Questo articolo è stato realizzato in collaborazione con NOW TV.
La sconfitta con la Juve del 29 ottobre aveva scaraventato il Napoli a sette punti dalla vetta, ponendo una serie di punti interrogativi sul vero valore degli “azzurri”. Sarri nel dopo partita aveva preferito evitare discorsi riguardo eventuali ambizioni scudetto, appellandosi alla media età della rosa. In conferenza stampa avevano poi destato scalpore le parole su Insigne, irritato per via della sostituzione a metà secondo tempo.
Con la doppietta di Udine sembra sia tornato il sereno tra Lorenzo e il suo pubblico, ma fino a qualche settimana fa mai la popolarità di Insigne a Napoli era stata così bassa. Sarri aveva addirittura definito “deludenti” alcune sue prestazioni. Un termine forse più utile per definire i ruoli all’interno dello spogliatoio piuttosto che per descrivere oggettivamente il rendimento di Insigne, che comunque aveva già servito più assist di tutti in Italia. Come dimostrano le scuse dell’attaccante, non è mai esistito un “Sarri vs Insigne”, ma rimane una mossa non intelligentissima esprimere un disappunto di quel tipo considerato il rapporto particolare tra il giocatore e il pubblico di Napoli.
Già Di Natale e Quagliarella avevano dimostrato come potesse essere difficile per un napoletano avere a che fare con il proprio pubblico. Insigne rischia di essere la prossima vittima del legame tra attaccanti partenopei e Fuorigrotta.
Insigne è diventato bersaglio di critiche durante il primo anno di gestione Benitez, dopo la stagione di ambientamento nel 3-5-2 di Mazzarri. La tifoseria probabilmente sognava di ritrovare in Lorenzo un fuoriclasse capace di decidere da solo le partite, una specie di versione autoctona di Lavezzi. Il Pocho, con i suoi dribbling, è rimasto nel cuore dei napoletani anche più di Cavani, soprattutto perché al San Paolo ha rappresentato il prototipo di giocatore più vicino a Maradona dai tempi di Diego stesso. Gli si imputava solo la scarsa vena realizzativa, mentre invece Insigne veniva da una stagione da venti gol, condita oltretutto da una facilità nel saltare l’uomo che poteva designarlo erede naturale dell’argentino.
Alla base della delusione dei tifosi del Napoli esiste quindi un equivoco tecnico. L’acquisto di Mertens poi ha solo “peggiorato” la situazione. Il belga ha qualità più facilmente riconoscibili di quelle di Insigne: il dribbling, il tiro dalla distanza, una freschezza atletica che gli permette di essere determinante anche da subentrato. Caratteristiche che Insigne possiede, anche se in misura minore, e infatti da tempo i tifosi azzurri invocano un posto fisso da titolare per il belga. Tuttavia sarebbe ingeneroso bistrattare Insigne e sminuirlo ad epigono del proprio compagno.
Se però smettessimo di cercare in Insigne il giocatore che non è, e provassimo invece ad apprezzare ciò che lo rende speciale, ci accorgeremmo che Insigne può essere molto utile a questo Napoli.
Premesse
L’inizio dei fraintendimenti su Insigne risale forse all'anno della sua esplosione. Dopo un’annata da 19 gol a Foggia, Insigne si fa notare soprattutto durante la stagione 2011/12, quella in cui il Pescara di Zeman travolge la Serie B e conquista la promozione segnando 90 reti. Insigne in campionato mette insieme 18 gol e 14 assist; numeri di assoluto spessore ma che non descrivono al meglio la superiorità tecnica dell’ala pescarese in cadetteria: nessun difensore è in grado di limitarlo, il suo dribbling secco lascia l’avversario con i piedi piantati per terra, in transizione diventa indifendibile. Personalmente non ricordo un altro giocatore italiano capace di saltare l’uomo con una facilità così disarmante; ne riconosce il talento anche Ciro Ferrara, allora CT dell’Under 21, che gli affida la maglia numero 10. Gli schemi di Zeman gli permettono di arrivare al gol in più modi: tagliando nello spazio alle spalle della difesa schierata, accompagnando la transizione offensiva, anche di testa sfruttando il gran numero di uomini che il Pescara porta in area in occasione dei cross. Senza considerare poi le reti frutto del talento individuale e dello studio del suo idolo d’infanzia, Alessandro Del Piero. Quando riesce a raggiungere il vertice sinistro dell’area e a puntare l’avversario spesso prova la conclusione a giro sul secondo palo. Da quella stessa posizione dimostra una certa propensione all’assist per il taglio dell’ala sul lato opposto, situazione di cui beneficerà soprattutto capitan Marco Sansovini, autore quell’anno di 16 reti, suo record personale.
