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Giuliana Lorenzo

Non mi pongo limiti, intervista a Lorenzo Simonelli

Con il nuovo campione europeo abbiamo parlato di ambizione e One Piece.

In ogni gara Lorenzo Simonelli cerca di fare bottino pieno. L’ostacolista classe 2002, tesserato con il gruppo sportivo dell’Esercito, ha appena vinto l’oro agli Europei di Roma. Una seconda medaglia internazionale importante, non solo perché arriva dopo l’argento del Mondiale indoor di Glasgow nei 60 ostacoli, ma anche perché è stata conquistata sulla distanza olimpica (i 110 metri), dove adesso punta a sfidare lo statunitense Grant Holloway.

 

Com’è noto, Lorenzo Simonelli è nato e ha vissuto i primi anni della sua vita in Tanzania, dove suo padre e sua madre si sono conosciuti. Dopo le ultime medaglie, però, il discorso sulle origini è passato in secondo piano e iniziamo l’intervista proprio dall’ultimo, incredibile Europeo a cui ha partecipato.

 

 

A mente fredda che voto dai al tuo Europeo e che ti porti dietro da tutta l’esperienza?

In generale direi 10 e lode, l’Italia è andata da paura. Invece, per quanto riguarda la mia gara, 9 e mezzo, perché si può dare di più, più avanti. Forse questo voto lo posso dare anche a tutta la Nazionale, perché possiamo ancora crescere. Mi porto dietro un sacco di emozioni stupende che si possono vivere soltanto facendo un Europeo in casa. Sensazioni che probabilmente in altre gare non proverò più, perché non c’è quel pubblico che ti sostiene e segue. È stato anche fantastico, dal punto di vista atletico. C’erano tanti atleti, tanta voglia di gareggiare da parte di tutti, voglia di divertirsi, di fare, soprattutto quest’anno che ha come evento clou l’Olimpiade
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Hai rivisto la gara?

Il giorno dopo, quando ho iniziato un attimo a respirare, penso di aver visto il video circa 180 volte. Continuavo a vederlo, a cercare di ritrovare quell’emozione bellissima e di rivivere quel momento. Non si può [ride, nda], pensiamo alle Olimpiadi, magari la proverò a riviverla lì, darò il massimo per riuscirci
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A maggio avevi già fatto il record italiano (13.21) e poi l’hai migliorato a Roma, ti aspettavi il crono?

L’obiettivo “prestabilito” di quest’anno, dopo il record italiano che avevo fatto, era puntare entro fine 2024 a una prestazione al di sotto di 13.10. Fare 13.05 alla terza gara è stata una sorpresa, adesso mi sa che devo rifare i calcoli e riposizionare l’asticella un po’ più in basso a livello di tempo. Mi ero prefissato degli obiettivi, devo trovarne altri. Non mi pongo limiti, è qualcosa che mi caratterizza, non mi spaventa nulla e voglio sempre dare il massimo, anche quando magari so che non ho le carte per farlo.

 

Mi riaggancio a questo, ora ci saranno un po’ più di pressioni anche nei tuoi confronti, in Italia si tende a caricare di aspettative uno sportivo subito dopo un bel risultato…

Sì, purtroppo c’è ancora questa mentalità. Questo nasce dal fatto che nel nostro Paese, fino a qualche anno fa, l’atletica era uno sport di nicchia e c’erano pochi atleti che eccellevano a livello internazionale. Di conseguenza, quei pochi che facevano risultati venivano sommersi da pressioni: dovevano fare di nuovo la stessa prestazione o migliorarla. Faccio l’esempio di Jacobs e di quello che è accaduto dopo il 9.80 fatto all’Olimpiade di Tokyo: presumo gli siano arrivate delle pressioni incredibili addosso. Se lui facesse anche 9.90, comunque un tempo mostruoso, gli verrebbero a dire che non è più il Jacobs di una volta, invece è sempre lui. Purtroppo, siamo umani, non siamo macchine e le prestazioni sono umane. Questo è un aspetto culturale che c’è ancora in Italia. Negli Stati Uniti, da quel poco che ho visto, non è così, non c’è questa mentalità. L’atleta gareggia anche quando sa che non può fare la prestazione eccezionale. Ci sono campioni, come De Grasse, che a inizio stagione fanno magari 20.70/90 sui 200 metri, poi all’Olimpiade stampano un tempo da 19 e mezzo. Se la vivono in modo diverso, come un gioco. Personalmente non mi è mai importato di quello che dicono gli altri. In realtà, non ho mai letto e non leggo quasi mai quello che viene scritto sulle mie gare, su di me o i commenti suigiornali, raramente lo faccio. Essere fuori dal mondo social mi aiuta.

