Internet, sono deluso. Ieri sera ho letto alcuni commenti della “lite” tra Antonio Conte e Fabio Capello e, sinceramente, mi aspettavo di meglio. Non sono neanche sicuro che si possa parlare di un vero e proprio battibecco perché Conte alla fine dice che forse, ok, non ha sentito tutto quello che aveva detto Capello, che a sua volta ha sciolto tutto in una tisana di complimenti concludendo con un “tanto di cappello” involontariamente autoironico.
In realtà, da quel battibecco successivo alla vittoria dell’Inter sul Napoli, al San Paolo, può nascere un discorso interessante. L’Inter gioca davvero “in contropiede”? Cosa si intende con la stessa parola contropiede, è davvero un sinonimo di ripartenza come sembra intendere Capello (che a un certo punto dice: «Vuoi che ti dica ripartenze, che sia più moderno»)?
È interessante che neanche due allenatori con più trofei nelle loro bacheche personali della maggior parte dei club italiani riescono ad essere d’accordo su una cosa così specifica. Conte parte in quarta perché collega all’idea di una squadra che gioca in contropiede anche un’identità difensiva, di una squadra che si abbassa e riparte. Idea che non corrisponde a quella che ha della sua Inter. Capello allora dice che non è quello il punto, che non è cieco, lo vede che l’Inter fa anche pressing alto. Ma, aggiunge, «la vostra forza», la forza dell’Inter, è che quando vengono avanti gli avversari giocano delle ripartenze formidabili.
Conte da quel punto non risponde più, se vi sforzate un pochino si vede un velo sottile che gli scende davanti agli occhi e in fronte gli si può leggere chiaramente: “OK, questa discussione finisce qui”.
Ma quindi è vero che l’identità, la forza dell’Inter, sono le ripartenze? È giusto metterla in questi termini oppure, come anche molti tifosi nerazzurri sembrano aver preso la questione, così si sminuisce il lavoro di Conte e la straordinarietà dei risultati della sua squadra?
Questo è un contropiede? Una ripartenza?
È vero che l’Inter gioca anche delle fasi di difesa posizionale in cui le può capitare di abbassarsi molto, ma sarebbe giusto dire che quella è la sua identità? Secondo me no, anzitutto perché l’Inter di Conte non è solo una squadra che “quando c’è da pressare alto pressa alto”, ma che lo fa strategicamente e anche piuttosto bene.
È la quarta squadra in Serie A ad aver effettuato più recuperi offensivi (15 a partita), viene dopo Napoli, Atalanta e Juventus; ed è anche la quarta con l’indice PPDA più basso (se non sapete cos’è, qui c'è una spiegazione), dopo Bologna, Torino e Juventus. Il che significa che è una delle squadre che in Italia difende il più spesso lontano dalla propria porta e che lascia giocare meno tempo le sue avversarie. Quindi è una delle squadre che fa meno contropiede, che più che ripartire (il termine dovrebbe presupporre quanto meno che ci si è fermati prima) non si ferma mai, che unisce la fase difensiva e quella offensiva.
Il termine moderno che avrebbe fatto comodo a Capello, semmai, era quello di transizioni offensive (intesi come quegli attacchi rapidi giocati nei secondi immediatamente successivi al recupero del pallone). Perché l’Inter è una squadra verticale (anche Allegri qualche settimana fa aveva confuso gioco verticale e contropiede) e che se ha spazio lo sfrutta. Quello spazio l’Inter può trovarlo grazie a un recupero aggressivo o a una perdita del pallone dovuta a un errore avversario (vedi il primo gol segnato al Napoli, dopo che Di Lorenzo è scivolato), e quindi attaccare in transizione, ma molto spesso l’Inter se lo crea da sola. Con il palleggio basso. Costruendo palleggiando fin da dentro la propria area.
Questa certamente non è una ripartenza e neanche una transizione. È un'azione costruita con il palleggio basso e poi giocata in verticale.
