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Inter-Juventus 2-1, come vincere senza campioni
13 gen 2022
L'Inter ha meritatamente vinto la Supercoppa italiana.
(articolo)
10 min
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La Supercoppa italiana, permettetelo, ha un peso relativo. Non ricorderemo la partita di ieri per quello che c’era in palio (una coppa, cioè, anche particolarmente brutta), ma per il modo in cui si è conclusa. Il gol della vittoria al 121', il più tardivo di sempre nella storia della competizione, mentre Massimiliano Allegri chiedeva invano ai suoi di commettere un fallo tattico. Bonucci, l’ultima mossa della Juventus per vincere la partita ai rigori, bloccato a bordo campo, che prima diventa un meme e poi aggredisce il segretario dell'Inter per ragioni non chiare. Infine l’intervista da mitomane di Alexis Sanchez, che come in un western doppiato male si rivolge all’intervistatore con “Ehi amico”.

In definitiva, ricorderemo questa partita per il ribaltamento del concetto di corto muso, o meglio, per averlo rivolto contro il suo creatore, e nel modo più crudele possibile. Ricorderemo questa partita per questo ed è giusto così, perché la memoria ha a che fare con l’emotività e il senso di rivalsa è forse l’emozione che più accende una partita tra due squadre rivali come l’Inter e la Juventus. Ma a meno di un giorno dalla partita di San Siro, al di là delle battute sul motto della Juventus (“Fino alla fine”), al di là delle frecciatine e dei meme, si può dire che in realtà il più grande successo dell’Inter è che, nonostante abbia vinto all’ultimo secondo dei supplementari e sfruttando un errore piuttosto marchiano di Alex Sandro, non ha vinto di corto muso - ovvero con il minimo sforzo e con un calcio semplice, senza fronzoli.

Alexis Sanchez ha ragione quando dice che «i campioni fanno cose che altri non fanno» perché segnare - e soprattutto segnare gol decisivi - è davvero qualcosa di mistico che ha poco a che fare con la tecnica con cui si calcia un pallone, e in un certo senso - nel senso di fare la cosa giusta al posto giusto al momento giusto - è davvero la cosa più difficile da fare dentro un campo da calcio. Qualcosa che distingue i giocatori normali dai campioni. Senza Alexis Sanchez l’Inter non avrebbe vinto in questo modo (questo è tautologico, ma se ci pensate: cosa chiediamo ai campioni se non farci vincere nel miglior modo possibile?), ma forse avrebbe vinto lo stesso.

Alla fine ha diversi ottimi rigoristi e soprattutto uno dei migliori portieri della Serie A a parare i rigori: perché la Juventus sarebbe dovuta essere favorita, se la partita fosse finita senza il gol di Sanchez? La fiducia di Allegri nel portare dalla propria parte gli aspetti più intangibili e magici è sempre stata irrazionale, e non ci sarebbe nulla di male perché il calcio è anche questo, ma ciò che in questa stagione sta diventando evidente è che è cieca di fronte a quella realtà che quasi sempre l'allenatore bianconero invoca come chiara ed evidente.

La realtà che esce fuori dai 120 minuti abbondanti della partita di ieri, al di là del risultato, è che, nonostante non ci siano differenze così abissali tra le due rose, l’Inter gioca meglio a calcio della Juventus. Lo so che ci sarà già qualcuno che avrà storto il naso: chi perché è convinto che l’Inter è troppo più forte della Juventus per non vincere e chi perché avrà percepito il giocare bene unicamente come un orpello estetico, anzi, come un pretesto per sviare la discussione da ciò che indirizza davvero i risultati delle partite e cioè gli episodi arbitrali (e anche sulla partita di ieri, volendo, si potrebbe discutere). Ma se questa è la realtà - cioè quella in cui l’arbitro è contro di noi e la nostra squadra è più scarsa dell’avversario - perché un allenatore non dovrebbe decidere di giocare bene - cioè attaccare e difendersi meglio dell’avversario? Mi sembra che in questa realtà sia l’unica cosa in suo potere per provare a vincere una partita.

