Magaluf è una piccola località balneare nell’isola di Maiorca, famosa per il turismo di massa di provenienza britannica (addirittura il 95% dei suoi visitatori) e la sua vita notturna sfrenata: una situazione che genera polemiche ricorrenti. Nel dualismo tra il paradiso vacanziero e l’inferno della cementificazione della costa c’è spazio anche per il calcio: a pochi passi dal lungomare, dove prosperano le discoteche, c’è il campo su cui gioca il CF Platges de Calvià, letteralmente “le spiagge di Calvià”.
Fino a pochi anni fa, da quelle parti giocava un bambino che in molti già definivano fenomeno, un figlio dell’isola di Maiorca, della sua versione moderna fatta di un mix ispano-nordico: Marco Asensio Willemsen, classe 1996. Padre spagnolo e madre olandese, e Marco in onore di Van Basten. Un bambino che giocava sempre insieme ai più grandi (a 9 anni contro ragazzi di 15), e che non aveva un giorno libero perché giocava anche a futsal (calcio a 5). Un bambino prodigio secondo i racconti del suo scopritore, Clemente Marín, osservatore del Maiorca.
Tutti nel comune di Calvià hanno un aneddoto calcistico su di lui: Asensio segnava da calcio d’angolo, Asensio faceva la ruleta di Zidane, Asensio tifava Barcellona e Messi. Fino a quando gli aneddoti si sono sparsi per l’intera isola, perché a 10 anni Asensio era già un giocatore delle giovanili del Maiorca. A quel periodo risale anche il suo mito fondativo madridista: per “purificarsi” simbolicamente dall’etichetta di “culé", è nata recentemente la leggenda dell’incontro con Florentino Pérez, all’epoca non più presidente del Real Madrid. Appena sceso dal suo yacht, Florentino avrebbe incontrato Asensio insieme al padre, e quest’ultimo gli avrebbe detto: «Scusi signor Pérez, questo è mio figlio Marco e un giorno giocherà nel Real Madrid».
Asensio nel Maiorca, (quasi) come Messi: 65 metri, 14 tocchi, 4 avversari saltati, ma poi tira fuori. Un paragone che tornerà spesso.
Nell’attesa che si avverasse la profezia, era proprio il padre, che lavorava in un supermercato, ad accompagnarlo agli allenamenti del Maiorca: arrivava sempre per primo. Quando esordisce in prima squadra, a 17 anni contro il Recreativo Huelva, in Segunda División, Asensio è ancora un ragazzino, ma ha già passato per un’esperienza terribile come la morte della madre; a 18 anni è ormai titolare fisso nel Maiorca (allenato da Karpin) e già paragonato a Messi per un’azione in solitaria; un mese dopo (dicembre 2014) il Real Madrid ne annuncia l’acquisto per 3,9 milioni di euro, ma ci vorrà tempo per realizzare la profezia paterna.
Nelle stagioni maiorchine Asensio è talento allo stato puro, ancora da raffinare: autore di accelerazioni improvvise, di assist geniali, di pochi gol, ma non molto coinvolto nel gioco della squadra. Un giocatore da strappo, da giocata decisiva, sempre sulla trequarti, un’arma letale per le transizioni offensive.
Visione
Dopo quasi due stagioni da titolare al Maiorca, ormai era chiaro che il talento di Asensio fosse fuori dal comune: a confermarlo anche la vittoria dell’Europeo Under 19, di cui venne eletto miglior giocatore.
Il passaggio al Real Madrid è naturale, e non per la squadra B: viene aggregato da Benítez ai titolari e passa l’estate a giocare spezzoni di amichevoli importanti. Sfrutta talmente bene le sue opportunità che il club è incerto sul da farsi: quasi a fine mercato, però, si decide di mandare Asensio in prestito all’Espanyol, per dargli continuità nella sua prima stagione nella Liga.
Asensio all’Espanyol è un creatore di gioco fondamentale: 2,13 passaggi chiave, 0,32 assist e 1,75 dribbling per 90 minuti. Ma il suo contributo in zona gol è pressoché nullo: un limite molto forte per un talento come il suo.
Un passo importante e necessario per un ragazzo cresciuto in fretta, molto timido, molto legato alla famiglia: è difficile trovare sue interviste, se non quando è obbligato (presentazioni, conferenze stampa con le selezioni spagnole). Al Real Madrid avrebbe avuto pochissimi spazi in campo, oltre a ritrovarsi in un ambiente ipermediatico e complesso. Quello dell’Espanyol è invece il contesto perfetto: una squadra senza ambizioni se non quella della salvezza, in una grande città come Barcellona ma a 50 minuti d’aereo da casa.
