
L’ultima volta che ci siamo visti è stato tre anni fa. Walter Pugliesi doveva combattere all’evento Milano in the Cage, era tra i protagonisti della card, anzi, e dopo quella vittoria per sottomissione al secondo round la sua carriera sembrava aver preso lo slancio. Bellator MMA, ai tempi seconda promotion mondiale per importanza, aveva deciso di ingaggiarlo per un evento previsto sempre a Milano, ma a quel punto è successo qualcosa: Pugliesi è stato rimosso dalla card senza spiegazioni, e poi è sparito dai radar sportivi tra lo stupore di fan e addetti ai lavori. Dall’ultima volta che ci siamo visti, quindi, non è più entrato nell’ottagono.
Adesso, dopo così tanto tempo, il volto del fighter lombardo torna finalmente su una locandina, in occasione dello sbarco in Italia del circuito Bare-Knuckle Fighting Championship (BKFC), con l’evento BKFC 73. L’organizzazione, presieduta da Conor McGregor che ne è anche il testimonial, promuove la boxe a mani nude - lo sport da combattimento in maggiore ascesa al mondo (che abbiamo analizzato tra storia e numeri). Ovviamente si tratta di una variazione della boxe tradizionale (come lo sono le MMA a mani nude rispetto alle MMA) che va in direzione di una maggiore spettacolarità, intesa sia dal punto di visto estetico - una maggiore crudezza, evidentemente in linea con i tempi che viviamo - che sportivo, con gli atleti che si espongono a offensive più pesanti e potenzialmente conclusive.
Paradossalmente, però, rispetto alla boxe con i guantoni, dove ci si possono scambiare centinaia di colpi in un incontro di dodici round (ad esempio, nell’ultimo match di Gervonta Davis contro Lamont Roach, i due pugili hanno sferrato più di 600 pugni, anche se non tutti a segno), nella boxe a mani nude la maggiore durezza del singolo colpo, e il minor volume totale, finiscono per tutelare di più l’atleta da possibili danni cerebrali (anche se, forse è inutile specificarlo, questi tipi di sport non fanno benissimo al nostro cervello).
Sarà proprio sotto agli occhi di McGregor, sabato 26 aprile a Firenze (Palazzo Wanny), che Pugliesi debutterà senza guantini contro il ceco Dominik Herold, imbattuto con sei vittorie prima del limite, di cui cinque per KO, e già campione di due promotion di bare-knuckle. Non proprio una passeggiata di salute (il programma prevede altri sei atleti italiani coinvolti: i calcianti Ernesto Papa e Andrea Bicchi, i veterani di ring e gabbia Giovanni Carpentieri e Marco Giustarini, il fighter di MMA Enzo Tobbia).
Pugliesi, che avevamo già intervistato durante la pandemia (qui ci aveva raccontato il suo passato turbolento), combatterà nei pesi massimi leggeri, al limite dei 93 chili, sulla distanza dei cinque round da due minuti l’uno. Per l’occasione sono andato a trovarlo in palestra, alla BoxeIsland in centro a Milano, quando manca poco più di un mese all’evento.
Il post con cui BKFC ha annunciato la partecipazione di Pugliesi all’evento.
Ci salutiamo con affetto e la sua corporatura massiccia mi colpisce subito. Rispetto a tre anni fa, Pugliesi sembra quasi un culturista: ha messo su chili di muscoli, si aggirerà sul quintale. Ormai mi sono abituato al viso ricoperto di tatuaggi, anche se fa sempre la sua impressione sulle persone che non l’hanno mai visto - lo noto perché quella mattina la palestra è affollata.
Nonostante l’aspetto possa suggerire il contrario (ecco perché è importante andare oltre i pregiudizi), Pugliesi si conferma una persona mite e disponibile. Sarà che con me mostra il suo lato migliore, ma per come lo conosco io è sensibile, profondo e riflessivo. È bravo ad esprimersi, a descrivere i suoi stati d’animo, a raccontarsi, qualità che sottintendono una propensione all’ascolto e all’analisi di sé stessi. Ma è chiaro anche che il suo carattere è spigoloso, con poche vie di mezzo, un umore un po’ altalenante e un’impulsività sanguigna.
