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Come vincere i Mondiali di Pokémon
03 set 2024
03 set 2024
Ce l'ha raccontato Luca Ceribelli, che l'ha vinto lo scorso 19 agosto a Honolulu.
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Il nome di Luca Ceribelli potreste averlo sentito, anche di sfuggita, nel corso dell’ultima settimana, pronunciato in vari servizi televisivi o letto su siti online di quotidiani sportivi e generalisti. Ceribelli, per la verità, si fa chiamare Cereevgc e se ancora non avete capito chi è, un indizio arriva dalle ultime tre lettere del nome dell’account: “vgc”, sigla che sta per videogame championship, che si differenzia dalla versione cartacea Tcg, Trading Card Game.

Ceribelli è il nuovo campione del mondo del videogioco Pokémon, titolo conquistato nella notte italiana tra il 18 e il 19 agosto 2024, a Honolulu. Tornato finalmente dalle fatiche mondiali e dopo aver cambiato diversi voli, ho avuto l’opportunità di scambiare due chiacchiere con lui e come prima cosa ci ha subito tenuto a precisare che non è uno studente di fisica, come alcune testate e siti hanno erroneamente scritto. «Sarò sincero, non ho capito da dove è saltata fuori questa definizione ma io in realtà sono uno studente di statistica e sto scrivendo la tesi per laurearmi».

Ceribelli, oltre ai Pokémon, è un grande appassionato di calcio e tifoso dell'Atalanta, e anche la sua tesi riflette questi suoi interessi. «Non è semplicissima da spiegare perché è una tesi che riguarda un approccio più teorico che pratico. Per farla breve, l’idea è di cercare e individuare dei fattori statistici che permettano di trovare in via indiretta quelle caratteristiche nascoste dei calciatori in modo da poterli confrontare ancora meglio». Insomma, un lavoro da data analyst, professione che lui vorrebbe abbracciare nel futuro lavorativo una volta terminati gli studi.

I Pokémon, insomma, sono per adesso solo un hobby. «Non può essere definito qualcosa di più perché non mi permette di poterne vivere quotidianamente. Sono fortunato che quest’anno Play Pokémon! [l’azienda di The Pokémon Company che organizza e gestisce la scena competitiva, nda] abbia triplicato anche solo rispetto al 2023 il montepremi, ma rimane una cifra di cui non si può vivere a lungo». Ceribelli, con la sua vittoria, si è portato a casa i trentamila dollari della vittoria finale, tre volte quanto aveva vinto un anno fa il giapponese Shohei Kimura nell’edizione nipponica di Yokohama.

«Partecipare ai vari tornei, confrontarsi con i giocatori di tutto il mondo e viaggiare per competere è un’esperienza impagabile ma non è remunerativa: se sei bravo riesci magari a ripagarti le spese e mettere piano piano da parte qualche risparmio. Chi riesce davvero a vivere di questo sono quei giocatori che sono anche content creator». La scena competitiva di Pokémon rientra a tutti gli effetti nel macro-settore degli esports, i videogiochi competitivi, eppure ne ha dinamiche ancora differenti. Una su tutte è la mancanza di organizzazioni esports, di club per intenderci, che ingaggiano giocatori di Pokémon, stipendiandoli come succede negli altri titoli come League of Legends o Counter-Strike. «È qualcosa che ancora manca su Pokémon, anche se ho visto che due giocatori spagnoli, Eric Rios e Alex Gómez, sono da poco stati messi sotto contratto dai Movistar Koi», ovvero una delle principali organizzazioni esports spagnole presente su numerosi titoli, inclusi i due già menzionati LoL e CS fino ad arrivare a Valorant e Rocket League. «I due però sono anche content creator molto conosciuti in Spagna e non solo. È per questo motivo che credo siano stati ingaggiati più che per i loro risultati ai vari tornei».

I Koi, infatti, sono stati fondati da Ibai, uno dei principali streamer al mondo in lingua spagnola, nonché socio dell’ex-calciatore del Barcellona Gerard Piqué con cui ha fondato e reso popolare anche la King’s League, una versione moderna e for fun, se vogliamo, del calcio (qui ne ha parlato Marco D'Ottavi se volete approfondire).

La domanda allora è d’obbligo: dopo questa vittoria mondiale e l’attenzione mediatica ricevuta, pensi di iniziare a fare anche il content creator? «Sinceramente ci ho pensato, in realtà ancora prima di vincere il torneo. Però al momento preferisco concentrarmi sui miei studi, a cui dovrei togliere davvero troppo tempo per realizzare video, spiegazioni, tutorial. È un impegno quotidiano e costante che al momento non posso prendere e che, sinceramente, mi interessa fino a un certo punto, almeno in questa fase della mia vita».

