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L'invasione dell'Ucraina sta spaccando lo sport
26 apr 2023
A poco più di un anno dall'inizio delle Olimpiadi di Parigi la tenuta dello sport internazionale è a rischio.
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Fra i molteplici effetti collaterali causati dall’invasione russa dell’Ucraina c’è quello di aver aperto una crisi all’interno del movimento sportivo internazionale che non ha precedenti, o quasi. Lo sport, del resto, non è mai separato dal contesto politico, economico e sociale in cui viene praticato e una guerra convenzionale nel cuore dell’Europa non poteva certo non avere ricadute sulle sue competizioni. E se i provvedimenti presi nel febbraio 2022 dal Comitato Olimpico (CIO) e dalle federazioni internazionali (d'ora in poi: FSI) erano stati un compromesso che aveva in qualche modo tamponato la situazione, il perdurare del conflitto sta rischiando di mettere a repentaglio la tenuta del sistema. A poco più di un anno dalla loro inaugurazione, sui Giochi olimpici di Parigi del prossimo anno aleggia lo spettro del boicottaggio, che nel frattempo ha già colpito diverse competizioni continentali e mondiali.

Per fare luce su quello che sta accadendo bisogna analizzare i rapporti di forza all’interno dell’eterogeneo mondo dello sport, in cui il CIO ha un potere relativamente limitato, che non compromette l’autonomia decisionale delle singole FSI. L’interrogativo principale riguarda proprio il comportamento del vertice del movimento olimpico. Come mai il CIO, dopo aver raccomandato il 28 febbraio 2022 alle FSI l’esclusione degli atleti russi e bielorussi, il 28 marzo 2023 ha invece fatto un’apparente retromarcia suggerendone, seppur rispettando precise condizioni, il loro reintegro?

Per provare a rispondere bisogna soffermarsi un attimo sulla natura delle organizzazioni sportive internazionali. Tanto il CIO quanto le FSI possono essere visti come dei veri e propri attori della politica internazionale in quanto hanno il potere di decidere in quale sede si svolgeranno Olimpiadi e Mondiali, ma soprattutto di sospendere o espellere un comitato olimpico o una federazione nazionale. Il ricorso a questa opzione avviene solo in casi eccezionali e mai di buon grado poiché va a minare la loro universalità e dunque la loro influenza. Proprio per questo motivo, a seguito dell’invasione dell’Ucraina, il CIO attese ben cinque giorni ed esplorò ogni alternativa possibile prima di essere costretto a raccomandare delle sanzioni nei confronti delle organizzazioni sportive dei paesi aggressori.

Nonostante la loro autonomia, però, le istituzioni sportive internazionali non sono certo immuni alle pressioni politiche esterne. Anzi, proprio il fatto che la loro struttura preveda forme di rappresentanza rispondenti a criteri di nazionalità le rende particolarmente permeabili a infiltrazioni e interessi politici di questo tipo. Non a caso la raccomandazione del 28 febbraio 2022 con cui il CIO suggerì alle FSI di escludere o quantomeno far gareggiare come neutrali gli atleti russi e bielorussi fu la diretta conseguenza delle forti pressioni esercitate dai dirigenti e dagli atleti ucraini e filo-occidentali spalleggiate dai media. Messi con le spalle al muro, Thomas Bach e i vertici del CIO preferirono sacrificare parzialmente la propria universalità sanzionando Mosca e Minsk piuttosto che avere a che fare con una quotidiana politicizzazione dell’arena sportiva, fatta di rifiuti, proteste, boicottaggi e visti negati. Uno scenario che avrebbe paralizzato immediatamente l’intero sistema sportivo. Dal punto di vista di Losanna, quindi, le sanzioni del febbraio 2022 non furono tanto una presa di posizione espressamente anti-russa o pro-ucraina, quanto piuttosto una decisione inevitabile derivante dai rapporti di forza politici, mai come in quel momento così ostili ai governi invasori, e dalla necessità di sopravvivere in una situazione di crisi internazionale.

