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Le sicurezze di Inzaghi, le conferme di Spalletti
31 dic 2017
Dallo scontro diretto per un posto in Champions League, Lazio e Inter sono uscite con risposte diverse, ognuna certa però di poter competere fino in fondo.
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Nella lotta per il quarto posto, l’ultimo valido per l'accesso alla prossima Champions League, la partita tra Inter e Lazio giocata ieri assumeva i contorni di una specie di spareggio, o quanto meno scontro diretto tra due delle pretendenti. Gli allenatori di entrambe le squadre, però, hanno fin da subito fatto intendere di non vederla così: Simone Inzaghi perché sta impostando la sua Lazio nel ragionare di partita in partita; Luciano Spalletti perché si trova in un momento in cui più che la classifica a preoccuparlo sono le sicurezze che l’Inter sta via via perdendo nell’arco di poche settimane.

In quella che è stata una delle conferenze stampa più importanti da quando il tecnico toscano è a Milano, nel momento più critico da quando è allenatore dell’Inter, Spalletti non si è tirato indietro e ha responsabilizzato la squadra per mettere in chiaro come non possano esistere alibi alle recenti prestazioni: "La squadra ha fatto cose eccezionali prima, ed è proprio per questo che possiamo trovare la soluzione da soli. È proprio in questo momento che riesci a conoscere le tue qualità individuali. Dobbiamo avere ben chiaro in mente chi siamo e da dove veniamo". Quello che chiedeva l’allenatore alla squadra, più che i 3 punti, era ritrovare quella sensazione di un team fatto di persone che remano tutte nella stessa direzione, alla stessa velocità e con tempismo e coordinazione, come succedeva ad inizio stagione. Si trattava di affrontare di petto un avversario di livello come la Lazio e uscirne con qualche sicurezza in più dopo i naufragi recenti. Vista la situazione in difesa, con gli uomini contati per via degli infortuni di Miranda e D’Ambrosio, e la linea a quattro quindi praticamente inedita, non era neanche giusto aspettarsi qualcosa di più di una risposta mentale dalla sua squadra.

Il pareggio finale a reti bianche aiuta la narrativa di entrambi gli allenatori: Inzaghi si è presentato a Milano senza alcun timore del valore della sua squadra, con la formazione ideale della Lazio di questo inizio di stagione, certificando con il proprio gioco lo status di contendente per il posto in Champions League, andando vicini alla vittoria e comunicando una sicurezza e un controllo sulla partita da grande squadra. Non sorprende che a fine gara Inzaghi abbia scelto di parlare bene della sua squadra: "Giocare con questa serenità a San Siro mi fa grande piacere, era una gara da vincere ma bisogna guardare avanti. Io osservo la prestazione e da allenatore sono molto soddisfatto". Sorprende semmai che abbia scelto di attaccare il VAR, contribuendo ad alimentare quel rumore di fondo che, al di là degli episodi (come sempre, consideriamo gli errori arbitrali come una delle tante variabili del gioco e fino a prova contraria preferiamo non pensare alla mala fede di nessuno), finisce col coprire le prestazione della propria squadra.

Per Spalletti, invece, il pareggio porta risposte non unanimi da parte dei giocatori. C’è chi, come Icardi, ha provato a fare anche più di quello che gli viene chiesto di solito; chi, come Cancelo, ha confermato miglioramenti; chi, come Candreva e Perisic, continua invece ad avvitarsi sempre di più in una spirale di scelte sbagliate e giocate impulsive, persino nervose.

La partita, come era prevedibile, è stata giocata ad un ritmo sostenuto da due squadre che, per motivi diversi, prediligono il gioco in verticale e preferiscono attaccare in transizione. Entrambe le squadre non hanno brillato, però, in termini di definizione in area di rigore, e anzi proprio le due punte, tra le migliori del campionato fino ad ora, si sono viste più per il lavoro lontano dalla porta. Immobile ha effettuato un solo tiro, Icardi due, nessuno dei quali nello specchio della porta. La differenza sta nel fatto che se per la Lazio ci sono stati altri modi per arrivare alla porta di Handanovic, che non fossero i filtranti per Immobile, l’Inter ha sbattuto ancora una volta contro le proprie difficoltà nel creare un reale pericolo offensivo se non dalle fasce.

