Indossare una medaglia olimpica può essere un fardello, non solo perché può arrivare a pesare quasi mezzo chilo. Non tutti riescono a tenere il collo diritto e ripartire senza farsi mangiare dalle aspettative. Non sembra sia questo il caso di Mattia Furlani, classe 2005, bronzo nel salto in lungo ai Giochi Olimpici di Parigi. È giovane, lo sa e vuole godersi il momento. Costruire un processo di crescita con i giusti tempi. È ancora incredulo, usa la parola "utopia" per descrivere quanto raggiunto quest’anno.
Un anno in cui ha messo in bacheca il podio olimpico, passando per il doppio argento agli Europei di Roma e ai Mondiali Indoor di Glasgow. Per metabolizzare il suo primo grande traguardo ha passato gran parte del post-gara su un balcone del villaggio olimpico, baciato dalla brezza parigina, ripercorrendo mentalmente i salti delle ore precedenti.
Cosa hai pensato quando hai realizzato che avevi vinto una medaglia?
Tante cose, tante. Sapevo che quella olimpica non è come le altre. Vincerne una è, a livello concettuale, quasi filosofico, diverso da quando arrivi terzo in altre competizioni. Se lo fai al Mondiale, non è come alle Olimpiadi. Il podio olimpico è proprio un sogno, un raggiungimento di un percorso finale. Adesso, me ne sto rendendo conto: è veramente uno dei picchi più importanti della mia vita, dell’intera carriera, perché anche se dovessi vincerne altre, nelle prossime edizioni dei Giochi, non avrebbero mai lo stesso valore di questa. Per il modo in cui l'ho presa, per quanto è stato utopico tutto il contesto per arrivare in Francia, per come l’ho fatto, per l'età e per una gara che era veramente difficile.
Utopico… cosa intendi?
Era complesso esprimersi al meglio in quel contesto e in quel determinato momento. Quello che ho fatto era l'aspirazione ideale di quello che ho sempre voluto e pensato di fare. Non mi sarei mai immaginato di partecipare alle Olimpiadi e di prendere una medaglia. Per come l’ho sempre sognato, è stato il percorso perfetto. È stato il massimo che potessi fare, dando il tutto per tutto, sia tecnicamente che fisicamente. Era veramente utopico che potessi anche solo desiderare tutto questo.
Hai detto più volte che è stata una delle gare migliori di sempre, a mente fredda, lo pensi ancora? In cosa puoi migliorare?
Sì, tecnicamente è stata una delle migliori, a oggi, della mia vita. Da migliorare c'è tanto, in quella gara sono stato molto più veloce del solito. Tecnicamente, sia in volo che all'atterraggio e allo stacco, ha funzionato ogni cosa in maniera completamente diversa da come succede in altre gare. In ogni caso, c’è tanto da sistemare e da fare sotto tutti gli aspetti. Dopo Parigi, sono migliorato molto di più e l’esperienza mi ha fatto fare una ulteriore crescita.
Cosa si fa dopo aver vinto una medaglia olimpica? Ovvero, dove sei andato?
A parte l’antidoping, subito dopo sono tornato al villaggio olimpico: erano circa le due di notte. Sono stato mezz'ora nel balcone per non farmi sentire dagli altri che dormivano e che avrebbero gareggiato il giorno dopo. Sono stato lì a ripensare a tutto quello che era successo, ero da solo, mi serviva per riprendermi e ripercorrere la gara. Poi, mi sono addormentato tardi e anche al risveglio ho pensato a tutto, è stata una notte veramente particolare.
Al di là della medaglia, cosa ricorderai sempre?
C'era tutta la mia famiglia presente, gareggiare con loro lì è stato bellissimo perché hanno vissuto, passo per passo, tutto il viaggio per arrivare a Parigi. Tutto ciò ha un grande significato e mi porto nel cuore il ricordo dell’unione che c’è stata lungo questa avventura parigina, è qualcosa di indelebile che mi rimarrà nella mente per sempre.
A proposito, la tua è una famiglia di sportivi [la sorella Erika fa atletica, il papà era saltatore in alto e la mamma velocista] e ti allena tua madre Khaty Seck, che rapporto c’è?
Bellissimo, direi che in generale c’è un'atmosfera familiare, dobbiamo comunque mettere in conto che, prima di tutto, siamo questo. C’è un legame che ci unisce che non possiamo ignorare. Allo stesso tempo, come è giusto che sia, sappiamo separare i ruoli.
C’è qualche storia olimpica che ti ha colpito?
