Nicolò Zaniolo è alto un metro e 90, ha le spalle larghe, il torace ampio e due cosce scolpite da bronzo di Riace. Quando lo vedo mi fa impressione pensare che ha solo diciannove anni. Il suo corpo sembra fuori scala persino per i parametri del calcio contemporaneo, sembra il corpo di un giocatore di college football. Nella saletta di Trigoria, io sprofondo nella sedia mentre lui ci sta appollaiato come fosse una sediola per bambini. Fuori piove, la squadra deve ancora allenarsi e Zaniolo non sa che cinque giorni più tardi avrebbe giocato titolare contro la Fiorentina, il suo esordio dal primo minuto nel campionato italiano.
Al Franchi la sua fisicità è stata difficile da arginare: per due volte Jordan Veretout ha dovuto aggrapparsi ai suoi pantaloncini, arrendendosi a dei falli plateali per fermarlo. Dentro una Roma che ha giocato bene solo a tratti, Zaniolo ha disputato 70 minuti di qualità, ha vinto tutti i duelli individuali e ha messo in mostra il suo repertorio: recuperi alti in pressing, protezioni del pallone in spazi risicati e verticalità, con e senza palla. Un esordio impressionante, se non ci fosse stata già un’altra partita che ci aveva aperto gli occhi sull’originalità del talento di Nicolò Zaniolo.
Esordire al Bernabeu
Il 19 settembre, al Santiago Bernabeu, Zaniolo ha fatto il suo esordio assoluto con la maglia della Roma. Nessuno si aspettava che sarebbe stato preferito a Lorenzo Pellegrini o a Bryan Cristante: «Che avrei giocato, l’ho saputo la mattina quando c’era la riunione tecnica, il mister mi ha preso da parte e mi ha detto che era giunto il mio momento. Non me lo aspettavo minimamente». Zaniolo è arrivato alla Roma la scorsa estate, come contropartita all’interno dell’operazione che ha portato Radja Nainggolan all’Inter. Un oggetto misterioso, al massimo un progetto per il futuro, non un giocatore già pronto per una squadra che lo scorso anno ha giocato una semifinale di Champions League.
Prima della partita del Bernabeu, Zaniolo aveva giocato appena 260 minuti fra i professionisti, tutti in Serie B con la maglia della Virtus Entella due stagioni fa. Quella sera invece avrebbe dovuto affrontare la squadra vincitrice delle ultime tre Champions League. Gli ho chiesto se in questi casi pesi di più la paura o l’eccitazione: «La cosa più difficile è stata preparare la partita. Alle 11 ho saputo che avrei giocato, e la partita era alle 21. Tutto il giorno a pensare che la sera avrei giocato contro dei campioni che fino a pochi giorni prima usavo alla PlayStation».
Poi, una volta sceso in campo, Zaniolo è sembrato perfettamente a suo agio. In una partita difficile, che la Roma ha perso 3-0, ha dato quanto meno l’impressione di poter giocare a quel livello, che è il più alto possibile: non sembrava fuori luogo rispetto alla corsa di Bale, o alla tecnica di Modric, al dinamismo di Carvajal. Niente di sorprendente per Zaniolo: «È stato un sogno, fino a quando non entri in campo. Poi quando sei in campo non pensi a quello che hai attorno ma a quello che sai fare e che devi fare». Zaniolo dice di sentire la pressione come se fosse qualcosa di perfettamente naturale, io penso che in realtà non c’è niente di normale nell’attitudine con cui ha affrontato questi primi minuti tra i professionisti.
Gli faccio vedere un’azione che secondo me rappresenta bene questa forza mentale. Al 20’ di Real Madrid-Roma prova una giocata troppo complessa: un dribbling in mezzo a due giocatori, eseguito con il primo controllo. Si allunga la palla che viene recuperata dal Real Madrid che parte in una transizione pericolosa, poi, neanche un minuto dopo, la Roma riparte dalla propria area e la palla torna a lui: a quel punto potrebbe accontentarsi di un’azione conservativa, cercando di stare attento a non sbagliare il secondo pallone consecutivo; invece parte in conduzione palla al piede, inseguito da Gareth Bale. Zaniolo rallenta, come per sfidarlo, poi cambia passo e lo salta. Bale scivola ma non lo prende, e lui scarica il pallone su Dzeko che glielo restituisce: a quel punto forse ha finito le forze, perché quando deve affrontare Carvajal si pianta un po’. Ma è un’azione impressionante, sopratutto per il momento della partita in cui arriva.