Insigne ha l’aria della “next big thing” del calcio italiano e Prandelli gli regala l’esordio in nazionale maggiore nel settembre del 2012. È questo il periodo in cui si genera quell’aspettativa alla base delle incomprensioni tra l’ambiente Napoli e Insigne. Durante la prima stagione in A è costretto a dividere il posto di fianco a Cavani con Pandev, che nelle gerarchie di Mazzarri è leggermente favorito. Agisce da seconda punta e mette insieme 5 gol e 7 assist, con i quali comunque Insigne non riesce a sostituire Lavezzi nel cuore del pubblico. Si comincia ad avere l’impressione che il margine di miglioramento di Insigne in Serie A non sia così ampio, anche perché non riesce a sfruttare le caratteristiche che in B lo avevano reso immarcabile. Impressioni confermate anche durante le due annate di gestione Benitez. Sono le stagioni più difficili, in cui è costretto a coprire tutta la fascia ed è più lontano dalla porta. Dopodiché Insigne ritrova serenità con l’arrivo di Sarri, nel cui sistema affina l’intesa con Higuain ed accresce la propria influenza sul gioco.
Insigne ad oggi in Italia è un giocatore di fascia medio alta per motivi che spesso si discostano da quella che è la percezione comune su di lui. Durante gli Europei i tifosi lo invocavano come l’estroso che avrebbe cambiato le sorti del match con un dribbling o un tiro a giro sul secondo palo, quasi come se fossimo ancora in Serie B. Ma Insigne è diventato un giocatore degno del palcoscenico internazionale proprio riconoscendo di non giocare più in B, accettando quindi i propri limiti e cercando di aggirarli, creando un giocatore diverso da quello che ci saremmo aspettati di ammirare nell’estate del 2012.
Chi ha bisogno del dribbling?
L’aspetto che più salta all’occhio nel passaggio di “Lorenzinho” dalla B alla A è la riduzione dell’uso del dribbling, suo punto di forza in cadetteria. Il nostro campionato è crudele: così come gli allenatori riescono facilmente a prendere le misure e a inibire i propri colleghi, anche i calciatori studiano gli avversari per poterne limitare il talento. In questo senso Krasic e Gervinho sono gli esempi più indicativi. Insigne è stato costretto a sua volta a rinunciare spesso all’uno contro uno. Nel caso dei primi due tuttavia i difensori hanno saputo sfruttare il loro gioco piuttosto monodimensionale negandogli la profondità. Teoricamente questo discorso con Insigne sarebbe meno efficace: in B era in grado sia di sgusciare verso il fondo che di rientrare verso l’interno. A limitarlo è soprattutto il fisico che, aldilà dei 163 cm di altezza, non ha l’esplosività per lasciare l’avversario sul posto. Questo perché, banalmente, il livello atletico in A è più alto che in B.
A ciò si aggiunga che anche i terzini meno aitanti hanno compreso le dinamiche dell’uno contro uno di Insigne e sanno bene come detonarlo. Quando si trova in isolamento contro il proprio marcatore, questi tende a chiudergli il lato interno, spingendolo sull’esterno per sfruttare la superiorità atletica e rubargli palla. Perciò Insigne, consapevole di questa debolezza, prova a forzare il rientro anche nelle situazioni più sfavorevoli, finendo per calciare addosso all’avversario o perdendo palla per via di un eventuale raddoppio. Problema che invece non riguarda Mertens, la cui potenza di gambe gli permette di essere una minaccia sia conducendo il pallone verso il fondo sia rientrando sul destro.
Situazione paradossale nella partita contro la Lazio: riceve ed è libero di girarsi. Biglia copre l’ interno invitandolo a puntare la difesa, ma Insigne teme che l’argentino intervenga e gli rubi palla. Allora decide di rientrare nonostante Biglia copra proprio quel lato, finendo inevitabilmente per perdere il possesso.
Non aiuta neanche il sistema di Sarri che costringe le altre squadre a difendersi a ridosso della propria area; per sfruttare i duelli individuali Insigne avrebbe bisogno di puntare frontalmente un difensore con ampi spazi alle spalle approfittando quindi della sua rapidità sul breve, ecco perché un sistema improntato sulle transizioni piuttosto che sul controllo alzerebbe la media dei suoi dribbling.
Insigne ha imparato a sopravvivere anche senza saltare l’avversario: in fondo basta essere consapevoli di giocare in undici. Ha sviluppato per questo ulteriormente la propria lettura degli spazi e dei movimenti dei compagni in zone del campo anche diverse dal vertice sinistro dell’area avversaria. È naturale che ciò sia avvenuto con Sarri, che predilige una serie di scambi rasoterra veloci per arrivare con più giocatori possibili a ridosso dell’area avversaria. La sua zona di influenza si è spostata sempre di più verso il centro, trasformandolo praticamente in un trequartista associativo più che in un’ala sinistra: è il miglior attaccante italiano nella lettura e nell’occupazione degli half-spaces. Ama muoversi alle spalle dei centrocampisti avversari e preferisce la ricezione dinamica rientrando dalla fascia sinistra, grazie alla quale riceve già in movimento e può orientare il controllo verso la porta avversaria. Sono stati utilissimi per giungere a questa conoscenza degli spazi gli interscambi con gli altri due elementi della catena laterale sinistra del Napoli, Hamsik e Ghoulam. Non è raro oggi vedere Insigne agire quasi da mezzala di possesso anche per favorire i movimenti dello slovacco e dell’algerino. Una capacità di facilitare il possesso e quindi la proposta di gioco della squadra che lo rende un giocatore più associativo di Mertens.
