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Il derby di Coppa, la primavera di Luka Jovic
24 apr 2025
Il Milan batte l'Inter e conquista la finale di Coppa Italia grazie al protagonista più inaspettato.
(articolo)
9 min
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IMAGO / Nicolo Campo
(copertina) IMAGO / Nicolo Campo
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Luka Jović sapeva già come si fa gol all’Inter e, soprattutto, come si elimina l’Inter da una coppa. Era il 14 marzo 2019, i nerazzurri guidati da Spalletti ospitavano l’Eintracht di Adi Hütter per il ritorno degli ottavi di finale di Europa League. Era chiaro già mentre lo stavamo vivendo che quell’Eintracht sarebbe diventato una delle squadre di culto della vecchia Coppa UEFA, con un reparto di esterni, mezzepunte e centravanti dalla qualità davvero squisita: Kostić, Danny da Costa, Gaćinović, Haller, Rebić e, soprattutto, Luka Jović, autore di 27 gol in 46 partite tra Bundesliga ed Europa League che gli sarebbero valsi il trasferimento al Real Madrid per 63 milioni di euro.

Quando si presenta a San Siro, Jović ha 21 anni ed è al picco della propria ascesa: se aveste dovuto scegliere tra il serbo e il suo coetaneo Lautaro, probabilmente, in quel momento non avreste avuto dubbi. Oggi la situazione si è ribaltata in favore dell’argentino, non serve nemmeno stare qui a ricordarlo. Ma dopo la partita di ieri sera, è impossibile non ripensare al Jović del 2019, alla chiarezza d’intenti con cui lavorava ogni pallone, che gli permetteva di risolvere ogni snodo della partita con pochi tocchi.

La stessa chiarezza d’intenti con cui, in quell’ottavo di finale, aveva approfittato di una spazzata incerta di de Vrij per bruciarlo in velocità, piazzarglisi davanti e col contatto farlo cadere per terra, prima di controllare il rimbalzo del pallone quasi con il mento e superare Handanović con un pallonetto da finalizzatore d’élite.

E, ovviamente, la stessa chiarezza d’intenti con cui, ieri sera, ad un certo punto ha iniziato ad abbassarsi e a prodursi in dribbling difensivi, prima di smistare il gioco: un’angolazione di Jović che né i tifosi del Milan, né tantomeno quelli della Fiorentina, avevano potuto apprezzare da quando il serbo milita in Serie A. Nelle stagioni in Italia, finora, Jović aveva dato l’impressione di poter essere un attaccante utile solo per i minuti finali, nei momenti di confusione, quando una palla in area sarebbe potuto capitare persino sui suoi piedi: come se le occasioni utili dovessero piovergli dal cielo, visto che ormai non era in grado di generare nulla. Tant’è vero che al Milan aveva trovato il modo di incidere solo con Giroud accanto, a fare a sportellate e a fargli trovare tutto apparecchiato per il gol, come si fa per i vostri amici scarsi a cui, da bambini, dicevate di mettersi davanti alla porta e aspettare il pallone.

Nulla a che vedere con il Jović di ieri sera, che è sembrato protagonista del gioco del Milan quasi più di Leão o di Pulisic, come se davvero il 3-4-3 o 3-4-2-1 proposto da Conceiçao fosse disegnato per lui. È improbabile che sia così, ma di certo ne ha tratto vantaggio. Aver schierato due esterni a tutta fascia, incaricati di dare ampiezza, ha fatto sì che Leão e Pulisic potessero muoversi stabilmente in zone centrali e diventare così la prima preoccupazione dei difensori interisti: in questo modo, Jović poteva godere di maggiore libertà e ricercarsi gli spazi che si creavano per via delle attenzioni rivolte ai compagni: un contesto più agevole, che il serbo forse non ritrovava davvero dalla stagione dell’esplosione in Bundesliga. Anche l’Eintracht era solito giocare con due esterni a tutta fascia e tre uomini offensivi, disposti in modo diverso a seconda delle caratteristiche (3-4-3/3-4-2-1 o 3-4-1-2). Jović, così, non si occupava solo di finalizzare, ma, approfittando del lavoro di Haller o Rebić, poteva trovarsi gli spazi per contribuire al gioco o per attaccare la profondità. Che si trattasse di un giocatore tutto sommato intelligente e con ottime qualità tecniche, non solo un gran finalizzatore, lo dimostrava il fatto che in un paio d’occasioni, quell’anno, Hütter lo avesse schierato addirittura da trequartista.