Dario Pergolizzi nella sua analisi ha scritto: «Bisogna ricordare, infatti, che nonostante venga spesso frainteso per un vecchio calcio all’italiana di catenaccio e contropiede, il gioco di Conte include al suo interno diversi principi del gioco di posizione, a partire dall’idea di voler attirare la pressione avversaria attraverso un possesso basso ragionato al fine di liberare spazio alle spalle della prima linea di pressione avversaria».
Se si parla dell’identità dell’Inter bisogna parlare per forza di cose del palleggio basso con cui vuole allungare la squadra avversaria, attirare avversari e creare spazi oltre la linea di pressione. L’inter è la seconda squadra, dopo il Genoa, ad effettuare più passaggi nel proprio terzo di campo e solo la decima per possesso totale, il che dovrebbe far capire quanto insiste su questo aspetto.
È vero che con il palleggio l’Inter cerca di raggiungere velocemente le due punte, ma anche i loro movimenti sono pensati per dilatare (in orizzontale e in verticale) gli avversari. Semmai la velocità con cui attacca l'Inter spiega il possesso palla "solo" al 52.6% in media, bassino per una squadra di vertice. Offensivamente l’Inter poggia molte sulle capacità della coppia Lukaku-Lautaro ma non si può semplificare omettendo tutto il lavoro preparatorio che fa il resto della squadra e che li porta in alcuni casi davvero a trovarsi a memoria.
Questo è il lavoro di Conte, normale che non gli faccia piacere che si parli di contropiede.
Candreva e Vecino si troverebbero così al volo anche se non li allenasse Antonio Conte? Non credo.
Se si vuole parlare dell'identità dell'Inter bisogna tenere comunque conto che è tra le migliori squadre del campionato per ogni statistica offensiva: terza per passaggi effettuati all'interno dell'area di rigore avversaria, quarta nei tiri in porta medi a partita, quinta nei tiri da dentro l'area, quinta per xG prodotti. Perché parlare del fatto che quando le capita di ripartire con l'avversario sbilanciato sono bravi, dire che quello è il loro forte, anziché elogiare la complessità del sistema di Conte (che non è privo di difetti, certo, né esente da critiche).
Ma in maniera più oggettiva, o quanto meno in un modo che mi sembra più difficile da discutere, il punto è che non si può parlare di contropiede né di ripartenza quando una squadra fa sbilanciare l’altra con il possesso palla.
E infatti il dato statistico che conteggia i tiri arrivati su contropiede (intesa come una transizione veloce successiva al cambio di possesso del pallone) dell’Inter è incredibilmente basso: solo 12 tiri su 296 sono arrivati su questo tipo di azione. Il 4%, la stessa percentuale dei tiri della Juventus che di solito è invece una squadra attacca posizionalmente.
Se avessi usato subito questo dato però avrei rischiato anche io di farne una questione di termini, mentre il problema mi sembra avere a che fare con una questione più ampia, che è quella dell’aggiornamento del linguaggio calcistico italiano (al bar, in TV, sui giornali) e forse anche delle idee calcistiche.
In Italia si percepisce chiaramente un’avversione per il gioco costruito a partire dalla difesa. È un discorso che inizia ad essere vecchio ma che è sempre attuale. Proprio ieri Riccardo Cucchi, a cui va tutto il mio amore, si chiedeva su Twitter a cosa servissero “i passaggi in orizzontale” davanti alla propria area. A inizio anno uno dei principali quotidiani italiani scriveva addirittura che la nuova regola, per cui i difensori possono venire a prendere palla all’interno della propria area su rimessa dal fondo era un “attentato al tiki taka” e avrebbe fatto “dimenticare” la costruzione dal basso, anziché incentivarla (cosa che continua a sembrarci oggettivamente sbagliata).
Persino nel commento algoritmico su FIFA 2020 si parla ancora male di questo fantomatico tiki taka e quando spazzo con un difensore (generalmente perché ho sbagliato tasto) l’algoritmo mi fa fare i complimenti da Pierluigi Pardo. Che insomma, fanno sempre piacere, ma sarebbe bello se me li facesse anche quando riesco a fare belle azioni di prima costruite a partire dal portiere.