Emilie Haavi, prima ancora di essere una giocatrice della Roma, è una giocatrice di talento, se per talento intendiamo la massima espressione della libertà in campo. Credo ci sia, in questo senso, una sovrapposizione quasi totale tra libertà e riconoscibilità. Perché se provaste per un momento a pensare alla prima volta che avete visto in azione il vostro giocatore o la vostra giocatrice preferita sono sicura che ricorderete perfettamente cosa vi ha lasciato folgorati.
Haavi arriva dalla Norvegia, Paese nel quale è nata e cresciuta vincendo per molti anni tutto ciò che c’era da vincere. Percorso che, pare da fuori, stia cercando di replicare anche a Roma. Nel suo gioco ci sono i gol, gli assist, una velocità furiosa e un’esplosività che in Italia ad oggi non ha semplicemente rivali. Eletta miglior giocatrice della stagione 22-23, quella in cui la Roma ha vinto il suo primo scudetto, Haavi è sembrata voler mettere a tacere qualsiasi dubbio sul suo talento. Prima giocatrice della Serie A per assist nella regular season, tre gol e presenza irrinunciabile nella sua zona di campo.
Parlando con Haavi per questa intervista ho avuto la sensazione che il suo stile di gioco, come la sua creatività nel dribbling, debordasse anche fuori dal campo. La schiettezza e la sincerità nel modo di esprimersi, il modo in cui guarda dritto negli occhi le persone quando parla e la volontà di arrivare sempre al punto ricordano il modo in cui punta con decisione l’avversaria prima di saltarla senza indugi.
La nostra conversazione è avvenuta durante la pausa per le Nazionali, un momento particolarmente doloroso per la giocatrice norvegese che, per la seconda volta dopo il Mondiale in Australia e Nuova Zelanda, non ha ricevuto una convocazione. Dopo quattordici anni in Nazionale e un momento particolarmente brillante della sua carriera, della sua mancata convocazione si sta parlando molto in Norvegia.
Come stai vivendo l’esclusione dalla Nazionale per la seconda volta?
Sto bene anche se questi non sono giorni facili, vorrei essere lì. Dopo 14 anni, non essere convocata è dura anche se dopo due mesi così intensi con così tante partite giocate forse è meglio sia per il corpo sia per la mente essere qui a Roma. Ora tutte le mie compagne sono in Nazionale e siamo solo in quattro qui ad allenarci quindi anche questo non aiuta molto dal punto di vista psicologico.
Ti è stata data una spiegazione?
Non ho parlato molto con loro. Dopo il Mondiale abbiamo cambiato allenatore e lui mi ha detto semplicemente che voleva un altro tipo di esterno, non so altro. Dopo Natale abbiamo cambiato ancora e la nuova allenatrice mi ha detto che per questioni di tempo i nomi non li ha scelti lei ma alcuni membri del vecchio staff, per cui non voleva fare troppi cambiamenti nella lista delle convocate. Questa volta è andata così ma nel caso accadesse di nuovo dovrò fare delle valutazioni.
Cosa intendi?
Non lo so, ci devo pensare. Non è facile sentirsi sempre pronte e scoprire a una settimana dalle convocazioni che non sarai chiamata. È difficile viverla con tranquillità, vedremo come andrà ad aprile.
Cosa ti aiuta a tirarti su di morale in queste situazioni?
Mi aiuta pensare al fatto che qui a Roma sono felice. Sapere che sto facendo bene per la squadra e che le mie compagne mi apprezzano è molto importante per me.
Hai giocato tutta la carriera in Norvegia, cosa ti ha spinta a cercare un’esperienza altrove?
Dopo aver giocato nove anni nella stessa squadra avevo bisogno di cambiare. Ero il capitano, avevo tanta responsabilità ed ero anche un po’ stanca, sentivo che volevo pensare un po’ di più a me stessa. Oltretutto avevo quasi 30 anni e sentivo di voler fare un’esperienza diversa. Sono stata un periodo negli Stati Uniti ma ho avuto un infortunio quindi volevo rimettermi in gioco. Non è stato semplice scegliere di venire in Italia ma sentivo che era quello che volevo.
