L’amore vive per antonomasia di eccessi e slanci: nel calcio ci si invaghisce di un giocatore per la dominanza assoluta o il padroneggiamento disinvolto di certe caratteristiche; oppure, a volte, anche solo per l’eleganza innata, e per la futuribilità. Rodrigo Bentancur è un tipo di calciatore che produce un effetto di quest’ultimo tipo. L’innamoramento iniziale, però, è fragile e soggetto a molti fattori esterni, spesso ci sono intoppi, tentennamenti, ritardi.
La Juventus ad esempio ha contrattato l’acquisto di Bentancur a stagione ancora in corso, ad aprile, ma Bentancur è rimasto “parcheggiato” al Boca Juniors, la società argentina in cui il giovane uruguayano è cresciuto e maturato, altri quattro mesi, sufficienti a permettergli di vincere il secondo titolo in tre temporadas da professionista. Se però Bentancur, oggi, non è ancora ufficialmente parte della nuova rosa dei campioni d’Italia è perché tesserarlo significherebbe occupare uno dei due slot a disposizione per i calciatori extracomunitari, rischiando di compromettere la strategia di mercato dei bianconeri.
Che giocatore è Bentancur?
Molto alto, molto esile, aggraziato ma anche - a prima vista - lento: sebbene non provochi giramenti di testa, Bentancur ha la malia, il fascino, il ritmo incantevole di una milonga. Non ha alcuna specifica abilità superomistica (non si invola in serpentine, non ha il genio, non è un razzo lanciato sull’orbita della fascia e non segna gol di rabona), ma nel suo gioco oltre all’eleganza c’è una coerenza - di scelte di gioco oltre che di stile - che seduce più di un innamoramento, che convince che magari possa trattarsi persino di un grande amore, di quelli affidabili.
Nella carriera di Bentancur, che è entrato nella rosa degli xenéizes solo due anni fa, cioè quando ne aveva solo 17, il punto zero è coinciso con il principio di tutte le incomprensioni.
È la sera del ritorno alla Bombonera di Carlos Tévez (18 luglio 2015) e del gol assurdo di Calleri al Quilmes. Bentancur entra quando la partita non ha più niente da dire, a dodici minuti dalla fine e da un tunnel elegantissimo, ma anche da un paio di altre partite giocate nei tornei de verano nel ruolo di enganche, nasce l’idea di Bentancur come - un altro, l’ennesimo - nuovo Riquelme. Con tutto quello che significa in termini di aspettative, responsabilità, e anche fraintendimenti.
La nobile arte del guadare
“El Uru”, come Bentancur è soprannominato a La Boca, ha compiuto quello che nell’argot spagnolo di metà secolo scorso veniva chiamato “cruzar el charco”, letteralmente: “attraversare lo stagno”. Da Montevideo a Buenos Aires, e da Baires in Europa, con un duplice salto è arrivato a dama. Nella parentesi di due stagioni e mezza è passato dalle giovanili del Boca, alla vittoria del campionato, al trasferimento alla squadra campione d’Italia e vicecampione d’Europa.
Ma lo spartiacque c’è stato anche nella consapevolezza dei propri mezzi e del proprio ruolo: nel centrocampo di Arruabarrena prima, e di Schelotto poi, è passato da vertice alto nel rombo della mediana a laterale sinistro e poi a cinco (cioè regista) in un doble pivote, adattandosi e affinando il proprio gioco fino a diventare un tipo di calciatore lontano dalle polaroid scattate agli esordi, più somigliante a quello che - ormai abbastanza formato - sarà a disposizione di Allegri: un calciatore che detta il tempo.
Nato e cresciuto a Nueva Helvecia, un angolo di Svizzera in Uruguay (un paese di diecimila abitanti che è anche il maggior produttore di latte del Paese), figlio del presidente dell’Artesano, la squadra locale, Bentancur è stato scoperto dal profe Horacio Anselmi, storico collaboratore delle giovanili del Boca.
A dodici anni si è trasferito a Buenos Aires e tre mesi dopo era già in squadra con quelli di 4 anni più grandi. Luis Luqez, che lo allenava, diceva ai dirigenti: «Conservatelo in una vetrina di cristallo e fate in modo che non se ne vada mai via da qua».
Il Boca ha dovuto fare ricorso per due volte al Tribunale Arbitrario dello Sport prima di ottenere il permesso di iscriverlo alle serie inferiori, per via della normativa FIFA che proibisce il tesseramento di minori. Hanno anche provato a fargli prendere la cittadinanza argentina. Una grande società come quella di Brandsen 805 non si scomoda così per un calciatore che non ha i crismi del predestinato.
Jorge Coqui Raffo, lo storico coordinatore e supervisore delle giovanili dei bosteros, aveva identificato da subito la principale caratteristica: l’adattabilità. Un calciatore così giovane non è necessariamente plasmabile: Bentancur invece era, per conformazione fisica e caratteriale, flessibile e focalizzato sul calcio. Tanto in campo quanto fuori.
Ancora Raffo racconta che «alla sua età tutti i ragazzi vogliono cazzeggiare, pensare alle ragazze, alle auto; lui era l’unico davvero triste quando gli toccò abbandonare la pensione, un posto che gli altri non vedono l’ora di mandare a fanculo». Bentancur è un giocatore polifunzionale: «È un giocatore universale: dove gioca, gioca bene».
«Tranne che in porta ho giocato da tutte le parti», aggiunge lui come se ce ne fosse bisogno, in un’intervista alla AUF, la Federcalcio uruguayana, prima del Sudamericano U20 di inizio anno, la competizione che ne ha di fatto decretato l’esplosione.
