Si parla spesso, e a ragione, di come la NBA sia il campionato più globale al mondo. I numeri, in questo senso, rendono l’idea di un fenomeno davvero planetario: al nastro di partenza della regular season 2021-22 erano 109 i giocatori non americani, provenienti da 39 nazioni diverse. Le partite della stagione, tutt’ora in corso, vengono trasmesse in quasi tutto il mondo e i contenuti riguardanti la lega e i suoi protagonisti vengono tradotti in 47 lingue diverse. Dietro a questi numeri, già piuttosto significativi, ci sono poi le singole storie che rendono ancora di più l’idea di quanto la NBA sia ormai un magnete la cui forza attrattiva devia e ridisegna i percorsi personali di chi ambisce a fare della pallacanestro la propria vita. Come nel caso di Moritz e Franz Wagner, fratelli berlinesi che per inseguire il sogno di giocare in NBA hanno attraversato l’oceano appena maggiorenni. Dopo la comune esperienza in NCAA con la maglia dei Michigan Wolverines, i due si sono ritrovati la scorsa estate a Orlando. Abbiamo chiacchierato con loro all’interno di Jr.NBA Play Like a Pro, programma sponsorizzato da Gatorade e studiato per essere una piattaforma didattica con video, esercitazioni e laboratori interattivi.
Seppur a quattro anni di distanza uno dall’altro [Moritz è nato nel 1997, Franz nel 2001, ndr], avete sperimentato entrambi il salto da una metropoli come Berlino a una cittadina di modeste dimensioni come Ann Arbor (sede dell’ateneo della University of Michigan) all’età di 18 anni: che impatto ha avuto questo trasferimento non tanto e non solo sulla vostra carriera, quanto sul vostro percorso di crescita personale?
Moritz: È una domanda interessante perché quella del salto dalla Germania agli Stati Uniti è una cosa di cui io e Franz parliamo spesso ancora oggi. Le due culture sono molto diverse, ovviamente, e forse io che sono qui da qualche anno non mi accorgo più di alcune differenze mentre Franz me le fa notare con puntualità. La prima cosa che mi ha detto quando è arrivato negli Stati Uniti è stata: hai visto quanto sono grandi i parcheggi? E ha ragione, qui sei costretto a guidare per andare ovunque mentre a Berlino, per dire, i nostri genitori non hanno nemmeno un’automobile. La vita in una grande città è diversa: adesso quando torno a casa tutto ciò di cui ho bisogno per muovermi è un biglietto della metropolitana.
Franz: Devo dire che, per quanto Ann Arbor sia una città piccola, visto che è grande quanto il quartiere dove siamo cresciuti [Prenzlauer Berg, ndr], non l’ho mai percepita come tale perché lì tutto gira attorno al campus di Michigan e quindi ti senti quasi in una realtà a parte. Detto questo, Berlino è tutta un’altra cosa!
E invece, passando dal college alla NBA qual è stato l’aspetto del gioco o della vita di tutti i giorni in cui avete avuto più difficoltà nell’adattarvi?
Franz: All’inizio credo siano stati i viaggi e i voli, così lunghi e frequenti, però ammetto che gli hotel sono molto più confortevoli di quelli dove alloggiavamo in trasferta al college! Ora come ora la cosa che trovo più difficile è staccare dal punto di vista mentale. A Michigan era tutto più semplice perché il giorno dopo la partita dovevi andare a lezione e quindi concentrarti su altro, adesso fatico a non pensare sempre e solo al basket.
Moritz: Per me la cosa più difficile è stata diventare professionista senza perdere la passione per il gioco. Soprattutto nel mio primo anno a Los Angeles [con i Lakers, ndr] in cui giocavo davvero molto poco è stata dura, così come è stata dura non smarrire la voglia di divertirmi sul parquet. Diventare professionista, venire pagato per ciò che fai, cambia molto la prospettiva con cui ti ritrovi ad allenarti in palestra.
Con i 45 segnati agli Hornets lo scorso gennaio Moritz e Franz hanno pareggiato il record detenuto dai gemelli Morris per punti segnati da due fratelli e compagni di squadra nella stessa partita.
Quanto è cresciuta la popolarità del basket in Germania, prima grazie a grandi campioni come Detlef Schrempf e Dirk Nowitzki, e ora grazie a voi e ai vari Dennis Schroeder e Maxi Kleber? Come siamo messi rispetto al dominio assoluto del calcio?
Franz: Credo che l'obiettivo sia diventare il secondo sport più popolare perché in Germania, così come nel resto d’Europa, il calcio rimarrà sempre al primo posto. In questo senso il fatto che ci siano giocatori tedeschi in NBA, ma anche che ci siano squadre della Bundesliga in Eurolega e che la Nationalmannschaft se la giochi in ogni competizione internazionale, che si tratti di Mondiali, Europei o Olimpiadi, è assolutamente fondamentale. Al momento il calcio è per distacco lo sport preferito dai tedeschi, ma credo che tennis, motori e pallamano siano i veri avversari con cui il basket dovrà fare i conti.
Ricoprite ruoli decisamente diversi in campo e avete delle caratteristiche tecniche molto diverse, ma pare che ci sia un aspetto del gioco in cui siete identici: è vero che spesso gli arbitri non sanno distinguere quale dei due si lamenta dei fischi perché avete un tono di voce e un modo di esprimervi molto simile quando vi arrabbiate?
Moritz: [ridendo ndr] Lui si lamenta molto più di me! Devi ammetterlo.