È stato difficile trasferirti qui?
All’inizio sì. La cultura è molto diversa, io stessa prima di venire qui ero diversa, un po’ più precisa e inquadrata. Quando sono arrivata qui mi sono accorta quanto la vita sia vissuta in modo più lento e rilassato sotto qualsiasi punto di vista, un mood diverso rispetto a quello a cui sono sempre stata abituata. Inizialmente questa cosa un po’ mi stressava, devo ammetterlo. Anche non capire la lingua è stato difficile. Poi però dopo 6 mesi le cose sono migliorate.
Nell’ultimo episodio della mini-serie uscita su YouTube, quella che parla della vittoria della scudetto, ci sono molte compagne che raccontano di essere particolarmente scaramantiche, anche tu lo sei diventata?
Io in realtà non sono scaramantica però devo per forza applicarmi perché mi inseriscono nei loro riti, quindi alla fine sì. La cena il giorno prima della partita, ad esempio, se mangiamo in hotel dobbiamo per forza disporci in un certo ordine: Giugliano, Ciccotti Giacinti e io. A volte mi chiedo: ma pensano davvero che perderemo se non ci mettiamo in questo ordine? Se Ilaria [la Team Manager della Roma, nda] non ti dà il GPS pensi davvero che perderemo oggi? Ormai però ho capito che è così quindi mi adeguo e lo faccio anche io.
Quando hai rinnovato il contratto hai detto che a Roma hai trovato una seconda famiglia.
Quando sei sola in un Paese molto diverso dal tuo le persone sono importanti perché dopo gli allenamenti e le partite sono quelle con cui passi la maggior parte del tempo. Mi trovo bene con tutti e non è scontato, la cosa per me più bella è sentire che le persone qui sono vere e ci tengono davvero a sapere come stai. Stare bene con loro è importante perché mi aiuta a stare bene in campo.
Chi sono le persone a cui sei più legata?
Passo tanto tempo con Manuela a Valentina [Giugliano e Giacinti, nda], mi piace molto la loro compagnia, all’inizio stare insieme mi è servito tanto anche per imparare la cultura e la lingua. L’anno scorso poi ero molto legata a Sophie Haug, vivevamo insieme. Anche lei è norvegese e stare con una persona che parla la tua stessa lingua ti permette di essere te stessa. Ora sto molto anche con Anja [Sønstevold, arrivata da poco dall’Inter, nda], ci conosciamo già da anni perché abbiamo giocato insieme in Norvegia.
Che rapporto hai con i tifosi giallorossi?
Il calcio in Italia è molto diverso rispetto alla Norvegia. Qui è una cosa importante che interessa a tutti ed è stato strano per me vedere che, andando in centro a Roma, una città grandissima, qualcuno mi chiedesse una foto. I tifosi sono speciali e ci sono sempre nei giorni e negli orari più diversi. Se giochiamo il martedì alle 14 loro ci sono e questo è bellissimo.
Ora sei a Roma da due stagioni e mezzo e in questo tempo avete completato un percorso che vi ha portato anche a vincere lo scudetto, in che modo la squadra è cambiata in questi anni?
Sono cambiate tante cose, la prima che mi viene in mente è il livello generale. Ora abbiamo tante giocatrici forti anche in panchina e non solo in campo. Un’altra cosa che si avverte è la forte volontà della società di far crescere la squadra e in generale il calcio femminile a Roma. La cosa forse più importante è che in questi anni si è creata una cultura della vittoria all’interno del nostro gruppo. Stare insieme tanto e creare un certo tipo di intesa ha aiutato molto a sviluppare questa mentalità. Ora tutte pensiamo solo a come vincere. Per me sapere che ora abbiamo tutte questa mentalità è importante perché io non penso ad altro prima delle partite: vincere.
Che rapporto hai con la sconfitta?