A contatto con i suoi coetanei, Bentancur ha dominato tanto davanti alla sua porta quanto negli ultimi venti metri, come dimostra il gran gol contro la Bolivia, in cui il primo controllo e la maniera in cui prepara il tiro sono zucchero filato.
Saper fare bene tutto e benissimo niente
La prima impressione guardando Bentancur giocare è quella di un giocatore capace di dare grande equilibrio alla sua squadra. Bentancur stupisce per l’eleganza e la tecnica: si muove tra avversari in bambola come una canna di giunco piegata dal vento, con una grazia e una naturalezza che lo rendono speciale, cioè. Nei recenti Mondiali U20, contro il SudAfrica, l’impressione che suscitava era quella di poterseli portar dietro come il pifferaio magico con i topi. Sebastian Coito, il tecnico della “Celeste”, ha dichiarato: «Se per il Boca è un giocatore complementare, per noi è il giocatore».
Ambidestro, con una predilezione per l’uso del destro, il principale vantaggio quando viene impiegato come interno sinistro è l’imprevedibilità dei movimenti e del ventaglio di scelte tra le quali può pescare la giocata: convergere verso il centro del campo non corrisponde sempre, come è intuitivo, a un cambio di gioco sulla fascia opposta, anzi è spesso un diversivo per disorientare l’avversario e innescare, con passaggi filtranti a incrociare la sua corsa, il laterale che arriva in sovrapposizione.
Rodrigo Bentancur, insomma, ha un talento innato per la gestione della palla e la creazione di trame di passaggio, anche se mai in modo troppo appariscente. Esistono calciatori portati a non rubare le luci della ribalta, pur ricoprendo un ruolo centrale negli equilibri della squadra. Bentancur è proprio uno di quei facilitatori, una pedina alla quale è richiesta l’eccellenza nei posizionamenti: più che un calciatore capace di spezzare le partite (cosa che occasionalmente può anche fare), uno in grado di rammendarne gli strappi.
L’apprendistato al fianco di Fernando Gago in un centrocampo a due gli ha permesso di crescere molto in questo aspetto del gioco, più che un fondamentale è un vero mood, un modo di essere in campo. Spogliato dalla pressione di dover impostare la manovra, facilitato nei compiti di copertura dalla capacità di lettura difensiva del “Facha”, Bentancur è emerso come un giocatore di appoggio, di rinforzo. Come si autodefinisce di lui: «Un giocatore di controllo».
Nella fase difensiva ha ottime statistiche di rottura: sia sotto il punto di vista degli interventi in tackle (2,5 a partita) che degli intercetti (2.4 a partita). Nel tempo gli è maturata una reattività che trasforma l’intercetto in transizione offensiva, e anche una cattiveria inattesa per uno col suo fisico longilineo.
Bentancur ha saputo imparare a utilizzare la sua conformazione fisica come strumento di controllo e creazione degli spazi vitali di gioco. Ovviamente ha iniziato a subire molti falli, che paradossalmente lo hanno rinforzato, aumentandone la resistenza agli urti, cosa che potrà ulteriormente migliorare di pari passo con la strutturazione muscolare.
La questione della fiducia
Rodrigo Bentancur è maturato così bene, e in così poco tempo che al Boca - tradizionalmente laboratorio specializzato in lunghe lievitazioni - la prima impressione è stata quella di un impasto anomalo, in cui deve esserci qualcosa di sbagliato: una miscela troppo piena di additivi, forse.
«Mettono in questione Messi, vogliamo che non mettano in questione me?», ha dichiarato con candore quando è scivolato negli uragani della contestazione. Disgrazia che gli è capitata spesso, più del normale in un contesto come quello del calcio argentino, in cui la valutazione (a volte sopravvalutazione) dei talenti viene raramente messa in discussione, forse per non compromettere la possibilità di monetizzare uno scambio da cui a volte dipende la sopravvivenza di una società.
La sovraesposizione di Bentancur ha portato anche a momenti sanguinosi, quando i tifosi del Boca gli hanno rimproverato una certa leziosità. Ad esempio, a sei giornate dal termine, della Primera 2015 una sua malcapitata lettura di gioco mise Mauro Matos del San Lorenzo nelle condizioni di segnare un gol che sarebbe potuto valere il campionato. Bentancur in quell’occasione uscì dal campo in lacrime.
Ma Arruabarrena, che credeva fortemente in lui, una settimana più tardi lo schierò titolare nel Superclásico contro il River, e Bentancur non deluse le aspettative.
Resta da capire se in Italia, in un contesto più competitivo e affamato di quello in cui si è formato, Bentancur possa dare un contributo all’altezza delle attese. La Juventus, per il livello di superiorità che è capace di esercitare, per il calcio “di controllo” tecnico e mentale di Allegri, somiglia molto al Boca: ma l’Argentina non è l’Italia, e chissà che a Rodrigo non possa far comodo una stagione in prestito, in apprendistato anche emotivo.
Dipenderà forse di più da scelte di altro tipo, dallo slot per l’extracomunitario e quindi, indirettamente, dalle scelte di altri giocatori, e dalle scelte della società bianconera riguardo altri giocatori. Da quello che ci ha fatto vedere nei suoi due anni scarsi di professionismo, se riuscisse a colmare alcune lacune e a maturare in altri aspetti del suo gioco in cui pare ancora acerbo, Bentancur potrebbe davvero diventare uno dei centrocampisti più completi degli anni a venire.
È vero che da giovani ogni innamoramento pare l’ultimo e definitivo, e si è pronti a bruciare per l’infatuazione di una sera, ma è vero anche che solo i grandi amori possono permettersi il privilegio dell’attesa.