Da ala destra che si accentra o da trequartista che si abbassa nella propria metà campo, Asensio è decisivo nel servire il movimento in profondità della punta.
Asensio sboccia sul serio: diventa fondamentale in una squadra senza grande talento, e nel 4-2-3-1 viene impiegato come mezzapunta, sia al centro che sulle fasce. Il cambio di allenatore a metà stagione non gli provoca alcun trauma, perché Asensio è un riferimento indiscusso, in un ruolo che è anche sorprendente: diventa un playmaker offensivo. A fine stagione è il terzo giocatore con più passaggi medi effettuati per 90 minuti, in una squadra che non fa del possesso palla la sua cifra stilistica: per sopperire alla povertà tecnica, Asensio si abbassa a ricevere nella propria metà campo, cerca sempre di ricevere tra le linee e di servire passaggi dietro la linea di pressione avversaria. La sua visione di gioco è talmente sviluppata che gli allenatori preferiscono allontanarlo dalla porta avversaria, anche nelle selezioni giovanili: pochissimi giocatori riescono a servire filtranti anche attraverso le gambe degli avversari.
A fine stagione l’Espanyol si salva, Asensio vince il premio di giocatore rivelazione della Liga e viene persino convocato nella Nazionale maggiore, per le amichevoli preparatorie all’Europeo (in attesa dei giocatori di Barça e Real impegnati nelle coppe). Del Bosque lo schiera titolare contro la Bosnia e dice che è il più grande talento spagnolo, chiudendo così ogni velleità di convocazione della Nazionale olandese (era nata anche una campagna social dei tifosi olandesi, sotto l’hashtag #AsensioWillemseninOranje). Insomma, sembra tutto andare per il meglio, Asensio è sulla bocca di tutti, ma il suo rendimento nel corso della stagione non è stato molto continuo: come può un giocatore di quel tipo, una mezzapunta rapida, schierata spesso anche ala, aver tanti problemi con il gol? Il ritorno a Madrid rischia di essere un soggiorno nel purgatorio.
Velocità
Asensio va veloce, è una delle sue caratteristiche principali. Ma quanto rapidamente si possono scalare posizioni, quando sei nella squadra campione del mondo? Una squadra in cui il capitano della Colombia, James, uno dei più talentuosi trequartisti del Sudamerica, gioca scampoli di partite? Nel precampionato Asensio non ha neppure il numero ufficiale (dall’1 al 25) e gli viene assegnato il 28, come fosse un canterano temporaneamente parcheggiato in prima squadra.
La sua umiltà lo aiuta a mantenersi calmo e a usare ogni minuto di campo come fosse l’ultimo: di nuovo, nelle amichevoli mostra le sue qualità e Zidane comincia a dargli fiducia, tanto da schierarlo titolare nella prima partita ufficiale della stagione, la Supercoppa Europea contro il Siviglia. Il suo esordio in una competizione ufficiale con la maglia del Real Madrid è sintetizzato dal tiro sotto l’incrocio con cui porta in vantaggio i “Blancos”: riceve palla sulla trequarti avversaria, controllo orientato e tiro violento di collo sinistro.
Bel modo di presentarsi.
La profezia del padre non si può ancora definire avverata, perché è solo una settimana dopo la vittoria in Supercoppa che Asensio viene finalmente presentato come giocatore del Real Madrid, numero 20: più di un anno e mezzo dopo il suo acquisto. Durante la presentazione, il maiorchino si interrompe e piange nel ricordare la madre, e forse anche per il traguardo raggiunto: entrare nel grande calcio dalla porta principale.
Cristiano Ronaldo, Bale, Benzema, James, Isco, Lucas Vazquez, Morata: con un’abbondanza offensiva del genere, a cosa serve Asensio? Il rischio che il suo percorso di crescita possa bloccarsi è evidente, ma Zidane è rimasto impressionato: «Conosciamo tutti il talento di Asensio, ma l’aspetto che mi ha più colpito è la sua etica del lavoro».
Per ottenere uno spazio in squadra, il numero 20 dei Blancos è costretto a grandi prestazioni: difficile immaginare la pressione di essere l’ultimo arrivato al Real Madrid e dover dimostrare le proprie qualità anche solo per 5 minuti. Asensio però non sembra affatto preoccuparsene, e sale sempre sul treno al momento giusto: con il Real segna nelle partite di debutto in ogni competizione ufficiale (Supercoppa Europea, Liga, Champions League e Coppa del Re – purtroppo niente Mondiale per Club perché Zidane non gli concede neppure un minuto).