A livello formale, tuttavia, queste sanzioni erano state pensate in modo da rispettare il principale pilastro dell’ideologia delle istituzioni sportive: la neutralità dalla politica. Per quanto sia impossibile anche solo pensare di poter tener separato lo sport dalla politica, questa pretesa apoliticità è a tutti gli effetti uno strumento politico con cui queste organizzazioni cercano di assicurarsi un’autonomia, seppur parziale, dalle pressioni esterne. Inoltre questa pretesa neutralità, quantomeno nel linguaggio e nei documenti ufficiali, consente di creare intorno alle competizioni sportive un clima che facilita l’incontro anche tra paesi segnati da forti tensioni. Negli anni della Guerra fredda, fu proprio la condivisione di questa ideologia che permise allo sport, di essere uno dei pochissimi fenomeni culturali a non essere separati dalla cosiddetta “cortina di ferro”, con qualche eccezione ovviamente (vedi le Olimpiadi di Mosca e Los Angeles tra il 1980 e il 1984).

Proprio in virtù di queste considerazioni, nel giustificare le sanzioni del 28 febbraio 2022, il CIO fu particolarmente attento ad evitare motivazioni esplicitamente politiche che avrebbero potuto creare un pericoloso precedente, appigliandosi invece alla violazione della cosiddetta tregua olimpica. L’invasione di uno stato sovrano di per sé non comporta necessariamente un automatico embargo in campo sportivo, basti pensare all’assenza di qualsiasi tipo di provvedimento dopo quella statunitense dell’Iraq nel 2003. Negli ultimi decenni, come dimostra il caso della Jugoslavia nel 1992, le sanzioni sportive erano arrivate solo dopo una risoluzione dell’ONU. In questa circostanza però non si poteva contare sulle Nazioni Unite, visto che la Russia siede permanentemente nel Consiglio di sicurezza, dove com’è noto ha il potere di veto rendendo impossibile qualsiasi risoluzione rilevante a suo sfavore. Dunque la violazione della dichiarazione della tregua olimpica, firmata solennemente tanto da Mosca quanto da Minsk, ha rappresentato l’escamotage attraverso cui il CIO ha potuto prendere una decisione politica frutto di pressioni esterne, riuscendo peraltro a presentarla come non politica. Grazie a questo appiglio giuridico - seppur sacrificando parzialmente la propria universalità, ma preservando, seppur ipocritamente, il principio di apoliticità - il CIO era dunque riuscito a trovare una formula per evitare, almeno momentaneamente, un cortocircuito al sistema sportivo internazionale.

I problemi hanno iniziato a presentarsi nel momento in cui le singole FSI hanno iniziato ad applicare le raccomandazioni del CIO. La maggior parte, infatti, ha optato per la posizione più rigida ovvero la piena esclusione degli atleti russi (e spesso anche di quelli bielorussi). Ci sono state alcune notevoli eccezioni, per esempio quella di tennis o quella di judo, che hanno scelto di continuare a far gareggiare gli atleti russi e bielorussi come neutrali, senza simboli, bandiera e inno nazionali (per una mappatura di come le singole Federazioni sportive Internazionali hanno reagito all’invasione russa dell’Ucraina si veda il report pubblicato dal Centre for Sport and Human Rights di Ginevra).

Seppur più favorevole a Kiev che a Mosca, il compromesso proposto dal CIO non aveva pienamente soddisfatto i governi di 37 paesi democratici e occidentali che l’8 marzo 2022 hanno pubblicato una dichiarazione congiunta in cui chiedevano un’applicazione ancor più restrittiva di queste sanzioni, che includesse anche dirigenti e sponsorizzazioni russe.