Il fatto che il mio sia stato il bronzo più lungo di sempre. Non avrei mai pensato che, in tutta la storia olimpica, non ci fosse mai stato qualcuno ad aver fatto più di 8.34 per agguantare il bronzo, mi ha un po' lasciato di stucco. Poi, che sia arrivata una storica medaglia nel lungo per la Jamaica, l’argento di Wayne Pinnock [la prima dal 1996, nda] e il fatto che Miltiadis Tentoglou sia diventato uno dei due atleti, insieme a Carl Lewis, ad aver vinto due volte di seguito la medaglia d'oro ai Giochi Olimpici [l’americano in totale ne ha vinte quattro di fila, nda].
Subito dopo la gara, ai microfoni della RAI, hai detto una cosa che mi ha colpito. Riferendoti alla medaglia, hai detto che fosse “la dimostrazione che per le cose ci vuole del tempo, bisogna dare tempo ai giovani per creare un processo”. Hai vissuto sulla tua pelle la pressione di dover per forza performare?
Sì, assolutamente. Questo discorso mi riguarda in prima persona, tante volte sono stato tirato in ballo perché ero giovane, ma dovevo per forza portare a termine “un compito”. Non si dà mai il giusto peso alle cose, come l’età di uno sportivo, soprattutto nell'atletica. Spesso, se la gente non conosce bene la disciplina, non può saper quanto incida il fattore biologico, in particolar modo nel mio sport. A 19 anni è impossibile che un atleta faccia 8.96, ovvero il record del mondo: è biologicamente impossibile. Uno spettatore, non potrà mai comprendere questo discorso se gli viene data l’idea che il giovane può fare e vincere qualsiasi cosa anche senza esperienza e anni di allenamento. Purtroppo, non è così, non c'è una bacchetta magica: per fare dei risultati ci vuole del tempo. Il tempo di lavoro che è fondamentale, di anni di allenamenti, di sacrifici e di tante cose che poi costruiscono l’atleta. Ci vogliono anni di esperienza in campo, di tecnica che è quella che ai giovani manca e questo vale per qualsiasi sport. Secondo me, non si può proprio criticare un giovane che partecipa alle Olimpiadi o che vince una medaglia. Il mio discorso era improntato su questo: è necessario che ci venga dato spazio senza essere screditati. Non si dovrebbe nemmeno prendere in considerazione un contro-risultato, anche se si verifica in una gara così importante.
Ora però ci saranno ancora più aspettative nei tuoi confronti.
Ho sempre ritenuto di gareggiare per me stesso e quindi quando entro in pedana se lo faccio, lo faccio per me, non è per qualcun altro. Devo pensare a fare il mio, a dare il massimo, perché sono io innanzitutto che voglio determinati risultati e ho certi obiettivi. In automatico, le pressioni, le aspettative ci possono stare tranquillamente ma non mi toccano perché non mi sento in debito o di dover fare una prestazione per qualcuno. Le aspettative a me piacciono, perché vuol dire che mi tengono in considerazione e credono che possa fare un grande risultato, ma allo stesso tempo non mi scalfiscono. Qualsiasi risultato che arrivi, al massimo, deve essere una delusione per me e non per qualcun altro.
Il greco Tentoglou è l’avversario da battere, penso sia stimolante avere un “antagonista”, quello che ti sproni a fare meglio, ma quando ti è sempre davanti non rischia di esser frustrante?
Effettivamente, è da un anno che faccio davvero salto in lungo, quindi è frustrante sì e no. So che è l'uomo da battere, è quello che ha più esperienza, ha più anni di allenamento, è quello che ha più di tutto, è una leggenda. Ripeto, frustrante, sì e no, perché comunque a chi è che non piace vincere? A me piace vincere, la medaglia d'oro è uno degli obiettivi dei prossimi anni e so che tra i fattori che mi dividono dal farlo c'è di mezzo pure lui. Sono andato molte volte vicino a batterlo, però sono consapevole del fatto che, alla mia età, lui aveva fatto lo stesso percorso e sono ancora più contento che sappia quanto sia difficile tutto quello che sto affrontando, ovvero una crescita importante. Lui è d'esempio per quello che deve essere il futuro e adesso è all’apice di quello che può fare. Sta esprimendo il massimo di una carriera, è anche giusto che attualmente sia un po' superiore a me.
Cosa gli ruberesti?
Probabilmente la tecnica perché ritengo che da quel punto di vista sia mostruoso ed è quello che lo rende diverso dagli altri atleti, è una dote che in pochissimi hanno e reputo che, in questo, sia uno dei migliori di sempre.