All’Inter mancano i denti

La squadra di Spalletti ha ovviamente cercato di attaccare in ampiezza per arrivare al cross con più facilità, provando ad avere lo stesso volume di gioco da entrambe le fasce. Nel primo tempo, però, nonostante la presenza contemporanea di Candreva e Cancelo nella fascia destra, è a sinistra che l’Inter ha trovato più spazio riuscendo ad arrivare con maggiore continuità al cross (ne ha tentati 9 da lì, contro i 3 da destra). L’idea dell’Inter della ricerca del cross per far arrivare la palla ad Icardi era tanto prevedibile quanto, va detto, obbligata per via dei giocatori a disposizione di Spalletti. La Lazio ne era cosciente prima della gara e non ha modificato la propria struttura difensiva per assorbire tanto volume di cross: è bastato mantenere la superiorità numerica in area con i tre centrali.

I cross sono partiti dai piedi (30 tentativi in tutta la partita, un dato in linea con la media stagionale di 28) ma è mancata la precisione (tra Cancelo, Candreva, Perisic e Santon sono riusciti solo 2 cross su 23). Ovviamente è un serpente che si morde la coda: la poca precisione è data sì da errori tecnici e di tempismo, ma anche dall’esiguo numero di giocatori in area rispetto agli avversari (e quindi dalla minore probabilità di ricezione del cross).

L’azione più pericolosa dell’Inter è arrivata ovviamente da un cross, questa volta di Borja Valero. Con Icardi largo, le due ali erano finite in area e subito dopo era arrivato anche l’inserimento di Vecino. Un errore in marcatura di Milinkovic-Savic ha liberato Perisic per il tiro, parato da Strakosha.

Spalletti sta lottando tutta la stagione con il problema di avere solo Icardi come presenza fissa in area di rigore, perché per via della difficoltà in fase di uscita del pallone dalla difesa il trequartista deve necessariamente abbassarsi e solo l’ala dalla parte opposta del cross può finire con continuità a tagliare, per ricevere il cross sul secondo palo, oltre l’argentino. Ma ormai anche i movimenti studiati per aumentare i giocatori in area - ad esempio, Candreva che si posiziona per ricevere nello spazio di mezzo di destra, così da lasciare la corsia libera per Cancelo e andare in area quando il portoghese riceve - sono meccanici e diventano facilmente leggibili dalla difesa avversaria.

L’Inter dovrebbe far correre il pallone velocemente ma contro le difese posizionali, anche senza pressione, paga la poca precisione e le scarse letture dei suoi giocatori che sarebbero necessarie per far arrivare con i tempi giusti il pallone sugli esterni. Alla Lazio basta veramente poco per vanificare gli sforzi dell'Inter: prima con una pressione aggressiva se la palla è del portiere per il rilancio, poi mantenendo le posizioni schermando i filtranti e facendo scalare il giocatore più vicino al pallone. La difesa presentata dall’Inter non ha le connessioni necessarie per poter uscire con sicurezza e Gagliardini e Vecino sono innocui nella gestione della palla. Icardi si muove tanto e non solo in profondità, anzi viene incontro a giocare spalle alla porta tanto da svuotare l’area più del dovuto. Questo è solo un sintomo delle difficoltà dell’Inter ad attaccare le difese schierate.

Il fatto che Icardi si sia spinto incontro e non abbia ricevuto in area porta la sua posizione in questo grafico di passaggi ad essere inglobata da quella di Borja Valero. L’uso delle fasce è simmetrico nel volume ma asimmetrico nei compiti: a sinistra si crossa, a destra Cancelo gestisce il pallone mentre Candreva gioca nello spazio di mezzo.

Borja Valero fa girare il sistema

L’idea di Spalletti, per ovviare ai limiti descritti sopra, è quella di avere un centrocampo fluido, con il triangolo centrale che vede Gagliardini leggermente più statico rispetto agli altri due componenti, e Borja Valero libero di muoversi ovunque mentre Vecino si fionda in avanti appena la palla passa sull’esterno. Per volere di Spalletti l'Inter è una squadra in cui alcuni giocatori vengono sacrificati in compiti specifici per esaltare le qualità degli esterni, e persino Icardi deve dare profondità a provare e venire incontro per aiutare la squadra a risalire il campo. L’unico che sembra immune è Borja Valero, che ha totale libertà di movimento.