Feroci critiche contro queste sanzioni sono in realtà arrivate anche da Mosca, che in questa vicenda ha faticato a presentarsi come vittima. Anzi, per certi versi, si potrebbe forse perfino affermare che la politicizzazione dell’arena sportiva da parte delle democrazie occidentali sia stata quasi una reazione a quella promossa dal Cremlino. Fin dalla sua ascesa al potere, infatti, Putin e i suoi governi hanno utilizzato lo sport con il triplice fine di migliorare la propria immagine internazionale, rafforzare il patriottismo e ridistribuire le risorse interne fra gli oligarchi a lui fedeli. Gli elementi più visibili di questa strategia sono stati le vittorie sportive (oscurate dallo scandalo doping del 2015) e l’organizzazione di numerosi eventi sportivi internazionali (i cui fiori all’occhiello sono stati senza dubbio le Olimpiadi di Sochi 2014 e i Mondiali maschili di calcio del 2018). In parallelo però il Cremlino ha anche promosso un’efficace strategia di penetrazione all’interno del movimento olimpico con l’obiettivo di insediarvi persone di comprovata fiducia e di influenzarlo economicamente tramite le ricche sponsorizzazioni di aziende di Stato come Gazprom, VTB, Megafon e Rostelecom.

Non a caso, alla vigilia dell’invasione dell’Ucraina, ben tre federazioni olimpiche erano guidate da personalità russe molto vicine a Vladimir Putin: la Federazione internazionale di scherma (FIE) dall’oligarca Alisher Usmanov; quella del tiro (ISSF) dal re dell’acciaio, Vladimir Lisin; e quella del pugilato (IBA) da Umar Kremlev. Inoltre anche il Presidente della Federazione internazionale di lotta (UWW), il serbo Nenad Lalović, affiancato dal russo di origini georgiane Mikhail Mamiashvili in qualità di vicepresidente, e quello della Federazione internazionale di judo (IJF), con il romeno Marius Vizer (che aveva anche nominato Putin presidente onorario) avevano intessuto stretti legami personali col presidente russo. In questo scacchiere gli oligarchi Vasily Titov, Igor Makarov, membri di comitati esecutivi di federazioni importanti come quella della ginnastica (FIG) o del ciclismo (UCI), e Arkadij Rotenberg (IJF), a cui Putin ha affidato la costruzione del ponte con cui la Crimea è stata collegata alla Russia, fungevano da pedine importanti per gli interessi di Mosca. Quest’ultimi, all’interno del CIO erano difesi dai due membri russi: Shamil Tarpishchev, cooptato già nel 1994 ma dal 2008 consigliere presidenziale per l’educazione fisica e gli sport, ed Elena Isinbaeva, la “zarina” del salto con l’asta, fedelissima di Putin.

Le sanzioni, seppur solo parzialmente, hanno senza dubbio indebolito quest’influenza russa. Ad esempio Usmanov ha dovuto rinunciare alla Presidenza della FIE essendo stato inserito nella blacklist dell’Unione Europea, mentre Lisin, dopo aver rifiutato le dimissioni, a fine novembre ha perso delle combattute elezioni contro l’italiano Luciano Rossi. Ciononostante il Cremlino ha fatto le sue contromosse per provare a spezzare l’isolamento. Oltre all’organizzazione di incontri e tornei amichevoli con squadre o selezioni di paesi amici come l’Iran, il Venezuela e la Serbia e all’avvio di colloqui per spostarsi verso le meno ostili confederazioni sportive asiatiche abbandonando quelle europee, il governo russo non ha esitato a mettere in campo quel che restava in piedi di questa preziosa rete fatta di interessi politici, economici e sportivi costruita nel corso degli ultimi vent’anni.

