Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
Il calciatore di B di gennaio: Alfredo Donnarumma
06 feb 2019
Il capocannoniere della Serie B ci ha parlato della sua carriera e del suo grande momento di forma a Brescia.
(articolo)
19 min
Dark mode
(ON)

Da novembre, in collaborazione con l'Associazione italiana calciatori, assegnamo il premio Calciatore del mese AIC. Dopo Valerio Verre del Perugia, Alfredo Donnarumma ha vinto il premio sia a dicembre che a gennaio, mesi in cui si è affermato come capocannoniere del campionato. Se nel mese scorso gli avevamo dedicato un nostro breve articolo sul suo momento di forma, stavolta abbiamo deciso di intervistarlo e farci raccontare la sua storia finora.

Ho intervistato telefonicamente Alfredo Donnarumma pochi giorni dopo la sua partita contro lo Spezia, in cui l’attaccante del Brescia ha segnato il 16esimo, 17esimo e 18esimo gol del suo straordinario campionato. Prima dell’intervista avevo visto la sua conferenza post-gara, e sembrava quasi non curarsi del suo momento di forma: forse perché alla fine era già la terza tripletta stagionale, o forse perché era sinceramente dispiaciuto per il 4-4 finale, che aveva rallentato la rincorsa al primo posto in classifica. «Se vogliamo andare avanti non si possono subire quattro gol in casa», mi ha detto all’inizio della nostra conversazione.

Donnarumma si riferiva al primo posto in Serie B, un obiettivo che a inizio stagione – guardando gli organici di squadre come Palermo, Benevento e Verona – sembrava proibitivo. Il suo passaggio al Brescia, in questo senso, sembrava un piccolo passo indietro sia per la sua carriera che per l’organico della squadra, impressione rafforzata dal difficile inizio di stagione, con il Brescia che a metà settembre era al terzultimo posto dopo aver fatto solo due punti in tre partite.

Dopo l’esonero di David Suazo il 18 settembre, però, le cose sono lentamente cambiate. L’arrivo di Corini ha rimesso in careggiata la stagione, e il Brescia ha cominciato una lunga risalita, iniziata con la vittoria sul Palermo, decisa proprio da una doppietta di Donnarumma. Da quel momento l’attaccante di Torre Annunziata non si è più fermato, segnando altri 12 gol in 12 partite. A dicembre ha vinto il premio di migliore giocatore di Serie B del mese, e ha cominciato il nuovo anno come aveva finito quello passato, segnando contro Perugia e Spezia. Attualmente il Brescia è al secondo posto in classifica, e buona parte del merito è suo (insomma, stiamo parlando di 18 gol e 2 assist in 17 partite).

Ma la cosa ancora più sorprendente è che dopo la scorsa stagione, che era stata anch’essa eccezionale, Donnarumma sta riuscendo a fare persino meglio. Gli chiedo se si aspettava un inizio del genere: «Io cerco sempre di migliorarmi. Quando un attaccante fa certi risultati c’è sempre chi pensa “ha fatto bene, ora si adagerà su quanto fatto”, ma io non ci ho mai pensato. Quest’anno non era facile ripetersi, anche perché venivo da una stagione perfetta, ma io ho preso tutto questo come una nuova sfida: quella di riconfermarmi subito».

I numeri sono impressionanti: 20 gol in due anni a Salerno, 23 la scorsa stagione a Empoli, 19 in poco più di mezza stagione a Brescia. ‹‹Io non mi fermo mai, nel calcio chi si ferma è perduto››, mi dice con una fiducia sul suo futuro che mi contagia. Una convinzione che ne ha accompagnato tutta la carriera, iniziata quando era ancora giovanissimo.

Gioventù siciliana

Nel 2004, a 14 anni, Donnarumma ha lasciato casa per accettare la chiamata del settore giovanile del Catania. E lui ha accettato senza battere ciglio: «Non era semplice andar via, ma avevo così tanta voglia di diventare calciatore che passava tutto in secondo piano».

La sua esperienza in Sicilia però non è stata semplice. «La situazione non era un granché, sinceramente», mi dice con grande sincerità «Il Catania era ancora in Serie B (avrebbe vinto il campionato un anno dopo, ndr) ma non c’erano le strutture sportive che ci sono adesso. Era tutto molto precario: io e gli altri ragazzi dormivamo in un convitto in mezzo in mezzo al nulla, e anche i campi di allenamento non erano un granché, ma la cosa non mi ha mai spaventato».

