Durante il lockdown la lunga assenza di calcio giocato ci ha fatto guardare al passato. La celebrazione degli anniversari è stata un modo per ragionare sullo scorrere del tempo e sistematizzare la nebulosa confusa che ci siamo lasciati alle spalle. Lo scorso maggio è ricorso il decimo anniversario del Triplete dell'Inter: l'ultimo grande trionfo di un club italiano in Europa.
Sono state mandate in onda le partite più importanti, sono stati intervistati diversi protagonisti. Una carrellata di immagini che per il tifoso dell'Inter rappresenta sempre una botta di vita. Eppure c'è la sensazione che siano passati molto più di dieci anni. Come può quell'impresa rientrare in un decennio di egemonia juventina? O forse l'euforia per il ricordo di Mourinho è stata solo appannata in fretta dalla disillusione di chi credeva nella rivoluzione gasperiniana, nel giovane Strama e nella cultura del lavoro di Mazzarri?
Pochi mesi dopo l’anniversario l’Inter è tornata a disputare una finale europea, a poco più di dieci anni dall'ultima volta, e se anche ha finito per non vincere ha comunque dato la sensazione di aver chiuso un cerchio di sventura, scelte sbagliate e mancanza di competitività.
Abbiamo scelto 10 sconfitte esemplari per capire cosa è andato storto dalla vittoria della Champions League a oggi. Come ha fatto l'Inter a non riuscire a dare continuità a un ciclo che sembrava in effetti terminato. Un solo criterio: una Caporetto per allenatore, con l'eccezione di Rafa Benitez, un piccolo premio per essere diventato campione del mondo.
5/04/2011 - Inter-Schalke 04 2-5
1' Stankovic, 17' Matip, 34' Milito, 40' Edu, 53' Raul, 57' Ranocchia (AG), 76' Edu.
L'Inter campione del mondo è una squadra che sta già recuperando le sue vecchie contraddizioni. Il Mondiale per Club viene ricordato per lo sfogo post-vittoria del mal digerito allenatore spagnolo. Vuole, anzi, pretende almeno tre rinforzi. Lo spogliatoio non lo ha mai sopportato e l'esonero è una naturale conseguenza. Il jolly a sorpresa di Moratti è Leonardo, una vita al Milan in ogni ruolo possibile, tatticamente maltrattato da Mourinho nei due derby dell'anno precedente. Il brasiliano ha però il merito di empatizzare subito con l'ambiente e di ricompattarlo. «Visto che Benitez se ne è andato, di giocatori ne prendo quattro invece che tre», la battuta di Moratti nel presentarlo. Sarà di parola, portando Pazzini, Kharja, Ranocchia e Nagatomo. Nessuno di loro avrà una carriera indimenticabile a Milano.
Allo scoccare di aprile l'Inter è tornata a soli due punti dal Milan capolista con una gran rimonta e uno scontro diretto da giocare. In Champions, dopo aver ottenuto ancora lo scalpo del Bayern, il sorteggio regala, nel vero senso della parola, lo Schalke 04 allenato da Ralf Rangnick. Qualcuno sussurra che forse, quasi quasi, si può fare un altro Triplete. Ma il derby è già una sentenza. 3-0 rossonero senza storie e di Scudetto non se ne riparlerà per un po' di tempo.
Tre giorni dopo arriva a San Siro la squadra dell'immortale Raul e del promettente Neuer, che Stankovic punisce segnandogli da centrocampo dopo nemmeno un minuto su una sua uscita spavalda. Beh, se il buongiorno si vede dal mattino, sarà un successo. Non proprio, pareggia Matip, futuro campione d’Europa col Liverpool. Poco importa, vuol dire che si segnerà qualche gol in più per stare tranquilli. Infatti Milito ci mette poco a siglare il secondo. La sua rete, una delle poche di quella stagione, sa di serata speciale. Se torna a segnare El Principe, cosa può andare storto?
Lo Schalke pareggia ancora e nel secondo tempo allunga con altri tre gol. Uno di questi viene da un brutto errore di Ranocchia. La prima pietra dell'altare su cui verrà spesso sacrificato come capro espiatorio negli anni a venire. Il simbolo del futuro abortito dell'Inter. La squadra ha un crollo nervoso, si sfilaccia, non reagisce e la partita diventa presto un tiro al bersaglio in cui Julio Cesar prova a evitare la figuraccia. Lo Schalke quasi non trova più opposizione nell'avvicinarsi all'area di rigore. Neuer dimostra su Eto'o che il futuro gli apparterrà di sicuro. La partita è invece il manifesto di una squadra che, da quel momento, diventa parte del passato. La qualità e l'esperienza cedono il passo all'usura fisica, a una motivazione calante e all'assenza di una guida all'altezza della precedente. È l'inizio della nuova era, quella in cui le sconfitte non saranno solo sconfitte, ma rappresentazioni paradigmatiche di situazioni assurde e ricorrenti. Con il tifoso nel limbo tra l'incauto ottimismo e la congenita predisposizione ad aspettarsi sempre di peggio.
