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Inter-PSV, un'altra notte di rimpianti
13 dic 2018
Un punto sull'eliminazione dei nerazzurri.
(articolo)
7 min
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Per l’Inter, la seconda grande occasione - dopo la sfida a Londra contro il Tottenham - per superare il primo turno di Champions League è svanita, confermando le insicurezze di una squadra che aveva illuso di essere all’altezza di questi palcoscenici, salvo raccogliere due pareggi e due sconfitte contro Tottenham, Roma, Juventus e PSV, nel passaggio più importante della stagione. Adesso guardarsi indietro è diventato più difficile.

Alla vigilia, Spalletti aveva utilizzato i toni enfatici che l’occasione richiedeva. L’aveva definita la “partita più importante della sua gestione”, aveva invitato a “tirar fuori tutto”. Da almeno un mese, l’Inter si era mantenuta in linea di galleggiamento in attesa di questa occasione, consolidando la percezione che bastasse un gol a giustificare tutti i precedenti passi falsi, che i 4 punti nelle ultime 4 partite di campionato servissero da sacrificio necessario a regalarsi una grande notte europea.

Così, contro il PSV, nel momento in cui è scaduto l’ultimo dei sei minuti di recupero concessi, alla grande delusione di non aver passato il turno si sono sommate tutte le piccole e medie delusioni precedenti, rendendo insopportabile il pareggio interno. Eppure ci sono ancora quattro partite per recuperare il credito disperso prima che cominci la sosta invernale, tra cui l’appuntamento casalingo contro il Napoli. Le attenuanti per spiegarsi il recente tracollo ci sono, ma devono servire soprattutto a guardarsi avanti.

Un dramma già scritto

L’Inter ha giocato anche una buona partita finché ha potuto, cioè finché è stata in grado di poggiare su qualcosa che avesse la consistenza di un centrocampo. Dai primissimi minuti fino al novantacinquesimo inoltrato, il PSV ha mantenuto un buon livello di pressione e una buona compattezza centrale, il requisito spesso sufficiente per piegare gli sforzi dell’Inter. È stata, come la si poteva immaginare, una partita faticosissima.

Lo spazio che circondava Brozovic sembrava come l’universo, in espansione. Questa è una costante di quest’ultima parte di stagione, in cui Brozovic commette una marea di falli inseguendo gli avversari a centrocampo, e ogni tifoso interista ha imparato a chiedersi per riflesso nervoso quanti gialli abbia già accumulato, fin da prima che i giocatori scendano in campo. In questo spazio si sono mossi bene Lozano e Bergwijn, innescati dalle geometrie di Angeliño e Hendrix, a conferma della caratura internazionale del PSV, una squadra più forte di quanto rivelino i 2 punti raccolti e i 13 gol subiti.

Questo lo si immaginava già prima che il girone cominciasse, quando il passaggio del turno sembrava un’impresa, ed è inevitabile tornare a pensarci adesso, che un ballottaggio deciso dai gol segnati fuori casa negli scontri diretti ha le sembianze di un fallimento. (A margine, in Italia si dicono tutti certissimi che saremmo pronti a scendere in piazza soltanto se ci toccassero il pallone - allora facciamolo, questa regola dei gol fuori casa è durata anche troppo, senza che ne capissimo il significato, e ci ha già negato una finale di Champions: non è intuitiva, ho amici ancora convinti che “valgano doppio” e moltiplicano per due, non premia il merito, non favorisce lo spettacolo. Ha il sapore stantio della media inglese e dei retropassaggi al portiere).

Amarezza su amarezza

Nella distanza che separa l’impresa dal fallimento c’è una terra grigia popolata dai rimpianti. Ai quali, come ogni tifoso interista che abbia passato i vent’anni, dovrei essere ampiamente vaccinato. Guardi dottore, ho fatto il fallo di Iuliano e il 5 maggio, la parata di Abbiati e il gol di Arruabarrena. Benissimo, le prescrivo gocce di malinconia a piccole dosi per tenere attive le difese immunitarie. In una stagione che ne aveva già distillate in abbondanza (i rimpianti per le finte di Cancelo e per le spallate di Zaniolo; ma anche il siluro di Dimarco e il tocco morbido di Rafinha proprio contro i nerazzurri), mi illudevo ormai di essere immune a qualunque scherzo del destino, ma i primi 73 minuti di Trent Sainsbury mi sono piovuti addosso come un’incudine.

Trent Sainsbury è un carneade australiano di 184 centimetri che la storia dell’Inter relegherà tra i Maniche, i Palombo e i Lisandro López, nel cassetto degli acquisti di gennaio confusi. Forse persino appartenente a un’altra categoria rispetto a quelli citati, che almeno inizialmente promettevano un qualche senso tecnico. Sainsbury era arrivato all’Inter a gennaio del 2017 come un puro valore finanziario; poi era tornato ad essere un esubero dello Jiangsu Suning finché Van Bommel, che lo aveva conosciuto nei pochi mesi in cui è stato vice-allenatore della selezione australiana, ha deciso in estate di portarlo al PSV. Non avrebbe neanche dovuto giocare, se il titolare Schwaab non si fosse fatto male contro il Feyenoord, eppure prima di perdersi Icardi nell’azione del gol del pareggio, un po’ come si era perso Kane nell’azione del vantaggio del Tottenham (ammirevole esempio di par condicio), aveva giocato la partita perfetta.