Per farsi notare e per ottenere minuti (23 presenze tra tutte le competizioni, per 1197 minuti complessivi: sembrano pochi, ma sono più di Morata e James), Asensio si è dovuto adattare all’ambiente, dimostrando le sue qualità in un modo diverso. In parte è dovuto tornare alle origini, al giovane giocatore di Segunda che avviava le transizioni o creava superiorità con i suoi strappi; in parte, ha dovuto compiere un passo avanti, aumentare la sua capacità realizzativa in un momento in cui il Real ne aveva bisogno. Dei suoi 7 gol stagionali, ben 6 sono stati realizzati nei primi 3 mesi di competizioni ufficiali. L’ultimo, invece, Asensio lo ha segnato il 12 gennaio a Siviglia, nel ritorno degli ottavi di Coppa del Re: la classica giocata del ragazzino di Maiorca, che prende palla e corre finché ce la fa.
70 metri in 11 secondi, 8 tocchi di palla: un gol Bale-Style, eppure è così evidente la differenza tra le due progressioni. Asensio arriva quasi stremato alla fine.
Nonostante queste cavalcate solitarie riemergano spesso nella sua breve carriera, in realtà restano estemporanee: Asensio non è un cavallo pazzo che gioca alla rinfusa, non è in grado di lasciare tutti sul posto come Bale e neppure un giocatore capace di dribblare gli avversari come Messi. Asensio è bravissimo nella conduzione palla al piede, e ha una progressione difficile da fermare nel breve-medio tratto. Ma quel gol nasce anche da un’altra caratteristica tutta sua: quella di saper accelerare a testa alta, di correre, controllare il pallone e nel frattempo valutare le opzioni di passaggio.
Prova a prenderlo: notare il pallone sempre vicino al piede e la testa alta per valutare la giocata migliore.
Una caratteristica che stranamente gli sta tornando molto utile nel Real Madrid: perché del trio d’attacco solo Bale ha ancora la potenza atletica di una volta, ma è infortunato. Asensio è una ventata di freschezza per condurre le transizioni offensive di cui una squadra ha sempre bisogno: in pochissimi riescono a correre così velocemente tenendo il pallone attaccato allo scarpino; in pochi vedono il gioco in modo così lucido mentre saltano gli avversari.
La conduzione palla al piede è anche la modalità principale con cui Asensio dribbla: salta gli avversari correndo, semplicemente, o mandando il pallone da una parte e il corpo dall’altra. La sua capacità di dribbling da fermo è limitata, ha bisogno di spazi, sebbene nello stretto sia comunque rapido: è un giocatore ancora non formato e il desiderio di farlo passare per un Messi della “Casa Blanca” può essere devastante per il suo futuro.
Anche perché Asensio va veloce, è vero, ma ancora si deve sviluppare: i suoi strappi palla al piede si alternano ad assenze dal gioco, come una splendido addobbo natalizio. L’altra sua carenza, quella in fase realizzativa, potrebbe persino non essere mai colmata. A volte non è veloce nell’esecuzione, nonostante l’esperienza nel calcio a 5, in altre occasioni sembra semplicemente non avere naturalezza nei movimenti in area. Magari è semplicemente una splendida mezzapunta, un giocatore associativo che fa crescere tutta la sua squadra ma è capace anche di tagliare le partite in due individualmente: e anche solo così, ha comunque le potenzialità per essere il titolare fisso del Real Madrid e il numero 10 della prossima decade nelle “Furie Rosse”. Zidane adesso lo usa da ala sinistra, con il compito di accentrarsi spesso per creare un collegamento tra la coppia Modric-Kroos e gli attaccanti, anche la sua posizione preferita è da trequartista centrale o da ala destra, per rientrare sul piede forte.
Il sinistro magnetico di Asensio: stop e pallonetto.
L’evoluzione di Marco Asensio, dalle spiagge di Calvià al prato del Bernabeu, dipenderà da molti fattori: difficile capire a quell’età il confine tra un grande giocatore e un campione. Se l’irraggiungibile modello è Messi, forse Asensio dovrebbe preoccuparsi piuttosto di non finire come Isco, un talento cristallino ingabbiato nell’aurea mediocritas della non titolarità madrilena.
Il percorso di Asensio ci fa riflettere anche sulle possibilità per i nuovi giovani giocatori: come si può emergere nei grandi team d’elite, composti da almeno 25 esperti giocatori di livello internazionale? Spesso è un mix confuso di opportunità, forza mentale, personaggi, e di fortuna, ovviamente: per ora il maiorchino ha sempre saputo meritarsela, senza deludere nessuno. Asensio va veloce e non ci pensa, abituato com’è a correre e guardarsi intorno, cercando di fare sempre la cosa giusta.