20/09/2011 - Novara–Inter 3-1
38' Meggiorini, 86' rig. Rigoni, 89' Cambiasso, 91' Rigoni.
Non sono trascorsi nemmeno tre mesi tra l'annuncio ufficiale e l'esonero di Gian Piero Gasperini. A dire il vero non è mai sembrato ci fossero i presupposti per un matrimonio felice. Moratti, preso alla sprovvista dall'interesse di Leonardo verso le lusinghe del PSG, voleva Marcelo Bielsa. Poi Capello. Nessuno si liberò dai rispettivi impegni con Athletic Bilbao e Inghilterra. Anche i tifosi non vedevano di buon occhio un uomo con un forte passato juventino, ex allenatore delle giovanili bianconere e con Rampulla e Ventrone nel suo staff. Nello spogliatoio c'erano alcuni fedelissimi come Milito, Thiago Motta e Ranocchia. Ma si era aggiunto un problema: ai reduci della Copa America venne concessa una vacanza che li rese indisponibili per la Supercoppa persa contro il Milan. Non il modo migliore per far ambientare un nuovo allenatore.
A Gasperini viene contestato subito tutto: difesa a tre, il mancato utilizzo di Pazzini, l'inconciliabilità di Sneijder nel suo 3-4-3. Dopo le sconfitte con Palermo e Trabzonspor, la sensazione è che Moratti attenda solo il terzo indizio per mettere insieme la sua prova e congedare il tecnico. Possibile che possa già arrivare nella trasferta contro il neopromosso Novara? Gasperini lancia tra i titolari nel tridente con Milito e Forlan il giovane olandese Castaignos, fin lì zero minuti in stagione. Dura un tempo. Sneijder in mediana accanto a Cambiasso. L'impressione è quella di un uomo in cerca di una difficile sintesi tra le sue idee e la rosa a disposizione. E molto lontano dal trovarla.
Le distanze tra i reparti, ma anche tra gli stessi difensori, sono così ampie che i non entusiasmanti attaccanti del Novara - Morimoto, Mazzarani, Meggiorini e Rigoni - trovano spesso spazi in profondità da attaccare. Rigoni e Meggiorini, ex Primavera nerazzurro, saranno gli eroi della serata. Cambiasso segna troppo tardi il 2-1, ma si parlerà di lui per un altro episodio. Indica a Ranocchia il numero 4 con le dita: “Giochiamo con la difesa a quattro”, sembra l'unica interpretazione possibile. La versione sarà smentita dal giocatore: «Parlavo di uno schema su calcio piazzato, Ranocchia poteva andare a saltare perché rimanevamo dietro in quattro». Ma la verità ormai è un dettaglio di poco conto in un quadro ormai definito. L'Inter sembra essere tornata la “centrifuga” ribattezzata anni prima da Trapattoni. Un contesto in cui può accadere di tutto, anche una ribellione tattica dei giocatori a partita in corso.
Gasperini fu esonerato dopo 73 giorni, pagando i tanti pregiudizi nei suoi confronti. A cominciare da quello sulla difesa a tre, considerata da molti interisti culturalmente incompatibile con la storia della squadra. Una diffidenza che si sarebbe ripetuta con altri allenatori. Gasperini si ricostruirà una gran carriera, non senza continuare a parlare con grande amarezza e un pizzico di naturale risentimento di quell'esperienza all'Inter.
Il Novara retrocesse con 32 punti, a 10 dalla zona salvezza, non prima di vincere anche a San Siro con gol di Caracciolo. C'era già Ranieri da tempo.
17/02/2012 - Inter-Bologna 0-3
37’ e 38’ Di Vaio, 85' Acquafresca.
Claudio Ranieri sembra l'uomo adatto ad aggiustare il caos interista. Dopotutto siamo ancora a settembre. Anche l'ex allenatore della Roma fa fatica a ingranare, ma sembra trovare una soluzione. La squadra si qualifica agli ottavi di Champions e in campionato trova un buon filotto di risultati tra dicembre e gennaio. Sono iniziate le annate delle rincorse disperate alla zona Champions, ridottasi nel frattempo a soli tre posti. Un obiettivo che per molto tempo sarà una chimera, l'unico discrimine per giudicare il valore di una stagione e l'operato degli allenatori.
