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Innamorati di Musa Barrow
05 giu 2018
Questa volta è stato il giovane attaccante dell'Atalanta a rubarci il cuore.
(articolo)
7 min
(copertina)
Illustrazione di Emma Verdet
(copertina) Illustrazione di Emma Verdet
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Due anni fa, quando Gian Piero Gasperini ha firmato per l’Atalanta, non era affatto scontato che le cose sarebbero andate così bene. Al di fuori del Genoa, Gasperini non era ancora riuscito a trovare un ambiente in cui far germogliare con altrettanto successo le sue idee, vivendo anzi due esperienze molto negative: il famoso esonero con l’Inter dopo appena cinque partite e la breve parentesi con il Palermo. A Bergamo, dopo un inizio deludente, che sembrava l’anticamera di un nuovo esonero, Gasperini si è invece tolto diverse soddisfazioni: il quarto posto dello scorso anno, miglior piazzamento nella storia dell’Atalanta, con il record di punti (72); le grandi prestazioni in Europa League, dove è emerso il lato migliore dei nerazzurri nella stagione da poco conclusa, con la vittoria del girone lasciandosi alle spalle Lione ed Everton e la qualificazione sfiorata agli ottavi dopo aver giocato per larghi tratti meglio del Borussia Dortmund.

Sparite le incertezze iniziali, quella tra Gasperini e l’Atalanta si è rivelata una delle unioni più riuscite del calcio italiano: uno degli allenatori più bravi a valorizzare il materiale a disposizione in una società tradizionalmente all’avanguardia per l’attenzione al settore giovanile e lo sviluppo del talento. La condivisione di idee e obiettivi tra Gasperini e il presidente dell’Atalanta, Antonio Percassi, ha dato vita a un vero e proprio sistema, come spiegato dallo stesso allenatore in un’intervista alla Gazzetta dello Sport: «Percassi voleva una squadra giovane, che avesse in prima squadra molti ragazzi cresciuti qui. Un modello che prima qui non c’era: l’Atalanta ha sempre prodotto grandi talenti, ma non ha mai impostato la prima squadra su questo. Per me la strada continua a essere quella dello sviluppo delle risorse che abbiamo in casa. Questa era la visione che io e Percassi abbiamo condiviso e questo è il vestito giusto per l’Atalanta».

Nelle ultime due stagioni la società bergamasca non si è però concentrata soltanto sul proprio settore giovanile, valorizzando i giocatori cresciuti in casa (Caldara, Conti e Gagliardini), ma ha anche modellato il talento di ragazzi che faticavano a emergere (Cristante, Petagna e Spinazzola) e portato a un nuovo livello giocatori già formati, nel pieno della maturità calcistica (Gómez e Ilicic).

Il caso di Musa Barrow, il talento più luminoso messo in mostra dall’Atalanta nella seconda parte del campionato appena concluso, è ancora diverso ed è paragonabile a quello di Franck Kessié: come il centrocampista del Milan, Barrow è stato scoperto e poi tesserato a 18 anni per essere inizialmente aggregato alla squadra Primavera.

Per questioni burocratiche ha comunque dovuto aspettare i primi mesi del 2017 per iniziare a giocare. Si fece notare al torneo di Viareggio, in cui segnò 4 gol in 5 partite, e poi nelle ultime giornate si sbloccò anche in campionato, andando a segno 9 volte in 5 partite. Superato un normale periodo di ambientamento, Barrow si è presto dimostrato fuori categoria in Primavera. Per consolidare la sua crescita, l’Atalanta lo ha tenuto in Primavera da fuoriquota nella prima parte dell’ultima stagione (essendo nato nel 1998, era di un anno più grande rispetto al limite d’età). In pochi mesi ha segnato 23 gol, conquistando il titolo di capocannoniere del campionato pur giocando solo 18 partite, poco più della metà di quelle previste. Andando più a fondo nella sua capacità di spostare gli equilibri, in sette occasioni ha segnato una doppietta e una volta ha realizzato un poker, contro la Roma.

Vicino alla porta

Proprio uno di quei quattro gol ai giallorossi descrive bene il tipo di dominio che esercitava in Primavera: riceve palla a una ventina di metri dalla porta, leggermente defilato sulla sinistra, salta con una finta di corpo il capitano della Roma, Ciavattini, che non esce subito in marcatura, ma lo aspetta lasciandogli lo spazio per rientrare sul destro, poi poco fuori dalla lunetta tira sotto l’incrocio più lontano senza sforzo apparente.

La sua promozione in prima squadra da gennaio in poi è stata più che altro la logica conseguenza della superiorità mostrata in Primavera. Barrow ha comunque dovuto superare un altro breve periodo di ambientamento: Gasperini gli ha concesso un paio di ingressi dalla panchina tra febbraio e marzo, ma è solo ad aprile che Barrow è entrato stabilmente nelle rotazioni, superando nelle gerarchie Petagna e Cornelius. L’esordio da titolare è avvenuto alla 32.esima giornata contro l’Inter, e nelle sei partite successive Barrow è stato il centravanti titolare in quattro occasioni, segnando tre gol e firmando un assist.

