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Una cosa divertente che siamo ritornati a fare
17 mag 2021
17 mag 2021
Racconto dagli Internazionali d'Italia, dove oltre al tennis è tornato il pubblico.
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L’edizione 2021 degli Internazionali è stata l’edizione di Iga Swiatek e Rafael Nadal, gli stessi vincitori del Roland Garros 2020. È stata l’edizione di Lorenzo Sonego, di Coco Gauff, di Francesca Schiavone allenatrice e commentratrice, della millesima partita di Serena Williams e della cinquantasettesima sfida tra Djokovic e Nadal: la ventiseiesima su terra, quattordicesima nella finale di un 1000, con almeno un incontro ogni anno dal 2006, record dell’era open per il tennis maschile.

Ma questa edizione è stata anche l’evento sportivo del ritorno del pubblico sugli spalti in Italia. In bilico fino all’ultimo, è arrivata l’autorizzazione a aprire le porte agli spettatori in anticipo sulla data del 1 giugno prevista dal DPCM di aprile. Al tennis è stata data l’opportunità di essere il test per le nuove procedure di sicurezza per il ritorno degli eventi sportivi di massa: dagli ottavi, e sempre al 25% della capienza, il Foro Italico ha accolto più di cinquemila spettatori giornalieri.

Dopo due anni, giovedì 13 mi sono seduta sugli spalti del Centrale del Foro Italico per il match tra Svitolina e Muguruza, la miglior partita in tabellone programmata per le 18. Ho il biglietto, comprato come al solito ma stavolta abbinato a un’autodichiarazione con QR code. I posti utilizzabili sono contrassegnati da un adesivo grigio: hostess e steward danno indicazioni, e intanto sorvegliano sulle mascherine. Sulla tribuna Tevere batte il sole, che immancabile ogni anno trova gli spettatori senza crema solare e li rimanda a casa con scottature accese.

In campo a Muguruza è mancata la prima di servizio: Svitolina ha preso velocemente il controllo degli scambi, non c’è stata troppa partita, ma c’era il tennis che stavamo aspettando. Vedere il tennis dal vivo non è solo occhi, l’attenzione che organizza i sensi è alla base del piacere di seguire una partita: il silenzio che cala al momento del servizio, i rimbalzi, i tagli delle corde sulla palla. Per la prima volta da quattordici mesi sono fisicamente tra il pubblico di qualcosa, le sensazioni arrivano più all’istinto che non ai pensieri. I passi sui viali del Foro Italico, la musica a alto volume che passa tra una partita e l’altra dai mega altoparlanti in cima agli spalti: seguire gli Internazionali è diverso da guardare una partita in tv per quella che si chiama l’atmosfera, la densità dei dati esperienziali di quell’ambiente.



In quella condivisione il pubblico torna a riconoscersi pubblico, per sentire quello che solo lo sport dal vivo fa sentire, che è anche riconciliarsi con quel corpo che nell’ultimo anno e mezzo è stato soltanto sintomi e malattie. L’energia si sente, malgrado il distanziamento, riempie e trascina le partite; a volte trascende. Al Foro non ci sono i soliti appassionati di tennis, non le famiglie che sono a scuola o al lavoro, ma pochi spettatori casuali, soprattutto romani. Ci sono le grida sulle seconde di servizio e gli insulti agli avversari, situazioni di tensione negli spazi secondari del torneo che emergono come sintomi di una generica reazione alla repressione, senza cause reali.

Apparentemente era l’evento, anzi lo sport, perfetto per le prove tecniche degli eventi di massa; per via del suo pubblico ben educato, abituato a rispettare il silenzio e le regole. Ma in realtà il tennis è anche l’unico sport dove gli appassionati vengono a seguire un intero torneo: nove giorni consecutivi di partite e allenamenti che occupano decine di campi e vanno avanti dalla mattina alla sera. Consulti il programma, ti sposti, giri per gli stand, cerchi l’ombra o un posto per mangiare - un po’ come in vacanza. È uno spaziotempo, più che un evento. Tornare a vedere una partita è una fettina di quello spaziotempo.

Nel 2019 il giovedì al Foro Italico sono entrate 33.770 persone (più di 225 mila in tutto il torneo), due anni dopo sono poco più di cinquemila. Come in vacanza, godersi una meta ambita senza la folla dovrebbe essere una fortuna: eppure si sente che manca qualcosa, come se quegli spazi sclerotizzati ci facessero sentire stretti anche se siamo pochi. L’edizione 2020 era stata spostata eccezionalmente da maggio all’autunno proprio sperando che il miglioramento della situazione sanitaria potesse permettere di non giocare a porte chiuse, ma malgrado le speranze degli organizzatori erano stati ammessi solo mille spettatori per semifinali e finali. Gli spalti del Pietrangeli, mentre Sinner batteva Tsitsipas al terzo set del secondo turno, erano vuoti; e anche Musetti l’abbiamo visto solo in tv.