Certo, quello di sei anni fa era tutt’altro giocatore dal punto di vista atletico, ben più reattivo e scattante. Quello di oggi, anche quello di ieri sera contro l’Inter, ha invece perso il passo per minacciare le difese in profondità. Ciò non toglie che, col peso dell’attacco diluito su più giocatori, anche questa versione di Jović possa risultare più utile del previsto.

Anche perché, dettaglio più importante di qualsiasi considerazione tattica, dopo il gol al Napoli Jović ha ritrovato fiducia: viene da 4 partite di fila da titolare e, prima di ieri, aveva segnato 2 gol nelle ultime 4 gare di Serie A: Jović ha iniziato a sentirsi apprezzato, ha cambiato il proprio stato d’animo e ha ricominciato a prendere di petto la partita, senza aspettare di raccogliere le briciole in area.

Si può dire che il livello della sua prestazione nel derby di coppa sia salito dopo il colpo di testa dell’1-0, ma, a ben vedere, anche quel gol è stato la conseguenza di una sua maggior partecipazione: i presupposti per attaccare l’area in quel modo, Jović, li ha costruiti in prima persona.

Col Milan in costruzione a cavallo della metà campo, la mediana dell’Inter era collassata tutta verso il lato destro dei rossoneri, dove ha ricevuto Jimenez. Jović, allora, si è fatto vedere alle spalle dei tre centrocampisti nerazzurri, in una tasca che si era aperta perché Pulisic nel frattempo teneva impegnato Bastoni.

Jović, così, ha dettato il passaggio a Jimenez e, vista una posizione tutto sommato innocua, de Vrij ha preferito non seguirlo.

Dopo il controllo Jović ha evitato Barella e, sfilatosi in una zona più bassa e meno congestionata, ha potuto alzare la testa e allargare per Theo, libero di avanzare visto che i tre centrocampisti dell’Inter stazionavano sul lato opposto.

La cucitura di Jović ha inclinato il campo e così anche Reijnders, partendo da lontano, è potuto arrivare a ricevere fronte alla porta sul limite dell’area, la sua situazione preferita. L’olandese con una breve conduzione ha magnetizzato l’attenzione degli avversari e ha dato lo spazio a Fofana e Jimenez per confezionare il cross su cui ha svettato Jović, che si era nascosto alle spalle di Darmian come un fantasma. La frustata è stata quella di uno stoccatore nato.

Il gol è arrivato al termine di un momento in cui sembrava che il vantaggio per l’Inter, padrona del gioco tra il 20’ e la mezz’ora, fosse solo questione di minuti. A differenza della partita d’andata, nel primo tempo di ieri le distanze del Milan erano troppo lunghe. Ogni volta che i rossoneri non riuscivano a chiudere un attacco (anche solo calciando fuori), l’Inter aveva praterie per ripartire. I due mediani Reijnders e Fofana erano spesso fuori posizione, perché uno dei due era solito accompagnare gli attacchi, mentre l’altro tendeva a farsi portare fuori posizione lateralmente e comunque aveva troppo campo intorno: in questo modo per i due era impossibile sia accorciare in avanti per la riaggressione, sia coprire lo spazio. I difensori centrali del Milan, poi, sembravano disputare una partita a parte, terrorizzati dagli attaccanti nerazzurri restavano sempre dietro la linea di centrocampo, lontani decine e decine di metri dal resto della squadra: senza che nemmeno i difensori potessero accorciare, il gegenpressing per il Milan era un concetto ignoto.

In generale, il Milan perdeva palla male e in fretta, il centrocampo non aveva modo di fare filtro e la difesa, rinculando, si allontanava dal centrocampo, per cui anche una seconda palla nata da un duello aereo poteva essere problematica da difendere per il Milan, come nel caso del tiro d’esterno di Lautaro, liberato da una sponda aerea di Taremi: l’iraniano aveva abbassato la difesa con un attacco alla profondità e il centrocampo del Milan era rimasto troppo lontano per poter tamponare Lautaro.