Il vero protagonista della partita interista, se ce n'è stato uno, è proprio Borja Valero. In una squadra che tende naturalmente a spaccarsi in due tra blocco difensivo e fronte offensivo, con una manovra che non riesce a passare in modo incisivo per vie centrali, Borja Valero è centrale come ili cardine intorno a cui ruotano le porte. Spalletti vuole che tocchi più palloni possibili ovunque serva, le sue straordinarie capacità di lettura dello spagnolo devono coprire le lacune del resto della squadra quando ha la palla a disposizione. Nonostante i 32 anni, non manca di dinamicità, percorrendolo il campo in lungo e largo sia quando la squadra ha la palla a disposizione che quando è in transizione difensiva.

Borja Valero rompe l’idea di gestione ordinata del possesso avvicinandosi al portatore e indicandogli piedi sicuri su cui scaricare, e in caso non ci sia pressione offre sempre una linea di passaggio per avanzare muovendosi con estrema intelligenza alle spalle della linea avversaria. Borja è un punto di contatto continuo tra le parti del sistema. La sua ubiquità non è solo apparente, ci sono ampie fasi di gioco in cui arriva fino davanti alla difesa a raccogliere palla e, dopo averla scaricata, avanza fino alla trequarti per provare a dare l’ultimo passaggio. L’unico all’interno dell'Inter con il senso della "pausa" che permette di disordinare almeno un minimo i rivali e far muovere i compagni in posizione più vantaggiosa.

Borja Valero intercetta il filtrante di Luis Alberto sulla propria trequarti, una volta che la palla viene scaricata su Perisic parte per il contropiede, leggendo lo spazio alle spalle del centrocampo della Lazio. Il passaggio di Perisic però è eseguito male e la palla non torna allo spagnolo.

Borja resta come ultimo uomo sui calci piazzati, nonostante non sia il giocatore più veloce a disposizione, perché le sue letture bastano sia a farsi trovare come soluzione di sicurezza in caso di respinta della difesa, per riciclare il possesso sotto pressione, sia a chiudere direttamente il contropiede, come quando ha chiuso un’azione di Milinkovic-Savic e Luis Alberto in contropiede andando a rubare palla allo spagnolo dopo il suo primo controllo, con un solo movimento preciso.

Le frecce all'arco di Inzaghi

La Lazio, da parte sua, ha ricercato la creazione di un lato forte su cui sviluppare il gioco, che si è trattato ovviamente di quello sinistro dove si trova Milinkovic-Savic, per poi avvicinarsi al centro e giocare con Luis Alberto. Il 48% del volume di gioco della Lazio arriva dalla creazione di un rombo tra Radu, Lulic, Milinkovic-Savic e Luis Alberto. Con Lucas Leiva sempre nelle vicinanze così da poter ricevere eventualmente uno scarico e giocare in avanti.

A destra, Marusic e Parolo non creano di volume di gioco: l’italiano deve dare presenza in area muovendosi in verticale appena la Lazio recupera palla, il serbo mantiene l’ampiezza sempre, e se riesce a trovare spazio con la palla avanza in conduzione per poi arrivare al cross. Proprio il volume di cross mostra l’asimmetria nel tipo di strategia voluta da Inzaghi: nel primo tempo la Lazio ne tenta 5 da destra e 2 da sinistra.

Si vede bene in questo grafico il rombo formato sulla sinistra con Lulic, Milinkovic-Savic e Luis Alberto come fonte principale di gioco, e Radu in appoggio dietro.

La Lazio di Inzaghi suddivide sostanzialmente in due i propri tentativi offensivi una volta recuperata palla: (1) ricerca immediatamente il contropiede per vie centrali, se libere, e se la palla viene recuperata in zone favorevoli; (2) costruisce con il rombo di sinistra e cerca un uomo nello spazio di mezzo di sinistra con passaggi corti ad uno massimo due tocchi, se il recupero del pallone avviene troppo indietro. La Lazio non rinuncia, quindi, a giocare anche contro la difesa avversaria schierata, anche se ovviamente preferisce correre esaltando le qualità atletiche di Immobile. Quello che è mancato nell’esecuzione del piano di Inzaghi è l’ultimo passaggio: la Lazio era solida e sicura di sé ma non è riuscita a creare quanto avrebbe voluto.

