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Inter e Napoli sono più vicine
27 dic 2018
L'equilibrio dello zero a zero si è spaccato all'improvviso con il gol di Lautaro Martinez.
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12 min
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I dati dell'analisi sono gentilmente offerti da Opta.

Ci sono partite che sembrano non trovare mai un vincitore, fino quasi a trasformarsi in una saga sulla difficoltà di vincere in un gioco a basso punteggio come il calcio. È stato il caso di Inter e Napoli: una saga di qualità, con grandi interpreti, diventata una sorta di compendio addirittura sulla difficoltà di segnare un gol. Dopo i due 0-0 della scorsa stagione, la respinta di Asamoah sul tiro di Zielinski a colpo sicuro a due minuti dalla fine sembrava indicare che anche la sfida di Santo Stefano avrebbe rappresentato un altro, ricco, capitolo di questa strana storia. Per motivi di classifica questo Inter-Napoli era una partita da vincere a tutti i costi, ma che avrebbe portato soprattutto conseguenze negative in caso di sconfitta

Improvvisamente, al 91’, l’equilibrio degli zeri si è interrotto con il gol di Lautaro Martínez: e così il Napoli ha perso una partita che sarebbe finita giustamente in parità. Non ci sono grandi colpevoli dietro la sconfitta del Napoli: è andata semplicemente così - Spalletti ha detto che avrebbero entrambe meritato la vittoria, ma può vincere una sola squadra. Ci sono stati però alcuni spunti tattici molto interessanti, giocatori che hanno indirizzato il risultato più di altri, e ci sono riflessioni che sarebbero probabilmente le stesse anche senza il gol di Lautaro.

La mossa di Ancelotti

Ci si attendeva una partita molto aggressiva da entrambe le squadre, naturalmente portate a difendere in avanti, ma era difficile aspettarsi un quadro tattico così particolare. Nel 4-3-3 dell’Inter, Spalletti inseriva Borja Valero al posto di Nainggolan a far compagnia a Joao Mario come mezzala. In questo modo, l’allenatore nerazzurro provava una mossa rischiosa per risolvere contemporaneamente due problemi, in base all’adagio per cui “chi attacca bene, difende bene”. Da un lato voleva ridurre i cronici problemi di prevedibilità della manovra offensiva dell’Inter, grazie ad un triangolo di centrocampo molto associativo e pienamente a proprio agio nella gestione del pallone e nella creazione di superiorità posizionale (ricevere alle spalle della linea di pressione avversaria); dall’altro, puntava a una maggior densità in zona palla, e una maggior vicinanza tra le linee - che spesso invece nell’Inter sono troppo lunghe - per permettere un recupero immediato del pallone perso. L’Inter ha preferito abbassare in modo significativo la propria fisicità a centrocampo per guadagnarne in compattezza e fluidità di gioco, in qualche modo costringendosi ad essere ancora più aggressiva sull’inizio azione del Napoli.

Al 24esimo cambia tutto.

Ma le sorprese maggiori erano sulla lavagna del Napoli, che già da tempo Ancelotti ha risistemato con un 4-4-2 in fase difensiva che diventa invece 3-5-2 o 3-4-3 (in base alla posizione di Fabián Ruiz) in fase di possesso. La grande novità era la posizione di Callejón da terzino destro (con Fabián Ruiz esterno alto a destra), con l’obiettivo, dichiarato dopo la partita, di tenere più basso Perisic, visto che le ali dell’Inter hanno il compito di seguire i terzini avversari in ripiegamento. Dal raggiungimento di questo obiettivo, però, Ancelotti faceva probabilmente discendere tutto un insieme di conseguenze tattiche, perché al 4-4-2 difensivo del Napoli seguiva invece in possesso palla una sorta di 2-3-4-1.