Poi, però, è arrivato il gol di Jović, e siccome il calcio è fatto soprattutto di momenti la partita è cambiata. L’Inter si è fatta meno pericolosa e in apertura di secondo tempo il Milan ha trovato il raddoppio, sempre con una zampata del serbo che ha approfittato di una situazione concitata su calcio d’angolo.

A quel punto, il Milan si è sentito comodo nella partita, rimanendo più compatto, col 4-4-2 del blocco medio (con Jović e Pulisic punte, e la catena di destra composta da Jimenez esterno e Tomori terzino) che diventava 5-4-1 nella propria metà campo (con Jimenez che diventava quinto di destra, come all’andata).

L’Inter ha cercato sfogo soprattutto con le iniziative di Zalewski, entrato al posto di Dimarco per puntare l’uomo a piede invertito, ma non ha ricavato granché.

Il Milan, invece, quando ha avuto palla ha iniziato a gestirla con una freddezza inedita. E gran parte del merito va dato a Luka Jović, che nel secondo tempo si è esibito in un clinic di dribbling difensivi, protezioni e pause. Il serbo ha iniziato a farsi dare palla, a portare a spasso gli avversari e a guadagnare secondi e spazi in cui far ricevere i compagni. Jović non è mai stato un centravanti di manovra, ma quando è così lucido può partecipare senza problemi al gioco. Ha buone idee su come tenere palla e ha i mezzi per metterle in pratica: i piedi, certo (dalla partita di ieri, per esempio, possiamo annoverare uno scavino per superare all’indietro Mkhitaryan e Calhanoglu che rientravano, prima di cambiare gioco col piede debole per Theo, oppure un tacco in anticipo su de Vrij), ma anche la parte più visibile e voluminosa del suo corpo, il culo. Senza nessuna ironia, avere un sedere sporgente è un vantaggio notevole nel calcio quando si tratta di proteggere palla: Yaya Touré ha detto che era il segreto di Hazard. Jović non tocca quei livelli di eccellenza, ma ieri, ricevendo di spalle, mettendo il culo davanti riusciva a nascondere la palla e le sue intenzioni a chi lo marcava.

Alla fine, con un’Inter stanca e in disarmo, il 3-0 di Reijnders è stato quasi una conseguenza naturale.

Il Milan, così, chiuderà la sua stagione peggiore degli ultimi cinque anni senza aver perso nemmeno un derby contro un’Inter che ha dimostrato di essere una delle migliori squadre d’Europa. Un paradosso difficile da spiegare, a cui possiamo trovare diverse cause: le differenti motivazioni con cui le due squadre hanno affrontato le stracittadine (è vero che un derby è un derby ma era il Milan ad essere in debito con i propri tifosi), il calendario infernale dell’Inter, anche un diverso matchup tattico (l’Inter è la miglior squadra in Europa a interpretare gli spazi che si aprono di volta in volta, ma siccome il Milan segue poco l’uomo, di spazi in cui muoversi dinamicamente ce ne sono meno, e forse l’Inter non ha troppa qualità per approfittare di quelli più stretti che, “per costruzione”, sono già presenti in una squadra che bada di più alla zona come il Milan).

L’aspetto più bizzarro di tutti, però, è che Luka Jović abbia scelto proprio la partita con l’Inter per lasciare un segno. Di protagonisti da cui nessuno pretendeva nulla il derby di Milano ne ha avuti parecchi, soprattutto nelle annate peggiori delle due squadre: Contra, Zapata, Schelotto, De Jong. Jović rientra in questa categoria? Giocatore che verrà ricordato solo per questa partita, senza aver lasciato granché? Al momento sembra di sì. Il contratto del serbo scade alla fine di questa stagione e, per una società assennata, non possono bastare una manciata di partite discrete in due anni per giustificare un rinnovo, tanto più se c’è da ricostruire. Alla fine del 2024/25 del Milan mancano solo 5 partite di campionato e una finale di Coppa Italia. Poco tempo per stravolgere ogni giudizio. Luka Jović, però, in questi ultimi mesi sembra volerci sorprendere.

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