Il suo sguardo a volte diventa difficile da sostenere, i tatuaggi lo rendono più espressivo, ma forse dipende in parte dal fatto che Pugliesi non abbassa mai gli occhi, non concede mai una tregua al suo interlocutore. Registratore in mano, gli chiedo il motivo di un’assenza così prolungata dal fighting, e l’intervista comincia: «Non ho potuto combattere per motivi legali: ho ricevuto delle condanne definitive per reati compiuti una decina d’anni fa, e una lunga squalifica dal CONI. Queste vicende prima hanno limitato la mia attività sportiva, poi l’hanno resa impossibile».
«Quando mi hanno informato della situazione sono caduto in una crisi esistenziale. Non sapevo più chi fossi, perché lo sport mi ha dato un’identità e uno stile di vita. Ho resistito per qualche mese, allenandomi come se fossi in preparazione, ma è difficile restare costanti quando non hai un obiettivo, una data, un avversario. Mi mancava l’adrenalina. Così mi sono perso in qualche svago di troppo».

Foto di Davide Gesmundo.
«Smettendo i panni dell’atleta, ho dovuto imparare a conoscermi, a scoprirmi come uomo».
E che uomo hai trovato?, intervengo io. «Una persona con cui ho dovuto fare pace e che ho imparato a stimare, con i suoi difetti. Ma comunque una persona di cui andare orgoglioso». Gli chiedo se qualcuno lo abbia aiutato in quel percorso: «Lorenzo Borgomeo» risponde, menzionando l’Head Coach dell’Aurora MMA, il team in cui Pugliesi milita da fighter di arti marziali miste. «Mi ha detto poche parole, ma giuste. L’ho apprezzato tantissimo».
«Insomma, ho dovuto abituarmi alla quotidianità di una persona normale, con la differenza che combattere era il mio lavoro, quindi mi sono trovato in una situazione economica difficile».
Nella sua vita c’è una grande novità: «Sono papà da qualche mese, è stata una benedizione» spiega. «Voglio essere un padre presente, complice, amorevole. Mio figlio Gabriele deve avere quello che io non ho mai avuto. Sono cresciuto in una famiglia di tossicodipendenti, ho assistito a violenze domestiche e altre scene terribili, finché sono stato dato in affido per un periodo, e poi mi sono trasferito dai nonni. I miei genitori non si sono mai assunti la responsabilità di avermi messo al mondo. Mi hanno rifiutato, e per anni ho covato odio e rancore, facendomi del male - la droga, ad esempio, l’ho sempre usata per mettere a tacere quello che sentivo dentro».
«Non sono stato amato da chi avrebbe dovuto farlo, e questo mi ha segnato per la vita, mi ha fatto commettere tanti errori alla ricerca di attenzioni, considerazione, affetto. Certe mancanze ti fanno trovare soluzioni temporanee, che non sono mai giuste».
«Guardo mio figlio e mi sento invincibile», prosegue, quasi in un flusso di coscienza. «Lui mi ha dato una famiglia - ora siamo in due -, un senso di appartenenza, un punto fermo, un impegno e una responsabilità costanti. Prima non mi ero mai sentito parte di qualcosa, ero una mina vagante. Darò il meglio di me per farlo crescere sereno, in un contesto sano».

Foto di Davide Gesmundo.
Nel frattempo, Pugliesi ha aperto la sua palestra, il Team Kraken MMA, a Bernareggio: «Diventare coach non era nei piani, perché sono ancora un atleta, però ho colto un’opportunità e sono contento: sento di poter trasmettere e insegnare qualcosa di importante ai più giovani».
Pugliesi è impegnato anche in un progetto con un’associazione che permette ad alcuni ragazzi delle scuole medie di fare attività sportiva, cimentandosi nei rudimenti delle MMA. «Serve per l’autodifesa, ma pure per la formazione del carattere. I ragazzi di oggi li trovo repressi, hanno un’energia che la società attuale non gli permette di sfogare, deviandola tra videogiochi, telefonini, social media. Per cui diventano indolenti, molli, arrendevoli: vanno spronati, servirebbe più polso e qualche concessione in meno, per il loro bene».