Io odio perdere. Nella mia carriera ho vinto tanto quindi è una cosa a cui non sono abituata. A gennaio abbiamo avuto un periodo difficile. Da quando sono arrivata qui non abbiamo mai perso così tante partite, in quel momento era tutto nero.In Supercoppa non so bene cosa non abbia funzionato ma è stata la prima partita dopo un periodo in cui eravamo ferme da un po’, era come se non avessimo la mentalità giusta per partire subito forte. Poi da lì abbiamo perso in Coppa contro il Napoli, in campionato contro l’Inter. Dopo la Supercoppa si è innescato un meccanismo negativo dal quale è stato difficile uscire ma ora siamo tornate sui nostri passi.
Secondo il tuo punto di vista cosa vi distingue in Italia da tutte le altre squadre?
Secondo me siamo la squadra che gioca meglio di tutte. Abbiamo un gioco che quando lo vedi dici: questa è la Roma. Abbiamo un’identità forte. Le cose che facciamo e il modo in cui facciamo gol non è mai casuale. Un’altra cosa che secondo me fa di noi una squadra forte è che abbiamo tante giocatrici che possono fare la differenza. Sapere che se oggi in campo non riesci a dare il meglio ma può entrare una compagna che invece può farlo aiuta molto.
Quest’anno stai facendo più assist e meno gol, mentre l’anno scorso gol e assist andavano di pari passo, è cambiato il tuo modo di metterti al servizio della squadra o, più banalmente, i gol non stanno arrivando?
Ho parlato con lo staff tecnico perché credo di poter fare anche più gol, però quest’anno ho più in testa di fare cross che andare in porta. In realtà mi piace di più fare quello che sto facendo, sento che andare in uno contro uno e servire le compagne sia il modo di giocare che più si addice a me.
Qual è la giocatrice che hai affrontato che più ti ha messa in difficoltà in uno contro uno?
Quando abbiamo giocato contro Barcellona e Bayern Monaco sono stata un po’ in difficoltà, se ti devo dire un nome però mi viene in mente Lucy Bronze, non è stato facile incontrarla da avversaria perché è molto veloce.
La partita in cui Haavi e Bronze si sono affrontate a Roma.
Cosa manca alla Roma per fare il salto in Europa?
È difficile da dire però credo che ci serva maggior esperienza e giocare più volte contro squadre di un certo livello, cosa che di solito in un anno non ti capita spesso. Secondo me quest’anno abbiamo fatto meglio dell’anno scorso nonostante le partite fossero più difficili, contro squadre come PSG o Bayern siamo comunque riuscite a farci valere. Loro sono abituate a giocare da anni partite importanti, noi no, quindi in questo la differenza un po’ si è vista. C’è da dire che comunque noi in due-tre stagioni siamo cresciute molto velocemente, abbiamo fatto tanto in poco tempo.
In Champions il girone alla fine sembrava essere alla vostra portata, forse in alcuni casi avete avuto delle reazioni un po’ tardive.
Sì, è vero, anche in campionato è successo, magari è capitato di trovarci in svantaggio alla fine del primo tempo però poi siamo tornate in campo e siamo riuscite a ribaltarla, è come se in alcuni casi dovesse accadere qualcosa per farci avere una reazione.
Essere una giocatrice così importante per la squadra ti fa sentire sotto pressione?
Io sono una che gioca tanto quindi direi di sì ma cerco di non pensarci troppo perché so che do il meglio se mi libero delle pressioni. Comunque, sentirsi importante e sapere di poter fare la differenza è una bella sensazione.
Cosa ti chiede di solito Alessandro Spugna prima di entrare in campo?
Di solito quando giochiamo partite importanti contro squadre forti mi dice solo: «Queste sono le tue partite», perché sa che sono i momenti in cui mi esalto di più.
Chi era Emilie prima di arrivare a Roma e chi è Emilie oggi?
Dal punto di vista personale oggi sento di aver imparato a vivere di più nel presente, prima ero molto più meticolosa e avevo sempre bisogno di organizzare tutto, soprattutto il mio tempo. Diciamo che ora vivo più alla giornata. Dal punto di vista calcistico invece sento di essere migliorata individualmente ma sempre per rimanere a servizio della squadra. Nelle ultime stagioni giocate in Norvegia sentivo che fosse un po’ tutto sulle mie spalle, qui a Roma invece sapere che le cose non dipendono solo da me e che ci sono tante compagne che possono fare la differenza mi fa giocare con più serenità.