«Quando ho preso palla mi sono guardato attorno ma non avevo soluzioni, avevo Bale davanti e allora ho provato a puntarlo». Quali erano le sue consegne che aveva ricevuto da Di Francesco per la partita? «Di fare la mezzala, quindi di curare le due fasi, difensiva e offensiva, e ovviamente buttarmi dentro quando c’era la possibilità».
L’ultima partita che Zaniolo aveva giocato prima di quella era all’Europeo U-19, a un livello quindi giovanile. Qual è l’aspetto più difficile, lo scarto più grande fra i due contesti: fisico, tecnico, tattico? «Il problema a un livello così è che è tutto ridotto. Il tempo è ridotto e lo spazio è ridotto. Devi pensare la giocata prima e il contrasto fisico è differente. Il salto è grande».
Gli faccio vedere un’altra azione. Una ripartenza della Roma in cui lui prova un filtrante di 30 metri per il taglio di El Shaarawy dietro la difesa, una palla ambiziosa, molto complessa dal punto di vista tecnico. Il passaggio è stato letto bene da Carvajal, che ha chiuso la traiettoria. Mentre vedevo la partita con gli amici tutti abbiamo applaudito la giocata, contenti della raffinatezza dell’idea. Appena gli faccio vedere l’azione invece Zaniolo non ha dubbi: «Qui ho sbagliato. Non c’era quel passaggio, dovevo portare palla di più o cercare di alzarla. Così rasoterra è stato un errore».
Zaniolo tiene le braccia conserte e parla in modo chiaro e rilassato, stando attento a non dire niente che possa essere frainteso, anche se non sembra fare un grande sforzo per restituire l’idea del professionista perfetto: penso che forse gli atleti delle ultime generazioni sono naturalmente pronti per utilizzare un linguaggio professionale, forse è una richiesta preventiva del sistema calcio, che altrimenti li scarta prima che arrivino in cima. Insomma, nella maggior parte dei casi. Dalle risposte che mi dà è chiaro che più grande paura di Zaniolo sia quella di passare per un montato, in un paese che tiene i giovani su un palmo di mano ma che è poi è pronto a crocifiggerli al primo piccolo errore. Zaniolo ci tiene a dare l’idea di un ragazzo umile e normale, forse anche perché quello che gli è successo negli ultimi mesi non ha davvero niente di normale.
La rapidissima e impensabile ascesa
Proviamo a riassumere brevemente. Il 9 giugno Zaniolo ha giocato la finale del campionato primavera con la maglia dell’Inter; il 25 giugno ha superato le visite mediche con la Roma. Il 29 luglio ha giocato la finale di un Europeo U-19 di cui è stato fra i protagonisti. Il primo settembre ha ricevuto la sua prima chiamata in Nazionale maggiore, senza aver giocato neanche un minuto in Serie A (prima di lui Maccarone e Verratti, che però avevano già giocato molto nelle categorie inferiori). 87 giorni dopo la sua ultima partita con la primavera Zaniolo ha debuttato con la maglia della Roma al Bernabeu. La sua ascesa, dall’universo del calcio giovanile al Real Madrid, si è consumata in meno di 3 mesi.
Bruciare le tappe in questo modo può essere pericoloso per un ragazzo di diciannove anni: «Il rischio era di perdere la testa e di perdere gli stimoli», dice. Gli chiedo qual è stata la cosa più importante per lui in questo periodo: «La mia famiglia è stata fondamentale, standomi vicino, dandomi consigli». Mentre me lo dice tiene le mani giunte: sul polso ha tatuata la scritta “Family”; sulla coscia destra la data di nascita di tutti i componenti della sua famiglia; sulla sinistra un altro tatuaggio dedicato alla sorella; poi un altro dedicato alla madre, e così via.