Parlando con Luca e raccogliendo le testimonianze di altri giocatori, il profilo che ne viene fuori è quello di una sorta di enfant prodige del videogioco dei Pokémon. «Sinceramente se una settimana prima ci avessero detto che Luca avrebbe vinto il mondiale non ne saremmo rimasti sorpresi», mi ha raccontato per esempio Gianluca Grassi, ex-giocatore competitivo che vanta anche una partecipazione al Mondiale di Washington 2019 e diventato poi giudice arbitro dei tornei di Pokémon, passando di fatto dall’altra parte della competizione. Lui stesso era presente a Honolulu poco più di una settimana fa per assistere dal vivo al trionfo di Ceribelli. «Certo, non dico che era scontato perché su Pokémon è davvero difficile essere costantemente nella Top 8, figuriamoci vincere i tornei. Però Luca è uno di quei giocatori che ha sempre mostrato grandissima capacità di preparazione a adattamento e diciamo che, prima o poi, tra noi della community sapevamo che sarebbe arrivato anche il suo momento».

In effetti Luca non è uno dei giocatori italiani più conosciuti della scena competitiva Vgc, almeno per il grande pubblico. Forse alcuni di voi avranno sentito parlare di Marco Silva, Alessio Yuri Boschetto o Nico David Cognetta, o ancora Arash Ommati, campione del mondo di Pokémon nel 2013 quando, per far capire come e quanto è cresciuto il movimento, vinse “appena” 3.500 dollari, quasi un decimo di quanto ha vinto quest’anno Ceribelli. Anche Ommati era presente all’evento e, intervistato in diretta dagli organizzatori poco prima della finale mondiale, ha avuto solo parole dolci per Ceribelli, di cui è amico: «Già prima del torneo sapevo che Luca era uno dei migliori al mondo, ma forse non sapevo che poteva essere anche il migliore in assoluto. Ha fatto fin qui un percorso fantastico, ritrovandosi 3-2 dopo cinque partite e con praticamente otto finali consecutive giocate. Sì, può vincere».

Effettivamente nel 2024 Ceribelli aveva ottenuto ottimi risultati ancora prima del trionfo mondiale: tra i migliori otto all’Internazionale di Londra, finale allo Special di Bologna, persa contro un altro italiano Ruben Gianzini, con cui ha invece vinto il derby mondiale agli ottavi di finale di Honolulu.

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Non è un caso che, nonostante l'assenza di vittorie rilevanti, Ceribelli sia stato sempre riconosciuto dalla community come uno dei migliori del circuito, ancora prima di questo Mondiale. «Non ho molti trofei da esibire negli ultimi anni. Anzi, nel 2021 ho pure pensato di smettere di competere visto come stavano andando i tornei a cui partecipavo».

Ceribelli ha iniziato a giocare competitivo nel 2017, all’età di 15 anni. «Gioco a Pokémon in realtà da tantissimo tempo, da quanto ho ricevuto le mie prime console con cui poter catturare digitalmente i Pokémon. Poi nel 2016 ho iniziato a seguire vari canali Youtube, finché non mi è capitato di guardare le finali dei mondiali di quell’anno a San Francisco e dire: io voglio arrivare lì». L’anno dopo, nonostante avesse giocato appena metà stagione, conquista la qualificazione al Mondiale che si sarebbe poi giocato ad Anaheim, negli Stati Uniti. «La cosa buffa è che l’anno prossimo i Mondiali di Pokémon si giocheranno proprio ad Anaheim: per cui tornerò nella città in cui ho giocato il mio primo Mondiale, ma ci tornerò da campione del mondo». Nel 2017 Ceribelli vince il suo primo torneo, il Regional di Treviso, ma nella categoria inferiore, la Senior (su Pokémon i tornei sono suddivisi per fasce d’eta con i Junior che hanno meno di 12 anni, poi i Senior dai 12 ai 15 anni e infine i Master dai 16 in su). Nello stesso anno, dopo aver fatto il passaggio di categoria, vince anche il Regional di Torino nella categoria Master: «Non vorrei sbagliarmi, ma dovrei essere il più giovane giocatore ad aver vinto un evento tra i Master. Quella vittoria mi fece capire che avevo del potenziale e che mi sarei potuto togliere qualche soddisfazione. Anche se, proprio come oggi, per me era e rimaneva solamente un hobby».