Come sarebbe stata la partita tra Sinner e Nadal se ci fosse stato il pubblico? Sinner è diventato una star del tennis italiano nell’ultimo anno, in un arco di tempo in cui è stato praticamente impossibile che un tifoso potesse assistere alle sue partite. E quella tra Berrettini e Tsitsipas? A entrambi il sorteggio ha assegnato secondi turni avversi contro avversari top 5 e amanti della terra rossa, ma era lo stesso per il terzo turno di Sonego con Thiem. Lorenzo è arrivato al giovedì, e nella sessione serale della Grand Stand Arena ha giocato una delle partite che rimarranno da ricordare del 2021, davanti a un pubblico impazzito che l’ha sostenuto con un tifo da Coppa Davis, se non proprio da stadio.

Sonego quella sera ha battuto Thiem; sabato anche Rublev ai quarti, fermandosi in semifinale con Djokovic ma solo al terzo set. Quello che rende indimenticabile il suo torneo, oltre ai risultati, è stata la presenza in campo, la trance agonistica trascinata da un tifo che sembrava far crollare gli spalti. Il pubblico si esalta con Sonego perché Sonego si esalta nella lotta. Sia Thiem che Rublev erano frustrati tanto dal subire negli scambi quanto dall’intensità dell’esultanza, il grunting, i boati come se il campo avesse una voce e fosse contro di loro. Sonego è riuscito a imporre il suo gioco, è stato aggressivo e allo stesso tempo non si è fatto trovare vulnerabile rimanendo a giocare punto dopo punto anche nelle situazioni di difficoltà: è velocissimo, copre il campo in ogni direzione, con una naturalezza che non la fa sembrare difesa. In più, alzando il livello in alcuni punti e momenti decisivi, Sonego si è regalato un posto in semifinale: il quarto italiano che arriva in fondo nel tabellone di un 1000 nel 2021, dopo Sinner a Miami, Fognini a Montecarlo e Berrettini a Madrid.

È un risultato costruito con pazienza, in crescita: i primi quarti di Sonego in un 1000 sono stati a Montecarlo del 2019. Il primo torneo dopo la pausa forzata della pandemia 2020, i Campionati Assoluti Italiani, è stato il suo. A Vienna ha eliminato Djokovic, battendolo con uno dei punteggi più severi della sua carriera, 6-1 6-2, prima di perdere in finale da Rublev che in quel periodo era monopolista di 500. A Cagliari ad aprile ha vinto il titolo in finale su Djere, con le partite dai quarti in poi che finiscono sempre al terzo set, combattute e vinte di carattere, esultando su ogni punto come un calciatore che ha segnato un gol decisivo – e poi sollevando il trofeo con la mascherina del suo Torino.



Mentre Sonego conquistava il cuore del pubblico (italiano, perché il volume della sua presenza in campo non è troppo gradito tra gli spettatori internazionali), il torneo si adeguava al livello. Nadal recupera da un set sotto e 3-0 nel secondo a favore di Shapovalov e vince al tie-break del terzo; poi Djokovic, complice un rinvio per pioggia, si prende un break su Tsitsipas andato a servire per il match sul 5-4 al secondo set e trascina la partita al terzo chiudendola 7-5. Vincono entrambi partite che avevano praticamente perso, e si ritrovano per giocarsi la loro finale a scacchi, conoscendosi a memoria, a perfezionare sfumature e percentuali. Vince Nadal, come nel loro ultimo incontro in finale a Parigi ma con meno margine: intanto il conto dei testa a testa è 28 a 29, ancora a favore di Djokovic. Per le statistiche però c’è il pareggio nei 1000, con il trentaseiesimo titolo, decimo a Roma. Ci sono altri numeri, naturalmente, come le statistiche di Nadal sulla terra rossa, i diciassette anni consecutivi in cui almeno uno dei due ha raggiunto la finale a Roma (per sei volte entrambi). Sono numeri leggendari, e la vera notizia è che fosse la prima dell’anno e che siano arrivati qui con un solo titolo a testa. Non è un caso che sia accaduto a Roma, non per l’estetica imperiale ma per la superficie di gioco, e anche per il clima fresco e umido di questa settimana: le condizioni forse appena più lente anche degli altri tornei sul rosso possono proteggere il gioco di questi immortali non più giovanissimi.