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Igor Zaniolo, il padre di Nicolò, è stato un calciatore professionista di ottimo livello. Avere un padre calciatore può aiutare ad entrare nel professionismo preparati, ma può anche generare pressioni ulteriori. Lui ci vede solo aspetti positivi: «Anche nei momenti più difficili può aiutarti, ti può dire come comportarti, gli atteggiamenti che devi tenere nello spogliatoio, perché ci è già passato». Zaniolo vive a Roma con la madre mentre il padre è a La Spezia, la città in cui sono cresciuti, dove gestisce un bar. I due però hanno mantenuto un rapporto stretto, «Ci sentiamo 3 o 4 volte al giorno. Ci confrontiamo spesso». Il consiglio più importante che gli ha dato ha a che fare, ancora una volta, col mantenere i piedi per terra: «Mi ha detto che dove sono ora è solo un punto di partenza. Che non bisogna montarsi la testa perché si fa prestissimo ad andare in alto e a tornare sotto».
Zaniolo ha già affrontato un momento di difficoltà nella sua giovane carriera. Dopo 7 anni nelle giovanili della Fiorentina, nel 2016, all’ultimo giorno di mercato, è stato tagliato dalla squadra. Il padre ha dichiarato che il club non lo riteneva all’altezza. Lui mi dice che hanno preferito comprare altri giocatori. «Ho cominciato nel Genoa, sono andato alla Fiorentina, sono rimasto lì 7 anni ma poi hanno fatto altre scelte, prendendo giocatori che servivano di più alla primavera della Fiorentina e io sono andato all’Entella». Nelle interviste gli chiedono spesso di questo passaggio della sua carriera, il tipo di sliding doors che piace ai giornalisti: come è possibile che un talento che si sta affermando a grandi livelli in passato è stato scartato da un club forte perché non considerato all’altezza? «Loro volevano mandarmi in prestito, io ho preferito farmi lasciare il cartellino e scegliere io dove andare, anche perché non ero mai stato al centro del progetto della Fiorentina».
Per uno studio di Calcio&Finanza del 2016, solo il 12% dei calciatori della Primavera arrivano a giocare un minuto nei campionati professionistici. Gli chiedo, quindi, se in quel momento non aveva paura di rimanere tagliato fuori dal calcio di alto livello: «Se avessi fatto male all’Entella rischiavo di dover rimanere a giocare nella categorie inferiori». Gli chiedo qual è stato il momento in cui ha capito che sarebbe diventato un professionista: «A dire la verità neanche ora mi ci sento».
Ha vissuto l’arrivo alla Virtus Entella come un ritorno a casa. «Chiavari è accanto a casa mia, ero vicino ai miei genitori, ai miei amici». All’Entella ha giocato da giugno a dicembre nella primavera, poi ha fatto un paio di allenamenti in prima squadra e Mister Breda lo ha fatto esordire.«Il livello era alto. All’Entella c’era Francesco Caputo, che ora ha segnato alla Juve. C’era Tremolada. Lì ho imparato molto perché il livello era molto più alto di quello delle giovanili».
Quell’anno Zaniolo gioca una finale di Coppa Italia Primavera contro la Roma, ed è la prima occasione in cui riesce a mettersi in mostra e ad attirare su di sé i riflettori. In quei giorni il padre dice che era cercato da diversi club importanti - Sassuolo, Roma, Colonia, Tottenham - ma alla fine sceglie di andare all’Inter: «C’erano Inter e Juventus che volevano prendermi ma ho preferito l’Inter perché ho pensato che il progetto fosse più giusto per me». Gli chiedo se tornando al livello Primavera, con l’Inter, ha sentito uno stacco forte rispetto alla Serie B: «In Primavera dipende tutto dall’atteggiamento. Se la affronti con lo spirito giusto ti può far crescere».