Primi anni vissuti con grandi aspettative, poi nel 2021 il pensiero di smettere non vedendo arrivare risultati. Cosa o chi lo ha convinto ad andare avanti? «L’atmosfera, l’ambiente che vive questi eventi e l’esperienza di giocare con tanti altri appassionati come me. Insieme al viaggiare e conoscere altre città e culture è un’esperienza totalizzante per un ventenne, che non tutti hanno la fortuna di poter vivere. Sotto questo profilo mi sento fortunato». E con la famiglia? Quante volte capita di sentirsi dire di lasciar perdere? «I miei genitori mi hanno sempre supportato perché mi conoscono: sanno che se ci sono degli impegni da mantenere, come quelli scolastici o poi universitari, li mantengo. Sono sempre andato bene a scuola ed è sempre stata la mia priorità, ma come passare il tempo libero potevo deciderlo autonomamente. E io ho deciso di giocare e competere su Pokémon». E così arriviamo al Mondiale di quest'anno a cui Ceribelli è arrivato giocando pochi tornei ma riuscendo comunque a qualificarsi, mantenendo quasi immutato lo stesso team di Bologna.

Ogni giocatore ai vari tornei porta infatti un proprio team di Pokémon composto da sei elementi che va dichiarato a inizio torneo. «In passato alcuni giocatori veramente bravi ne portavano anche due, in modo da poter avere più spazio di manovra e adattabilità a seconda delle fasi del torneo», mi ha raccontato ancora Gianluca Grassi «Oggi non capita più perché la fase iniziale in format svizzero non è più divisa tra Day 1 e Day 2 come se fossero due tornei separati in cui i risultati del primo giorno vengono azzerati: c’è una singola fase che serve a selezionare i migliori 24 giocatori che si affrontano successivamente nella fase playoff finale». Per passare la fase di svizzera ogni giocatore ha disputato undici incontri, giocando ogni round contro un avversario con lo stesso punteggio, ovvero con lo stesso numero di vittorie e sconfitte. Il punto fermo è che perdere tre partite nella fase di svizzera porta all’eliminazione. E Luca è arrivato a due sconfitte dopo appena cinque partite: ciò significa che di fatto ha giocato undici finali consecutive, i sei turni di svizzera rimanenti (poi chiusa sul 9-2) e i cinque turni di tabellone, finale mondiale inclusa. «È stata una bella sfida per me», mi dice Ceribelli «Forse è stato proprio questo ritrovarmi a un passo dall’eliminazione così presto ad avermi dato la spinta per essere ancora più attento e concentrato».

È strano pensare che l’Italia abbia sempre avuto un’ottima tradizione ai Mondiali di Pokémon, riuscendo a piazzare spesso giocatori nel tabellone finale. Quest’anno gli italiani in Top 24 erano tre: oltre a Ceribelli anche i già citati Marco Silva e Ruben Gianzini. Silva, dopo aver chiuso la fase di svizzera sul 10-1, ha perso contro il cinese Yuxiang Wang, mentre Gianzini, vincitore a Bologna, abbiamo già detto che è uscito sconfitto nel derby tutto italiano contro il futuro campione del mondo. Ciò che forse ha aiutato Ceribelli a vincere il titolo, per sua stessa ammissione, è stata la preparazione: «Sono uno che riesce più a preparare il match che a improvvisarlo, e credo si sia anche visto in uno dei game della finale in cui non è andata come avevo preventivato e ho dovuto adattarmi, senza successo».

Ceribelli, così come il suo avversario giapponese Yuta Ishigaki, ha avuto 24 ore per prepararsi alla finale, al contrario della seconda parte di svizzera e del tabellone fino alle semifinali, disputati tutti nello stesso giorno. «Per me è stato decisamente meglio, ero stanchissimo al termine della seconda giornata sia fisicamente che mentalmente». Prima della finale si diceva che Ceribelli avesse addirittura approfittato delle ore precedenti la finale per simulare il matchup contro il team di Pokémon del giapponese, e che lo avesse giocato ininterrottamente per otto ore. «In realtà non ho avuto tanto tempo a disposizione. La sera precedente siamo andati a festeggiare l’approdo in finale insieme ai miei amici e compagni di torneo e tornato in albergo ero sfinito. Per fortuna però il mio compagno di stanza conosceva il team di Yuta perché lo aveva provato a giocare prima di Bologna, decidendo poi di scartarlo. Però ho avuto ugualmente la possibilità di testare alcune cose e arrivare alla sfida finale con un piano ben preciso».