A 14 anni i calciatori sono quasi costretti ad avere una forza di volontà da adulti per sopravvivere, e Donnarumma lo ha iniziato a capire proprio a Catania: «Sono momenti particolari. Ti trovi con tua mamma che ti chiede come va, e tu dicevi bene anche se non era così, tanta era la voglia di riuscire a realizzare “il sogno”. Io e gli altri ci dovevamo spesso adattare, ma la mia voglia di riuscire mi spingeva a sopportare qualsiasi cosa».

Dopo 6 anni nel settore giovanile il Catania lo manda a fare la sua prima esperienza in prestito, al Gubbio, in Serie C. Nella città umbra trova un ambiente tranquillo e ovattato, distante anni luce dalla piazza catanese, che lui definisce come un ambiente ideale per iniziare la sua carriera da professionista. «Si vive il calcio in modo sano e in maniera tranquilla. È stata un’esperienza bellissima».

Lo Stadio Barbetti di Gubbio, che starebbe benissimo in una scena di Twin Peaks.

Donnarumma segna il suo primo gol tra i professionisti alla seconda di campionato, e nel corso della stagione trova sempre più spazio: inizia il campionato come esterno, poi seconda punta, e infine centravanti. La squadra guidata da Vincenzo Torrente sorprende tutti: dopo aver perso 5 a 1 all’esordio i rossoblù fanno una cavalcata incredibile, mettendo in fila una serie di record storici da quando la Serie C è a 18 squadre: miglior serie di vittorie (8), migliore serie positiva (11), maggior numero di punti (65), maggior numero di vittorie (20), maggior numero di gol (48) e miglior differenza reti (+17).

«Personalmente ho avuto un grande impatto», mi racconta «ma ad aprile mi sono fatto male al quadricipite, e mi sono dovuto operare (infortunio che ha messo fine alla sua stagione, nda)». Dopo il suo infortunio il Gubbio mette in fila quattro pareggi consecutivi, tutti 1 a 1, e perde lo scontro diretto col Sorrento, ma riesce comunque a vincere il campionato.

Quell’infortunio sembra poter far deragliare la sua carriera, nonostante la stagione positiva. A fine anno torna a Catania per curarsi, perde i primi sei mesi del campionato e a gennaio viene mandato in prestito al Lanciano, ancora in Serie C. Non è ancora al meglio, trova pochissimo spazio (10 presenze, nessuna da titolare, per un totale di 169 minuti) e chiude l’anno senza gol. L’estate successiva va a Como, ancora una volta in terza serie.

Terza città in tre anni, stavolta ancora più lontano da casa (quella calcistica, a Catania, ma anche quella familiare, Torre Annunziata). Negli anni successivi Donnarumma si sposterà ancora: Cittadella, Teramo, Salerno, Empoli e infine Brescia. Gli chiedo come sia stato girare così tanto l’Italia: «Diciamo che è stato un bene, perché mi ha dato tanta esperienza. Negli anni mi sono confrontato con tante realtà diverse – a livello calcistico, ma anche umano – e questa cosa mi ha fatto crescere tanto, mi ha dato quel qualcosa in più. In questi casi ti devi anche adattare, perché nel frattempo fai tante nuove amicizie che poi sei costretto a lasciare. Da ragazzo è molto più facile, ma quando cresci e hai famiglia diventa molto più difficile».

Gli infortuni e le difficoltà

A Como, dopo 12 mesi complicati, Donnarumma vive un momento fondamentale della sua carriera. La sua avventura in Lombardia inizia con una tripletta al San Marino, e nonostante le turbolenze della squadra – che cambia allenatore e proprietà a campionato in corso – chiude l’anno con 14 gol. L’ultimo di questi contro il Carpi, il rigore decisivo per la salvezza all’ultima giornata. Perde il titolo di capocannoniere per un soffio: lo supera Mancosu, attaccante del Trapani primo, con una tripletta all’ultima giornata.

L’anno dopo ha la sua prima grande occasione: viene acquistato in comproprietà dal Cittadella, e va a giocare per la prima volta in Serie B. La stagione sembra iniziare bene: Donnarumma segna due gol nelle prime quattro presenze, ma poi si infortuna al tendine contro il Padova e resta fermo altri quattro mesi.