A lanciare la prima controffensiva russa è stata la IBA di Kremlev. Sfruttando il fatto che la Federazione internazionale di pugilato dal 2019 è esclusa dal CIO per problemi di corruzione e che il suo funzionamento si regge quasi esclusivamente grazie ai soldi di Gazprom, il dirigente russo ha deciso di ignorare le raccomandazioni del CIO e riammettere già nell’ottobre del 2022 i pugili russi con tanto di inno e bandiera. Questa forzatura ha provocato un’autentica rottura nel mondo del pugilato. Ben 17 paesi occidentali (ma non la federazione di boxe italiana) hanno prima boicottato i Mondiali femminili che si sono svolti a metà marzo in India e poi hanno annunciato di volerlo ripetere in vista di quelli maschili che si svolgeranno a Tashkent in Uzbekistan dal 30 aprile. Se ciò non bastasse, questi Paesi hanno anche costituito una nuova Federazione internazionale concorrente: la World Boxing. Sebbene le problematiche del pugilato olimpico precedevano il conflitto russo-ucraino, insomma, è stata la guerra a farle esplodere definitivamente.

Una situazione analoga si è sviluppata nel mondo della scherma. Nonostante la Presidenza ad interim sia stata affidata da oltre un anno al greco Emmanuel Katsiadakis, l’influenza di Usmanov si fa ancora sentire. A inizio marzo, violando le raccomandazioni del CIO ed ignorando poi una lettera firmata da oltre 300 atleti, la FIE ha permesso il rientro alle competizioni degli schermidori russi e bielorussi. Come reazione a questa decisione, tedeschi, danesi e francesi, seguiti da polacchi e norvegesi, dietro pressioni governative, hanno annullato come forma di protesta l’organizzazione delle loro tappe del circuito di Coppa del Mondo. In questo caso non si è ancora arrivati a una rottura, ma i mesi che vanno da aprile a luglio, quando a Milano si svolgeranno i Mondiali, saranno particolarmente delicati comprendere la direzione che prenderà il mondo della scherma.

Come nel caso della federazione di boxe italiana, anche quella di scherma, è rimasta alla finestra in attesa di vedere da che parte tirerà il vento. Considerando che alcuni schermidori italiani hanno solidarizzato con la causa ucraina, schierandosi pubblicamente contro la decisione della FEI e promuovendo anche una raccolta fondi in favore dei colleghi colpiti dall’invasione russa che ha già raccolto oltre 50mila euro, sarà interessante capire, tenendo conto del fatto che sono comunque arruolati nei corpi sportivi militari, se e quanto riusciranno ad orientare le decisioni federali. Fra i più attivi c'è anche l’argento di Tokyo nella sciabola e finanziere, Luigi Samele, che convivendo con la fidanzata e sciabolatrice ucraina, Olga Kharlan, è stato toccato direttamente dalla tragedia della guerra. Peraltro, la pluricampionessa olimpica, mondiale ed europea di Mykolaïv, che fin dall’inizio del conflitto ha usato la propria popolarità internazionale per sensibilizzare il mondo verso la causa ucraina, sembra voler abbracciare la strada del boicottaggio ed ha recentemente scritto parole al veleno contro la decisione della FIE di reintegrare i russi.

In contemporanea alle manovre russe nell’IBA e nella FEI, si è aperto un altro fronte, anche se in questo caso non ci sono prove dell'influenza del Cremlino. Ad inizio febbraio l’ONU, per mano di Alexandra Xanthaki (Special Rapporteur in the field of cultural rights), ha bacchettato pubblicamente il CIO invitandolo ad adoperarsi affinché nessun atleta venisse discriminato in base alla propria nazionalità. Secondo la giurista greca, infatti, anche l’esclusione degli atleti russi e bielorussi sotto contratto nell’esercito rappresenterebbe una violazione dei diritti umani.

Così, a fronte del perdurare di una guerra di cui non si riesce ad intravedere la fine, con il sistema sportivo nuovamente in fibrillazione a causa di un numero crescente di FSI che agivano al di fuori delle sue raccomandazioni, ma anche col desiderio di non discriminare oltremodo gli atleti russi e bielorussi che non si erano schierati in favore dell’invasione, il 28 marzo 2023 il CIO ha deciso di fare sentire la propria voce con una nuova serie di raccomandazioni.