Su come affrontare il team del suo avversario giapponese, faccio parlare direttamente lui. «Partiamo dal presupposto che ogni team può avere al massimo un Pokémon Restricted [di fatto i Pokémon che compaiono sulle copertine dei videogiochi e che rappresentano quelli migliori dell’espansione, nda] da lì l’allenatore costruisce il resto del team in base a ciò che vuole fare», mi dice Grassi. «In totale ci sono sei Pokémon per team e ogni giocatore cerca di dargli un proprio stile: aggressivo, difensivo, o magari più bilanciato in grado di fare sia l’uno che l’altro». Quello di Ceribelli, per intenderci, è un team che si basa sulla scelta di Miraidon come Pokémon restricted e che ha uno stile aggressivo: in altre parole punta a fare più danni possibili in meno turni. La sua debolezza è che, se non dovesse riuscire tale strategia, rimarrebbe senza risposte e si esporrebbe troppo al team dell’avversario. Quello del giapponese, basato invece su Calyrex, è un team che punta a limitare il più possibile i danni avversari dei primi turni per poi andare al contrattacco: «Un team fatto proprio per tenere testa a Miraidon», mi ha spiegato il mio amico che risponde al nickname di HanakoX. «Se non fossi riuscito a eliminare nei primi turni i suoi Pokémon più importanti, avrebbe avuto vita facile, come infatti poi accaduto ad esempio nel Game 2 della finale», mi dice Ceribelli. «Il mio piano era, sulla carta, semplice: tenere sul campo il mio Miraidon in modo che facesse da ‘parafulmine’ per i danni e le abilità avversarie, senza però perderlo, in modo che il mio Urshifu potesse invece fare fuori l’Amonguus e il Landorus avversari, per me una vera minaccia».

Il primo game della finale è andato esattamente come Ceribelli aveva previsto e studiato nelle ore precedenti, per alcuni versi sorprendendo anche l’avversario. «Non penso che non si sia preparato ma chiaramente alcune mie mosse lo hanno colto di sorpresa, forse non si aspettava che io giocassi esattamente a quel modo». È stata una vittoria frutto della preparazione delle ore precedenti. Il Game 2 invece, come detto, non è andato benissimo: «Il piano era in realtà lo stesso e stava funzionando. Purtroppo però nel videogioco i danni dei Pokémon hanno un minimo di randomicità: quando attacchi con le abilità viene applicato un modificatore che va da 0,85 a 1. In quel game quando ho attaccato con entrambi i Pokémon ho avuto sfortuna e sono usciti due attacchi più bassi, lasciando in vita il Pokémon avversario che poi, nel suo turno, ha potuto eliminare i miei». Il team di Luca non era nuovo, lo aveva già portato a Bologna, dove aveva appunto raggiunto la finale, ma a Honolulu è arrivato con una modifica: fuori Chi-Yu, dentro Ogerpon. «Mi ero reso conto nelle settimane successive che mi serviva qualcosa di più per aiutarmi a limitare e contenere i danni degli avversari».

Nel Game 3 della finale il nuovo Pokémon è stato decisamente utile, nonostante non abbia seguito del tutto il piano prefissato: «Arrivato al game decisivo il mio avversario conosceva ormai la mia strategia. Così, nonostante non sia bravissimo, ho provato a improvvisare. O meglio, ho seguito il ‘flow’, come si dice. Turno dopo turno, seguendo più o meno un percorso prefissato ma cercando di adattarmi al meglio». Il già citato HanakoX, che ha guardato l’intera finale, il giorno dopo ha cercato di spiegarmi perché fosse stata una gran partita. «Niente sbavature, niente giocate discutibli, meritato al 100% e non solo perché italiano. Era un matchup veramente ostico, il team del giapponese era fatto per battere Miraidon ma non è stato sufficiente».

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Infine la corsa, liberatoria, dal palco verso i suoi amici che in platea tifavano per lui. Un abbraccio sincero per coloro che lo hanno supportato durante il torneo, prima del ritorno immediato sul palco e la stretta di mano con l’avversario sconfitto che lo attendeva per complimentarsi.

Finiti questi attimi di gioia, sui social Ceribelli in realtà non è stato trattato benissimo, per il solito pregiudizio per cui guadagnare dei soldi in dei tornei di esports non sarebbe abbastanza degno. «Ognuno è libero di criticare come preferisce, ci mancherebbe. Siamo il paese da 60 milioni di allenatori di calcio d’altronde, no?», mi dice a riguardo «Ci sono poi modi e modi ovviamente, però ciò che più mi ha in qualche modo deluso è che anche coloro che hanno provato a difendermi, che mi conoscessero o meno, l’hanno sempre messa sul piano del denaro. Lo so che lo hanno fatto in buona fede, però cercare di difendere la mia vittoria in un videogioco rispondendo che ho vinto dei soldi secondo me non è il modo giusto per farlo». D'altra parte, non ci sarebbe nulla di male, anche se ti garantisse entrate tali da trasformarlo solo in un lavoro. E poi, come detto, Ceribelli non sembra comunque intenzionato a trasformarlo in una professione, e il motivo è semplice. «Perché mi diverto».

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