Donnarumma non ha ancora compiuto 23 anni e si trova ad affrontare il secondo infortunio grave, ma ha reagito come al solito con fiducia: «Non mi sono fatto abbattere, ho preso queste difficoltà come spinta per fare ancora meglio». Donnarumma torna in campo solo a febbraio, ma trova poco spazio; ad aprile torna al gol, segnando al Padova. Una piccola rivincita in un’altra stagione sostanzialmente grigia.

Appena vede l’opportunità di segnare Donnarumma fa un allungo di 70 metri, da un’area di rigore all’altra; quando riceve amministra la palla con calma, se la porta sul destro e la mette sotto all’incrocio.

Alla fine della stagione la comproprietà si risolve in favore del Cittadella, che cede il giocatore al Pescara. La squadra abruzzese, però, lo gira in prestito a Teramo, ancora una volta in Serie C, dove è costretto a ricominciare quasi da capo. Dopo qualche stop forzato, però, la sua carriera prende definitivamente il volo.

La rinascita a Teramo

La squadra è giovane, ma dopo le prime difficoltà la stagione decolla, portando la squadra a competere ai primi posti in classifica. «Una stagione bellissima», mi dice Donnarumma con un tono di voce che tradisce una certa nostalgia «All’inizio non siamo partiti con grandi ambizioni, ma col passare delle giornate abbiamo iniziato a sorprendere tutti. Nello spogliatoio era nato un gruppo molto unito ed affiatato, che per prima cosa voleva divertirsi. E poi si è creata la coppia con me e Lapadula: quell’anno abbiamo fatto benissimo».

I due sono i riferimenti offensivi del 3-5-2 di Vivarini, formando un reparto con qualità, imprevedibilità e forza fisica, ed entrambi fanno la loro migliore stagione realizzativa in carriera: Donnarumma segna 22 gol, Lapadula ne fa 21. Ma è soprattutto il dialogo tra i due attaccanti che sembra funzionare: a fine anno complessivamente mettono insieme anche 17 assist, regalati spesso l’uno all’altro.

Il Teramo, che era neopromosso, chiude al primo posto in classifica. Di quella stagione Alfredo ricorda tutti i dettagli: le sue presenze e i gol, ovviamente, ma anche quelli del suo compagno di reparto; cita le partite e i momenti di quella stagione come se fosse passata da pochissimo: «È stata una grande annata nonostante sia stato rovinato tutto dal fatto finale».

Il “fatto finale” è il procedimento della procura federale contro il presidente del Teramo, Luciano Campitelli, accusato insieme al suo DS di aver concordato la partita contro il Savona, decisiva per la promozione in Serie B. Il 29 agosto la Corte d’Appello conferma l’accusa di combine, e il Teramo vede annullata la propria promozione, tornando in Serie C.

È l’ennesima battuta d’arresto della sua carriera, dopo gli infortuni degli anni precedenti. «Noi l’abbiamo vissuta male», mi dice Donnarumma con una sfumatura di amarezza «Anche perché con l’andare avanti della stagione avevamo iniziato a crederci. Volevamo vincere il campionato a tutti i costi, e ci abbiamo messo tutto noi stessi, ma quello che è successo non è dipeso da noi. Dopo la notizia ci guardavamo negli occhi ed eravamo tutti a pezzi, molti hanno pianto. Ci era stato tolto un sogno». A fine agosto, Donnarumma – che era stato riscattato dai biancorossi, ma aveva firmato un’opzione di svincolo in caso di avvenuto illecito – resta senza squadra.

In Serie B

Questa volta, però, il prosieguo della sua carriera è meno travagliato rispetto al passato. Pochi giorni dopo firma con la Salernitana e diventa subito un giocatore centrale per la squadra campana: fa 13 gol al suo primo anno completo in Serie B, segnando anche nel playout decisivo per la salvezza. Come a Teramo, anche a Salerno diventa parte di un’altra bella coppia d’attacco, quella con Massimo Coda. Complessivamente i due segnano 30 gol il primo anno e 23 il secondo, quando Donnarumma trova meno spazio da titolare.

