
Al minuto 98 della sfida esterna al Viktoria Plzen la Lazio era messa male. Tutto considerato, il risultato di 1-1 non era da buttare. Considerata l’inferiorità numerica, e poi la doppia inferiorità numerica, e poi le diverse occasioni prodotte dalla squadra ceca. La palla è tra i piedi di Mattéo Guendouzi, davanti ci sono solo maglie rosse e l’idea - razionale - è di mantenere il pallone e di non correre ulteriori rischi.
La Lazio però non è una squadra che fa troppi calcoli. È il suo pregio e il suo difetto. Guendouzi potrebbe tornare indietro e consolidare il possesso, rinunciare. Lui tiene palla, nei paraggi ci sono sei giocatori del Viktoria Plzen, e l’unico compagno che può servire in area è Gustav Isaksen, che però ha già addosso due avversari. Isaksen fa qualche passo incontro, riceve palla col destro, la porta in orizzontale col sinistro e, senza pensarci troppo, perché comunque è tardi e non c’è più niente a cui pensare, calcia d’interno sul secondo palo.
È l’incredibile, totalmente inatteso, gol vittoria che concede alla Lazio due risultati su tre nella partita di ritorno degli ottavi di Europa League. È la seconda giocata decisiva di Isaksen in pochi giorni, entrambe arrivate nei minuti di recupero.
Quattro giorni prima la Lazio giocava a San Siro contro il Milan, ed era ancora in inferiorità numerica. Negli ultimi minuti la partita era diventata una bestia strana: un pasticcio di confusione, stanchezza e un risultato che non stava bene a nessuno. E così il campo ha iniziato ad aprirsi, a sembrare immenso, e le gambe motorizzate di persone come Nuno Tavares o Leao hanno iniziato a coprirlo con l’entusiasmo di chi è stato liberato dalla prigionia. In questo contesto Gustav Isaksen, che ha corso più di dieci chilometri anche quella sera, e che in inferiorità numerica ha dovuto iniziare a correre anche un po’ di più, è comunque il più fresco, quando al 94’ Guendouzi lo serve con un esterno un po’ lungo. Maignan sembra in anticipo, ma Isaksen è più veloce, più reattivo, arriva prima, sposta la palla e si guadagna il più classico dei rigori ruba-bandiera.
Non è esagerato dire che è stato Isaksen a trasformare, per la Lazio, due pareggi in due vittorie in due partite decisive. Una vittoria col Milan che ha consolidato la corsa al quarto posto; una vittoria col Viktoria Plzen che ha sistemato la sfida d’andata degli ottavi di Europa League. Due azioni arrivate negli ultimi minuti, quando le gambe dei giocatori normali si sciolgono e diventano di gelatina, e i pensieri diventano confusi, mentre quelle di Isaksen non sembrano soffrire la fatica sembra affinare il proprio gioco, essere più fresco e più preciso.
Due anni fa il suo problema sembrava il contrario. Maurizio Sarri lo vedeva spompato, diceva che aveva sofferto il grande caldo romano una volta arrivato dalla Danimarca e in generale non gli sembrava un giocatore utile.
Isaksen sembrava un giocatorino, carino e promettente ma decisamente poco sostanzioso. Era arrivato come uno che saltava l’uomo, ma quelli che saltano l’uomo in Italia fanno spesso una brutta fine; era uno pericoloso negli ultimi metri eppure non segnava mai. Nel 4-3-3 ordinato di Sarri era un po’ troppo disordinato. Il tecnico ha provato a indottrinarlo ma lui restava sempre un po’ precipitoso con la palla fra i piedi.
Lui non parlava ancora italiano, e Sarri voleva parlare con lui solo italiano. Isaksen passava da un suo collaboratore che parlava inglese, ma non era la stessa cosa. L’allenatore voleva parlare solo di calcio, gli sembrava strano. «Sarri sapeva un po’ l’inglese, ma non era contento di parlarlo. C’era molta tattica e dovevo solo abituarmi. Solo di recente ho iniziato a capirlo, quindi è stato un po’ fastidioso».
Quando è arrivato Tudor le cose sono migliorate perché gli chiedeva di pensare di meno e correre di più. Un giocatore istintivo come Isaksen ha iniziato a funzionare meglio. «Credo che daremo più intensità al nostro gioco», aveva commentato in quelle settimane.
In estate sono arrivati altri giocatori più simili a Isaksen, la Lazio è diventata una squadra meno tecnica e più intensa. Una squadra veloce, precipitosa, verticale, e Isaksen in questo ambiente ha iniziato davvero a fiorire. La sua crescita, comunque, è stata progressiva. A inizio anno non era titolare, e quando giocava si credeva comunque che il suo tempo fosse provvisorio, in attesa del passaggio a titolare di Tchaouna.
