Ed è anche paradossale, che un giocatore emerga nelle selezioni giovanili per una caratteristica fisica che finirà per ostacolarlo da adulto.

Anche oggi Pellegrini è piuttosto alto (186 centimetri), ma con un fisico asciutto e longilineo. Caratteristiche che lo rendono lento nella corsa senza essere né esplosivo negli scatti né potente nei contrasti (attualmente in Serie A ne vince 1.12 ogni 90 minuti, appena il 26% dei tentati).

Il primo ad andare oltre le caratteristiche fisiche di Pellegrini è Vincenzo Montella, quando nell’estate del 2009 diventa allenatore dei Giovanissimi Nazionali della squadra giallorossa. Pellegrini, quindi, si sposta a centrocampo relativamente tardi, intorno ai 14-15 anni, periodo in cui tra l’altro gli venne prescritta una grave aritmia cardiaca che ha rischiato di mettere fine alla sua carriera.

È sorprendente comunque quanto tempo ci sia voluto per comprendere appieno l’eccezionalità tecnica di Pellegrini, o forse è solo triste che sia stata sacrificata in uno dei periodi di crescita più importanti per un calciatore sull’altare del risultato. E questo nonostante alcune delle sue caratteristiche, come il tiro dalla distanza o l’ambidestria praticamente naturale, si fossero palesate fin da bambino. «Lorenzo ha una buona tecnica, sa calciare con entrambi i piedi. Pensa che molte volte in tribuna mi hanno chiesto se fosse destro o mancino!», dice con orgoglio il padre.

Diventare un centrocampista

Forse il fatto che Pellegrini sia stato impiegato da centrocampista così tardi spiega alcuni dei suoi limiti. Il centrocampista del Sassuolo, ad esempio, nonostante il fisico, ha un gioco spalle alla porta puramente istintivo, caratteristica che lo porta a non fidarsi e giocare quasi sempre il pallone di prima, indietro o addirittura in avanti, trovando a volte soluzioni molto belle da vedere ma che in generale possono essere molto rischiose.

Questo, oltre alla sua spregiudicatezza infantile nell’attaccare la porta, è secondo me il motivo per cui Pellegrini si trovi a disagio a fare il regista unico davanti alla difesa. «Mi piace inserirmi e giocare da mezz'ala in un centrocampo a tre. Quest'anno avevo iniziato da regista e facevo fatica in zona gol. Poi ho cambiato ruolo ed è andata meglio», ha detto alla Gazzetta quand’era ancora in Primavera, in un afflato di nostalgia per quella zona gol abbandonata solo pochi anni prima.

Più in generale, sembra che Pellegrini in determinate occasioni, come la difesa della palla e i duelli aerei (attualmente in Serie A ne vince circa il 47% dei tentati), non sappia sempre come utilizzare al meglio il proprio corpo, il che è sicuramente uno spreco.

Semplificando all’estremo si può dire che Pellegrini attacchi e difenda molto meglio in avanti e col pallone tra i piedi, rispetto a quando attacca o difende all’indietro e/o senza il pallone. Rimanendo sui difetti, quindi, questo comporta che il centrocampista del Sassuolo soffra molto nello schermare le linee di passaggio e nel coprire lo spazio alle sue spalle.

È un difetto, questo, che viene ulteriormente accentuato dalle sue caratteristiche fisiche, e cioè che Pellegrini sia abbastanza lento nel recuperare, e a volte persino pigro mentalmente nell’assorbire gli inserimenti avversari. Questo lo porta ad essere particolarmente inefficace quando deve recuperare il pallone in campo lungo, quando deve coprire cioè zone di campo molto ampie.

Pellegrini, insomma, non è un recuperatore di palloni e ha uno spirito difensivo improvvisato, quasi inesistente per la verità. La mezzala del Sassuolo commette molti falli (attualmente in Serie A 1.82 ogni novanta minuti; nella squadra di Di Francesco solo Biondini, Ricci e Mazzitelli ne commettono di più) e molte volte sbaglia persino a posizionare il corpo nel tentativo di recuperare il possesso.