 

Come te la vivi se non riesci a raggiungere la vittoria? Mi riferisco magari a un secondo o terzo posto. Per dire, ho visto Filippo Tortu visibilmente deluso dopo l’argento nei 200 metri.

Io sicuramente non sarei stato felice, lui non lo era perché sapeva che poteva fare di più. La gestisco in modo molto tranquillo e anche filosofico, non mi ricordo chi me l’avesse detto una volta di fare così. Cerco di pensare che farò meglio la prossima gara, anche se magari nell’imminenza non c’è n’è una. La penso così, non valgo quella prestazione. Sul momento dà fastidio, ma so di potermi rifare più avanti. Non mi pesa troppo.

 

Ci avviciniamo a Parigi. Come ti immagini le Olimpiadi? C’è più attesa o ansia?

No, ansia no, devo dire proprio nessuna ansia, sono molto gasato, ho usato spesso questa parola. Non vedo l’ora di essere a Parigi, di partire, di vivere l’esperienza del villaggio olimpico e poi di vivere la gara con le batterie, le semifinali e finali, speriamo tutte. Sono molto motivato e pronto ad affrontare questa sfida.

 

Come si vive la gara olimpica? Alcuni atleti dicono che bisogna immaginarla come una gara qualunque.

Anche io la penso così. Cercherò di vederla come se fosse una gara come un’altra, se ti metti in testa che sei all’Olimpiade e devi rispettare delle aspettative, devi fare meglio, rischi di farti affogare da questi pensieri e che la gara vada male, perché sei sovrappensiero. Una cosa che faccio spesso – in tutte le competizioni, soprattutto quando sono di alto livello internazionale, come gli Europei o Mondiali – è immaginarmi di essere in allenamento. Il mio coach mi dà la partenza dai blocchi e cerco di immedesimarmi in quella situazione: mi passa tutta l’ansia, l’adrenalina e mi tranquillizzo. Immagino di essere in un allenamento e poi quando sento lo sparo dico: ok, ora sono in gara, devo spaccare.

 

Mi sembra di capire che tra i tuoi punti di forza ci sia un certo tipo di mentalità: hai mai lavorato con mental coach o psicologo dello sport?

No, non ho mai avuto né mental coach, né psicologo dello sport, ho sempre fatto tutto da me e devo dire che per costruire questa mentalità mi ha aiutato molto guardare gli anime e in particolare One Piece. Fa ridere ma è così, è un qualcosa di naturale e un po’ deriva da questo.

 

In chiave olimpica, nel ranking, hai dietro solo Grant Holloway, lo puoi battere? Ti sei dato un obiettivo per Parigi?

Sì, come dicevo l’obiettivo me l’ero dato, ma dopo 13.05 devo rifarlo: con quel crono si può aspirare a più di quello che mi ero prefissato. Io andrò lì e vorrò dare il massimo. Non voglio fare previsioni, perché è anche brutto farle. Darò il tutto per tutto, con le potenzialità che ho, posso aspirare a molto. Mi divertirò e se uscisse fuori una bella finale o una medaglia, sarò più che contento. Holloway lo vedo come un avversario da raggiungere, non imbattibile però comunque difficile: ha un personale di 12.81, non è l’ultimo arrivato.

 

Ti piacerebbe incontrare qualcuno nel villaggio olimpico?