Franz: Intendi quest’anno o in generale?
Moritz: Sei in NBA solo da qualche mese, intendo quest’anno!
Franz: È solo che ho molta meno esperienza di te su come relazionarmi con gli arbitri, tutto qui.
Moritz: Mettiamola così: visto che hai giocato solo 70 partite, nel complesso la quantità e la densità delle tue lamentele supera la mia. Scherzi a parte, credo che sì, forse abbiamo un modo di lamentarci con gli arbitri che è abbastanza simile.
Franz: Lasciami dire una cosa: in NBA è diverso, ma al college avevo il fiato sul collo da parte degli arbitri e solo per via dei tuoi precedenti.
Moritz: Diciamo che per quanto riguarda il rapporto con gli arbitri sono migliorato nel passaggio dal college alla NBA. Ho capito che lamentandomi non ottenevo granché, anche perché qui sono solo un role player mentre a Michigan ero uno dei giocatori più importanti e quindi…
Franz: Ecco perché gli arbitri continuavano a fare il tuo nome durante le partite! Io cercavo di concentrarmi sul gioco e invece loro parlavano di mio fratello, credo tu gli abbia lasciato un bel ricordo…
Moritz: Crescendo ho capito che è giusto costruire un rapporto con gli arbitri a prescindere dalle cose che si dicono in campo e che può capitare a tutti, e quindi anche agli arbitri, di commettere errori. Io e Franz lo ripetiamo spesso: fare l’arbitro di basket è il lavoro più difficile al mondo perché devi prendere tante decisioni e tutte in pochi istanti. Noi due a volte tendiamo a farci trasportare dalle emozioni ma ci stiamo lavorando, credo che potremo migliorare anche in questo.
I fratelli Wagner, oltre al talento nel giocare a basket, vantano anche una discreta vena comica.
Quando siete stati scelti al Draft c’era qualcuno in particolare, un avversario o un compagno con cui speravate di confrontarvi? C’è un giocatore che avete sempre ammirato?
Franz: Per me la risposta, che so essere scontata, è LeBron James e Kevin Durant. Loro due sono i migliori e per di più giocano nel mio ruolo. Poi ce ne sarebbero molti altri, ma James e Durant hanno avuto un impatto incredibile sull’immaginario della mia generazione.
Moritz: Io sognavo di poter condividere il campo con Dirk Nowitzki durante la sua ultima stagione ma non ci sono riuscito. L’altra leggenda che avrei voluto incrociare è Kevin Garnett, il mio idolo, il giocatore che mi ha fatto innamorare del basket. Adoravo l’intensità che metteva sul parquet, purtroppo quando io sono entrato in NBA [nel 2018, ndr] lui si era già ritirato da un paio d’anni.
Com’è nata la decisione di andare al college invece di proseguire il percorso già avviato con l’Alba Berlino?
Moritz: Prima di tutto io ero un grande appassionato di NCAA, fin da quando ero poco più che un bambino. E poi l’offerta di Michigan mi consentiva di ottenere un titolo di studio, cosa per me di assoluta importanza perché non ero affatto sicuro che il basket sarebbe diventata la mia professione. Inoltre, se ci pensi, Luka Doncic a parte non sono poi moltissimi i giovani europei a poter pensare di fare il salto dall’Eurolega direttamente verso la NBA.
Franz: Molto dipende dai coach con cui ti trovi ad avere a che fare. A volte in Europa gli allenatori preferiscono dare minuti ai giocatori più esperti o agli americani.
Moritz: Esatto, la decisione per me era se fare il dodicesimo all’Alba o accettare l’offerta di Michigan, tra l’altro l’unica che avevo ricevuto. John Beilein [coach dei Wolverines dal 2007 al 2019, ndr] mi aveva rassicurato riguardo il fatto che avrei giocato molto e allo stesso tempo avrei potuto lavorare sui miei difetti. Il primo anno è stato complicato perché ho patito il salto dall’Europa all’America, ma non ho mai dubitato che quella di andare a Michigan fosse la scelta migliore sotto tutti i punti di vista.
Franz: Nei miei due anni all’Alba Berlino ho avuto a che fare con Aito, allenatore noto per l’abilità nel far crescere i giovani, ed è stato utilissimo. Solo che poi sentivo l’esigenza di attraversare l’oceano perché il mio sogno era giocare in NBA, e passare dal college era il percorso migliore verso quel sogno.
La stagione che va a chiudersi non è stata particolarmente positiva per quanto riguarda i risultati di squadra, ma l’opera di tanking - nemmeno tanto velata - in cui si sono impegnati i Magic ha concesso ai due berlinesi spazio e minuti notevoli. E se Moritz sembra avviato verso un’onesta carriera da giocatore di ruolo come lungo in uscita dalla panchina, la prospettiva di Franz appare decisamente più intrigante. Le cifre mandate a referto nella sua annata d’esordio tra i professionisti (15.2 punti, 4.5 rimbalzi e 2.9 assist di media tirando con il 46.8% dal campo) lo rendono un forte candidato al primo quintetto dell’All-Rookie Team 2021-22. Ancor di più, la facilità nel ricoprire entrambi gli spot di ala, ruolo chiave nella NBA contemporanea, e lo spirito combattivo messi in mostra lasciano intuire potenzialità che potrebbero portarlo lontano.
Il viaggio dei fratelli Wagner, già degno di nota considerata la loro giovane età, pare dunque destinato a proseguire ancora a lungo.