I due anni in granata gli permettono di misurarsi in un contesto caloroso ed esigente: «Salerno è una grande piazza che mi ha fatto crescere tanto. Con la tifoseria avevo un bel rapporto, mentre la stampa locale era pesante. Io non sono un automa, quando mi sento fare certe accuse le “sento”, ma non mi faccio abbattere. Anzi, le prendo come stimolo per fare sempre meglio».

Nel 2017 arriva la chiamata dell’Empoli, ansiosa di rifarsi dopo l’incredibile retrocessione per mano del Crotone. A fare il suo nome è Vincenzo Vivarini, suo ex allenatore a Teramo adesso sulla panchina della squadra toscana, che evidentemente si sentiva in debito verso di lui. Le cose tra i due, però, non vanno come previsto perché Vivarini viene esonerato a dicembre, dopo un inizio di campionato altalenante. Donnarumma, però, conferma il suo valore anche con il suo nuovo tecnico, Andreazzoli, e gioca la sua migliore stagione in carriera, finora.

Anzi, potremmo addirittura grazie a Andreazzoli, che imposta una squadra molto più verticale e propositiva, in contesto in cui gli attaccanti dovevano concentrarsi soprattutto nell’ultimo terzo di campo. Donnarumma cresce molto, affinando le sue qualità nello stretto, e migliorando la rapidità e la velocità delle sue esecuzioni. Così come a Teramo e a Salerno, anche a Empoli finisce per formare una coppia, questa volta con "Ciccio" Caputo. L’Empoli chiude l’anno con una striscia di 24 gare senza sconfitte (16 vittorie e 7 pareggi), guadagnando la promozione con 4 giornate di anticipo. Donnarumma e Caputo segnano 48 gol in due (rispettivamente 21 il primo e 27 il secondo).

View this post on Instagram

Amico mio si poteva fare meglio nn siamo stati precisi ma come prima volta va bene così,i produttori di Dragon ball ci perdoneranno😂😂😂...grazie mille amico mio (CAPORUMMA)#dragonballsuper #fusione #gioie #soddisfazioni #scherzare @cicciocaputo11 💪💪💪

A post shared by Alfredo Donnarumma (@alfredo_donnarumma) on Jan 27, 2018 at 11:05am PST

Funzionare in coppia

La sua capacità di giocare al fianco di un compagno, in attacco, diventa quasi proverbiale. «Si dice spesso che tra attaccanti non si riesce a legare, perché poi c’è anche rivalità, ma per me non è mai stato così», mi racconta Donnarumma, «Con Lapadula a Teramo è nata una bellissima amicizia, la sera uscivamo insieme con le famiglie; lo stesso con Coda a Salerno e Caputo a Empoli, eravamo sempre insieme. Quest’anno è lo stesso con Ernesto (Torregrossa, ndr). Sono ragazzi diversi, come carattere e come caratteristiche, ma mi sono trovato bene con tutti. L’amicizia fuori ci aiuta anche in campo, ovviamente. Puoi essere forte quando vuoi, ma se non hai feeling fai fatica».

Parlandoci, capisco che per lui i numeri sono importanti. Quando parliamo della sua carriera, Donnarumma non sbaglia neanche una sua statistica, anche se questa tensione per il gol non si traduce in egoismo: «A me non pesa giocare per la squadra, anzi. Durante la partita faccio sempre tantissimi movimenti, cerco di aprire spazi alla squadra e agli altri attaccanti. Se il mio compagno di reparto fa bene non posso che essere contento».

Del resto, Donnarumma non è un centravanti classico: non lo è per mentalità, e non lo è per caratteristiche. Ha un’altezza nella media (un metro e ottanta) e ha un fisico abbastanza asciutto, più di quanto ci si aspetterebbe da uno che segna così tanto e in così tanti modi. Il segreto di questa prolificità, quindi, sta probabilmente nella sua eccezionale intelligenza nelle letture, la capacità di intuire una frazione di secondo prima dove finirà la palla, come arrivarci e come colpirla.

Tre gol di puro istinto, resi più semplici del dovuto.

«Non ho la fisicità di altri attaccanti, ma il calcio è fatto di tante cose, ci sono altre caratteristiche che pesano», mi dice «Pensare la giocata prima degli altri, riuscire ad anticiparla, è una cosa fondamentale. In Serie B non è facile, c’è tanta cattiveria e tanto agonismo. Quando giochi in attacco devi avere intuito: io cerco sempre di leggere prima le situazioni, per avere quel piccolo vantaggio che può fare la differenza. Se arrivi prima vinci».