Nel documento del CIO si ribadiva che, a causa della violazione della tregua olimpica, permanevano i divieti: di organizzare eventi sportivi internazionali in Russia e Bielorussia; di esibire simboli, inni e bandiere e di invitare o accreditare personalità governative o di Stato russa o bielorussa in qualsiasi competizione sportiva internazionale. Dopodiché, pur rimandando a data da destinarsi qualsiasi decisione sulla loro partecipazione a Parigi 2024, la grande novità (per quanto già parzialmente anticipata da una dichiarazione d’intenti pubblicata il 25 gennaio 2023) era rappresentata dall’esplicita raccomandazione alle FSI di riammettere alle loro competizioni gli sportivi russi e bielorussi a patto che gareggiassero come atleti neutrali indipendenti (Individual Neutral Athletes). Questo radicale cambio di rotta, giustificato dalla volontà di non operare alcun tipo di discriminazione su base nazionale, era però calmierato da alcune precise condizioni. Le sanzioni alla Russia e alla Bielorussia restavano in essere negli sport di squadra, nei confronti di quegli atleti che violando i valori olimpici avevano supportato attivamente la guerra, e infine di coloro che sono sotto contratto dell’esercito e delle agenzie di sicurezza nazionale.

L'appello dell'ex pattinatrice ucraina, Oksana Baiul, contro le decisioni del CIO.

Com'era prevedibile, queste raccomandazioni - formulate con l'intento di riaffermare la propria influenza sul sistema sportivo internazionale, di suggerire un modo per armonizzarlo e di proporre un nuovo compromesso che potesse adattarsi al protrarsi della guerra - hanno provocato una pioggia critiche.

Gli ucraini, sottolineando il fatto che non ci fossero state novità tali da giustificare questo cambio di rotta e che oltre 260 atleti con ambizioni olimpiche erano stati uccisi dall’inizio della guerra, hanno chiarito che boicotteranno tutti gli eventi di qualificazione ai Giochi di Parigi 2024 in cui parteciperanno anche sportivi russi. Inoltre, esplorando diverse tattiche che vanno dalla produzione di video emotivi volti a smascherare il supporto di alcuni atleti russi all’invasione dell’Ucraina all’organizzazione di più formali riunioni con i dirigenti sportivi dei paesi amici, Kiev sta tentando di creare un gruppo di pressione che supporti una totale esclusione di russi e bielorussi. Così, mentre la sindaca di Parigi, Anne Hidalgo, nel corso di una visita a Kiev si è limitata a dichiarare che se la guerra continuerà gli atleti russi e bielorussi non saranno i benvenuti alle Olimpiadi di Parigi, alcuni governi occidentali, fra cui quello tedesco, si sono spinti oltre, facendo intendere che potrebbero negare i visti agli atleti russi e bielorussi.

Alla luce di questa veemente reazione occidentale, la mossa di Bach rischia di dare vita ad un pericoloso braccio di ferro che potrebbe destabilizzare ulteriormente l’intero sistema sportivo. Scegliendo di promuovere boicottaggi e negare i visti, Kiev e i suoi alleati hanno deciso di porsi al di fuori delle consuetudini del movimento olimpico, violando il dogma della neutralità e politicizzando anche sul piano formale l’arena sportiva. Tuttavia se il CIO dovesse tenere il punto per difendere suoi principi e non creare pericolosi precedenti, questa strategia rischierebbe di rivelarsi controproducente. Il boicottaggio delle qualificazioni voluto da Kiev porterebbe semplicemente a ridurre il numero di ucraini qualificati alle Olimpiadi e, forse, anche qualche effetto collaterale. Infatti, attirandosi aspre ma comprensibili critiche, il CIO ha persino minacciato di ritirare i fondi della solidarietà olimpica al Comitato ucraino in caso di boicottaggi. Allo stesso modo, come ha recentemente imparato a proprie spese l’Indonesia (che, negando l’ingresso alla squadra israeliana, si è vista quest’anno privata dell’organizzazione del Mondiale under 20 maschile di calcio), il rifiuto dei visti, motivato da esplicite ragioni politiche, non può essere tollerato dai regolamenti sportivi internazionali ed è destinato a provocare sanzioni.

D’altro canto la nuova posizione del CIO non è stata accolta con particolare giubilo nemmeno dai russi, che hanno ritenuto inaccettabili le rigide condizioni di accesso. La portavoce di questo scontento è stata la fondista Veronika Stepanova che, ribadendo pubblicamente il proprio supporto a Vladimir Putin, le ha definite «stupide», asserendo di preferir non gareggiare piuttosto che essere giudicata da una commissione per le sue idee politiche.

Al di là di tutto, ora la vera battaglia si sta giocando all’interno delle singole FSI con esiti differenti a seconda dei rapporti di forza all’interno di ciascuna di esse. Come già evidenziato sia l’IBA che la FEI, federazioni in cui influenza politica ed economica di Mosca continua ad essere determinante, hanno adottato posizioni più filo-russe rispetto alle raccomandazioni del CIO. All’opposto, diverse FSI in cui la componente occidentale e filo-ucraina è predominante, pur distanziandosi a loro volta dalla posizione del CIO, hanno ribadito la loro rigida contrarietà a qualsiasi forma di reintegro degli atleti russi e bielorussi. Su questa linea si sono apertamente schierate, ad esempio, le federazioni di atletica, badminton, pallacanestro e gli organizzatori polacchi dei Giochi europei che si svolgeranno a Cracovia dal 21 giugno al 2 luglio 2023. Ci sono poi delle FSI, fra cui quelle di canottaggio, di vela e di ginnastica, che non si sono ancora espresse e tutt’al più hanno istituito una task force per analizzare in dettaglio la situazione e prendere tempo. Altre invece hanno già fatto sapere che apriranno alla partecipazione individuale di atleti russi e bielorussi come neutrali seguendo le linee guida del CIO. È il caso delle FSI di tiro con l’arco, tennistavolo, Pentathlon moderno e taekwondo. E come abbiamo visto non si tratta di una novità assoluta, visto che fra le FSI olimpiche questa posizione era già adottata da più di un anno dal judo e dal tennis.

C'è da dire che fintanto che la guerra andrà avanti sarà difficile trovare compromessi che potranno davvero garantire una completa depoliticizzazione dell’arena sportiva. Lo dimostrano sia la rinuncia dei russi, giustificata con ragioni di sicurezza sebbene avessero il diritto di parteciparvi come neutrali, ai Mondiali di judo di Tashkent 2022, sia l’esclusione dei tennisti russi dal torneo 2022 di Wimbledon imposto dagli organizzatori in accordo col governo britannico (mossa che ha costretto l’ATP e la WTA a non assegnare per quell’edizione i punti validi per il ranking).

La vera nuova variabile è piuttosto rappresentata dai paletti indicati dal CIO nelle sue raccomandazioni. I prossimi mesi saranno dunque decisivi sia per comprendere con quanto rigore le FSI applicheranno queste linee guida e sia per valutare il modo in cui i russi e i filo-russi, da un lato, e gli ucraini e i filo-ucraini, dall’altro, reagiranno a queste disposizioni.

Se per i russi la strategia più efficace per cercare di ridurre ulteriormente il peso delle sanzioni è quella di continuare a sfruttare i non troppo limpidi rapporti economico-politici intessuti in questi anni all’interno delle istituzioni sportive, per l’Ucraina e i suoi alleati non è affatto scontato che la strategia dello scontro frontale si riveli sempre vincente. Se in una disciplina come il pugilato in cui la federazione internazionale è dal 2019 sospesa dal CIO, coinvolta in episodi di corruzione e sostanzialmente finanziata da Mosca, una politica di rottura era probabilmente non solo inevitabile ma anche auspicabile, in altri contesti, in cui l’influenza del Cremlino è minoritaria, il mancato rispetto formale del principio di apoliticità e la costante minaccia di boicottaggi rischia di allontanare dalla causa ucraina la maggioranza silenziosa delle federazioni nazionali.

Evitare che Putin e il suo governo usino l’arena sportiva internazionale come piattaforma per la loro propaganda è un obiettivo politico che paradossalmente il governo Zelensky potrebbe forse raggiungere più facilmente abbracciando pienamente la posizione del CIO. Come abbiamo già sottolineato, per Losanna la riammissione alle competizioni degli atleti russi e bielorussi è condizionata dal fatto che la partecipazione sia individuale, neutrale ed escluda gli atleti-militari e quelli schierati apertamente in favore della guerra. Forse è più facile a dirsi che a farsi, ma forse all'Ucraina e ai suoi alleati, invece di spendere energie per cercare di escludere gli atleti russi solo in quanto russi, converrebbe lavorare all’interno di ciascuna FSI affinché queste raccomandazioni venissero rispettate nella maniera più rigida possibile. I risultati sarebbero probabilmente maggiori e il sistema sportivo internazionale meno instabile. Assicurando sanzioni esclusivamente a quegli atleti e dirigenti che, violando i principi della Carta olimpica, hanno sostenuto l’invasione illegale e non provocata di un Paese sovrano, infatti, non solo si eviterebbe una discriminazione su base nazionale, ma si potrebbero persino indirettamente creare le condizioni per rendere potenzialmente visibile un’opposizione russa a Putin. È significativo, in questo senso, che alcune delle più mediatizzate condanne alla guerra da parte di atleti russi siano arrivate in una disciplina come il tennis in cui i russi hanno potuto continuare a giocare, come dimostrano i gesti e le parole di Andrey Rublev, Daria Kasatkina e Anastasia Pavlyuchenkova.

Questo non significa forzare gli atleti russi a prendere una posizione pubblica contro l'invasione portata avanti dal regime di Putin, perché ciò potrebbe mettere a repentaglio la sicurezza dell’atleta e della sua famiglia. Nonostante questo, sarebbe un "effetto collaterale positivo" da prendere in considerazione, al netto della comprensibile ostilità che in questi mesi di invasione, bombardamenti e distruzioni gli atleti ucraini hanno sviluppato nei confronti dei colleghi russi.

La proposta del CIO, insomma, potrebbe essere un compromesso da cui partire. Il testo tiene conto dei rapporti di forza della politica internazionale, del fatto che gli sportivi ucraini siano stati materialmente danneggiati dall’invasione russa, ed è volto ad impedire il perdurare di una discriminazione su base nazionale. Soprattutto, però, l’ostinazione non priva di ipocrisia di voler presentare questa decisione come apolitica è una testimonianza degli sforzi fatti a Losanna per mantenere unito il sistema sportivo malgrado le spinte centrifughe e potrà inoltre facilitare a guerra finita la piena normalizzazione dei rapporti.

È quasi inutile dire, però, che, se non sarà accettata da Kiev e da Mosca, qualsiasi proposta è inevitabilmente destinata a trasformarsi in un fallimento. Per quanto si ami citare, decontestualizzandola, la massima di Mandela secondo cui «lo sport» avrebbe «il potere di cambiare il mondo», è piuttosto vero il contrario. Nessuna decisione del CIO potrebbe infatti portare alla pace, mentre solo la fine della guerra potrà davvero mettere fine alle fibrillazioni che stanno compromettendo l’universalità e la tenuta del sistema sportivo internazionale. Del resto sebbene nel corso della sua storia, lo sport abbia dimostrato di essere sufficientemente malleabile da sopravvivere ed adeguarsi anche nelle più drammatiche situazioni di guerra, non c’è dubbio che per prosperare il movimento olimpico e il sistema sportivo internazionale abbiano bisogno della pace.

Oggi il CIO e la presidenza di Thomas Bach in particolare sono molto più deboli di quanto non fossero prima dello scoppio delle ostilità. Ed è proprio in virtù di questa esigenza utilitaristica, e non certo in nome di una pomposa e troppo spesso vuota retorica, che il movimento olimpico è fra le poche organizzazioni che lavorano concretamente per la pace in Ucraina.

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