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Alla vigilia della partita Pochettino aveva utilizzato una metafora un po’ involuta per minimizzare il valore dell’esperienza nelle competizione europee. Una mucca vede lo stesso treno passare ogni giorno alla stessa ora, ma se le chiedi a che ora passa non è in grado di risponderti.
Immaginare che Pochettino spenda il suo tempo libero porgendo domande alle mucche è ovviamente divertente, ma la base del suo ragionamento poggiava su una logica ferrea: l’abitudine non basta, «contano la fame, le motivazioni, le circostanze», come ha aggiunto lo stesso Pochettino.
Il tema dell’esperienza è stato al centro di ogni anteprima della partita. Soltanto quattro undicesimi della formazione titolare dell’Inter (Miranda, Asamoah, Nainggolan, Perisic) avevano già giocato una partita nella fase finale della Champions League, mentre il Tottenham è ancora la stessa identica squadra che l’anno scorso ha sconfitto e superato nel girone il Real Madrid pluri-campione d’Europa; ma anche la stessa che aveva giocato un grande doppio confronto con la Juventus per poi perdersi in un bicchier d’acqua, facendosi eliminare. Per i primi ottanta minuti, fino all’incredibile gol di Icardi, la differenza di esperienza è sembrata determinante e ineluttabile.
Il Tottenham era rimasto serenamente in controllo della partita mentre l’Inter si lasciava travolgere dalle onde emotive. A momenti appariva a ridosso dell’area di rigore avversaria, poi a un tratto si ritirava nella propria, confusa sul da farsi. A momenti innescava rapidi scambi in verticale, poi a un tratto perdeva le distanze e non riusciva a mettere insieme tre passaggi di fila. Un canovaccio simile aveva caratterizzato lo spareggio decisivo contro la Lazio che ha portato l’Inter fino a questa partita.
Le rimonte nei minuti finali stanno diventando il treno che Spalletti vede passare ogni giorno: quella subita dalla Juve ha rischiato di togliergli la Champions, quella inflitta alla Lazio gliel’ha restituita, questa l’ha inaugurata nel migliore dei modi. L’Inter non è ancora in grado di gestire i momenti della partita, né di dire con precisione quando passeranno, ma sulla scia dell’entusiasmo è capace di ribaltare qualsiasi situazione disperata. Ci vuole esperienza anche per questo.
Entrambe le squadre si presentavano in campo con i cerotti e numerosi assenti: Alderweireld, Trippier e Alli per il Tottenham, D’Ambrosio, Vrsaljko, Dalbert, Gagliardini e Lautaro per l’Inter. Entrambe sono rimaste fedeli al 4-2-3-1 che le ha portate fin qui.
Le mosse di Spalletti
Dopo la sconfitta contro il Parma, c’erano tutti gli elementi perché Spalletti cambiasse qualcosa. In primo luogo il pessimo momento di forma, che è coinciso con una delle peggiori partenze in campionato della storia dell’Inter – curiosamente, l’ultimo precedente così negativo risaliva a sette anni fa, la stagione dell’ultima presenza Champions League: è proprio periodo di cerchi che si chiudono.
Poi le numerose assenze, che lo hanno costretto a schierare una formazione titolare inedita e a riempire i sette posti in panchina con due portieri (Padelli e Berni) e un infortunato (D’Ambrosio). Infine le sfide poste dal Tottenham, una squadra in grado di dominare le partite con il pallone, di creare superiorità tecnica e numerica sulla trequarti, uno stile di gioco radicalmente diverso rispetto alle squadre che l’Inter è abituata ad affrontare in campionato.
Alla fine Spalletti non ha cambiato molto, e nell’eterno conflitto tra l’adattare il modulo ai giocatori o l’adattare i giocatori al modulo ha preferito percorrere la seconda strada. Il 4-2-3-1 con cui l’Inter è scesa in campo aveva il grande pregio di conservare lo stesso assetto difensivo di sempre, per di più adattandosi a contrastare la speculare disposizione del Tottenham. Alla grande fluidità posizionale dei giocatori di Pochettino, Spalletti ha risposto con la compattezza dei reparti e un sistema di marcature miste.