A questo intuito, si aggiunge le sue qualità fronte e spalle alla porta, sia in appoggio che in rifinitura. Molti di queste qualità forse vengono dalle tante partite giocate sull’esterno, una gavetta che accetta mal volentieri («Non mi piaceva, volevo stare vicino alla porta»), ma che gli ha permesso di arricchire il suo bagaglio tecnico.

«Ho giocato in tanti modi», mi spiega «insieme a tanti compagni, e non ho mai perso la voglia di imparare». Ogni allenatore è un pezzo del suo repertorio, ma quello più importante resta Vivarini: «È quello che mi ha capito meglio e mi ha insegnato più di tutti». «Ma ho imparato molto anche dagli altri», aggiunge. «A Salerno Menichini e Bonetto mi hanno fatto sviluppare determinati movimenti, che non facevo o facevo solo a tratti; con Andreazzoli ho velocizzato il mio gioco, con Corini sto migliorando nella gestione del possesso».

Gli chiedo se si sente un attaccante moderno: «Sì. Per me non è un problema giocare spalle alla porta, ma mi piace anche giocare di prima, dialogare coi compagni, dare l’appoggio al trequartista… Non esiste più la punta che resta ferma in attacco. Nel calcio di oggi serve essere completi e generosi, bisogna saper fare un po’ di tutto».

Sarà per questo che si trova benissimo con un compagno di reparto: «Col 4-3-3 hai più palloni, teoricamente, ma in questo modo gli esterni tendono a restare bassi e ripartire. Personalmente, preferisco giocare con un altro attaccante. Nelle ultime due stagioni mi sto trovando molto bene col 4-3-1-2, che secondo me è un modulo che ti fa lavorare in maniera più equilibrata. Per un giocatore come me è il massimo, perché puoi scambiarti con l’altra punta, ricevere dalle mezzali, aprire spazi per il trequartista... C’è anche da dire che a Brescia facciamo un calcio secondo me atipico, per la categoria, giocando molto palla a terra. Un po’ come a Empoli lo scorso anno».

Le due squadre sono sovrapponibili per alcuni principi di gioco – su tutti, la verticalità e la circolazione bassa della palla – ma nell’ultima stagione il ruolo di Donnarumma è cambiato, trovando una centralità se possibile ancora maggiore. «Corini vuole che gli attaccanti contribuiscano al possesso, venendo incontro a centrocampo e allargandosi sull’esterno per scambiare coi terzini e le mezzali», mi spiega «Andreazzoli voleva più velocità, quando si arrivava negli ultimi 30 metri io e Caputo dovevamo attaccare subito l’area di rigore».

Quello che sorprende, di Donnarumma, è la capacità di non appiattirsi mai sul suo gioco: sembra avere una grande consapevolezza dei suoi limiti e di come superarli. Gli domando se e dove si sente migliorato, e lui mi risponde che è soprattutto una questione mentale: «Queste capacità sento di averle sempre avute. Con gli anni sono maturato, sia a livello sportivo che umano; nel frattempo ho messo su famiglia, ho una moglie e due bambini che mi danno una forza incredibile».

A Brescia

Dal punto di vista sportivo, parte del merito va dato al contesto tattico trovato a Brescia e prima ad Empoli. Nell’ultimo anno e mezzo Alfredo ha avuto una crescita enorme, non solo a livello di gol: «Se devo citare un aspetto, direi che ho migliorato le mie scelte tecniche. Decidere velocemente se è meglio tenere palla, appoggiarsi al compagno o fare una determinata giocata, insomma. In questo è stato importante Andreazzoli, ma mi sta aiutando molto anche Corini».

Quella di Empoli, per Donnarumma, è stata la stagione della consacrazione, ma per l’ennesima volta la vittoria ha avuto un retrogusto amaro. La squadra toscana quest’estate ha deciso di non portarlo con sé in Serie A, cedendolo al Brescia. «Sono sincero, mi ha dato molto fastidio. La Serie A me l’ero conquistata sul campo, dopo tante sofferenze e sacrifici. Mi sono sentito derubato», con più di un pizzico di amarezza.