A febbraio l'Inter incappa in un nuovo periodo negativo e, quando ospita in casa il Bologna, ha appena perso di nuovo contro il Novara. Un girone per scoprire che si è rimasti allo stesso punto? Non sembra: la squadra inizia bene la partita e trova un ottimo Gillet sulla sua strada. Il gol è nell'aria. Lo segna però il Bologna con Di Vaio. Nemmeno il tempo di dare modo ai nuovi spettri di materializzarsi, che l'attaccante raddoppia. Un lancio innocuo viene trasformato da Ranocchia in un assist perfetto. Dai replay sembra che il difensore sia rimasto incerto fino alla fine sulla scelta tra il comodo retropassaggio e lo stop per far ripartire subito l'azione. Un gesto per trasmettere l'idea di una reazione immediata, ma più rischioso.
La parabola di questo giocatore è esemplificativa. Nel tempo ha affrontato un percorso di espiazione che, tra prestiti altrove e una certa de-responsabilizzazione nella squadra, lo hanno portato ad essere accettato e ammirato. Dal troppo bravo ragazzo, inadeguato a essere il capitano di una nave in tempesta, a qualcuno in grado di farsi trovare pronto nel bisogno e di dare l'esempio nello spogliatoio.
Nel secondo tempo di quella partita, con due gol da recuperare, Ranieri fa uscire Forlan per far entrare Poli. Nel post-partita Bergomi gli dice di comprenderlo per l'effettiva impossibilità di trovare un equilibrio alla squadra. Lui ride un po' ironico e un po' isterico, forse perché i tifosi mostrano meno compassione. A fine partita inneggiano infatti a Mourinho, per molti versi la sua nemesi, non prima di aver visto anche Acquafresca fare slalom come Gustav Thoeni tra i difensori schierati. Non si crolla più solo in un quarto di Champions, chiunque ormai a San Siro può vestire la parte del predatore. L'urlo a invocare il portoghese somiglia a un richiamo disperato a una realtà passata, eppure erano passati solo due anni.
7/04/2013 - Inter-Atalanta 3-4
43' Rocchi, 56' Bonaventura, 47', 52' Alvarez, 65', 71', 77' Denis.
Se, durante la primavera del 2012, qualcuno avesse detto ai tifosi dell'Inter che la loro squadra sarebbe stata allenata da un tecnico in futuro esonerato in Grecia, in Repubblica Ceca e poi idolatrato in Iran, tutti avrebbero pensato a uno scherzo.
Stramaccioni ha vinto la NextGen, una specie di Champions League dedicata alle giovanili. Basta questo a far innamorare Massimo Moratti, in un periodo in cui pescare giovani tecnici dai settori giovanili sta diventando una moda incontrollata. Stramaccioni subentra a Ranieri per le ultime nove giornate del campionato 2011/12, lo chiude con dignità e si guadagna la riconferma.
Regala al pubblico serate indimenticabili. È il primo a espugnare lo Juventus Stadium, resta imbattuto in tre derby giocati, sfiora una clamorosa rimonta in Europa League contro il Tottenham, per qualche mese sembra poter cancellare il fallimento della stagione precedente. Poi, all'improvviso, si smarrisce. Perde il filo della matassa, litiga con Cassano, non trova una soluzione agli infortuni che decimano la squadra e lo costringono ad affrontare la parte finale della stagione con Tommaso Rocchi unico attaccante a disposizione. Ma questo può bastare a giustificare un girone di ritorno con appena 19 punti e il nono posto finale in classifica, peggior risultato del millennio?
L'Inter con l'Atalanta è già una squadra in difficoltà e incerottata, ma crede ancora di poter lottare per l'Europa, di raggiungere addirittura il terzo posto. E la serata sembra dare ragione a queste ambizioni. Rocchi, preso a gennaio dalla Lazio con appena tre presenze in sei mesi, segna il suo primo gol stagionale. Dopo il pareggio di Bonaventura, c'è la doppietta di Ricky Alvarez. Ma, proprio come in campionato la squadra si sfalda progressivamente, così quella sera l'Inter crolla dal nulla, stesa dai tre gol in 12 minuti di German Denis: il primo è un rigore molto dubbio. Ma nemmeno un abbaglio arbitrale giustifica una squadra così in balia degli eventi, una difesa così ballerina di fronte ai dribbling di un onesto attaccante come Denis. La pressione finale si esaurisce in un interno destro di Ranocchia, ancora lui, che a due metri dalla porta vuota alza un campanile invece di segnare il pareggio. Al fischio finale scatta anche la rissa, causata dall'ex Schelotto, per non farsi mancare nessun sintomo della crisi di nervi.