L’abbassamento di Perisic, seconda punta occulta dell’Inter, avrebbe comportato l’isolamento di Icardi, con i due difensori centrali in superiorità numerica. La seconda linea da 3, con Hamsik affiancato da Allan e Zielinski, avrebbe consolidato l’inizio azione impegnando i tre centrocampisti avversari, e creando spazio alle loro spalle, dove appunto avrebbe agito la linea di 4 (da destra: Callejón - Fabián - Insigne - Mario Rui). L’obiettivo in questo caso era di garantire ricezioni continue nei mezzi spazi per Fabián e Insigne, e allargare la difesa avversaria con i due terzini posizionati alti - così da mandare in crisi i due difensori centrali, costretti a difendere la profondità di Milik, l’ampiezza e anche uscire in copertura nei mezzi spazi. Un piano estremamente elaborato, e che come a volte succede nel calcio, forse troppo difficile da implementare: il Napoli ha sofferto moltissimo l’aggressività dell’Inter nei primi 24 minuti, fino cioè alla sostituzione di Hamsik per infortunio, e al ritorno alla normalità tattica.

I due centrali sono fuori inquadratura, ma è ben visibile il 2-3-4-1 in fase di possesso di Ancelotti: qui Milik attacca la profondità allungando la difesa avversaria, ma in zona palla il Napoli è in netta inferiorità numerica, e la linea dei 4 è troppo piatta, con Insigne che in questo caso non garantisce né una ricezione dietro la linea nerazzurra né uno scarico facile per Mario Rui.

La pressione di Spalletti

Nel primo tempo il contesto tattico è stato deciso da Spalletti, che ha saputo aggredire il Napoli usando gli strumenti giusti: difendere in avanti e rimanere corti, evitando di spezzarsi. A fine partita il baricentro medio (50,3 m) è risultato più alto di circa 3 metri rispetto alla media stagionale (nonostante il notevole abbassamento nel secondo tempo), con la squadra molto corta (33 metri, due metri in meno del Napoli) e molto più compatta centralmente (47,9 metri, quasi 4 metri più stretta del Napoli).

Il meccanismo di pressione alta dei nerazzurri nei primi 25 minuti ha mandato in confusione l’inizio azione del Napoli come forse si era visto solo a Liverpool. Dai tre esempi di seguito si intuisce che l’obiettivo di Spalletti era di addensarsi in zona palla - ma tenendo sempre un uomo largo sul lato debole, anche a costo di portare quasi tutti gli uomini nella metà campo avversaria. Per riuscirci, l’allenatore nerazzurro aveva bisogno della massima applicazione di Joao Mario e Borja Valero, in effetti molto aggressivi (ben 5 e 8 palloni recuperati a fine partita).

Quest’agressione sistematica ha costretto gli azzurri soprattutto a lanciare lungo sperando di raggiungere Milik o a volte semplicemente per alleggerire: fino all’infortunio di Hamsik al 21’ ben 14 lanci lunghi, che a fine partita diventeranno 57, addirittura 13 in più dell’Inter, una squadra spesso abituata ad andare in verticale. Il Napoli si è ritrovato in un contesto tattico poco gradevole, e la soluzione escogitata inizialmente non sembrava fornire alcun vantaggio alla squadra, apparsa invece insolitamente in difficoltà nel trovare delle routine di uscita del pallone dalla difesa.

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Il primo tempo dell’Inter è stato notevole anche per il modo in cui ha gestito il pallone, sia nell’inizio azione sia per fluidità sulla trequarti. Nei primi 20 minuti, anche per colpa dei continui lanci lunghi del Napoli, il possesso nerazzurro è arrivato addirittura a circa il 60%, per poi chiudersi nel primo tempo al 57%, un dato che sarebbe stato semplicemente impossibile ai tempi del Napoli di Sarri. Per resistere alla pressione alta del Napoli, che andava in 3 vs 3 sulla salida lavolpiana nerazzurra (Brozovic si abbassava tra i centrali), l’Inter poteva sfruttare l’abbassamento della mezzala sul lato forte, e se necessario anche dell’altra.