Donnarumma mi dice di aver capito che non sarebbe rimasto quando l’Empoli ha speso 9 milioni (una cifra pesante per una squadra che lotta per non retrocedere) per La Gumina del Palermo: «Quando la società prende certe decisioni capisci che sei di troppo. Potevo anche restare, ma non avevo l’intenzione di diventare un peso. Se guardiamo ai risultati una possibilità me l’ero meritata. Io non ho mai chiesto riconoscenza, per quanto mi riguarda nel calcio non bisogna regalare nulla a nessuno. Ma il merito va premiato. Nel calcio forse c’è ancora poca meritocrazia».

A questo proposito gli chiedo cosa pensa delle regole sui giovani in Serie D, dove ogni squadra è costretta a schierare almeno un Under 20, due Under 19 e un Under 18. La risposta non lascia spazi a fraintendimenti: «Non sono d’accordo. In Serie D, come in tutte le categorie, devono giocare solo i ragazzi che meritano. Ci sono società che mettono dentro i ragazzini per soldi, o perché vogliono i contributi della Lega, ma quando non sono più Under che succede? Molti vengono illusi, perché all’inizio pensano di giocare a certi livelli e poi si ritrovano senza nulla».

«I giovani bravi vanno fatti giocare, perché sono un patrimonio per la società e per il nostro calcio, ma queste regole sono solo deleterie», mi dice, «Secondo me non c’è cosa più bella di meritarsi il posto e giocare. Se un ragazzo è più forte di un 30enne deve giocare, punto».

In ogni caso, in Serie B, un campionato storicamente regno dei giocatori esperti, la cultura sta lentamente cambiando. Ogni anno si affacciano sempre più giovani in prima squadra, e alcuni riescono a fare il salto in massima serie. «Ce ne sono tanti, secondo me. L’anno scorso mi aveva impressionato Traorè, anche se era ancora giovanissimo; ora sta giocando titolare in Serie A ed è già stato preso dalla Fiorentina», mi dice «L’anno scorso a Empoli ce n’erano tanti, comunque: penso a Bennacer, Zajc, Krunic… tutti giocatori che si stanno confermando. Se parliamo del Brescia è impossibile non citare Tonali, che in questo momento è sulla bocca di tutti; ma di giovani interessanti ce ne sono tanti anche nelle altre squadre. Se devo citarne uno ti dico Verre del Perugia (che ha vinto il premio di giocatore del mese della Serie B di novembre, nda). In Italia i giovani forti ci sono, il problema è che forse non hanno abbastanza fiducia».

Il discorso può essere fatto anche per gli altri giocatori della Serie B. «Purtroppo in Serie A ci sono tanti pregiudizi. Si dice spesso “Quel giocatore è da Serie B”, o “Non è pronto”, ma se non lo metti in condizione di provarci come puoi dirlo? Finché non ci provi – provarci davvero, che significa avere anche la possibilità di sbagliare – non puoi saperlo. Negli ultimi anni abbiamo visto esempi come Caputo e Antenucci, ma sono ancora eccezioni».

Ovviamente è un discorso che si può estendere allo stesso Donnarumma, che ha dovuto lottare contro infortuni e sfiducia. Dopo Empoli l’attaccante ha fatto una scelta tutt’altro che scontata, anche se indotta da scelte societarie su cui lui aveva poca voce in capitolo: «Non partivamo al livello delle favorite, ma il bello era anche questo. A Brescia ho trovato un progetto solido e ambizioso, non avevo bisogno d’altro».

«Aver perso la Serie A mi ha messo un fuoco dentro», continua Donnarumma «Io lì ci voglio arrivare, e ci voglio arrivare dimostrandolo sul campo e coi numeri. Il Brescia è la piazza ideale, perché qui c’è una società che mi ha dato subito tanta fiducia, con un progetto ambizioso e una piazza che vuole riemergere a tutti i costi. Io ce la metto tutta».

Pochi giorni dopo la nostra telefonata il Brescia ha giocato un’altra partita, lo scontro diretto col Pescara. Donnarumma ha fatto il gol dell’uno a zero e l’assist del raddoppio: la partita è finita 5-1 e il Brescia è arrivato per la prima volta al primo posto in classifica. Guardando quella partita non riesco a togliermi dalla testa l’ultima frase che mi ha detto prima che ci salutassimo: «Per la voglia che ho spaccherei tutto».

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura