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3 fatti di Inter-Lazio ai confini della realtà
26 feb 2025
Una partita strana decisa da episodi strani.
(articolo)
6 min
(copertina)
IMAGO / IPA Sport
(copertina) IMAGO / IPA Sport
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Se non avete visto la partita è difficile spiegarvi cosa sia successo in Inter-Lazio. La squadra di Inzaghi si è qualificata alle semifinali di Coppa Italia vincendo 2-0, ma il risultato è arrivato alla fine di circostanze ai confini della realtà, almeno se si segue l’Inter da qualche anno e si conoscono i limiti e i pregi di questa squadra, talvolta prevedibile nella sua eccellenza.

Inzaghi ha mandato in campo una squadra diversa, come volesse stare attento a non schierare nemmeno un giocatore titolare. È stato costretto a inserire Dimarco a sinistra, visto che sia Carlos Augusto che Zalewski sono infortunati, e Pavard in difesa per questioni numeriche. Baroni, dall’altra parte, ha rinunciato a Gila e a Nuno Tavares. Insomma: già dalle formazioni si era capito che avremmo assistito a una strana partita.

Nel primo tempo la Lazio è sembrata l’unica squadra in campo con un alito di vita - che come sempre ha preso una forma ansiogena e verticale. Dopo dieci minuti si è aperto un punto debole già evidente nella formazione mandata da Inzaghi. Tchaouna da punta è uno specchietto per le allodole, che qui sposta il centrale De Vrij. In quello spazio si inserisce Boulaye Dia da dietro, non assorbito da Asllani. Nell’occasione è Bisseck a staccarsi dal suo uomo per chiudere Dia.

La Lazio però ha avuto fretta. Dei 9 tiri provati nel primo tempo dai biancocelesti, 6 sono arrivati da fuori area, con Gustav Isaksen particolarmente esaltato in questa ricerca ostinata del gol da fuori. Non sembrano, però, solamente una serie di letture individuali, questa grande massa di tiri da fuori, ma un tratto identitario della Lazio: la squadra che calcia di più da fuori area in tutta la Serie A. Un altro aspetto che ricollega tatticamente la Lazio alle squadre tedesche della prima ondata del gegenpressing, come il Leverkusen di Roger Schmidt, in cui si tirava da fuori con la stessa fretta delle squadre di Mike D’Antoni in NBA. Valentin Castellanos è il secondo giocatore della Serie A per tiri (dietro l’inarrivabile Krstovic) e calcia col 34% dei suoi tocchi palla: un’enormità.

In ogni caso, Josep Martinez non è stato costretto a grosse parate, finché non è arrivato il primo fatto paranormale della serata.

MARKO ARNAUTOVIC HA FATTO CROLLARE SAN SIRO

Il boato è ancestrale. Gli esseri umani crollano verso il prato come una scatola di palline rovesciate a terra. La Lazio aveva respinto di testa verso fuori, la palla era molto molto alta: in quelle occasioni si tira per paura di non perdere il pallone; Marko Arnautovic fa quattro passi per avvicinarsi al pallone e poi, col sinistro, non il suo piede, lo calcia senza nemmeno dare troppo forza. Provate a fermare l’inquadratura del replay a poco dopo il momento dell’impatto, e apprezzate la perfezione tecnica con cui Arnautovic usa le braccia e la testa per scaricare il peso del corpo in avanti e non far alzare la palla. Mandas rimane fermo, Lazzari giunge le mani e si chiede come sia possibile.

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Dopo svariati tiri da fuori più facili di questo per la Lazio, l’Inter ha segnato al primo tiro della partita. Messa così, però, può suonare tendenzioso, visto che questo gol lo ha segnato una riserva che ha segnato poco in questi anni all’Inter. Non è semplice classificare il contributo di Marko Arnautovic a queste due stagioni. Arrivato in un momento in cui era uno dei migliori centravanti della Serie A, sembrava poter essere utile all’Inter a tutto campo, per la capacità di associarsi con i compagni, rifinire e concludere negli ultimi metri. Stiamo vedendo però una versione molto ridotta di Arnautovic, il cui contributo alla causa si riduce a momenti estemporanei, il più delle volte, però, decisivi. Come fa notare Inter Data, Arnautovic è il quarto giocatore dell’Inter per gol segnati in situazioni di pareggio. Il più celebre, probabilmente, è quello segnato all’Atlético nella scorsa edizione della Champions - purtroppo vano.