Nel complesso, ha vinto la metà degli 8 duelli aerei ingaggiati, ha giocato 21 palloni con la testa (primo tra i giocatori in campo) e ha effettuato 15 dei 42 disimpegni complessivi del PSV. È la fotografia migliore per raccontare la strategia offensiva dell’Inter, in una partita che doveva prestarsi a un approccio travolgente, e che invece si è consumata nei primi nove secondi con un comodo cross di Candreva destinato tra le braccia di Zoet, inevitabile preludio a un’interminabile serie di cross senza un senso né un effetto di qualsiasi sorta. Il contesto ideale perché finanche Trent Sainsbury riuscisse a iscriversi alla lunga lista di rimpianti.

Qui ognuno avrà la sua personale classifica, e con ogni probabilità la prestazione di Sainsbury non sarà sul podio in nessuna di queste. In ogni caso, questa è la mia:

Il colpo di testa di Lautaro finito alto

I vincoli del fair play finanziario che hanno diserbato il centrocampo

Il cambio Vrsaljko per Politano, quando dovrebbe essere ormai chiaro a tutti che inserire un terzino nei minuti finali, quantomeno, porta sfiga (vedi anche: Santon in Inter-Juventus, Lukaku in Lazio-Inter, Rose in Inter-Tottenham)

La gestione di Nainggolan, che ha fatto di tutto per essere presente contro il Tottenham e ha finito per abbandonare la partita dopo pochi minuti perdendosi tutte le successive, che erano altrettanto importanti

La finestra di dieci minuti tra il gol segnato da Perisic in finale dei Mondiali e il fallo da rigore commesso da Perisic in finale dei Mondiali, in cui nessuno ha chiamato per comprarlo.

Da dove ripartire

A questo punto però l’urgenza di guardarsi avanti impone di raccogliere anche quanto di buono è venuto fuori da una partita in cui a un certo punto Brozovic si è ritrovato unico centrocampista, Perisic si è ritrovato terzino, e poi Keita si è trovato trequartista centrale avvolto da un evidente senso di spaesamento. Non è un caso che le note più liete al termine della serata provenissero da quei giocatori messi nella posizione e nel contesto ideale per esprimersi al meglio.

La partita di D’Ambrosio, che ci ha creduto più di tutti, e ha trovato il coraggio di rischiare la giocata risolutiva che non gli riconoscevo. La partita di Politano, sorprendente come riescono ad esserlo soltanto le ali che quando arrivano sul fondo e non hanno spazio per crossare riescono a fare a meno di crossare. È stato esaltante seguirlo nei cambi di passo, nelle mille giravolte e nelle rincorse disperate. Dopo Skriniar, un altro grande acquisto pescato dalla media Serie A.

La partita di Icardi, dopo l'ennesimo weekend trascorso sulle prime pagine dei giornali, stavolta per aver «messo in imbarazzo l’Inter» recandosi a Madrid «senza autorizzazione» (ma era con Zanetti!), dipinto come un capitano che «non dà certo l’esempio». Invece sì: miglior prestazione stagionale, leader emotivo e finalmente anche tecnico, 18 passaggi completati su 20, 5 tentativi verso la porta tra cui il gol del pareggio, il quarto in 6 partite di Champions League.

Dopo il gol di Lucas Moura a Barcellona, l’Inter si è trovata in una situazione molto simile a quella già vissuta nel 2003/04 e raccontata su queste pagine da Giuseppe Pastore. Anche allora avrebbe avuto bisogno di una vittoria all’ultima giornata contro un avversario sulla carta leggermente inferiore, e poi pareggiò 1-1. Anche allora fu eliminata da una squadra inglese ben più forte, che aveva sorprendentemente sconfitto nella prima giornata.

A quella delusione seguirono una grande campagna acquisti invernale (arrivarono Stankovic e Adriano), un quarto posto in campionato e un buon cammino nelle coppe: quarti di finale dell’allora Coppa Uefa e semifinale di Coppa Italia. Nei due anni successivi, il cammino in Champions si protrasse fino ai quarti di finale. Sarebbe bello se la strada intrapresa fosse questa, forse ce lo diranno le prossime quattro partite.

Fissare un’asticella concreta è indispensabile in questa fase della stagione in cui tutti gli obiettivi esaltanti sembrano sfumati: se proprio bisogna guardare al passato, tanto vale volgere lo sguardo molto più in là di quest’ultimo terribile mese.

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