La faccia incredula di Moratti in tribuna è un manifesto. Di fronte a errori simili, cosa si può imputare a un allenatore? Oppure il presidente sa che ormai è troppo tardi per chiudere la stalla. Forse è questo il ragionamento, e quell'infatuazione mai dimenticata, a spingerlo a tenere Stramaccioni per tutta la stagione, a non riservargli quel trattamento spiccio e inclemente che aveva tenuto con Gasperini e Benitez. Dopo quella partita, ce ne furono altre sette: l'Inter ottenne 4 punti, subì 14 gol e ne segnò 5. Recuperare i buoi non sarebbe stato semplice.
1/11/2014 - Parma-Inter 2-0
5' e 75' De Ceglie.
Walter Mazzarri è sempre piaciuto poco agli interisti, nonostante un esordio con un quinto posto non da buttare. Un risultato ottenuto dopo le macerie lasciate da Stramaccioni, nella stagione storica in cui Moratti passa il testimone a Erick Thohir e le bandiere argentine decidono di ammainarsi. Ma era proprio la sua regolarità ordinaria, la mitezza (o meglio la paranoia) di un tecnico predisposto a volare basso per paura di farsi male, a non entusiasmare un pubblico mai rassegnato alla sua nuova dimensione.
L'inizio di stagione è marchiato: l'unico pomeriggio di gloria del Cagliari di Zeman, un 4-1 con tripletta di Ekdal a San Siro, fa già soffiare il vento dell'esonero. In un inizio di stagione sotto le aspettative, due rigori decisivi di Icardi contro Cesena e Sampdoria sono sufficienti a ridare fiducia all'ambiente.
All'orizzonte c'è la trasferta di Parma. Dopo la qualificazione in Europa League, resa vana dal ritardo nel pagamento dell'Irpef della società, gli emiliani sono ultimi in classifica con tre punti, di cui zero in casa. Anche perché si è passati a non pagare più nemmeno gli stipendi. Le assurde vicende del triangolo Ghirardi-Taci-Manenti scoppieranno poche settimane dopo e in quel momento il Parma è la squadra perfetta per far compiere a Mazzarri un'impresa mai riuscitagli sulla panchina dell'Inter: cogliere la terza vittoria consecutiva.
Tutto sembra apparecchiato per il rilancio definitivo. Nessuno aveva però messo in conto il guastafeste a sorpresa, Paolino De Ceglie. Ex settore giovanile della Juventus dalla rapida parabola discendente: promessa, buon rincalzo, giocatore di medio-bassa classifica, idolo social che studia da deejay. Quella sera però, il terzino sinistro si regala la migliore delle sue 11 presenze emiliane. Doppietta e rischio concreto di portarsi il pallone a casa nel finale. Due gol esteticamente brutti a vedersi, in particolar modo il secondo: dopo una respinta di Medel su tiro di Cassano, il suo tap-in passa goffamente sotto le gambe di un Handanovic un po' piantato.
Per il popolo interista la solita sconfitta inattesa che diventa poi scontata al fischio finale. Il carneade incubo a sorpresa. Per Mazzarri, un pesante contrappasso: punito da un esterno a tutto campo, quello che dovrebbe essere uno dei fiori all'occhiello del suo poco amato 3-5-2. Forse però, una conseguenza prevedibile se l'esterno di destra è Joel Obi, teoricamente una mezzala mancina. L'Inter si limita a un palo di Kovacic e a una svirgolata di Palacio, sintomi di una sterilità creativa mai venuta meno in quell'anno e mezzo, con le eccezioni di due 7-0 al Sassuolo.
20/12/2015 - Inter-Lazio 1-2
5' Candreva, 61' Icardi, 87' Candreva.
Il ritorno di Roberto Mancini all'Inter sembra restituire un'idea di grandeur perduta. Un allenatore così titolato, sinonimo di tempi felici, che accetta la panchina di una squadra decaduta. Chiede però, e tutto sommato ottiene, una decina di nuovi giocatori tra una stagione e l'altra. Divertendosi a cambiare la formazione ogni settimana e andando di 1-0 in 1-0, si ritrova sorprendentemente primo a dicembre. Un mese che però per l'Inter ha sempre rappresentato un brusco risveglio da una realtà troppo bella rispetto ad aspettative e potenzialità.
Nell'ultimo turno prima di Natale, arriva la Lazio a San Siro. Terza nel campionato precedente, la squadra di Pioli non sta riuscendo a ripetersi. L'Inter ha la possibilità di aumentare il suo vantaggio sulle inseguitrici, già sicura di chiudere l'anno solare in testa. Una grande occasione e senza nemmeno troppe pressioni. La Lazio colpisce però a freddo con un tiro da fuori di Candreva. L'Inter fatica a reagire, pareggia nel secondo tempo con Icardi e la partita sembra avviarsi così alla fine. La Lazio, per valore, è la classica avversaria dalla classifica bugiarda, un'espressione sempre di moda che basterebbe a giudicare sufficiente il pareggio per godersi le feste.