A fornire un’ulteriore linea di passaggio poteva essere anche Icardi, che molto spesso nella partita si staccava dai centrali per dettare una ricezione tra le linee: un set di movimenti che ieri ha aiutato molto la sua squadra ad attaccare in modo più convincente. Inoltre, le mezzali si posizionavano a volte molte strette sulla trequarti, per permettere le ulteriori ricezioni di Politano nel mezzo spazio, con la salita di D’Ambrosio, permettendo così di occupare tutti i corridoi di gioco.

Nonostante un grande primo tempo, l’unica vera occasione creata dall’Inter è al 42’, ma è un’ottima dimostrazione di tutti gli strumenti usati dalla squadra con il pallone: nell’inizio azione, la pressione 3 vs 3 del Napoli spinge Handanovic a cercare un passaggio lungo per Asamoah sulla fascia, che viene raggiunto perfettamente ed è libero di condurre. Il pallone verrà poi girato sul lato debole, con D’Ambrosio tutto solo mentre Politano detta un passaggio tra le linee; in soccorso del terzino, che non va al cross, arrivano subito Politano e Borja Valero, ed è proprio quest’ultimo ad effettuare un cross dal limite, con l’altra mezzala J. Mario ad attaccare l’area e creando così un pericoloso 3 contro 3 con i centrali del Napoli. In qualche modo Icardi è riuscito a trasformare un pallone complicato in una pepita d’oro, che solo un maestoso Koulibaly è riuscito a spingere via dalla riga di porta.

La calma del Napoli

La grande pressione dell’Inter nel primo tempo, soprattutto fino all’infortunio di Hamsik e poi negli ultimi 10 minuti, non è riuscita a produrre granché anche grazie al modo in cui il Napoli ha saputo riadattarsi alla partita. Uno dei pregi del nuovo corso ancelottiano è che la squadra può essere così fluida da adattarsi a quasi ogni contesto di gara: in questo caso, però, è stato anche di grande giovamento tornare ad uno schieramento tattico standard. Con l’ingresso di Maksimovic a terzino destro, Callejón è andato più in avanti e Fabián Ruiz sull’altra fascia (per dettare ricezioni nel mezzo spazio), con il normale scivolamento fluido tra 4-4-2 e 3-5-2 a cui il Napoli ci ha abituati in questi ultimi mesi. Probabilmente anche grazie a una naturale pausa dell’Inter, da quel momento in poi il Napoli ha almeno cominciato a soffrire meno in inizio azione, e soprattutto ho ricominciato a trovare l’uomo dietro la linea di pressione avversaria.

Grazie al miglior posizionamento in campo e al calo dell’Inter, che non è più riuscita a pressare con grande intensità, il Napoli ha completamente ribaltato l’andamento del primo tempo: ha dominato il pallone (57% di possesso nel secondo tempo), ha occupato la metà campo avversaria (62% di vantaggio territoriale), ha aumentato la precisione nei passaggi di due punti percentuali riducendo di molto quella interista. Le migliori spaziature dei partenopei hanno permesso una maggiore circolazione del pallone, rendendo più difficile all’Inter la risalita: così nel corso del secondo tempo la squadra di Spalletti ha accettato di difendere spesso posizionalmente, ben consapevole delle capacità della propria linea difensiva, ma quasi annullando le possibilità di colpire in transizione.

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Insigne e Milik completamente circondati da maglie nerazzurre: così sono tagliati fuori da qualunque rifornimento, mentre Callejón che ama attaccare lo spazio è in conduzione e non sa chi servire, perché la squadra è stata allungata dal movimento in profondità delle punte. Nella passmap è evidente l’isolamento delle due punte ma soprattutto di Milik, che praticamente non riceve passaggi dai compagni (solo 14).