Va detto che per tutta la partita la Lazio ha fatto fatica a far filtrare il pallone dietro al centrocampo dell’Inter o per trovare il movimento in profondità di Immobile. Mentre la gestione dei lanci e la distribuzione verso l’esterno ha funzionato alla perfezione, l’ultimo passaggio è manca per tutta la partita. C'è stata la possibilità di muoversi in contropiede ma Luis Alberto più di una volta è stato contrastato proprio appena prima di effettuare il filtrante, mentre Milinkovic-Savic è riuscito solo una volta in tutta la partita a trovarne uno. Vista l’importanza che la Lazio ripone nell’attaccare per via centrale in transizione, costringere Immobile alla conduzione (anziché servirlo sulla corsa con un filtrante) ne limita notevolmente la pericolosità offensiva, sua e della Lazio. Luis Alberto ha effettuato solo 2 passaggi ad Immobile, Milinkovic-Savic 3. In questo ha inciso anche la difesa dell’Inter, con la ricerca dell’anticipo dei centrali e la schermatura da parte dei centrocampisti.

Perisic scherma Parolo mentre Gagliardini va a coprire Immobile. L’unica soluzione per Bastos è ridare il pallone a Milinkovic-Savic o in modo ancora più semplice allargare da Marusic largo (è quello che farà effettivamente). La Lazio riesce a creare comunque pericolo con il movimento successivo di Milinkovic-Savic, ma non in zone centrali.

Con tutti i limiti tecnici che può avere Lukaku, va detto che ha due qualità che fanno la differenza in contesti come quello di ieri. La prima è la sua corsa potente, ma anche il fatto che sembra non pensare alla possibilità di compiere errori: Lukaku entra in campo e corre per la fascia con la palla cercando di arrivare al cross, lo fa trascinando la sfera a forza contro chiunque gli si ponga davanti. Sbaglia tanto nel tocco e sembra correre a testa bassa, ma attacca anche continuamente il fondo, contro una difesa stanca (nel caso specifico contro Cancelo) creando inevitabilmente, da tanto volume di gioco, qualcosa di tangibile per i compagni. Il suo ingresso in campo all’ora di gioco ha mostrato ad Inzaghi che la dinamica della partita stava girando a favore della Lazio, spingendolo forse a far entrare Felipe Anderson al posto di Luis Alberto.

Dal momento esatto in cui il brasiliano è entrato in campo, più aggressivo con il pallone in conduzione e più incisivo nella giocata, la Lazio ha assunto tutta un’altra dimensione offensiva, mettendo in difficoltà l’Inter a quel punto non poteva più limitarsi a cercare l’anticipo dei centrali. Felipe Anderson non va in conduzione per aiutare la squadra in attesa che si liberi Immobile, ma punta la porta diventando un vero problema per una linea difensiva ovviamente stanca. Nei primi dieci minuti in cui è entrato in campo il brasiliano, la produzione offensiva della Lazio è balzata in termini di definizione in area: se fino ad allora aveva tirato 6 volte in tutto verso Handanovic, con Felipe Anderson in campo sono arrivati 5 tiri, di cui 3 suoi.

In dieci minuti la Lazio ha creato praticamente lo stesso volume del resto della partita (metà degli xG totali arrivano in questo breve lasso di tempo). La Lazio però non ha segnato. Inzaghi può contare sulla forma di Lukaku e Felipe Anderson come risorsa a partita in corso e su un gioco che, ancora una volta, ha retto bene in un big match. Se si esclude il derby, la Lazio ha giocato alla pari o è stata superiore a tutte le altre prime della classe e in un campionato in cui l'intensità e l'atletismo determinano l'esito di molte partite sembra destinata ad arrivare fino in fondo. Per valori tecnici di alcuni singoli, poi, ha tutto il diritto di sognare in grande.

Come detto all'inizio, Luciano Spalletti non poteva aspettarsi molto di più dalla sua squadra. Non solo può dire di non aver perso nessuno scontro di vertice nel girone di andata ma è stato rassicurato sulle basi difensive del proprio gioco. Ci sono ancora molti mesi per continuare a costruire e risolvere i problemi offensivi. In fondo siamo ancora (per poche ore) nel 2017.

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