Fin quando non entra in azione Felipe Melo. Mancini lo ha apprezzato al Galatasaray e lo ha voluto a Milano. In Italia non ha lasciato un bel ricordo, ma per ragioni molto aleatorie i tifosi apprezzano l'idea di un giocatore “di personalità”, seguendo quell'ideale per cui una squadra che va male da anni abbia bisogno, prima di tutto, di grinta e “gente con le palle”. Il filo dell'equilibrio su cui si regge il brasiliano sembra tenere fino ai 5 minuti finali della partita in questione. Prima, nel momento in cui Milinkovic-Savic riceve un pallone alto e innocuo spalle alla porta in area, lo travolge con un salto scomposto che causa il rigore. Candreva se lo fa parare, ma segna sulla ribattuta. Innervosito poi dall'errore, Melo rischia quasi di decapitare Biglia con un'entrata da karateka. Dopo un intervento in gioco pericoloso, lascia la gamba alta e colpisce il collo dell'avversario. Rosso diretto e fischio finale.
Una sconfitta per un errore veniale non fa mai piacere, ma perdere con la Lazio si può pur accettare. Un primo posto è però sufficiente a inebriare un ambiente in cui l'ambizione segue più la legge del blasone che della logica. Mancini nelle interviste dice che tutti si sono rovinati il Natale da soli. Esagerato? O forse si riferisce ad altro: il giorno dopo la Gazzetta descrive lo spogliatoio nerazzurro come una polveriera. Ljajic, destinato alla panchina, si sarebbe rifiutato di indossare la tuta da gara all'inizio. Jovetic e Mancini avrebbero sfiorato la rissa per una sostituzione e sarebbero stati separati da altri giocatori, Icardi e Melo si sarebbero beccati in seguito alle gesta del brasiliano. Si smentisce, ma ancora una volta la centrifuga si è azionata. Sono tornati i tempi delle fazioni, sudamericani contro slavi, biondi contro bruni, terzini contro mediani.
Ci si chiede se è possibile che una squadra prima, da cui nessuno pretende lo scudetto, possa scoppiare così da un momento all'altro, trasformare una sconfitta in un dramma. Si dà la caccia alla talpa nello spogliatoio, un altro grande classico di Appiano Gentile. Da lì inizia il crollo che porterà al quarto posto: qualcuno sostiene che così Mancini possa aver rovinato il suo ricordo all'Inter, ma un paio di anni dopo lo stesso risultato sarebbe stato un trionfo. Questione di tempi. Il più contento della serata fu Antonio Candreva: arrabbiato per non essere stato scelto come capitano dopo l'addio di Mauri, forse pose lì le basi del suo passaggio a Milano. Qualcuno però sarebbe pronto a giurare che quella rimase la sua notte migliore a San Siro.
16/10/2016 - Inter-Cagliari 1-2
56' Joao Mario, 71' Melchiorri, 84' Handanovic (AG).
C'è il sole a Milano. La giornata perfetta per guadagnarsi una credibilità nel calcio italiano. Frank de Boer era stato chiamato ad agosto, dieci giorni prima che iniziasse il campionato, per sostituire Mancini in rotta con Thohir. L'indonesiano è ancora al comando nonostante abbia venduto il grosso della baracca al gruppo cinese Suning. Lui decide apparendo di tanto in tanto, gli altri mettono i soldi. Uno scenario idilliaco per un presidente.
L'olandese avrebbe diritto a qualche alibi per giustificare un inizio di stagione così e così: sconfitta col Chievo e pareggio col Palermo. Invece sui giornali si legge già “Frank di Burro”. Nel frattempo però, l'ex Ajax fa in tempo a passare anche per visionario. A Pescara ne cambia 3 nello stesso minuto di gioco e sembra un colpo di genio. Tanto in quella squadra fa quasi tutto Icardi, come in casa con la Juve: gol e assist a Perisic per la vittoria.
Il sole di una bella domenica milanese viene adombrato da un comunicato durissimo della Curva Nord nei confronti del proprio capitano. L'oggetto del contendere è un episodio raccontato all'interno della sua autobiografia da poco pubblicata, “Sempre avanti”. L'attaccante aveva ricordato il litigio con alcuni tifosi della Curva dopo una sconfitta contro il Sassuolo, colpevoli, a suo dire, di avergli rigettato la maglietta che lui aveva regalato a un bambino. E di come, a chi gli avesse fatto notare il rischio di una loro reazione, avesse risposto di essere pronto ad assoldare “100 criminali dall'Argentina, pronti ad ammazzarli sul posto”. Icardi nelle pagine definisce esagerata la sua reazione, ma ciò non basta ai tifosi. Nel loro comunicato lo accusano di aver inventato tutto, lo rinnegano come capitano e lo accolgono allo stadio con una serie di striscioni poco propensi al perdono e alla comprensione dell'adrenalina post match.