Nei giorni precedenti alla partita su Twitter ho letto molti tifosi interisti ricordare di quando, a inizio campionato, in pochi avrebbero dato l’Inter favorita per lo Scudetto e tanto meno in uno scontro diretto contro la Juventus di Allegri. In questi discorsi c’è sempre una vena di vittimismo, perché l’ipotesi su cui si fondano è che ci sia malafede in una parte della stampa che è considerata nemica, ma anche un fondo di verità: era obiettivamente difficile pensare a un’Inter così dominante dopo le partenze di Conte, Lukaku e Hakimi, e gli arrivi di Inzaghi, Dzeko, Correa e Dumfries. Non è questione di malafede o di mancanza di competenza: nessuno, credo nemmeno la stessa dirigenza dell’Inter, fosse convinto che Dzeko a fine carriera fosse più efficace di Lukaku al prime, o che Dumfries adesso avesse un impatto migliore di Hakimi. Credo anzi che proprio la consapevolezza del contrario abbia convinto Inzaghi a puntare così tanto sul gioco, avendo poi il talento per farlo effettivamente. Lo ripeto, anche al rischio di risultare pedante: se la squadra è più scarsa perché un allenatore non dovrebbe decidere di giocare bene - cioè cercare di attaccare e difendersi meglio dell’avversario? Questo discorso è interessante anche di riflesso, perché di fronte all’Inter c’era una Juve all’interno della quale i discorsi sul reale valore della rosa si sprecano.

Ora, la Juventus avrebbe potuto vincere giocando anche come ha giocato ieri, su questo non c’è dubbio. Ma se è rimasta in partita fino al 121esimo è esattamente perché l’Inter non ha quei campioni di cui parla Alexis Sanchez. La squadra di Simone Inzaghi è quella che ha attaccato e che si è difesa meglio, che ha manipolato più facilmente l’avversario, che è arrivata più facilmente in area, che ha avuto le occasioni migliori. Ma questo a volte non basta perché segnare, e soprattutto segnare al momento giusto, come detto è la cosa più difficile da fare dentro un campo da calcio. Faccio qualche esempio.

L’azione del rigore dell’1-1 dell’Inter nasce da due falli laterali di Dumfries quasi identici sul lato destro del campo. La prima volta l’esterno olandese lancia direttamente in area per Lautaro, che però viene anticipato violentemente da Chiellini. Nonostante questo la Juventus non riesce mai ad uscire dall’area: la prima ribattuta viene raccolta da Brozovic, che torna da Lautaro dentro l’area; il tiro dell’attaccante argentino viene stoppato la difesa bianconera ma a quel punto Bernardeschi rilancia alla disperata in avanti senza guardare (stiamo al 32esimo del primo tempo), regalando la palla a Bastoni. A quel punto l’Inter si riordina sul campo con i principi che le ha dato Simone Inzaghi - controllo del possesso, fluidità, movimenti senza palla - e vediamo Calhanoglu in posizione da regista cambiare gioco a destra verso Skriniar. L’Inter fa come il gatto con il topo: Skriniar trova Dzeko tra le linee seguito troppo in ritardo da Chiellini, alle cui spalle prova ad inserirsi Dumfries.

La palla di Dzeko è troppo corta e viene recuperata da Alex Sandro ma la Juventus non sa cosa farsene. Dopo il retropassaggio, Perin rilancia a casaccio, trovando di nuovo Dzeko. Poi c’è un grande tacco di Barella sul lato destro del campo con cui l’Inter torna di nuovo in area, ma Dumfries spreca tutto con un primo controllo ruvido che viene anticipato da Rabiot. La seconda palla, però, è di nuovo dell’Inter che, dopo essere tornata ancora da Barella a destra, guadagna un fallo laterale identico a quello da cui era partito e con cui guadagnerà il rigore.

In questo caso con la malizia di Dzeko e la freddezza di Lautaro sul dischetto l’Inter è riuscita a segnare. Ma sono diverse le occasioni nate da situazioni di dominio simile in cui alla squadra di Inzaghi è mancato solo l’ultimo tocco. Pochi minuti il gol del pareggio la Juventus è di nuovo bassissima e pronta a farsi manipolare dall’Inter, quasi al completo nella metà campo avversaria.

Abbiamo di nuovo Skriniar a iniziare l’azione. Il centrale slovacco con uno scavino a superare Kulusevski va da Bastoni, che attiva uno dei pattern tattici di questa Inter e cioè il triangolo con Calhanoglu e Perisic. Il primo tira fuori posizione Locatelli, il secondo, con una posizione molto bassa e stretta, inganna De Sciglio, che capisce con un attimo di ritardo che il triangolo si chiuderà di nuovo sui piedi di Bastoni. Certo, il giovane centrale nerazzurro è bravo ad aggirarlo ma poi il suo suggerimento per Dzeko al centro dell’area esce strozzato e viene intercettato da Chiellini. La Juventus però è talmente bassa che sul tocco di Chiellini, che fa impennare la palla, Rabiot, per provare a mettere la palla in calcio d’angolo, rischia di farsi autogol.