Simone Inzaghi ha avuto la faccia tosta di andare ai microfoni e raccontare che quello è uno schema provato nell’allenamento di rifinitura. «Stamattina abbiamo provato le palle inattive e lui doveva uscire, visto che la Lazio ha difensori alti. Era stato messo lì apposta perché sappiamo le qualità balistiche che ha». Gli allenatori italiani proprio non ce la fanno: persino il più assurdo dei gol, un sinistro al volo su una palla che scendeva da Marte, può essere qualcosa di eterodiretto dallo schema provato in allenamento.

INZAGHI È PASSATO AL 4-4-2

Un evento più raro di un eclissi solare o di un’aurora australe: Inzaghi ha cambiato modulo. Era già successo a novembre contro l’Hellas, che schierasse una difesa a 4. Ma era contro l’Hellas. I giornalisti gli avevano chiesto spiegazioni, come si fa di fronte a un prete che cominci a parlare al contrario la lingua di satana: «È una soluzione». Lo aveva detto per significare l’esatto opposto, del tipo: «Non è una soluzione ma mi devo inventare persino diavolerie del genere coi problemi che devo affrontare». Qualche tifoso della Lazio può ricordare qualche altro evento sparuto nel tempo, che si perde negli abissi degli ultimi anni di Serie A - qualche frattaglia di partita, qua e là. In generale però Inzaghi è noto per la sua rigidità su due cose: se vieni ammonito ti cambio, il calcio si gioca 3-5-2, non c’è altra maniera.

Del resto l’interpretazione del modulo è poi così fluida che considerarlo un peccato di rigidità è miope. In ogni caso, attorno all’ora di gioco, di fronte a una piaga biblica che ha provocato una moria dei suoi esterni, Inzaghi si è arreso ed è passato al 4-4-2. In questo modo si è messo a specchio rispetto alla Lazio. Vi metto qui sotto un'istantanea per ammirare questo Gronchi rosa in tutto il suo splendore. Bisseck e De Vrij si sono messi al centro, con Bastoni e Pavard da terzini. A quel punto Zielinski - uno dei migliori - ha giocato a sinistra con più libertà creativa, liberato ulteriormente dall’ingresso di Calhanoglu

Durante la partita si è fatto male anche Darmian, che del resto non sembra più avere l’atletismo per giocare esterno. Interrogato sull’eresia, Inzaghi ha risposto soddisfatto e ha glissato meno del solito: «Avremo Dumfries e Dimarco, o il cambio di modulo. Oggi ci siamo messi 4-4-2 e i ragazzi sono stati bravi a interpretare un modulo che abbiamo fatto un paio di volte su 200 partite». Un paio di volte su duecento partite.

CORREA COME SE FOSSE IL 2019

Era l’autunno del 2019, non era ancora scoppiata la pandemia globale e la Lazio volava sui dribbling del “Tucu” Correa. Partendo accanto a Immobile, leggermente defilato sulla sinistra, prendeva un passo mercuriale, leggero e ineffabile, superando gli avversari senza nemmeno indugiare troppo in finte e cambi di direzione. Una persona semplicemente più veloce e leggera delle altre.

Il primo gol con la maglia della Lazio lo fece all’Udinese. Da sinistra, con la palla sul destro, aveva dribblato a rientrare con un movimento impercettibile, che sembra passare appena sotto il pelo d’acqua del reale.

Quel dribbling a rientrare in area di rigore è diventato il suo marchio, e la sua scomparsa il segno del suo declino. Una decadenza che abbiamo accettato come quasi inevitabile, per uno di quei giocatori forse troppo belli per essere veri. Negli anni è stato citato come unico grosso errore della gestione Marotta-Inzaghi. Voluto troppo dal tecnico, pagato troppo dal DS.

Siccome però la serata di ieri aveva qualcosa di lynchano, è successo che Correa - forse rianimato da qualche connessione neuronale stimolata dalle maglie della Lazio - ha rispolverato la sua signature move di fronte a Guendouzi. Sul vertice sinistro dell’area, ha fintato qualcosa, poi è rientrato e a quel punto era troppo tardi per intervenire. Si è fatto fare fallo da rigore e l’Inter ha chiuso la partita. Calhanoglu ha realizzato dal dischetto e ha chiesto scusa ai tifosi per un errore di qualche mese prima.

Una serata in cui niente è apparso perfettamente a posto.

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