Il passaggio alla Roma, per 4 milioni e mezzo, di quest’estate è stato del tutto a sorpresa: «Non ci ho pensato due volte a dire di sì e la trattativa si è conclusa in una settimana. Il mio volere era forte, come quello della società, quindi ero e sono contentissimo». Monchi si è definito impressionato dal livello di Zaniolo, ha detto: «Pensavamo di dover aspettare sei mesi e invece può giocare da subito». Allora chiedo a lui se si aspettava di rimanere in prima squadra e mi risponde come se non si fosse mai posto il problema: «Sono arrivato tardi, a metà agosto, e ho pensato solo ad allenarmi bene». Un ragazzo in mezzo a giocatori che fino a poco tempo prima guardava in tv, deve essere incredibile, penso. Gli chiedo quali sono i giocatori che lo hanno impressionato di più nella Roma, e mi risponde come se fosse scontato: «De Rossi, Dzeko e Kolarov sono giocatori di un altro livello. È un onore allenarmi con loro».
C’è un’immagine particolarmente significativa di questo inizio di carriera di Zaniolo. Lui nel tunnel del Bernabeu, prima dell’ingresso in campo, preso da parte da De Rossi, che gli parla a fondo. «Daniele, il capitano, è il compagno che mi dà più consigli. A Madrid mi ha detto di stare tranquillo, che era una partita difficile ma che avevo le qualità per fare bene». Per Zaniolo il campo d’allenamento è lo specchio di quello che si fa in partita la domenica. Gli chiedo allora qual è l’aspetto su cui Di Francesco insiste di più, e la risposta potevamo immaginarla: «Recuperare la palla nella loro metà campo». Gli chiedo se questa è una caratteristica che sente appartenergli. «Nel calcio di oggi devi per forza essere aggressivo».
Un talento particolare
Al Franchi, dopo due minuti e mezzo, Zaniolo recupera palla sulla trequarti avversaria, strappandola dai piedi di Veretout. Col CSKA, a pochi secondi dal suo ingresso in campo, è il più lesto ad arrivare su una sponda di Dzeko e a servire Florenzi per il tiro. La forza fisica, l’energia e la qualità con cui Zaniolo interpreta la verticalità in campo è ciò che lo rende un talento estremamente moderno. Quando corre nello spazio, con e senza palla, lo fa con una voracità e un’intensità incredibile. Ma non è un centrocampista caotico e solo verticale, dietro ogni sua giocata sembra esserci un pensiero. Contro il CKSA, ad esempio, quando è subentrato in una situazione di vantaggio, si è concentrato soprattutto in giocate di controllo, difendendo i palloni e dando la pausa.
È difficile non esaltarsi per questi primi minuti da professionista di Zaniolo. Ha sbagliato pochissimo ed è stato equilibrato nelle sue scelte: non è stato né troppo conservativo né troppo ambizioso. Ha controllato quando il contesto glielo imponeva, ha accelerato ogni volta che ne ha avuto l’opportunità.
Pur avendo giocato da rifinitore per tutta la sua carriera giovanile, Zaniolo è un giocatore dominante fisicamente. Gli chiedo se si considera più un giocatore fisico o un giocatore tecnico, e la risposta dimostra una grande consapevolezza: «Sinceramente più un giocatore fisico, ho una buona tecnica ma devo migliorare su molte cose». Gli chiedo quanto è stato importante questo aspetto per imporsi a questi livelli: «Nel calcio di oggi essere strutturati fisicamente è fondamentale. In Champions League non ci sono squadre con giocatori piccoli, e i giocatori piccoli che ci sono sono dei fenomeni. La fisicità è la cosa principale».
Zaniolo sa sfruttare bene i vantaggi del suo corpo: non ha una sensibilità tecnica di primissimo livello, ma riesce a compensare usando il fisico, sembra spesso sul punto di perdere il pallone ma all’improvviso prende posizione e protegge la sfera togliendola dalla disponibilità dell’avversario. Qual è la cosa più importante per un centrocampista nel calcio di oggi? «Fare bene la fase difensiva e la fase offensiva, allo stesso modo, perché se non fai bene la fase difensiva la squadra ne risente e fa male anche quella offensiva».
Guarda molto calcio e dimostra una sensibilità non comune quando ne parla, raccontandomi dell’Europeo U-19 cita i giocatori della Francia e del Portogallo menzionando il ruolo di ognuno e la squadra di club in cui giocano. Il suo giocatore preferito da bambino era Kakà: «Aveva un cambio di passo che lasciava dietro due o tre avversari alla volta. Aveva una potenza e una tecnica fuori dal normale. Il gol all’Old Trafford è quello che per me rappresenta Kakà».