Hai mai avuto dubbi che questo potesse essere lo sport giusto per te? Hai fatto salto in alto [come il padre].
Non si vive né con i sé né con i ma. Credo che, se sto facendo salto in lungo e per come mi ci sono ritrovato, fosse destino. C’è un motivo se sono qui. Non ho rimpianti per altre discipline. Si vede che qualcuno ha voluto che dovessi intraprendere il percorso da saltatore in lungo.
Da poco è uscito il tuo libro “Il Salto più lungo”, quale è stato per te?
La transizione da giovanile ad assoluto, quello credo sia stato il salto più lungo e importante che ho fatto finora. C'è stato un cambio di mentalità notevole, di consapevolezza e di maturità, è stato uno "switch" fondamentale. Prima di intraprendere le competizioni a livello assoluto, non si ha mai una certa sicurezza nei propri mezzi. Non ero consapevole che con le mie doti avrei potuto, tranquillamente, affrontare e "combattere" con Tentoglou.
Un anno fa non avrei mai detto o pensato che mi sarei potuto giocare una medaglia, addirittura d’oro con lui. Prendere consapevolezza del fatto che potevo essere alla pari o anche superiore ad atleti di questo calibro, di alto calibro, è il passaggio imprescindibile che ti dà fiducia e ti fa acquisire sicurezza. Dall'anno scorso a quest'anno mi sono reso conto, grazie agli allenamenti e a tutta la fatica fatta, che non dovevo aver paura di nessuno e potevo affrontare chiunque e superarlo. È stato così e ora dopo questo anno ho un'autostima maggiore di quella che avevo un anno fa: conosco il mio valore, so quanto posso dare in campo.
Il libro si rivolge ai più piccoli, che messaggio vuoi che arrivi?
Si ricollega al discorso di questo “switch”: credere nel proprio percorso perché se ne fanno tanti nella nostra vita, dalla scuola o magari al lavoro, cose che ho vissuto anche io. Tutte queste strade devono combaciare in un percorso chiaro, quello in cui crediamo di più e per cui sentiamo di essere più portati. Bisogna fare qualcosa che ci renda, nella vita di tutti i giorni, liberi e felici. Voglio porre l’attenzione sulla voglia di cercare la propria strada, intraprenderla al meglio, divertendosi il più possibile in qualsiasi cosa si faccia.
Che termine utilizzeresti per quest’anno?
Per come ho lavorato l'inverno scorso e per tutto quello che c’è stato nel 2024, per tutto quello fatto, per la dedizione meticolosa su ogni aspetto, direi… perfetto.
C’è qualche sacrificio che ti è pesato?
A parte il fatto che ogni tanto con gli amici non sei presente, dico che i sacrifici vanno di pari passo con quello che succede in pista, tra vomitate [ride] e rinunce importanti di vita. Sai che stai spremendo al massimo il tuo fisico e che questo determinerà tutti gli anni successivi. Non ci vuole molto per rimanere infortunati in maniera irreversibile. Ci sono sacrifici e tra questi ci sono pure quelli di cui non ti rendi nemmeno conto, come mettere a rischio il corpo. Esserne consapevole: pure quello è una forma di sacrificio e magari molti nemmeno ci fanno caso.
Oltre alla Roma e ai videogiochi ci sono altre passioni?
Al di fuori di queste cose non ho altre grandi passioni. Mi piacerebbe intraprendere il percorso da giornalista sportivo. Spesso ho pensato che se avessi intervistato io degli atleti sarebbe uscita sicuramente una bella intervista, per come li ho conosciuti e basandomi sulla mia esperienza, avrei potuto fare determinate domande. Mi piacerebbe farlo e magari farò, sul mio canale YouTube, qualche intervista ad alcuni atleti.
A questo punto, cosa chiederesti a te stesso?
Non me l’aspettavo [sospira e poi ride]. Mi chiederei, sicuramente, cosa sacrificherei per raggiungere determinati risultati. Cosa farei per arrivare a 9 metri? Cosa darei in cambio di questa misura? Sarei disposto a dare anima e corpo, tutte le energie, tutte le passioni che ho, tutto per un risultato? Avrei il coraggio di farlo?
Quindi, la risposta?
Eh, non lo so. Forse, ancora non ho trovato una risposta a questa domanda, perché non so se sono già pronto per affrontare quel determinato step. È un quesito a cui potrò darmi una risposta nel tempo, rendendomi conto di quello che ho fatto, arrivando preparato al mio percorso.