Fino a inizio dicembre Isaksen aveva segnato un solo gol, inutile, nella sconfitta contro l’Udinese. Unico attaccante che produceva poco in una squadra che produceva molto. Incostante, impreciso, non era chiaro quale fossero i suoi pregi.
Poi è arrivato quel gol al Napoli che ha cambiato tutto. A dodici minuti dalla fine Isaksen riceve un lancio mezzo geniale di Noslin. Il terreno è bagnato, Oliveira è davanti a lui che cerca di recuperare, Isaksen col calzettone basso sembra arrivare lungo sul pallone, e invece sterza e lascia sul posto il suo avversario, e poi calcia sul secondo palo. Due mesi dopo, sempre contro il Napoli, suggella la sua crescita con uno di quei tiri da fuori enfatici e disperati.
Isaksen, del resto, ci prova sempre. Ha già tentato 45 tiri solo in Serie A, e se consideriamo questi ha segnato poco finora: 5 gol totali, 3 in campionato e 2 in Europa League. Si sta rivelando però un giocatore dagli alti volumi, che in campo prova e sbaglia tante cose, ma che trova una sua efficacia quantitativa, distribuendo questi tentativi nelle partite a provocando anche dei benefici indiretti. Con lui in campo la Lazio riesce a tenere i ritmi alti, a portare attacchi costantemente sul lato destro, dove Isaksen porta palla con inesauribile generosità. Dentro una squadra di portatori di palla, che avanza sempre a strappi e conduzioni in giro per il campo, Isaksen si trova perfettamente a proprio agio - un ecosistema completamente diverso da quello fatto di scaglionamento e palleggio. Isaksen tiene i calzettoni bassi e con i capelli radi e il fisico un po’ smunto sembra un giocatore un po’ anacronistico. Eppure il suo stile di gioco è di quelli che hanno bisogno dei ritmi alti del calcio contemporaneo, che sguazzano nelle partite fatte di transizioni, di spazi che si aprono. L'impressione è che il suo fisico a volte non lo segua nelle sue idee.
È un giocatore diverso da quello che ci aspettavamo, e diverso anche da come viene ancora descritto. Non è un profilo creativo ma svampito, capace di pochi e isolati colpi di grande qualità dentro partite in cui è assente; è invece un giocatore atletico, intenso fisicamente e mentalmente, che prova a fare molte più cose di quante gliene riescono - ma che risulta utile anche nella sua imprecisione. Un attaccante che segna gol difficili - come quello al Napoli o quello al Viktoria Plzen - perché prova spesso gol difficili, forzando un po’ le scelte. Poi non gliene riescono altre più semplici perché non fa della precisione proprio la sua forza. Restare precisi quando si corre così tanto non è semplice.
Non è tra i dribblatori più belli che ci siano da vedere, ma anche solo la sua semplice tensione verticale lo rende temibile. A gennaio contro la Real Sociedad ha provocato l’espulsione di un avversario facendogli un tunnel a centrocampo.
La sua influenza nella Lazio è cresciuta nel tempo e possiamo dire che quella attuale sia la migliore versione di Isaksen. Da gennaio in avanti è uno dei giocatori della Serie A con più conduzioni palla per novanta minuti, e questo è anche il segno che la distribuzione offensiva della Lazio ha cambiato i suoi equilibri nel corso della stagione, riequilibrandosi tra fascia sinistra e destra. Se prima la Lazio era fortemente asimmetrica, nelle ultime settimane Isaksen e Marusic hanno aumentato molto la propria influenza.
Come è lievitato l'impatto di Isaksen in Serie A. Più tocchi in area, più tiri, più presenza in generale. Grafici Hudl Statsbomb.
La squadra di Baroni continua ad avere il lato più creativo a sinistra, con le sgroppate di Nuno Tavares e, soprattutto, le pause e i dribbling spalle alla porta di Zaccagni. Dall’altra parte, però, Isaksen fa il lavoro di fatica e quando riceve sul lato debole, segue il suo istinto e strozza i tempi di gioco. Va lungolinea per crossare (la Lazio è la squadra che crossa di più in A) oppure converge per tirare. A volte alza poco la testa, forza troppo le scelte, ma fa parte del suo gioco.
Interrogato ai microfoni dopo la vittoria in Europa League, Baroni ha detto che Isaksen aveva bisogno di essere lasciato libero di sbagliare, ma non si è definito certo stupito: «Sapevo sarebbe esploso. Aveva bisogno di fiducia, un attaccante si vede dagli assist, dai gol e dalle giocate determinanti. Ora deve confermarsi perché arriva il difficile».