Anche Barty era in campo al momento della pioggia di venerdì che ha interrotto Djokovic e Tsitsipas, ma per qualche ragione la sua partita non è stata rimandata allo stesso modo. Lei e Gauff sono state fatte riprendere e di nuovo interrotte 3 volte, un game alla volta con intervalli lunghissimi, mentre il Centrale rimaneva coperto e i maschi erano all’asciutto negli spogliatoi. Non stava smettendo di piovere, ma il loro quarto non ha fatto in tempo a essere rimandato come tutti gli altri match perché Barty si è ritirata sul punteggio di 6-4 2-1 a suo favore. Ha chiesto l’intervento di un fisioterapista e ha deciso di fermarsi per dolore al braccio, che già era coperto da una a compressione à la Raonic. È vero che veniva da una lunga striscia di partite (tre titoli quest’anno: Melbourne, Miami e Stoccarda, e finale a Madrid), e che torna a Parigi da ex vincitrice, non in carica ma imbattuta, quindi ha senso pensare che fosse una scelta funzionale in termini di riposo. Però colpire palline bagnate fa tendenzialmente male al braccio, e se sul Centrale piova troppo è legittimo pensare che il clima sull’arena non fosse poi tanto migliore.

Gauff si è ritrovata in semifinale con Swiatek: 36 anni in due, l’età di Nadal, con altissime possibilità di incidere i propri nomi sull’albo d’oro di molti tornei. Per Gauff Roma è stato il miglior risultato mai raggiunto: al primo turno riesce a non farsi innervosire dai topspin esagerati di Putintseva, al secondo turno elimina a sorpresa Sakkari, e poi Sabalenka al terzo. Gauff forse ha già i colpi e il fisico per tenere testa a Sabalenka, ma in questa partita ha vinto con intelligenza: è scesa in campo con un’idea molto chiara di cosa fare e di cosa non fare per mettere in difficoltà la sua avversaria, come farle colpire palle senza peso e non dare ritmo nello scambio, e la tattica ha funzionato. Sabalenka aveva appena vinto Madrid, e nel 2021 ha perso praticamente soltanto da vincitrici slam (Barty, Muguruza e Williams), e aveva anche appena eliminato al secondo turno Sorribes Tormo.

La partita fiume tra Giorgi e Sorribes Tormo è stata il miglior primo turno del torneo, e una delle migliori partite giocate da Camila negli ultimi due anni. Uno scontro di stili e soluzioni tattiche estremo come il bene contro il male, in apparenza: con Giorgi che attacca e Sorribes Tormo che difende. Sì, secondo le statistiche degli ultimi Australian Open i colpi di Camila sono i più veloci del circuito, ma questa partita è stata così combattuta per come è riuscita a tenere gli scambi. E sì, Sorribes Tormo continuava ad alzare dritti altissimi, ma era una scelta, e ha chiuso la partita con 20 vincenti. È stata la sesta partita femminile più lunga dell’era open, è durata quasi 4 ore, ed è finita 7-6 6-7 7-5. Sui giornali se ne è parlato per un commento dell’arbitro sul padre di Camila, Sergio Giorgi: se ci fosse stato il pubblico sugli spalti non si sarebbe sentito, e forse avremmo potuto commentare un secondo turno interessante tra Giorgi e Sabalenka.

Dall’altra parte del tabellone è stato emozionante l’arrivo in semifinale di Petra Martic, perché è stato il ritorno di Francesca Schiavone come allenatrice. Martic e Schiavone si somigliano più di quanto non sembri: malgrado l’altezza, Martic è una tennista a cui piace costruire i punti e usa molto il rovescio slice. Francesca è la sua allenatrice da appena un mese, ma la sensazione è che sia già riuscita ad aggiungere particolari al suo gioco: soprattutto nelle capacità di lettura della partita, di saper riconoscere la palla perfetta. Non è bastato sul servizio di Pliskova in semifinale, ma il torneo di Schiavone è il Roland Garros.



Swiatek ha vinto la finale più a senso unico della storia del torneo: 6-0 6-0 a Karolina Pliskova in 46 minuti, lasciandole appena 13 punti. Pliskova aveva vinto Roma nel 2019, e nel 2020 è arrivata in finale con Halep, ma dopo mezz’ora di partita, già sotto in un set, si è ritirata per un infortunio al piede. Stavolta a quanto pare non aveva alcun problema fisico: gliel’hanno chiesto, e ha tranquillamente risposto di no. Semplicemente non c’era nulla nel suo tennis che potesse arginare minimamente il gioco di Swiatek: non le è mai piaciuto correre, e le rotazioni non le permettono di colpire la palla dove e come vorrebbe. Nessun mistero, Iga Swiatek poco più di sei mesi fa a Parigi ha vinto il primo slam a diciannove anni senza perdere più di cinque giochi a partita, e sulla terra l’ha fermata soltanto Barty a Madrid. In campo rimane concentrata, silenziosa, attenta, ha colpi esplosivi e molto sicuri, difficilissimi da controllare per tutte le sue avversarie: come di Sinner si contano le analogie con i risultati di Djokovic e Nadal, per Swiatek le indicazioni puntano su Steffi Graf. Giovedì, durante il match con Krejcikova vinto da Swiatek in rimonta, Sinner e Piatti erano sugli spalti del Pietrangeli, studiando, a gesti.

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