Al dominio del Napoli non è corrisposto alcun pericolo offensivo, sostanzialmente perché Milik è sembrato tagliato fuori dalla squadra, e a volte anche Insigne, nel nuovo ruolo di seconda punta occulta, non ha toccato molti palloni. Il Napoli adesso è meno ossessivo e quindi meno prevedibile a livello offensivo, non addensa più giocatori sul lato forte sinistro per attaccare con Callejón sul lato debole. Senza più le abitudini sarriane, con Insigne fuori dal gioco, e una volta bloccato Fabián Ruiz, il Napoli rischia di diventare inoffensivo

La maggiore verticalità del Napoli non sembra aiutare la manovra offensiva della squadra, forse proprio perché scollega Milik dai compagni, e priva Callejón di spazi da attaccare: un problema che Ancelotti deve aver intuito da tempo, e a cui forse voleva trovare rimedio con lo schieramento iniziale di 4 uomini tra le linee nerazzurre. Nemmeno dal 70’ in poi, quando l’Inter sembrava davvero a corto di energie, il Napoli è riuscito a creare un’occasione

Quella contro l’Inter è stata addirittura la peggior prestazione offensiva stagionale del Napoli, con appena 0,8 xG prodotti, di cui ben 0,43 dovuti all’occasione di Zielinski: la precedente peggior prestazione era però di appena dieci giorni fa contro il Cagliari.

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In sostanza, due sole grandi occasioni, quella di Icardi a fine primo tempo e quella di Zielinski a fine del secondo.

L’equilibrio della partita, e dell’intera saga che sembrava avviarsi verso un nuovo 0-0, è stato completamente squarciato all’80’ dall’espulsione di Koulibaly, che sembra applaudire e dire bravo all’arbitro a seguito della prima ammonizione. Fino a quel momento, il senegalese era probabilmente stato il migliore in campo, e il suo nervosismo può trovare una comprensibile motivazione negli ululati razzisti subiti sin dall’inizio della partita.

Da quel momento in poi, l’equilibrio si è spezzato. La partita si è messa su un piano in cui l’Inter è più a suo agio, quello del battere e levare, con le squadre allungate. Inoltre, Spalletti dopo aver inserito Keita, ha approfittato per dare spazio a Lautaro Martínez: la squadra si è accesa immediatamente per l’elettricità di questi due giocatori, ma si è anche spezzata in due concedendo una grandissima doppia occasione a Insigne e soprattutto a Zielinski, il cui tiro è stato salvato sulla linea da Asamoah.

Il gol di Lautaro su cross deviato di Keita, al primo minuto di recupero, è la conferma della bontà delle sostituzioni di Spalletti, ma soprattutto è l’ennesima conferma di una qualità chiara dell’Inter: quella di rimanere sempre connessa alla partita, e di sapersi accendere in qualunque momento a prescindere dall’andamento di gioco - ben 5 gol segnati nei minuti di recupero e addirittura 12 negli ultimi 15 minuti in Serie A. L’Inter è una squadra con alcuni difetti ben evidenti (la prevedibilità offensiva, la tendenza a spezzarsi, l’intermittenza mentale nei 90 minuti) ma ieri ha dimostrato di essere più vicina al Napoli di quanto si potesse immaginare: non solo in classifica, visto che il secondo posto ora è a 5 punti, ma anche in termini di proposta di gioco. Questa vittoria serve per dare un nuovo obiettivo alla stagione, e per evitare di buttare quanto di buono era stato fatto in questo anno e mezzo dalla guida tecnica di Spalletti.

La sconfitta del Napoli invece dovrebbe far riflettere Ancelotti sui limiti della trasformazione del gioco azzurro: fino a che punto può spingersi la sua normalizzazione (più fluidità, più attacco diretto, meno dominio del pallone, meno riaggressione)? Nella sua esperienza al Bayern Monaco, Ancelotti si era già trovato davanti a una situazione simile, avendo ereditato la squadra da Guardiola: la normalizzazione è durata un anno, ma nella seconda stagione è stata completamente rigettata dalla squadra. Questa sconfitta allontana la Juve di un altro punto, e adesso sembra molto difficile immaginare che il Napoli possa davvero recuperare 9 punti alla capolista: e forse questo aspetto è ancora più importante di quello tattico, perché non esiste squadra senza un obiettivo, e quello del Napoli adesso sembra avvolto nella nebbia.

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