Arriviamo al ritorno in azione di Pugliesi. Come mai la decisione di ripartire dalla boxe a mani nude? «La bare-knuckle è la mia occasione d’oro» mi spiega. «Mi hanno cercato e ho accettato subito. L’ho scelta perché l’idea di combattere a mani nude mi infiamma: è uno sport brutale, sanguinoso, spietato. Sei hai uno spirito da fighter vero, è un’esperienza da provare. È un contesto che può risaltare le mie caratteristiche, tra cui l’esplosività. Poi, combatterò davanti a McGregor, voglio dare spettacolo. E le borse sono alte».
Domando in che modo abbia cambiato la preparazione, per adattarla alla sfida di fine aprile: «Le MMA sono più dispersive, ora invece mi sto concentrando sullo striking e sto apprezzando la boxe, sento di avere delle qualità importanti».
Nello specifico, Pugliesi sta facendo un lavoro per condizionare le nocche e indurirle: «In alcune sessioni di allenamento colpisco a mani nude, ma bisogna fare attenzione perché le ossa della mano sono delicate e vanno preservate».

Foto di Davide Gesmundo.
Il motivo per cui negli altri sport da combattimento i fighter indossano guantoni o guantini sta proprio nella tutela delle mani, per evitare che si rompano a contatto con le ossa del viso e, soprattutto, della testa - ben più grandi e dure. Un fighter a cui si rompe una mano è un atleta che non è più in grado di combattere, e quindi il match deve interrompersi.
«Non ci sono segreti per evitarlo, dipende dalla dinamica del colpo, dall’impatto, dalla robustezza delle ossa… Sicuramente le combinazioni di pugni sono più brevi. Dovesse succedermi, ci penserà l’adrenalina a farmi andare avanti».
Pugliesi ha studiato il suo prossimo avversario, Herold, nei dettagli: «Nessuno mi ha mai regalato niente, perciò mi prenderò quello che mi spetta con le mie mani, togliendolo agli altri, a partire da Herold. È un ottimo incassatore, sa boxare andando indietro, e quando ti tocca, cerca di avanzare per incalzarti. Colpisce da traiettorie diverse, combina diretti, ganci e montanti. È un atleta elusivo, opportunista, che ti lascia l’iniziativa e cerca di affondare quando sei stanco - ha un gran cardio. Ma non ha mai affrontato uno agguerrito e versatile come me».
Peraltro Herold ha già combattuto in BKFC, vincendo per KO - oltre alla maggiore esperienza e ai titoli vinti, come dicevamo sopra. Faccio notare a Pugliesi che non mi sembra un esordio morbido: «Affrontare un fighter così pericoloso per me è un riconoscimento. Vuol dire che posso giocarmela con i migliori. È una sfida prestigiosa, e questo status mi motiva ancora di più», afferma, sicuro. «Sono in stato di grazia, mi sento nella condizione psicofisica migliore di sempre. Mi definirei… Corazzato».
Stiamo per salutarci, e Pugliesi tira le somme: «Sai, sono stati anni difficili. Tra problemi legali, delusioni personali, la squalifica sportiva… Tante persone mi hanno voltato le spalle e hanno parlato male di me, senza mettersi nei miei panni o perlomeno ascoltare la mia versione. Voglio vincere per riportare in alto il mio nome, dove merita di stare, per tornare una spanna sopra a tutti, e… schiacciarli sotto la suola», conclude.
Ho intervistato Pugliesi per la prima volta sette anni fa, quando era un fighter di MMA affamato, che si stava facendo strada a colpi di KO (tipo questo, per cui in molti ancora oggi si ricordano di lui). L’ho seguito a volte da vicino, altre da lontano, nei suoi alti e bassi. Per il futuro, gli auguro possa diventare quello che Jack Nicholson dice nel monologo iniziale del film The Departed: «Non voglio essere il prodotto del mio ambiente. Voglio che il mio ambiente sia un mio prodotto». Pugliesi, il futuro, è pronto a costruirselo a mani nude.