Poi c’è l’azione che porta al colpo di testa ravvicinato di Dumfries fermato sulla traversa da Perin, che nasce da una lunghissima manovra dell’Inter inframmezzata da diversi rilanci nel vuoto della Juventus. In tutto, dalla prima rimessa laterale (della Juventus) all’occasione da gol passano oltre tre minuti in cui la squadra di Allegri non tocca quasi mai il pallone. Qualcuno dirà che è solo possesso sterile, ma in realtà l’Inter arriva dentro l’area diverse volte prima di trovare finalmente un compagno in grado di indirizzare il pallone verso la porta. Prima sul solito asse Bastoni-Perisic.

Poi con un’incursione solitaria di Perisic sulla sinistra (cross respinto da Rugani). Infine con un altro uno due tra Bastoni e Perisic nato da una costruzione bassa elaboratissima che aveva attirato la pressione della Juventus fin dentro l’area dell’Inter.

Da destra a sinistra, l’Inter arriverà all’uno due tra Bastoni e Perisic che porterà il giovane centrale italiano fin con un piede dentro l’area piccola avversaria. Un attimo prima del cross decisivo, però, Bernardeschi - che si era fatto fregare poco prima sulla fascia - riuscirà disperatamente a sporcargli il pallone. La Juventus rilancerà di nuovo a caso e de Vrij potrà ricominciare l'azione per l'Inter. Prima di arrivare all'occasione di Dumfries ci saranno due nuovi cross: prima uno di Barella (troppo lungo sul secondo palo), e poi uno di Dzeko (respinto al limite dell'area piccola da Chiellini). Solo successivamente l'Inter riuscirà a trovare quello giusto con Calhanoglu, liberato nuovamente dal triangolo con Perisic e Bastoni.

Potrei continuare così a lungo, ma il punto è proprio che, nonostante questa facilità nel manipolare l’avversario e nell’entrare in area, l’Inter ci ha messo 121 minuti per trovare finalmente la combinazione di eventi che la portasse a segnare il gol della vittoria. Con Lewandowski, Haaland, Mbappé o Salah magari l’avrebbe chiusa cento minuti prima ma, in assenza di giocatori di questo tipo, l’Inter ha fatto il massimo che poteva per piegare la fortuna dalla sua parte invece di speculare sul cronometro per portare la partita ai rigori. D’altra parte, con un dominio così palese che vantaggio ne avrebbe avuto?

Al 120', con molti giocatori piegati dalla fatica, Skriniar ha cambiato gioco per l’ennesima volta verso destra, dove ha trovato Brozovic, che a sua volta ha aperto il gioco verso Dimarco. L’esterno italiano, seguendo il solito schema, ha attivato il triangolo, questa volta con Correa, che lo ha liberato sulla trequarti. Poi il suo cross in area è uscito corto - perché Dimarco non è Alexander-Arnold - ma la Juventus era talmente bassa che, come abbiamo visto, bastava un niente per spezzare il suo equilibrio difensivo. In quel momento è capitato ad Alex Sandro, ma nei minuti precedenti sarebbe potuto capitare a Rabiot se avesse mandato la palla sotto il sette della sua porta, o a Bernardeschi se avesse toccato il piede di Bastoni invece che la palla, o a Perin se invece di tenere il colpo di testa su Dumfries se lo fosse fatto sfuggire dalle mani. Questione di dettagli.

Prima il cross da cui nasce l'occasione di Dumfries, poi quello da cui scaturisce il gol di Sanchez: l'Inter non fa altro che ripetere pattern interiorizzati.

Alexis Sanchez direbbe che se è capitato proprio ad Alex Sandro e non agli altri due c’è un motivo, così come c’è un motivo se quell’errore è stato trasformato in gol proprio da lui e da nessun altro. Quel motivo è che «i campioni fanno cose che altri non fanno», e a questo è difficile ribattere, perché i gol vanno fatti anche quando sembrano impossibili da sbagliare. Se il problema però è l’assenza di campioni - e chissà magari un giorno Allegri seguendo questa logica arriverà a dire che questo gol Morata, Dybala o Kean l’avrebbero sbagliato - allora forse conviene provare a crearsi le occasioni che anche i giocatori normali saprebbero segnare, in attesa che la fortuna ti aiuti. Alla fine che c’è di meglio?

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