In fase di pressing, Icardi galleggiava tra i due difensori centrali portando il primo accenno di pressione, Nainggolan lo seguiva a breve distanza, mentre i due esterni provavano a restringere il campo di azione dei difensori del Tottenham, isolando il terzino sul lato opposto. Vecino e Brozovic avevano invece il compito di tenere d’occhio rispettivamente Dembelé e Eriksen, le due principali fonti di gioco del Tottenham. Con questa struttura fissa, l’Inter è riuscita a farsi trascinare il meno possibile nelle vorticose rotazioni del Tottenham.
Questo l’assetto difensivo che l’Inter ha mantenuto per tutta la partita, riuscendo così a ridurre al minimo lo spazio di manovra di Dembelé, dominante ogni volta che toccava palla.
Senza dubbio, la fase difensiva dell’Inter si è dimostrata all’altezza del palcoscenico europeo. Il Tottenham ha prodotto solo 0.9 xG, e ha trovato il gol con un rocambolesco tiro al volo al limite dell’area nettamente deviato da Miranda.
Tutti gli indicatori di pericolosità offensiva premiano l’Inter, che ha trovato più giocate utili in area avversaria (23 a 16) ed è arrivata più spesso al tiro in area (8 a 5). La fase offensiva, ad ogni modo, è stata tutt’altro che brillante: Spalletti ha speso tutto il primo tempo a ringhiare contro Nainggolan e Icardi, colpevoli di muoversi con anarchia in zone in cui era impossibile servirli.
Come evidenzia anche la mappa dei passaggi, l’Inter si è mossa con più frequenza sull’asse che collega Skriniar a Brozovic e Vecino, e nella maggior parte dei casi da lì in poi non è più riuscita ad avanzare. Il pressing del Tottenham ha insistito a lungo per indirizzare il possesso basso dell’Inter tra i piedi di Skriniar, che come si può apprezzare anche nella mappa ha giocato a tutti gli effetti da terzino.
Però lo ha fatto con un’impostazione mentale da difensore centrale, quindi senza mai superare la metà campo, senza mai dettare una sovrapposizione, dimostrandosi un compagno di fascia poco adatto per un esterno come Politano che ama entrare dentro al campo, avere spazio in cui correre con il pallone.
Brozovic è il cuore, l’anima e il cervello di questa squadra. Icardi ha ricevuto 10 passaggi (Kane il doppio, 20) e ne ha completati 6 (Kane il doppio, 12): anche oggi esce meglio dagli highlights che dalle pass-map.
Spesso Politano diventava l’unica opzione a disposizione di Skriniar, perché nel frattempo il Tottenham aveva chiuso tutte le altre linee di passaggio, ma doveva abbassarsi a ricevere spalle alla porta sulla linea laterale con un raddoppio di marcatura già pronto a scattare, la situazione peggiore possibile per la scattante ala romana. Se la costruzione dal basso non è stata particolarmente efficace, la strategia dei lanci lunghi si è rivelata per lo più deleteria, con Icardi sempre chiuso da Vertonghen e coperto da Sánchez.
Alla fine le occasioni migliori per l’Inter sono nate dalla riaggressione immediata, dalle seconde palle vinte sulla trequarti, dalle scivolate di Nainggolan a ridosso dell’area (le statistiche alla voce “falli” ne riflettono l’impegno commovente: 6 subiti e 0 commessi). I calci piazzati, che già avevano punito il Tottenham contro Watford e Liverpool, hanno poi deciso definitivamente le sorti di una partita caratterizzata dal grande equilibrio.
Questo il 4-4-2 molto stretto e compatto al centro con cui il Tottenham provava a orientare il possesso dell’Inter verso destra, per mettere Skriniar a disagio.
L’impatto delle sostituzioni
È stata una partita assurda sotto tanti punti di vista, oltre che ricca di coincidenze, per cui è difficile stabilire se sia stato il caso o la strategia, la volontà di reagire quanto prima alle scelte del rivale, a far sì che Spalletti e Pochettino effettuassero tutte e tre le sostituzioni in contemporanea, in tre momenti diversi della partita.