Purtroppo non sono molto appassionato di altri sport, non li seguo tanto, eccetto per il basket, in modo molto amatoriale, non ossessivo, guardo qualche partita. Se c’è un giocatore che vorrei incontrare probabilmente è Antetokounmpo, dei Bucks, è lui il mio preferito. Non andrò in giro a cercarlo, ma se dovessi trovarlo sarei contento di farmi una foto.

 

Il presidente FIDAL Stefano Mei ha più volte detto che c’è una ritrovata consapevolezza in voi, quando è scattata?

Secondo me dopo Tokyo c’è stato questo cambiamento, abbiamo visto che l’impossibile era possibile. Vincere una medaglia d’oro nei 100, nel salto in alto, nella marcia a livello maschile e femminile, nella staffetta 4×100… pensavamo fosse impossibile, si diceva: figurati se l’Italia ci riesce. Invece è stato fatto. I risultati del 2021 hanno dato la spinta alla Nazionale, ci siamo detti che potevamo darci dentro.

 

 

In squadra è andata a medaglia pure Zaynab Dosso, con cui ti alleni e condividi lo stesso allenatore, che rapporto avete?

Abbiamo un rapporto bellissimo, c’è un’amicizia molto forte, anche se ogni tanto lei mi “bullizza” [ride, nda], perché sono il più piccolo del gruppo e tra l’altro sono l’unico ragazzo. Era contentissima di aver preso la medaglia. Ho avuto più ansia a guardare la sua gara che a fare la mia. Siamo andati entrambi a podio e il merito oltre che il nostro, che sì abbiamo corso, va in particolar modo all’allenatore, Giorgio Frinolli, e al co-allenatore, Daniel Buttari. Ci tengono, si impegnano tantissimo, fanno un lavoro che secondo me è veramente importante. Senza di loro, probabilmente, non avremmo fatto questi risultati.

 

Riavvolgendo il nastro, qual è il tuo primo ricordo legato all’atletica leggera?

Il primo ricordo legato all’atletica leggera risale alla prima volta che sono entrato in un campo per correre. Era il giorno dell’iscrizione all’Esercito giovani, quando ero piccolino. Dovevano fare i gruppi in base all’età e alla velocità dei ragazzi e io ho proposto che facessimo un giro di campo e il primo che arrivava vinceva. In modo simpatico, non era una competizione. Mi ricordo che feci un 400 fortissimo, dando tutto me stesso, come se ci fosse una medaglia olimpica al traguardo. Quello è il primo ricordo.

 

E poi quando è scattata la scintilla?

Ne sono scattate due. La prima nel 2019, quando ho fatto il record italiano Under 18 nei 60 ostacoli. Ho cominciato a entrare nel mondo dell’atletica internazionale, perché poi sono arrivate le convocazioni nelle Nazionali giovanili. La scintilla più grande, quella che mi ha portato a raggiungere questi risultati, è scattata pure per me dopo Tokyo. Lì, dal divano di casa ho esultato come un matto vedendo le medaglie e ho detto voglio arrivarci anch’io un giorno, voglio realizzare, a Parigi, questo sogno.

 

Com’è stato crescere con un papà antropologo? Ti sei mai sentito affascinato dai suoi studi, dal suo ambito di lavoro?

Assolutamente sì, è una materia che mi affascina molto, anche perché mi ritengo molto curioso e il suo lavoro è pura curiosità. Bisogna andare in vari posti e capire le usanze, i modi, le culture delle popolazioni. È un lavoro che mi è sempre interessato e chissà se magari un giorno intraprenderò qualcosa di simile. Ho questa tendenza ad essere molto curioso. Il suo lavoro ha comportato molti viaggi quando eravamo piccoli. Si spostava e portava sia me che mia sorella in giro. Ho visto gran parte del centro Africa e poi spesso tornavamo in Italia. I primi anni sono stati un viaggio. Facevamo qualche mese da una parte, l’altro da un’altra, un anno di qua, un anno di là. Mi è piaciuto molto, da quel poco che ricordo.

 

Che rapporto hai in generale con la tua famiglia? Li chiami prima o dopo una gara?