La partita si svolge in un clima surreale. Icardi ne risente e calcia fuori un rigore. La tifoseria si spacca tra la curva e il resto dei settori, che difendono il bomber con applausi e cori. L'Inter però passa avanti lo stesso con Joao Mario. Un fuoco di paglia, perché la squadra, con il portoghese e Banega mezzali, è spesso sbilanciata e continua a lasciare spazi al Cagliari. Ne approfitta Federico Melchiorri, 11 presenze in A, 3 gol e molti infortuni. Ma uno dei tanti che in quegli anni può ricordare il suo giorno di gloria a San Siro: rete del pareggio e tiro-cross decisivo che Handanovic si trascina in porta.
De Boer scopre la centrifuga interista elevata alla massima potenza, quel mix di autolesionismo, caos e sfortunate fatalità indispensabile per ogni tragicommedia. Con buona pace della sua credibilità, sbeffeggiata dalle parodie del suo italiano robotico e di una condanna già scritta settimane prima che venga eseguita.
Di questa partita si parlerà poco. Il caso Icardi terrà banco accompagnato da una moltitudine di tesi. La Curva chiede il taglio della parte incriminata nel libro. Una richiesta di censura che, nel pensiero di molti, è più opportuna della necessità di scrivere un'autobiografia a 23 anni. Lo stesso Zanetti, in una delle sue rare prese di posizione pubbliche, ipotizza il degradamento di Icardi dal ruolo di capitano. Alla fine la fascia resta sul braccio del numero 9. Ma la storia dell'Inter, si sa, ripudia la linearità e sposa la ciclicità dei corsi e ricorsi nel tempo.
24/11/16 - Hapoel Be'er Sheva-Inter 3-2
13' Icardi, 25' Brozovic, 58' Maranhao, 71' Nwakaeme (r), 93' Sahar.
L'Inter pone fine al calvario di de Boer dopo una sconfitta contro la Sampdoria. La panchina viene affidata temporaneamente al tecnico della Primavera Stefano Vecchi. Nel frattempo, la proprietà cinese inizia ad accantonare Thohir e porta avanti dei casting in videoconferenza. Ne esce vincitore Stefano Pioli, per la gioia di chi voleva una pista italiana dopo il fallimento dell'azzardo olandese. Gli addetti ai lavori assecondano la scelta, parlando della necessità di un “normalizzatore”, qualcuno che voglia fare cose semplici. L'etichetta viene però respinta dallo stesso Pioli, che si autodefinisce un “potenziatore”. Di normale in effetti ci sarà poco nella stagione dell'Inter. O forse, trattandosi dell'Inter, tutto sarà da considerarsi nella norma.
Il nuovo allenatore esordisce nel derby con un pareggio nel recupero. Quattro giorni dopo c'è la trasferta sul campo dell'Hapoel Be'er Sheva, la squadra israeliana che ha esordito in Europa sbancando San Siro. Ma si sa, la sottovalutazione dell'avversario e il turnover per il derby d'Italia erano valide scusanti per giustificarlo come incidente di percorso. Sbagliare è umano, perseverare è diabolico. Il match di ritorno, con l'Inter obbligata a vincere per continuare il percorso in Europa League, avrebbe ristabilito i veri valori.
L'inizio è scintillante: Icardi e Brozovic segnano subito due gol al termine di due belle azioni. Così anche gli scettici, decisi a vivere la partita con distacco per evitare una nuova crisi di illusioni, iniziano a credere che era veramente solo colpa di de Boer. La traversa di Icardi sembra un'ulteriore testimonianza di controllo sul match. A posteriori, il segnale che qualcosa stava cambiando.
Al minuto 58, il gigante Lucio Maranhao riapre la sfida con un colpo di testa sufficiente per far sgretolare l'Inter. Dopo 13 minuti c'è già il collasso: Murillo calcola male un lancio lungo e costringe Handanovic a commettere fallo da rigore con ulteriore beffa del secondo cartellino giallo. Il primo era avvenuto per perdita di tempo. Il fatto che il portiere titolare si faccia ammonire per perdita di tempo, nella prima ora di gioco, contro una squadra della quale si ignorava l'esistenza appena tre mesi prima, evidenzia l'inquietudine nella squadra. La trasformazione di Nwakaeme è una formalità. L'Inter si getta in avanti per la vittoria. Ma sono attacchi affannati, figli dello scoramento e destinati a soccombere contro quelli dei padroni di casa, mossi dall'esaltazione della rimonta e del possibile miracolo sportivo. Carrizo compie tre interventi di una goffaggine quasi caricaturale, non si capisce se sventi dei pericoli o se sia il suo stile sgraziato a renderli tali. Il simbolo di un'Inter barcollante, prossima al crollo. È un suo rilancio sbilenco, al minuto 93, a dare il via all'azione che completerà il ribaltone con Sahar. 58 minuti per credere che qualcosa potesse cambiare, 35 per essere subito smentiti.