Arrivare in porta

Il modo migliore di nascondere i difetti di Pellegrini è quindi quello di attaccare posizionalmente nella metà campo avversaria. La cosa bella è che in questo modo vengono allo stesso tempo esaltati anche i suoi pregi, che sono tanti e nient’affatto banali. Pellegrini ha infatti un’indole associativa nel corto molto spiccata, abbinata a un’incredibile capacità di coordinare il corpo in spazi stretti e di prendere decisioni complesse in tempi brevissimi.

Se nella corsa in campo aperto sembra trascinare, seppur in modo elegante, un pesante mantello che lo rallenta, nello stretto invece Pellegrini sa danzare col suo corpo in maniera armonica per districarsi tra gli avversari e fintare movimenti, in maniera davvero sorprendente soprattutto considerata la macchinosità del suo corpo. Nell’unico gol realizzato in Serie A in questa stagione, ad esempio, si piega come una canna al vento per spostare Romagnoli e farsi luce per il tiro.

Attualmente Pellegrini realizza 1.54 dribbling ogni novanta minuti in Serie A, meno solo di Berardi e Ricci nella squadra di Di Francesco, che è un dato incredibilmente alto per essere una mezzala.

Negli spazi stretti, Pellegrini è ovviamente aiutato anche dalla sua ambidestria, che lo porta ad avere un primo controllo eccellente con entrambi i piedi. Molte volte, la mezzala del Sassuolo compie le sue giocate migliori di prima, realizzando con la naturalezza dell’uomo che va a fare la spesa numeri di una difficoltà pazzesca.

All’interno di quest’ultimi rientrano anche quelli con cui Pellegrini dà forma alla sua visione di gioco nell’ultima trequarti, un ambito in cui la mezzala del Sassuolo ha già raggiunto livelli di eleganza ed efficacia molto alti e in cui sembra avere addirittura margini di miglioramento (per adesso serve 1.26 passaggi chiave ogni novanta minuti in Serie A, che è un dato ancora un po’ anemico).

Pellegrini sa rompere le linee avversarie sia con filtranti corti che con cambi di gioco e lanci lunghi, con una tecnica di calcio naturalmente elegante e non affettata, da fuoriclasse.

Una tecnica di calcio che Pellegrini utilizza in maniera molto efficace anche nei tiri dalla distanza, fondamentale in cui è specializzato, soprattutto in quelli con l’effetto a rientrare sul palo più lontano dal portiere. Con uno di questi, nel 2015, ha portato la Primavera della Roma alle semifinali della Youth League. Ma è probabile che presto anche col Sassuolo riuscirà a centrare la porta.

Un altro aspetto del gioco dove Pellegrini sembra poter aumentare sensibilmente il proprio valore sono i movimenti senza palla di natura offensiva, un fondamentale che lui stesso cita spesso tra i suoi pregi. Per la verità, la mezzala del Sassuolo sembra ancora essere nella fase giovanile di innamoramento del pallone, forse anche giustamente data la sua sensibilità nel trattarlo, ma è probabile che l’esperienza farà crescere anche la consapevolezza e la conoscenza del gioco. E quindi anche l’efficacia nei movimenti senza palla.

Pellegrini ha insomma uno spettro tecnico vario, complesso e raffinato, che già si è imposto in una squadra da colonna sinistra della classifica e che gioca l’Europa League. La Roma, a quanto pare, potrà riportarlo a Trigoria alla fine di questa stagione per una cifra vicina ai nove milioni di euro. Ma questo non esclude che alla fine a prevalere possa essere l’interesse di qualche altra grande squadra italiana o straniera (si parla, tra le altre, anche di Milan, Napoli e Lazio).

L’importante, in ogni caso, sarà non fraintenderlo di nuovo per arrivare a un risultato di breve periodo e, possibilmente, inserirlo in un’architettura tattica che ci possa fare godere a pieno delle sue perfezioni senza costringerci ad addossargli la colpa delle sue imperfezioni. Perché il suo talento potrà forse proteggerlo dalle pressioni dei tifosi e dalla concorrenza dei suoi compagni, ma sicuramente non potrà renderlo un giocatore perfetto.

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