Ho un bellissimo rapporto con i miei genitori, con mia sorella. Siamo una famiglia, molto unita che si sostiene a vicenda, ci aiutiamo tantissimo. Gli voglio tanto bene, perché si sono sacrificati molto per me, soprattutto quando ero più piccolo e non si poteva immaginare questo futuro. Loro ci hanno creduto, mi hanno sostenuto e fatto fare tutto, hanno fatto sforzi per me e mia sorella e questo ci rende una famiglia molto speciale ed unita. Non li chiamo prima delle gare, anzi prima sto molto per i fattacci miei, ma non da solo. Di solito li chiamo dopo, per dirgli che sto bene, se la gara è andata o se sono contento.

 

So che non vedi i nonni da parecchio. Non vorresti scoprire qualcosa in più sulle tue origini?

I miei nonni non li vedo da molto. Più che la scoperta, parlerei di riscoperta perché in Tanzania con loro ci ho vissuto per anni. Poi ci sono tornato più volte, ma è dal 2016, se non sbaglio, che non ci torniamo. Vorrei sicuramente ritornare perché mi manca molto quel posto e sarei curioso di rivederlo con occhi nuovi, prima lo vedevo con gli occhi di un bambino di cinque – sei anni. Farlo con lo sguardo di un ventenne è diverso, non vedo l’ora perché mi manca sia la mia famiglia che quei luoghi. Non so ancora quando riuscirò, pensavo dopo le Olimpiadi, vediamo con le gare.

 

Prima hai citato One Piece, cosa hai in comune con il protagonista Monkey D. Rufy?

È una persona che crede molto nei sogni e questo vale anche per me. Mi piace sognare, immaginare cose che posso fare in futuro. La cosa bella è che tutti possono farlo: nei sogni i limiti non esistono, no?! Mi diverto e sto sognando tanto. Poi se i sogni vengono realizzati è tutto merito tuo, del percorso. Se invece non andranno a compimento, come dice Rufy… sei morto. Lui spiega: “se non riuscirò a realizzare i miei sogni, almeno sarò morto provandoci e ne sarò felice”. Vivo con questo motto, se non riesco a realizzare il mio sogno è perché non vado bene ad una gara che era importante. Ma almeno ci ho provato, è quello che conta.

 

Ma com’è nata questa passione?

Da piccolo guardavo Dragon Ball e altri, come i Pokémon, e poi ho iniziato con One Piece. La passione è nata alle medie, in prima o in seconda. È stato tutto molto causale, avevo visto che un mio compagno stava vedendo questo video e chiedendogli di cosa si trattasse ne sono venuto a conoscenza. Ho iniziato a guardarlo ed è stato subito amore a prima vista: dal primo episodio sono rimasto incollato allo schermo e ho continuato a vedere gli episodi per una settimana intera. Poi, qualche anno dopo, ho cominciato anche a incuriosirmi e a leggere manga. Ho una libreria in camera piena.
 

 

Il cappello te lo porti dietro ogni gara? 

Sì, in ogni gara che faccio con la Nazionale, durante gli eventi importanti. Me lo porto dietro e spero di doverlo indossare dopo il traguardo.

 

Riesci a fare altro nel tempo libero?

Mi piace guardare qualche partita di basket, se capita, anzi mi piace pure giocarci, ma è da un po’ che non lo faccio. È complesso trovare del tempo libero per fare altro sport, perché già arriviamo ai weekend cotti dall’allenamento, prendere un giorno per andare a giocare a basket è l’ultima cosa che mi viene in mente, però sì mi piacerebbe tanto. Poi, leggere i manga e guardare gli anime e stare in compagnia.

 

Visto che hai parlato di sogni, qual è il tuo sogno più grande? 

Non lo so. Presumo l’auto realizzazione. Quando un giorno sarò contento di quello che ho fatto nella mia vita, potrò dire sono felice, mi sono divertito.

 

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Giuliana Lorenzo è nata a Messina, ma occasionalmente è veneta e lombarda d’adozione. Ex pallavolista, scrive su Il Giorno.