Mesi dopo, questa partita si rivelerà lo spoiler perfetto della parentesi di Pioli sulla panchina nerazzurra. La partenza illusoria, l'episodio che svela la fragilità delle fondamenta, il crollo che sconfina nel fallimento. Fuori dall'Europa a novembre così come a maggio, con Vecchi di nuovo in sella. L'annuncio dell'esonero di Pioli verrà dato in diretta tv da Sandro Piccinini mentre la Juventus contro il Monaco si sta guadagnando la finale di Champions. Come girarsi da soli il coltello nella piaga.
12/5/2018 - Inter-Sassuolo 1-2
25' Politano, 72' Berardi, 80' Rafinha.
Con Luciano Spalletti la qualificazione in Champions torna un obiettivo realistico. L'ex allenatore della Roma mette fieno in cascina nel girone d'andata e incappa in uno dei consueti leitmotiv interisti: la flessione invernale. Negli ultimi mesi però, la squadra trova una quadratura con lo spostamento di Brozovic davanti la difesa e l'inserimento tra i titolari di due creatori di gioco come Cancelo e Rafinha. Ci si gioca con la Lazio la quarta piazza, tornata appetibile dopo la riforma che ha restituito all'Italia un posto in più in Champions.
Le squadre sono separate da due punti in classifica in favore dei biancocelesti, ma l'ultima giornata prevede lo scontro diretto all'Olimpico. La mente è già rivolta a quello prima del penultimo turno, quando l'Inter deve ospitare un Sassuolo già salvo. Siccome nessuno ha in mente una valida ragione per cui la partita non debba essere vinta, si iniziano a ipotizzare scenari di goleada. Un punteggio tennistico per la differenza reti, in caso di arrivo a pari punti con la Lazio, sarebbe prezioso. Il Sassuolo, unica squadra assieme alla Juventus a vantare più vittorie che sconfitte con l'Inter in Serie A, è derubricata nella mente di tutti al ruolo di comparsa. Sì ok, l'Inter è pazza, ha una tendenza a complicarsi la vita, ma l'obiettivo è troppo importante e la squadra è tornata affidabile.
Nella settimana prima della partita, sugli account social ufficiali vengono mostrate le immagini di un allenamento con la prima squadra e la rappresentativa “Inter Legends”, pronta alla sua prima tournèe in Inghilterra. C'è Materazzi che marca Icardi, Crespo con Skriniar, Perisic e Djorkaeff. Tutto molto bello, ma il dubbio di quanto possa essere preparatoria una seduta con dei giocatori ritirati è legittimo.
Nella stessa settimana viene inoltre data notizia del contratto depositato dall'Inter di de Vrij, che a fine anno si sarebbe liberato a parametro zero proprio dalla Lazio. Si apre il conflitto di interessi. L'operazione di mercato è nota da tempo, ma la quasi ufficialità crea quel giusto numero di polemiche per rendere il contesto più chiacchierato di una partita scontata. A San Siro però, si presenta un Sassuolo che, come sottolineerà Iachini a fine partita, non aveva gradito l'etichetta di vittima sacrificale. Politano segna una punizione rasoterra, facendola passare sotto la barriera. Un episodio così traumatico che da allora l'Inter fa allungare sempre un uomo sotto la barriera nelle punizioni ravvicinate. Icardi tra primo e secondo tempo fallisce un paio di comode occasioni, Consigli para di tutto e sfoggia occhi spiritati dopo ogni intervento. Il Sassuolo raddoppia in contropiede con un gol, di destro, di Berardi.
C'è l'allineamento di tutti gli elementi propri della trama perversa del tifoso disperato: l'avversario bestia nera, il giocatore che segna sempre contro la propria squadra, il portiere che le prende tutte, la serata storta del bomber, il gol finale, firmato Rafinha, per dare l'ultima falsa speranza. E il più importante di tutti, la sottovalutazione della partita. A posteriori sembrano accorgersene tutti.
Al fischio finale i giocatori dell'Inter si buttano disperati sul prato. Sembra finita, ma il giorno dopo sarà il Crotone, impegnato nella lotta salvezza, a pareggiare con la Lazio e a dare un'insperata ultima possibilità. L'Inter resta sempre la stessa, ma almeno ora il destino è dalla sua parte.