Gasperini ha insomma avuto bisogno di tempo per capire le sue caratteristiche: «Inizialmente dovevamo studiarlo bene per capire se poteva far meglio da esterno o da centrale». Barrow non si è subito imposto come centravanti: Gigi Sorrentino, l’agente che lo ha scoperto e portato in Italia, credeva di aver scoperto il nuovo Kaká, in Primavera ha anche giocato da esterno, ma ha iniziato a fare la differenza quando è stato spostato in pianta stabile al centro dell’attacco.

L’insieme delle sue caratteristiche, almeno all’inizio, non lo ha inquadrato in un ruolo preciso: Barrow ha lo spunto e la velocità per giocare sulla fascia e allo stesso tempo prende la porta con la naturalezza dei grandi attaccanti. La sua facilità di calcio ha impressionato sia Gasperini che il suo ultimo allenatore in Primavera, Massimo Brambilla, che in una dichiarazione riportata dalla Gazzetta dello Sport sottolineava come fosse rimasto colpito, dopo il primo allenamento, dal modo in cui Barrow calciava il pallone con entrambi i piedi, trovando la porta da qualunque posizione. Esclusi i tiri respinti, in campionato ha centrato lo specchio 14 volte sulle 18 conclusioni tentate.

La velocità e la pulizia nell’esecuzione è tipica di un attaccante d’area. Due dei tre gol segnati in Serie A sono praticamente identici: col primo tocco prepara la conclusione e poi supera il portiere con tiri sicuri e affilati che mostrano bene la sua tranquillità davanti alla porta.

Il primo gol in Serie A, contro il Benevento. Barrow ne ha segnato uno simile contro la Lazio, con lo stesso sviluppo e sempre su assist di de Roon.

Lontano dalla porta

Barrow ha già un ottimo senso per lo smarcamento: sa come apparire e scomparire dal campo visivo del difensore, lo disorienta e sfrutta la sua velocità sul breve per trovarsi davanti e anticiparlo anche quando parte alle sue spalle. Uno dei suoi movimenti preferiti è il taglio ad aprirsi ai fianchi del difensore centrale, che lo porta ad allargarsi sulla fascia o a trovarsi sul lato corto dell’area, dove il suo spunto può essere decisivo non solo per costruirsi il tiro, ma anche per rifinire l’azione con un cross. In campionato ha creato 11 occasioni, realizzando tra l’altro un assist per Freuler contro il Torino proprio con un cross.

Barrow contro Rossettini in campo aperto: non può che finire male per il difensore del Genoa. L’attaccante dell'Atalanta lo brucia e va a segnare.

Il suo raggio d’azione non si riduce quindi all’area di rigore. Pur senza dare l’idea di avere un senso per il gioco particolarmente sviluppato, ha qualità nello stretto e visione per partecipare alla manovra e trovare soluzioni non banali per darle continuità. Non è comunque particolarmente a suo agio quando deve proteggere la palla a contatto col difensore. Non è soltanto una questione fisica, c’entra anche il suo modo di giocare, finalizzato a costruirsi velocemente un’occasione per tirare in porta.

Barrow cerca di orientarsi fronte alla porta già col primo tocco, fidandosi della sua agilità e della sua rapidità per rimanere in possesso della palla anticipando il difensore, ma quando è a contatto col marcatore ed è costretto a giocare spalle alla porta sembra essere più insicuro, e anche il tocco diventa più grezzo. A volte, quando la sua squadra era schiacciata nella metà campo difensiva, è stato anticipato in modo plateale, sembrando pigro nel muoversi incontro e fare da riferimento in uscita. Il suo meglio lo ha mostrato quando si muoveva in profondità, allungando le difese avversarie e fornendo un’opzione per risalire velocemente il campo piuttosto che quando la squadra ha avuto bisogno di un riferimento su cui appoggiarsi nelle situazioni di difficoltà, un ruolo più adatto a Petagna e Cornelius.

La sua freschezza, i suoi movimenti in profondità e, soprattutto, la sua freddezza in area di rigore hanno però rinvigorito l’attacco dell’Atalanta nel finale di campionato, rendendo meno pesante l’assenza di Ilicic, che al rientro dall’infortunio ha spesso cambiato le partite dalla panchina sostituendo proprio Barrow. La scarsa prolificità di Petagna e Cornelius è stata uno dei più grandi problemi dell’Atalanta, che sembra aver trovato in Barrow il profilo ideale per completare la squadra con un centravanti capace di trovare il gol con continuità. Lo abbiamo visto troppo poco (444 minuti in tutto in campionato) per inquadrare il suo valore in maniera compiuta, ma l’esperienza dell’Atalanta e di Gasperini nello sviluppo del talento fanno pensare che Barrow si trovi al posto giusto per portare al livello successivo le ottime impressioni suscitate in queste sue prime presenze.

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