Al sessantaduesimo, poco dopo il vantaggio del Tottenham, entrambi gli allenatori hanno deciso di giocarsi un cambio offensivo. Lucas Moura ha preso il posto di Son, ancora in ritardo di condizione, mentre Candreva ha sostituito un impresentabile Perisic, che lunedì non si era allenato con la squadra, e ieri ha collezionato solo un tiro nello specchio e un dribbling completato a fronte di 11 palle perse e un 54% di precisione passaggi.
Lucas Moura ha immediatamente seminato il panico nella difesa dell’Inter, non sembrava neanche strettamente un essere umano, puntava Skriniar e gli bastava una spallata per buttarlo a terra, arrivava in area di rigore nel tempo in cui il resto della squadra si voltava per seguire l’azione. In generale, i dribbling hanno rappresentato il principale indicatore della differenza tecnica tra le due squadre: al Tottenham ne sono riusciti 11 su 15, con il 73% di successo; all’Inter ne sono riusciti 5 su 11, ovvero il 45%.
Dopo dieci minuti caratterizzati dalle corse di Lucas Moura, Pochettino ha sostituito Lamela che poco prima si era divorato il gol del possibile 0-2 e ha mandato in campo Winks, che si è messo subito sulla destra e ha dato al Tottenham un assetto più quadrato, con Eriksen al centro alle spalle di Kane.
Quella di Lamela, ad ogni modo, è stata l’unica conclusione pericolosa in area di rigore costruita dal Tottenham. L’Inter non ha fatto molto meglio.
Spalletti ha risposto con la seconda e ultima arma offensiva a sua disposizione, Keita Baldé, che ha preso il posto sulla destra di uno stanco ma irriducibile Politano, primo dell’Inter per dribbling riusciti (2) e tentati (5), l’unico a prendersi dei rischi concreti nell’attacco di Spalletti.
Keita si è messo a destra e ha provato a vincere, senza mai riuscirci veramente, lo scontro fisico con Davies, nello stesso modo in cui Icardi non riusciva a prevalere su Vertonghen e Sánchez. Si è andati avanti così per oltre un quarto d’ora, l’Inter ha progressivamente preso fiducia senza però prendere le misure della difesa del Tottenham. La migliore occasione è capitata sul destro di Candreva, che aveva passato i precedenti venti minuti a inciamparsi nei piedi, e non ha sfruttato una buona intuizione di Keita e Nainggolan per riscattarsi.
Alla fine gli Spurs sono tornati a palleggiare allegramente nella fascia centrale del campo di fronte a un’Inter ormai arresa all’inefficacia dei lanci lunghi, finché Icardi ha raccolto un cross di Asamoah (geniale se aveva visto l’attaccante, fortunato se cercava la palla in area, ma conta poco) e lo ha trasformato in un tiro di collo al volo da fuori area potente e preciso verso il palo più lontano. A quel punto la temperatura dello stadio è cambiata, l’elettricità che attraversava il campo ha cambiato direzione, e l’Inter ha iniziato a credere alla possibile rimonta.
Con un cambio ancora a disposizione, Spalletti si è affidato all’esperienza e all’infinita sapienza calcistica di Borja Valero, che alla prima apparizione stagionale ha tirato fuori quella che è probabilmente una delle migliori prestazioni da 5 minuti di sempre (una classifica interessante che andrebbe approfondita prima o poi). Si è posizionato sul mezzo spazio sinistro e ne ha fatto il suo impero, ha iniziato a dondolare tra la ricerca della profondità e i movimenti incontro al pallone mandando in confusione la difesa del Tottenham almeno quanto Candreva quando si palleggiava sui piedi.
Pochettino invece ha sfidato il destino, in una partita già ricolma di coincidenze, e ha sostituito uno stanco Kane, sempre utile ma nel complesso poco brillante, con Danny Rose. In quella frazione di secondo forse si è decisa la partita. Da una parte entrava Borja Valero a portare equilibrio e soluzioni creative, dall’altra il Tottenham accettava di concedere ulteriore spazio agli attacchi dell’Inter.
Poi Vecino ha colpito il pallone di testa da distanza ravvicinata e ha fatto impazzire il Meazza, perché è vero che bisogna fare tesoro dell’esperienza, ma a certe emozioni è proprio impossibile abituarsi.