10/12/2019 - Inter-Barcellona 1-2
23' Carles Perez, 44' Lukaku, 86' Ansu Fati.
Cosa ci fa una sconfitta contro il Barcellona in un elenco che comprende ben altri fallimenti?
Perché, per Messi come per Lucio Maranhao, c'è la sensazione comune di quell'amaro in bocca di chi ha creduto in un obiettivo, scoprendosi poi deluso, ma mai sorpreso fino in fondo. Le ragioni per credere nella qualificazione agli ottavi, quest’anno, c’erano tutte: in casa contro una squadra imbottita di seconde linee, già sicura del primo posto e non al massimo del suo splendore. La certezza che una vittoria sarebbe bastata, senza badare agli altri risultati. E poi perché c'era una coppia di attaccanti che segna, si passa la palla e si vuole bene, non un egocentrico e divisivo centravanti. Per non parlare di chi c'è in panchina. Mica uno juventino prigioniero della sua idea come Gasperini, ma un tecnico vincente in grado di mantenere la disciplina e farsi amare dallo spogliatoio, quanto di più simile a Mourinho sia mai capitato a Milano. E infatti l'Inter di Conte, a quel punto, è prima in Serie A, se la gioca con la Juve, è intensa e piacevole da guardare.
Eppure anche nel momento migliore da molto tempo a questa parte, serpeggia quell'inquietudine che non rende mai possibile un pacifico godimento. Conte si è già lamentato pubblicamente della rosa corta, ci sono troppi infortunati e ancor più impegni ravvicinati. Qualcuno è già pronto a scommettere che non si durerà a lungo. L'approcciarsi alla partita col Barcellona è l'ennesima lotta tra le due anime contrapposte del tifoso interista: quella sognatrice e quella rassegnata. Ognuno ne è provvisto, consapevole che ci sono elementi realistici che possono sempre supportare entrambe: la scelta è quale delle due privilegiare di volta in volta.
Quando i giovani Carles Perez e Ansu Fati causano la prima delusione della nuova gestione tecnica, c'è il rammarico legittimo dell'occasione persa, la beffa del non poter nemmeno dire di essere stati eliminati da Messi. Ma basta poco a realizzare che alla fine l'Inter è quella squadra a cui l'argentino non ha mai segnato, ma che nel 2010 stava perdendo la Champions per colpa di Bojan Krkic.
E che, mesi dopo, avrebbe detto addio ai sogni di rimonta scudetto per l'unico acuto stagionale di un diciottenne del Bologna, Juwara. Ma più che quell'assurdo e insolito pomeriggio estivo di Serie A, è la partita contro i catalani a restituire il senso dell'Inter attuale. Una testimonianza dei progressi fatti, dalle disperate rincorse alla zona Champions alla possibilità di entrare tra le migliori 16 d'Europa. Un graduale percorso di crescita che ora sembra già dato per scontato, ma rimasto appeso a due finali di campionato risolti grazie a degli episodi. Sufficienti, però, a restituire l'idea di una realtà finalmente cambiata, per cui le sconfitte non diventano più il preludio o l'emblema di tracolli inspiegabili. Restano risultati normali di una squadra che non fa il passo più lungo della gamba, ma che è tornata per lo meno a correre con una certa regolarità. Una squadra che, finendo a un punto dalla prima in campionato e tornando a disputare una finale europea, lascia più parlare di sé per il perenne conflitto tra le sue parti, per le agitazioni di un allenatore che, suo malgrado, ha scoperto da dentro quanto sia complesso non lasciarsi travolgere da questa centrifuga.
Il 22 maggio del 2020 sono passati dieci anni da quella finale col Bayern Monaco. È stata una giornata di repliche e celebrazioni. Nel frattempo però, il calcio ha trovato il modo per chiudere la stagione. L’Inter non ha centrato nessuno dei suoi tre obiettivi, una parte di noi tifosi pensa di essersi lasciato il peggio alle spalle, un’altra parte ha paura che questa lista possa allungarsi ancora.
Lo sa bene Javier Zanetti. In una delle interviste durante la quarantena, un tifoso ha chiesto quali fossero le caratteristiche del DNA dell'Inter. Una di quelle domande all'apparenza retoriche, ingenue, da suscitare tenerezza verso chi è convinto che ogni club sia un'entità a sé, a dispetto di chi ci giochi e la alleni. Zanetti ha però risposto in maniera immediata e convinta: «L'Inter è resilienza. Il tifoso interista trova sempre un modo per rialzarsi». A posteriori, un bel consiglio anche per l'attuale allenatore.