Zaniolo indossa la 22 come Kakà e, pur non avendo una velocità, un’eleganza e una tecnica paragonabili a quelle del brasiliano, possiede un certo gusto per i cambi di passo e le accelerazioni in zona centrale. È piuttosto rapido sui primi passi, nonostante il metro e novanta e una struttura pesante: già in questi pochi minuti con la Roma ha dimostrato che quando vede un varco nella zona centrale gli piace accelerare e mangiarsi il campo.
La seconda azione della sua partita contro il CKSA è forse il suo manifesto: vince un primo duello aereo, la palla si alza e vince un secondo duello aereo con cui si auto-lancia, a quel punto accelera, non dà la palla a Dzeko - libero alla sua sinistra -, scarta invece il difensore a destra e prova il tiro di punta. Persino un po’ egoista, ma meglio così che troppo timido, no?
Gli chiedo qual è il ruolo in cui si sente più a proprio agio oggi, una domanda a cui in altre interviste aveva risposto dicendo il trequartista. Stavolta mi dà una risposta diversa: «La mezzala, che è il ruolo che penso sarà nel mio futuro».
Il primo a farlo giocare in quella posizione è stato Stefano Vecchi, il suo allenatore dell’Inter Primavera: «Quando sono arrivato all’Inter mi mancavano tante cose e lui è riuscito a colmarmele e devo ringraziarlo tanto. Lui è stato il primo a dire che dovevo fare la mezzala». Secondo Vecchi, Zaniolo per giocare ad alti livelli deve diventare una mezzala box-to-box, simile - non per valori ma per caratteristiche - a Lampard o a Gerrard. Gli faccio notare che sono giocatori che segnavano anche 20 gol a stagione, e gli chiedo se pensa di poter diventare un centrocampista che segna molto: «Finora in carriera nelle giovanili i miei gol li ho sempre fatti».
La parte del gioco che ammette di dover migliorare è quella difensiva, specie quando deve difendere all’indietro. Un problema legato in parte alla sua struttura fisica. Qual è la differenza, oggi, tra fare la mezzala o il trequartista? «Da trequartista devi fare meno fase difensiva e quando hai palla devi essere sempre determinante; la mezzala deve fare entrambe le fasi bene e con la palla deve pensare a fare cose meno decisive». È un concetto raffinato che racchiude anche il motivo per cui Zaniolo si vede più da mezzala che da trequartista: non ha forse il talento per essere sempre determinante negli ultimi metri, non segna ad ogni tiro e non mette in porta i compagni ad ogni filtrante, ma può diventare un giocatore consistente, bravo a fare cose diverse.
Gli faccio vedere dei video di assist che ha fatto nella sua carriera, uno in particolare, per Kean all’Europeo U-19 è molto bello. Zaniolo legge bene una traccia di passaggio avversaria, si mette la palla sul sinistro e in pochissimi secondi lancia l’attaccante oltre la difesa. Un assist bello più per la preparazione che per l’esecuzione in sé. «Gioco da tempo insieme a Moise e sapevo che avrebbe attaccato la profondità». Zaniolo secondo me legge il gioco molto velocemente, glielo faccio notare ma non è convinto: «Per il calcio giovanile sì, per i professionisti devo migliorare ancora».
In un calcio dove la riconquista delle seconde palle è sempre più importante, vengono usati spesso trequartisti fisici. Fellaini, Milinkovic-Savic, Cristante lo scorso anno all’Atalanta. Chiedo a Zaniolo quindi se non potrebbe invece essere quello il suo ruolo futuro: «Mi ci vedo, ma devo migliorare nel recupero delle seconde palle e nel dare la palla in profondità». Da quella posizione però potrebbe essere sfruttata anche la sua presenza in area di rigore, e un tempismo negli inserimenti senza palla raro nel calcio di oggi: «In Primavera ho fatto molti gol inserendomi da dietro in area di rigore».