La visione è tutto
Da qui arriviamo all’unicità di Insigne nel panorama italiano. Una capacità di analisi degli spazi e dei movimenti da regista trasferita in un’ala sinistra. Questo spiega anche perché la catena sinistra del Napoli resta una minaccia costante per gli avversari. Può capitare, come detto, che Hamsik avanzi e allora Insigne decida di scalare mezzala. In pochi possono permettersi di interscambiare due elementi con questa visione di gioco. Insigne conosce perfettamente i movimenti degli attaccanti. Ha imparato negli anni a capire come sorprendere controtempo le difese e avere dalla propria parte un maestro dei movimenti senza palla come Callejon rappresenta un vantaggio inestimabile e produce frutti come questi.
Sempre sulla catena sinistra, spesso il Napoli riesce a creare dei buchi a ridosso dell’area in cui Hamsik può sfruttare i propri inserimenti. Diventano quindi fondamentali i filtranti verso lo slovacco, come in occasione del gol del 2 a 0 al Chievo nel settembre scorso.
Insigne riceve nell’half space e manda in porta Marekiaro.
La sua zona di smistamento palloni preferita però resta il vertice sinistro dell’area. Sin dai tempi di Pescara è ormai un’abitudine piazzare il pallone sul lato opposto per il taglio della punta/ala/mezzala alle spalle del difensore. In questo caso è notevole la varietà di soluzioni con cui riesce a riprodurre un gesto così automatico: spostandosi prima la palla con l’esterno verso il centro del campo, aprendo improvvisamente il piatto o anche con lo scavetto. Insigne ormai potrebbe apporre il proprio trademark sull’assist verso il lato debole, un po’ come Totti con i filtranti dettati dal terzo occhio o Robben con i tiri di sinistro a rientrare. Già quest’anno ne ha realizzati tre, l’ultimo nella partita contro la Juventus.
L’assist per Callejon allo Stadium è particolarmente interessante. Bisogna notare come Insigne, con uno spazio alle spalle della difesa ridottissimo, riesca a processare lo spazio e a individuare l’unico punto in cui lo spagnolo può calciare, scegliendo una traiettoria di passaggio che riesca a evitare l’intervento dei difensori. Sintomo di una sensibilità di piede e di una visione di gioco non comune.
Ovviamente però preferisce bucare difese che concedono la profondità. In alcuni casi addirittura lo spazio riesce a crearlo lui stesso con la conduzione di palla verso il centro. Era una situazione che si verificava spesso durante le prime giornate dello scorso campionato, quando ancora in pochi avevano decrittato il Napoli di Sarri. Poi, come al solito, la Serie A si è adattata e ha preferito ridurre al minimo la distanza dalla linea di fondo.
Insigne con la conduzione attira Mauricio mentre la posizione di Higuain costringe Hoedt a restare alto. Allan si trasforma in Sansovini e attacca lo spazio alle spalle della difesa.
La porta è lontana
Di volta in volta dunque Insigne deve trovare la posizione migliore in campo per ricevere e attivare i propri filtranti. Un modus operandi che spesso lo porta lontano dall’area di rigore. Quest’anno il Napoli cerca ancora di più il consolidamento del possesso a centrocampo e ovviamente il ruolo di Insigne/Mertens è fondamentale. L’anno scorso invece si cercavano sbocchi ancora più diretti sfruttando la presenza di Gonzalo Higuain. Il primo a beneficiarne era proprio Insigne che poteva attaccare gli spazi creati dal Pipita.
Higuain si muove incontro e costringe Zapata a restare alto. Insigne scambia col Pipita e attacca lo spazio creatosi alle spalle del difensore colombiano.
Quest’anno si è sbloccato solo contro l’Udinese, ma non si capisce quanto possa migliorare il proprio score. Milik tornerà solo nel 2017 e comunque sembra meno propenso di Higuain a venire incontro ed aprire spazi. Stesso dicasi di Gabbiadini, la cui influenza sul gioco resta minima. A ciò si aggiunga la già citata importanza di Insigne nel consolidamento del possesso del Napoli sul centro sinistra. Non segnare peraltro lo pone in una difficile situazione psicologica, che ne condiziona le scelte in negativo. Al momento Insigne è il giocatore ad aver provato più tiri da fuori area, 3 ogni 90 minuti, tra quelli che hanno giocato più di un’ora.
Sarà importante l’adattamento di Insigne a questa situazione. Deve essere frustrante sentirsi apprezzati a fasi alterne dalla propria gente quando basterebbe un minimo di attenzione in più per notare l’unicità di un giocatore che in Italia ad alti livelli rappresenta ancora un unicum. Potrebbe magari decidere di andare in Spagna dove in una scala di talento si piazzerebbe a metà tra Isco e Ibai Gomez, chi lo sa. Sicuramente Insigne dovrebbe dare meno importanza all’opinione dei tifosi, consapevole del proprio status nelle gerarchie di un top club in Italia. I tifosi del Napoli dovrebbero provare ad apprezzare un giocatore senz’altro speciale, anche se non nel modo che loro si aspettavano.
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