Finora nel 4-2-3-1 della Roma ha giocato sempre trequartista, gli chiedo se si in caso di necessità si vedrebbe anche in altri ruoli: «Nei due mediani forse ancora no, ma l’esterno potrei farlo». Lo ha già fatto in altri contesti, giocando alto a destra, da dove può rientrare sul suo piede forte, il sinistro. A proposito: Zaniolo è mancino ma mangia e scrive con la mano destra: «Non c’è stata un’impostazione, mi è venuto naturale da bambino».
Gli chiedo se dovrebbe usare di più il piede debole e mi dice che lo sta già migliorando in allenamento, provando cross e conclusioni in porta con il destro. Ma la cosa che gli riesce meglio in campo, dice, è «buttarmi nello spazio e fare gli assist». Poi aggiunge una cosa che non gli avevo chiesto, e invece riguarda i suoi difetti: «Devo pensare prima la giocata». È un concetto che mi ha ripetuto più volte durante l’intervista, eppure la velocità nelle letture è sembrata forse la migliore caratteristica di Zaniolo in queste prime uscite. Evidentemente è un aspetto a cui dedica un’attenzione particolare, del resto è forse l’equazione più difficile per un calciatore di oggi: mantenere la lucidità d’azione all’interno di una dinamica di gioco sempre più veloce e intensa.
Un giorno alla volta
Quando Zaniolo è stato convocato in Nazionale nessuno se lo sarebbe aspettato e in quei giorni sono usciti diversi articoli che cercavano di capire chi fosse, da dove fosse spuntato fuori. In molti lo hanno interpretato come un segnale che il CT voleva dare sulla questione dei giovani italiani in Serie A. Non è stata l’unica volta che Zaniolo sarebbe stato usato per “dare un segnale”, lo ha detto anche Di Francesco riguardo alla sua partita al Bernabeu. Secondo Zaniolo è stato importante l’Europeo U-19: «Mancini mi ha chiamato in Nazionale A perché mi ha visto all’Europeo, che è stata una vetrina importante. Quelli che hanno fatto la finale oggi giocano tutti in Serie A e in Serie B». Cosa gli ha detto Mancini? «Di stare tranquillo perché se mi aveva chiamato in Nazionale c’era un motivo». Gli chiedo se si vede nel progetto della Nazionale: «È difficile pensare di essere parte del progetto della Nazionale. Non penso a un’eventuale convocazione all’Europeo. Penso solo a giocare e a divertirmi».
Gli chiedo cosa gli piace fare fuori dal campo, e a questo punto dovreste aver inquadrato abbastanza Nicolò Zaniolo da immaginare la sua risposta: «Mi piace divertirmi, come a ogni ragazzo di 19 anni, ma sempre stando dentro le righe».
In tutta la sua intervista Zaniolo è stato molto attento a ripetermi quanto abbia ancora da lavorare, che per ora non ha combinato niente, che non ci pensa neanche a montarsi la testa. I calciatori ripetono sempre queste frasi che suonano come delle verità preconfezionate, e noi che le leggiamo rimaniamo spesso delusi. Vorremmo che i calciatori esprimessero dei pensieri più complessi e raffinati, se non altro più originali, ed è legittimo. Forse però dovremmo anche soffermarci sulla profondità di certe frasi che ci suonano come banalità: i calciatori di quel livello sono sottoposti a delle pressioni inimmaginabili, e aggrapparsi a delle verità semplici ed efficaci aiuta a non perdersi per strada.
In Infinite Jest David Foster Wallace racconta di come gli Alcolisti Anonimi cercassero di insegnare delle verità profonde attraverso dei cliché semplicistici. “Un giorno alla volta” dopo un po’ diventa molto di più di un cliché ma un’epifania luminosa. Quando il padre dice a Zaniolo dice che non bisogna montarsi la testa, perché si fa prestissimo ad andare in alto e a tornare indietro, in fondo ha ragione, è perfettamente vero, ed è forse l’unica verità di cui ha bisogno per affrontare la giungla emotiva del calcio professionistico, le aspettative impossibili che circondano un talento italiano di 19 anni.
Zaniolo sorride quando mi dice: «Devo allenarmi giorno dopo giorno, perché il bello deve ancora venire».